N. 460 ORDINANZA 13 - 28 dicembre 2007

  Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

  Processo  penale  -  Sentenza  di  proscioglimento  -  Appello  del
  pubblico  ministero  -  Preclusione  (salvo  nelle  ipotesi  di cui
  all'art.   603,   comma  2,  se  la  nuova  prova  e'  decisiva)  -
  Applicazione  delle  nuove  norme  anche  ai  procedimenti in corso
  all'entrata  in  vigore della novella - Intervenuta declaratoria di
  illegittimita'   costituzionale   in  parte  qua  della  disciplina
  denunciata  - Restituzione degli atti ai rimettenti per nuovo esame
  della questione sulla rilevanza.
  -  Cod.  proc.  pen.,  art. 593, comma 2, come sostituito dall'art.
  1 della  legge  20  febbraio  2006,  n. 46; legge 20 febbraio 2006,
  n. 46, art. 10.
  -  Costituzione,  artt. 3, 24, 25, 97, 111, primo, secondo, sesto e
  settimo comma, e 112.
(GU n.1 del 2-1-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta  dai  signori:  Presidente:  Franco  BILE; Giudici: Giovanni
Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE SIERVO, Paolo MADDALENA,
Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA,
Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe
TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO; ha pronunciato la seguente
                              Ordinanza
nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 593 del codice
di  procedura  penale,  come  sostituito  dall'art.  1 della legge 20
febbraio  2006,  n. 46  (Modifiche  al codice di procedura penale, in
materia  di  inappellabilita'  delle  sentenze di proscioglimento), e
dell'art.  10  della  stessa  legge, promossi, nell'ambito di diversi
procedimenti  penali,  con  ordinanze  del  2 maggio 2006 dalla Corte
d'appello  di  Genova, del 25 maggio e del 16 giugno 2006 dalla Corte
d'appello  di  Bologna,  del  26 aprile, del 2 maggio e del 1° giugno
2006  dalla Corte d'appello di Ancona, del 16 maggio 2006 dalla Corte
d'assise  d'appello  di  Salerno,  del  12  giugno  2006  dalla Corte
d'appello  di  L'Aquila, del 10 ottobre 2006 dalla Corte d'appello di
Ancona,  del  4  luglio 2006 dalla Corte d'appello di Catania, del 30
marzo,  del  6 (nn. 2 ordd.) e del 7 aprile e del 7 giugno 2006 dalla
Corte  d'appello di Napoli, del 23 gennaio 2007 dalla Corte d'appello
di  Perugia  e dell'8 agosto 2006 (nn. 2 ordd.) dalla Corte d'appello
di  Trieste  rispettivamente  iscritte ai nn. 10, 35, 42, 49, 50, 53,
68,  173,  216,  da  266 a 269, 272, 273, 618, 659 e 660 del registro
ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
nn. 7, 8, 9, 14, 16 nell'edizione straordinaria del 26 aprile 2007, e
nn. 17, 36 e 38, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  12 dicembre 2007 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto  che,  con  diciotto  ordinanze  di analogo tenore, le Corti
d'appello  di Genova (r.o. 10 del 2007), di Bologna (r.o. nn. 35 e 42
del  2007),  di  L'Aquila (r.o. n. 173 del 2007), di Ancona (r.o. nn.
49,  50,  53  e  216 del 2007), di Catania (r.o. n. 266 del 2007), di
Napoli (r.o. nn. 267, 268, 269, 272 e 273 del 2007), di Trieste (r.o.
nn.  659  e  660 del 2007), di Perugia (r.o. 618 del 2007) e la Corte
d'assise  d'appello di Salerno (r.o. n. 68 del 2007) hanno sollevato,
in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 97, 111, primo, secondo, sesto e
settimo  comma,  e  112 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  dell'art.  593  del  codice di procedura penale, come
sostituito dall'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche
al  codice  di procedura penale, in materia di inappellabilita' delle
sentenze  di  proscioglimento),  nella  parte  in cui non consente al
pubblico  ministero  di  proporre  appello  avverso  le  sentenze  di
proscioglimento se non nel caso previsto dall'art. 603, comma 2, cod.
proc. pen., quando cioe' sopravvengano o si scoprano nuove prove dopo
il  giudizio  di  primo  grado  e  sempre  che  tali  prove risultino
decisive, e dell'art. 10 della medesima legge;
     che,  sotto  il profilo della rilevanza, i rimettenti premettono
che in forza dell'art. 10 della legge n. 46 del 2006 - il cui art. 1,
sostituendo  l'art.  593  cod.  proc.  pen., ha sottratto al pubblico
ministero  il  potere di appellare le sentenze di proscioglimento - i
giudizi  dovrebbero  essere definiti con ordinanze non impugnabili di
inammissibilita';
     che    tutti    i   rimettenti   dubitano   della   legittimita'
costituzionale  della disciplina censurata in riferimento al precetto
dell'art. 111, secondo comma, Cost., in forza del quale ogni processo
deve  svolgersi  «nel  contraddittorio tra le parti, in condizioni di
parita' davanti ad un giudice terzo e imparziale»;
     che,  secondo  i  giudici  a quibus, i limiti all'appellabilita'
delle  sentenze  di  proscioglimento introdotti dalla legge n. 46 del
2006 solo apparentemente soddisferebbero l'esigenza di parita' tra le
parti  garantita  dalla  disposizione  costituzionale,  in  quanto la
preclusione all'appello e' destinata ad incidere esclusivamente sulla
parte   (il   pubblico   ministero)   che   ha   effettivo  interesse
all'impugnazione di tali sentenze, determinando irragionevolmente una
squilibrio  fra  accusa  e  difesa,  in  danno  esclusivo della parte
pubblica;
     che  l'introduzione di cosi' significative limitazioni al potere
di  appello  del  pubblico  ministero  non  risponderebbe, infatti, a
nessuna  delle  esigenze in vista delle quali la Corte costituzionale
ha   in  passato  ritenuto  possibile  la  previsione  di  limiti  di
appellabilita' (esigenze che si compendiano nella peculiare posizione
istituzionale  del  pubblico  ministero,  nella  funzione allo stesso
affidata,  ovvero  in esigenze connesse alla corretta amministrazione
della  giustizia),  e  non  troverebbe,  a  giudizio  dei rimettenti,
giustificazione alcuna nella tutela di altri principi costituzionali;
     che,  a  questo  riguardo,  taluni  rimettenti  escludono che le
modifiche all'art. 593 cod. proc. pen. siano imposte dalla necessita'
di  dare  attuazione all'art. 2 del Protocollo addizionale n. 7 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta'  fondamentali,  adottato  a  Strasburgo il 22 novembre 1984,
ratificato e reso esecutivo con la legge 9 aprile 1990, n. 98;
     che,  in  particolare,  alcuni  rimettenti  (Corte  d'appello di
Bologna,  r.o.  n. 35  e  n. 42 del 2007; Corte d'appello di Catania,
r.o.  n. 266  del 2007) ritengono che il secondo comma dell'art. 2 di
tale  Protocollo  addizionale introduca un'eccezione al principio del
doppio  grado  di giurisdizione di merito proprio per l'ipotesi - che
il legislatore avrebbe avuto di mira - di condanna in secondo grado a
seguito  di  appello  avverso  sentenza  di  proscioglimento in primo
grado;  mentre  altri  rimettenti  (Corte  d'appello di Trieste, r.o.
n. 659  e  660  del  2007)  sottolineano come la Corte costituzionale
abbia  ripetutamente ribadito che il doppio grado di giurisdizione di
merito  non  forma  oggetto  di  garanzia  costituzionale  e  che  la
formulazione  di  detto  art. 2, nel demandare al legislatore interno
ampi   spazi   per   la   disciplina   dell'esercizio   del   diritto
all'impugnazione,  non  esclude  che  il  principio si sostanzi nella
previsione del solo ricorso per cassazione;
     che  dalla constatazione della mancata previsione costituzionale
del  principio  del  doppio grado di giurisdizione di merito muove la
Corte  d'assise  d'appello  di  Salerno  (r.o.  n. 68  del 2007), per
rilevare  come  non sia ragionevole «una soluzione che privi solo una
delle  due  parti  del  secondo  grado  di  merito davanti al giudice
d'appello»,  atteso  che «all'imputato e' tuttora consentito proporre
appello avverso le sentenze di condanna»;
     che  tutti  i  rimettenti, ad eccezione della Corte d'appello di
Trieste  (r.o.  n. 659  e  660  del  2007), evocano a parametro anche
l'art. 3 Cost., sotto il profilo del difetto di ragionevolezza;
     che,  per  le  Corti  d'appello  di Napoli (r.o. n. 267, n. 268,
n. 269,  n. 272  e  n. 273 del 2007), di Ancona (r.o. n. 49, 50, 53 e
216  del  2007), di Bologna (r.o. n. 35 e n. 42 del 2007), di Catania
(r.o.  n. 266  del 2007) e per la Corte d'assise d'appello di Salerno
(r.o.  n. 68 del 2007), la scelta legislativa di sopprimere il potere
di   appello   del   pubblico   ministero   avverso  le  sentenze  di
proscioglimento     si     paleserebbe    altresi'    intrinsecamente
contraddittoria  rispetto  al  mantenimento del potere di appello del
pubblico ministero contro le sentenze di condanna;
     che  le  Corti  d'appello  di  Napoli  (r.o. n. 272 e n. 273 del
2007), di Perugia (r.o. n. 618 del 2007), di Catania (r.o. n. 266 del
2007)   e   di   L'Aquila   (r.o.   n. 173   del   2007)   denunciano
l'irragionevolezza  della  disciplina  anche  in relazione al potere,
mantenuto  invece  in  capo  alla  parte  civile, di proporre appello
avverso le sentenze di proscioglimento;
     che  la  Corte  d'appello  di  Catania  (r.o.  n. 266  del 2007)
evidenzia  un  ulteriore  profilo  di  violazione  dell'art. 3 Cost.,
rilevando  come  la  disciplina  censurata  «realizzi  ingiustificate
disparita'  di  trattamento  tra imputati e/o persone offese, laddove
contempla  un'ipotesi  residuale  di  appello  contro  la sentenza di
proscioglimento  da parte del pubblico ministero [...] per il caso in
cui, successivamente al giudizio di primo grado, siano sopravvenute o
scoperte  nuove  prove  e  queste  appaiano decisive», trattandosi di
evento «del tutto accidentale e imponderabile»;
     che  le  Corti d'appello di Ancona (r.o. n. 49, 50, 53 e 216 del
2007)  e  di  Catania  (r.o. n. 266 del 2007) prospettano altresi' la
violazione  dell'art.  24 Cost., per la lesione del diritto di difesa
garantito da tale norma costituzionale anche alle parti offese;
     che,  nella  medesima  prospettiva, la Corte d'appello di Genova
(r.o. n. 10 del 2007) lamenta la congiunta lesione degli artt. 3 e 24
Cost.,  in  quanto  «le norme impugnate non consentono con previsione
irragionevolmente discriminatoria la uguale difesa in sede penale dei
diritti della persona offesa dal reato»;
     che  le  Corti  d'appello  di  Genova  (r.o. n. 10 del 2007), di
Bologna  (r.o.  n. 35  e n. 42 del 2007), di Catania (r.o. n. 266 del
2007) e di Perugia (r.o. n. 618 del 2007) ritengono, inoltre, violato
il  principio  dell'obbligatorieta'  dell'azione  penale,  poiche' la
mancata    previsione    dell'appello    avverso   le   sentenze   di
proscioglimento   inciderebbe   sui  poteri  della  pubblica  accusa,
rendendoli  inidonei  all'assolvimento dei compiti previsti dall'art.
112 Cost.;
     che  le  Corti d'appello di Napoli (r.o. n. 267, n. 268, n. 269,
n. 272  e  n. 273 del 2007), di Trieste (r.o. n. 659 e 660 del 2007),
di  L'Aquila  (r.o.  n. 173 del 2007), di Bologna (r.o. n. 35 e n. 42
del  2007), di Perugia (r.o. n. 618 del 2007) e di Genova (r.o. n. 10
del  2007,  sia pure senza alcuna motivazione) denunciano altresi' il
contrasto  della  disciplina censurata con l'art. 111, secondo comma,
secondo  periodo, Cost. sotto il profilo della ragionevole durata del
processo:  cio'  sul  rilievo  che  la  soppressione dell'appello del
pubblico   ministero  avverso  le  sentenze  di  proscioglimento,  il
contestuale  ampliamento  dei  motivi del ricorso per cassazione e il
rinvio  al  giudice  di  primo grado in caso di annullamento da parte
della  Corte  di  cassazione determinerebbero un aumento dei gradi di
giudizio  ed  una  conseguente dilatazione dei tempi processuali, con
rischio di prescrizione dei reati;
     che  la  violazione  di  tale  parametro e' prospettata anche in
relazione alla disciplina transitoria;
     che  le Corti d'appello di Bologna (r.o. n. 35 e n. 42 del 2007)
e   di   Perugia  (r.o.  n. 618  del  2007)  sollevano  questione  di
costituzionalita'  anche  in riferimento all'art. 97 Cost.; mentre la
sola  Corte  d'assise  d'appello di Salerno (r.o. 68 del 2007) dubita
della  legittimita'  costituzionale  della  disciplina  censurata  in
riferimento  altresi' all'art. 25 Cost., per violazione del principio
di  legalita' sostanziale, che garantisce che, alla commissione di un
reato, segua «l'inflizione di una pena»;
     che  la  Corte d'appello di Genova (r.o. 10 del 2007) - premesso
che  la  novella del 2006, modificando l'art. 593 cod. proc. pen., ha
determinato  uno «sconfinamento nel merito» dei poteri demandati alla
Corte  di  cassazione,  il  quale tuttavia lascia fuori dal controllo
della  Suprema  Corte taluni gravi «errori di giudizio» - ritiene che
«l'aver   negato   al   pubblico  ministero  il  diritto  di  critica
argomentata  della decisione finale, quando la decisione possa essere
ex  post  considerata  oggettivamente  errata  e  ingiusta, viol[i] i
principi  codificati  negli  artt.  3,  24,  primo comma, 111, primo,
secondo, sesto e settimo comma, della Costituzione»;
     che,  infine,  la Corte d'appello di Bologna (r.o. n. 35 e n. 42
del  2007)  evidenzia un ulteriore profilo di censura, specificamente
riferito  alla  disciplina  transitoria  contenuta nei commi 1, 2 e 3
dell'art.   10  della  legge  n. 46  del  2006,  lamentando  come  la
previsione  della  declaratoria  di  inammissibilita'  degli  appelli
proposti  prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge privi «di uno
specifico  mezzo  di  gravame  la  parte che vi aveva riposto congruo
affidamento»  e  sottragga «ad uno solo dei contendenti, mentre e' in
corso  il  contraddittorio  processuale,  un'arma  sin  li' giudicata
pienamente  conforme  con il principio del giusto processo, e sin li'
garantita ad entrambe le parti», con conseguente violazione dell'art.
3 Cost.
Considerato  che  il  dubbio di costituzionalita' sottoposto a questa
Corte  ha  per oggetto la preclusione - conseguente alla sostituzione
dell'art.  593  del  codice  di procedura penale ad opera dell'art. 1
della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura
penale,   in   materia   di   inappellabilita'   delle   sentenze  di
proscioglimento)  -  dell'appello  delle  sentenze  dibattimentali di
proscioglimento   da  parte  del  pubblico  ministero  e  l'immediata
applicabilita'  di tale regime, in forza dell'art. 10 della legge, ai
procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima;
     che,  stante  l'identita'  delle  questioni proposte, i relativi
giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia;
     che, successivamente alle ordinanze di rimessione, questa Corte,
con   sentenza   n. 26   del  2007,  ha  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale  sia  dell'art.  1  della citata legge n. 46 del 2006,
«nella  parte  in cui, sostituendo l'art. 593 del codice di procedura
penale,  esclude  che il pubblico ministero possa appellare contro le
sentenze  di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste
dall'art.  603,  comma  2,  del medesimo codice, se la nuova prova e'
decisiva»; sia dell'art. 10, comma 2, della stessa legge «nella parte
in  cui  prevede  che  l'appello  proposto  contro  una  sentenza  di
proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in
vigore della medesima legge e' dichiarato inammissibile»;
     che,  alla  stregua  della richiamata pronuncia di questa Corte,
gli  atti devono essere pertanto restituiti ai giudici rimettenti per
un nuovo esame della rilevanza delle questioni.
              Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi,
   Ordina  la restituzione degli atti alle Corti d'appello di Genova,
di  Bologna,  di  L'Aquila,  di  Ancona,  di  Catania,  di Napoli, di
Trieste, di Perugia e alla Corte d'assise d'appello di Salerno.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2007.
                         Il Presidente: Bile
                         Il redattore: Flick
                       Il cancelliere: Milana
   Depositata in cancelleria il 28 dicembre 2007.
                       Il cancelliere: Milana