N. 4 ORDINANZA 14 - 18 gennaio 2008

  Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

  Processo  penale - Appello - Modifiche normative - Possibilita' per
  il  pubblico  ministero  di proporre appello avverso le sentenze di
  non  luogo  a  procedere  emessa in esito all'udienza preliminare -
  Preclusione  -  Disciplina  transitoria - Prevista inammissibilita'
  dell'appello  proposto prima dell'entrata in vigore della novella -
  Successiva  declaratoria  di parziale illegittimita' costituzionale
  di  tale previsione in relazione ad altre disposizioni «a regime» -
  Incidenza sul thema decidendum - Esclusione.
  -  Cod.  proc.  pen.,  art.  428, come modificato dall'art. 4 della
  legge  20 febbraio 2006, n. 46; legge 20 febbraio 2006, n. 46, art.
  10, comma 2.
  -  Costituzione,  artt.  3,  111 e 112. Processo penale - Appello -
  Modifiche  normative  -  Possibilita'  per il pubblico ministero di
  proporre  appello  avverso  le  sentenze di non luogo a procedere -
  Preclusione  -  Disciplina  transitoria - Prevista inammissibilita'
  dell'appello  proposto prima dell'entrata in vigore della novella -
  Denunciata  violazione  dei  principi  di  parita'  delle parti, di
  ragionevole  durata  del  processo e di obbligatorieta' dell'azione
  penale  -  Lamentata  irragionevolezza  - Questioni sollevate sulla
  premessa   della  riferibilita'  delle  sentenze  di  non  luogo  a
  procedere alla categoria delle sentenze di proscioglimento, oggetto
  della normativa transitoria - Omessa verifica della possibilita' di
  interpretare   la   disposizione   impugnata   in   senso  diverso,
  conformemente  al  prevalente  indirizzo  della  giurisprudenza  di
  legittimita' - Manifesta inammissibilita' delle questioni.
  -  Cod.  proc.  pen.,  art.  428, come modificato dall'art. 4 della
  legge 20 febbraio 2006, n. 46.
  -  Costituzione,  artt.  3,  111 e 112. Processo penale - Appello -
  Modifiche  normative  -  Possibilita'  per il pubblico ministero di
  proporre  appello  avverso  le  sentenze di non luogo a procedere -
  Preclusione  -  Disciplina  transitoria - Prevista inammissibilita'
  dell'appello  proposto prima dell'entrata in vigore della novella -
  Denunciata  violazione  del  principio  di  ragionevole  durata del
  processo   -   Omessa   verifica   della   esistenza  di  soluzioni
  interpretative conformi a Costituzione - Manifesta inammissibilita'
  della questione.
  - Legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 10, comma 2.
  - Costituzione, artt. 3, 111 e 112.
(GU n.4 del 23-1-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Franco BILE Giudici: Giovanni Maria
FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE  SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio
FINOCCHIARO,  Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano
SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo
Maria NAPOLITANO; ha pronunciato la seguente
                              Ordinanza
nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 428 del codice
di  procedura  penale,  come  sostituito  dall'art.  4 della legge 20
febbraio  2006,  n. 46  (Modifiche  al codice di procedura penale, in
materia  di  inappellabilita'  delle  sentenze  di proscioglimento) e
dell'art.  10  della  stessa  legge  n. 46  del  2006,  promossi  con
ordinanze  del 15 marzo 2006 dalla Corte militare d'appello di Verona
nel  procedimento penale a carico di D.F.F. e del 5 maggio 2006 dalla
Corte  d'appello  di  Salerno  nel  procedimento  penale  a carico di
D.L.V.,  iscritte  ai  nn.  276  e  490 del registro ordinanze 2006 e
pubblicate  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 36 e 46, 1ª
serie speciale, dell'anno 2006.
Visto l'atto di costituzione di G. A.;
Udito  nell'udienza  pubblica dell'11 dicembre 2007 e nella camera di
consiglio  del  12  dicembre  2007 il giudice relatore Giovanni Maria
Flick.
Ritenuto che, con l'ordinanza indicata in epigrafe, la Corte militare
d'appello, sezione distaccata di Verona, ha sollevato, in riferimento
agli artt. 3, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  dell'art.  428  del  codice di procedura penale, come
sostituito dall'art. 4 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche
al  codice  di procedura penale, in materia di inappellabilita' delle
sentenze  di  proscioglimento),  nella  parte  in cui ha soppresso la
facolta'  del  pubblico  ministero  di  proporre  appello  avverso la
sentenza di non luogo a procedere;
     che   la   Corte   rimettente   riferisce  di  essere  investita
dell'appello  proposto  dal  pubblico  ministero  avverso la sentenza
emessa   l'8  marzo  2005,  con  la  quale  il  Giudice  dell'udienza
preliminare  del  Tribunale  militare  di Padova ha dichiarato il non
luogo  a  procedere nei confronti di un vice brigadiere dell'Arma dei
Carabinieri,  imputato del reato di diffamazione aggravata continuata
(artt.  227  e 47, numeri 2 e 4, del codice penale militare di pace),
perche'   il   fatto   non  costituisce  reato,  stante  la  ritenuta
applicabilita'  della causa di non punibilita' prevista dall'art. 598
del codice penale;
     che   il   gravame  -  prosegue  il  giudice  a  quo  -  benche'
perfettamente rituale alla stregua della legge processuale vigente al
tempo  della  sua proposizione, sarebbe destinato ad una declaratoria
di inammissibilita' a fronte della sopravvenuta legge n. 46 del 2006;
quest'ultima,   novellando  l'art.  428  cod.  proc.  pen.,  ha  reso
inappellabili  le  sentenze  di  non  luogo  a procedere, stabilendo,
altresi',  all'art.  10,  che gli appelli proposti contro sentenze di
proscioglimento  anteriormente  all'entrata  in  vigore della novella
sono dichiarati inammissibili;
     che, ad avviso del rimettente, il nuovo art. 428 cod. proc. pen.
-  nella  parte  in  cui sottrae al pubblico ministero la facolta' di
appellare  le  sentenze  di  non  luogo  a procedere - si porrebbe in
contrasto con plurimi parametri costituzionali;
     che risulterebbe leso, anzitutto, il principio di ragionevolezza
(art.  3  Cost.),  in  quanto  la  norma  censurata introdurrebbe uno
«sbarramento»  privo  di  giustificazione razionale, tale da impedire
alla  parte  pubblica  di coltivare la propria domanda di giudizio in
modo completo ed efficace;
     che   la  nuova  disciplina  priverebbe,  difatti,  il  pubblico
ministero  della  possibilita' di chiedere ad un ulteriore giudice il
riesame  delle  risultanze  processuali  «nella  totalita'  del  loro
significato  e  della  loro consistenza», imponendogli di esperire un
mezzo  di impugnazione - il ricorso per cassazione - non coerente con
il  tipo  di  valutazione  che sovrintende alla decisione di rinvio a
giudizio  e  con  la  natura  dell'udienza preliminare: udienza nella
quale  il  giudice  e'  chiamato  ad  una  deliberazione di carattere
processuale riguardo alla necessita' di procedere al dibattimento;
     che   ne   deriverebbe,   in   pari   tempo,  una  irragionevole
discriminazione   tra   i   procedimenti   che  richiedono  l'udienza
preliminare  e  i  procedimenti  a  citazione  diretta,  nei quali la
domanda  di  giudizio del pubblico ministero trova, invece, immediato
riscontro della fissazione dell'udienza dibattimentale, senza correre
il rischio di venire «prematuramente bloccata»;
     che  nei procedimenti in cui e' prevista l'udienza preliminare -
ossia  nella  totalita'  dei  casi,  quanto alla giurisdizione penale
militare (davanti alla quale non trovano applicazione le disposizioni
del  Libro  VIII  del  codice  di  rito,  sul procedimento davanti al
tribunale in composizione monocratica) - si verificherebbe, altresi',
avuto  riguardo  alle  conseguenze del provvedimento conclusivo della
fase,  un irragionevole «sbilanciamento» delle posizioni delle parti,
lesivo  del  principio  di  parita'  enunciato dall'art. 111, secondo
comma, Cost.;
     che,  infatti  - mentre per l'imputato il piu' sfavorevole degli
esiti  e'  rappresentato dal rinvio a giudizio davanti al suo giudice
naturale,  ossia da un provvedimento «meramente interlocutorio» - per
l'accusa,  la  sentenza  di  non  luogo  a procedere comporterebbe il
pressoche'  definitivo  «affossamento»  delle  ragioni pubblicistiche
sottese  all'esercizio  dell'azione  penale:  giacche' il ricorso per
cassazione,   consentendo   di   dedurre  solo  vizi  circoscritti  e
tassativi,  si  rivelerebbe  assai «poco congeniale» alle censure che
possono  venir  mosse  all'anzidetta  sentenza, la quali troverebbero
nell'appello il loro «naturale» veicolo;
     che  altrettanto  evidente risulterebbe il pregiudizio recato al
principio della ragionevole durata del processo, di cui all'art. 111,
secondo comma, seconda parte, Cost.;
     che  -  come  evidenziato  nel  messaggio  del  Presidente della
Repubblica  del  20 gennaio 2006, di rinvio della legge alle Camere -
il  trasferimento  dalla  corte  d'appello  alla  Corte di cassazione
dell'impugnazione   della   sentenza   di   non   luogo  a  procedere
determinerebbe  non  soltanto  un aumento di lavoro per il giudice di
legittimita',  ma anche, nel caso di mancata conferma della sentenza,
una  regressione  del  procedimento,  che ne allungherebbe i tempi di
definizione;
     che,  ove  ritenesse  fondate  le  ragioni dell'impugnazione del
pubblico  ministero,  la  Corte  di cassazione non potrebbe, infatti,
emettere il decreto che dispone il giudizio, ma dovrebbe annullare la
sentenza  impugnata  con  rinvio al giudice dell'udienza preliminare:
quest'ultimo,  pur  mutato  nella persona, potrebbe peraltro adottare
una  ulteriore  decisione  liberatoria,  a  sua volta ricorribile per
cassazione,  in  una  sequenza suscettibile teoricamente di protrarsi
«quasi all'infinito»;
     che,  da  ultimo,  la  norma  censurata  contrasterebbe  con  il
principio di obbligatorieta' dell'azione penale (art. 112 Cost.);
     che,  al  riguardo, il rimettente ricorda come la giurisprudenza
costituzionale   abbia  ravvisato  nel  potere  di  impugnazione  del
pubblico  ministero  una  delle espressioni dell'anzidetto principio,
puntualizzando,  altresi',  che  la  disciplina  processuale non puo'
essere   congegnata   in  modo  tale  da  vanificare  il  complessivo
assolvimento delle funzioni dell'accusa;
     che  tale  affermazione  -  ad  avviso  del  giudice a quo - non
sarebbe stata superata dalle successive decisioni, nelle quali questa
Corte  ha  escluso  una diretta e generale correlazione tra potere di
impugnazione  della  parte  pubblica e obbligatorieta' dell'esercizio
dell'azione   penale:   tali   decisioni   riguarderebbero,  infatti,
un'ipotesi ben diversa da quella oggi in esame, essendo riferite alla
norma  che  impediva al pubblico ministero di proporre appello contro
le sentenze di condanna emesse a conclusione del giudizio abbreviato;
vale  a  dire nell'ambito di un rito che - dopo il positivo esercizio
dell'azione   penale   -   persegue   obiettivi   di  semplificazione
processuale,  in  relazione ai quali puo' considerarsi «appagante» un
epilogo  «comunque coincidente con le essenziali finalita' perseguite
dall'accusa»;
     che  nella  specie,  per  contro,  verrebbe in rilievo un limite
direttamente incidente sull'atto di esercizio dell'azione penale, che
non  ha  realizzato il proprio obiettivo del giudizio dibattimentale:
onde  non  si comprenderebbe «con quale coerenza "costituzionale"» la
legge  ordinaria possa interdire al pubblico ministero di chiedere al
superiore  giudice  di  merito  una  diversa valutazione circa la non
superfluita' del dibattimento;
     che  tale  conclusione  si  imporrebbe  a maggior ragione ove si
consideri  che  la  preclusione  all'appello concerne una sentenza di
carattere    processuale,   emessa   nell'ambito   di   un   giudizio
«essenzialmente   cartolare»:   sicche',  rispetto  alla  preclusione
censurata,  non  potrebbero  valere  le  ragioni  che  sono alla base
dell'inappellabilita'  delle  sentenze di proscioglimento, introdotta
dalla  stessa legge n. 46 del 2006, non sussistendo il rischio che il
giudice  di appello capovolga, «leggendo solo le carte», la decisione
che  il primo giudice ha adottato dopo aver assistito alla formazione
della prova in contraddittorio;
     che  nel  giudizio  di costituzionalita' si e' costituito A. G.,
parte  civile  nel processo a quo, il quale - condividendo i dubbi di
costituzionalita'  del giudice rimettente - ha chiesto l'accoglimento
della questione;
     che  con  l'ulteriore  ordinanza  indicata in epigrafe, la Corte
d'appello  di Salerno ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 111,
secondo  comma, e 112 Cost., questione di legittimita' costituzionale
dell'art.  428  cod.  proc.  pen.,  come sostituito dall'art. 4 della
legge  n. 46  del  2006,  nella  parte in cui esclude che il pubblico
ministero  possa  proporre  appello contro la sentenza di non luogo a
procedere;  nonche'  dell'art.  10 della citata legge n. 46 del 2006,
nella  parte  in  cui  rende  applicabile  tale  nuova  disciplina ai
procedimenti  in  corso  alla  data  della  sua  entrata  in  vigore,
stabilendo,   altresi',  che  l'appello  anteriormente  proposto  dal
pubblico  ministero  avverso  una  sentenza  di proscioglimento viene
dichiarato  inammissibile  con  ordinanza  non  impugnabile, salva la
facolta'  dell'appellante  di  proporre  ricorso per cassazione entro
quarantacinque   giorni   dalla   notifica   del   provvedimento   di
inammissibilita';
     che  la  Corte  rimettente  riferisce  che, con sentenza dell'11
ottobre  2001,  il  Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di
Salerno  ha  dichiarato  non  doversi  procedere nei confronti di una
persona  imputata del reato di cui all'art. 317 cod. pen., perche' il
fatto  non  sussiste;  e  che  avverso la decisione e' stato proposto
ricorso  per cassazione, da parte del Procuratore della Repubblica, e
appello, da parte del Procuratore generale;
     che  detto  appello  - di cui la Corte rimettente e' investita -
dovrebbe   essere   dichiarato,   ad   avviso   della  Corte  stessa,
inammissibile ai sensi del citato art. 10 della legge n. 46 del 2006,
sopravvenuta alla proposizione del gravame;
     che  il  giudice  a  quo  dubita,  peraltro,  della legittimita'
costituzionale  tanto  della disciplina «a regime», introdotta con il
nuovo  art.  428 cod. proc. pen., che di quella transitoria stabilita
dall'art. 10 della legge n. 46 del 2006;
     che  il  novellato art. 428 cod. proc. pen. risulterebbe lesivo,
anzitutto,  del  principio  di  parita'  delle  parti  nel  processo,
enunciato dall'art. 111, secondo comma, Cost.;
     che  la  norma  denunciata, difatti - stabilendo che il pubblico
ministero  e  l'imputato  possono  proporre  ricorso  per  cassazione
avverso  la  sentenza  di  non  luogo  a  procedere emessa al termine
dell'udienza  preliminare - porrebbe solo formalmente le parti su uno
stesso  piano;  essendo  evidente  come,  in realta', la disposizione
limiti  il  potere  di  impugnazione  della  sola  parte  che  vi  ha
interesse,  in  quanto  soccombente  rispetto  alla  pretesa punitiva
azionata:  ossia il pubblico ministero, al quale verrebbe impedito di
pervenire,   attraverso  l'appello,  all'accertamento  della  verita'
materiale, cui il processo penale dovrebbe tendere;
     che, anche dopo la riforma operata dalla legge 16 dicembre 1999,
n. 479,  la  sentenza di non luogo a procedere ha mantenuto la natura
di   pronuncia  «processuale»,  essendo  destinata  esclusivamente  a
«paralizzare» la domanda di giudizio formulata dal pubblico ministero
sulla base di una prognosi di inutilita' del dibattimento.
     che, in modo del tutto coerente, l'art. 428 cod. proc. pen., nel
testo  anteriore  alla  legge  n. 46  del 2006, riconosceva quindi al
pubblico  ministero il potere di proporre appello avverso la sentenza
di  non  luogo  a  procedere, consentendogli, cosi', di provocare una
«rivalutazione»  nel  merito della fondatezza della propria richiesta
di  rinvio  a  giudizio:  possibilita', per contro, irragionevolmente
rimossa dalla novella, posto che il ricorso per cassazione e' ammesso
solo per specifici motivi (art. 606 cod. proc. pen.), tra i quali non
rientra «la "sufficienza o meno" degli elementi per il giudizio»;
     che l'«anomalia» risulterebbe ancor piu' grave, ove si consideri
che  - come affermato da questa Corte (sentenza n. 115 del 2001) - il
pubblico  ministero,  prima  dell'udienza  preliminare,  e'  tenuto a
svolgere indagini complete, stante anche la facolta' dell'imputato di
chiedere  di  essere  giudicato con rito abbreviato, sulla base degli
elementi raccolti;
     che,  in  tale  situazione, il giudizio del giudice dell'udienza
preliminare,   circa   l'inutilita'  del  dibattimento,  verrebbe  ad
incidere, con evidente vulnus
dell'art.  112  Cost.,  sullo  stesso  esercizio  dell'azione penale:
giacche',  in  pratica,  la scelta tra il perseguimento della pretesa
punitiva   e  il  suo  definitivo  abbandono  risulterebbe  sottratta
all'organo  dell'accusa e rimessa all'apprezzamento inappellabile del
giudice   dell'udienza   preliminare;  assetto,  questo,  tanto  piu'
irragionevole,  in  quanto,  per  taluni  reati,  anche  di rilevante
gravita'  (art.  550 cod. proc. pen.), detta pretesa viene esercitata
senza alcun «filtro» e in forma diretta;
     che  la norma impugnata sarebbe lesiva, ancora, del principio di
ragionevolezza  (art.  3  Cost.),  apparendo sostanzialmente priva di
scopo;
     che  la  soppressione dell'appello del pubblico ministero contro
le  sentenze di proscioglimento pronunciate a seguito del giudizio di
primo  grado  - disposta dalla stessa legge n. 46 del 2006 - e' stata
giustificata,  difatti, con la necessita' di evitare che la decisione
emessa  da  un  giudice, che ha assistito alla formazione della prova
nel  contraddittorio  tra  le  parti,  possa venir ribaltata da altro
giudice  - quale quello di appello - che solo eccezionalmente procede
alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale;
     che  tale  giustificazione  non  potrebbe  valere,  tuttavia, in
rapporto  alla  sentenza  di  proscioglimento  pronunciata  all'esito
dell'udienza  preliminare, nel corso della quale non vi e' ancora una
formazione  della prova «nella sua pienezza», ma solo una valutazione
della sua idoneita' a sostenere l'ipotesi accusatoria;
     che  la  disciplina transitoria dettata dall'art. 10 della legge
n. 46  del  2006  si  porrebbe,  a  sua  volta,  in  contrasto con il
principio  della  ragionevole  durata del processo (art. 111, secondo
comma,  Cost.), determinando una ingiustificata dilatazione dei tempi
di  definizione  dei  procedimenti in corso, nei quali sia gia' stato
proposto appello ai sensi dell'art. 428 cod. proc. pen.;
     che   detta  disciplina  innescherebbe,  infatti,  una  sequenza
procedimentale  che,  dopo  la  dichiarazione di inammissibilita' del
gravame,  comporterebbe  la  proposizione  del ricorso per cassazione
entro  il  termine  di  quarantacinque  giorni  (ove  ne sussistano i
presupposti); la celebrazione del giudizio di cassazione; l'eventuale
annullamento  con  rinvio  della  sentenza  impugnata; la fissazione,
infine, di una nuova udienza preliminare;
     che  l'allungamento  dei tempi processuali - risultando evidente
anche  in rapporto alla disciplina a regime (stante il carattere solo
rescindente  della pronuncia della Corte di cassazione) - assumerebbe
i tratti dell'irragionevolezza quanto meno in relazione ai processi -
come  quello  a  quo - nei quali il giudice di appello avrebbe dovuto
solo  pronunciarsi  con immediatezza sull'eventuale rinvio a giudizio
dell'imputato, fissando l'udienza dinanzi al tribunale.
Considerato  che  le  ordinanze  di rimessione sollevano questioni in
larga  parte  analoghe,  onde  i  relativi  giudizi vanno riuniti per
essere definiti con unica decisione;
     che entrambi i giudici a quibus
dubitano della legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt.
3,  111  e  112  della  Costituzione,  dell'art.  428  del  codice di
procedura penale, come sostituito dall'art. 4 della legge 20 febbraio
2006,  n. 46  (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di
inappellabilita'  delle  sentenze di proscioglimento), nella parte in
cui  esclude che il pubblico ministero possa proporre appello avverso
la  sentenza  di  non  luogo  a procedere emessa in esito all'udienza
preliminare;
     che  i  rimettenti sollevano la questione sul presupposto che la
norma  censurata  sia  applicabile  nei  giudizi a quibus - ancorche'
concernenti  appelli  avverso  sentenze  di  non  luogo  a  procedere
proposti prima dell'entrata in vigore della legge n. 46 del 2006 - in
forza  della  disposizione transitoria di cui all'art. 10 della legge
stessa:  disposizione  che  viene  fatta  quindi  oggetto di autonoma
denuncia  di incostituzionalita', in parte qua, dalla Corte d'appello
di Salerno;
     che,  peraltro,  il comma 1 del citato art. 10 - nello stabilire
che «la presente legge si applica anche ai procedimenti in corso alla
data  di entrata in vigore della medesima» - si limita, di per se', a
ribadire il principio tempus regit actum
,  che disciplina in via generale la successione di leggi nel settore
processuale penale;
     che  una deroga a detto principio e' invece introdotta dal comma
2  dell'art.  10,  il  quale  -  incidendo sull'atto processuale gia'
compiuto  (nella  specie, l'impugnazione) - stabilisce che «l'appello
proposto  contro  una sentenza di proscioglimento dall'imputato o dal
pubblico  ministero  prima  della  data  di  entrata  in vigore della
presente  legge  viene  dichiarato  inammissibile  con  ordinanza non
impugnabile»;
     che, correlativamente, il successivo comma 3 accorda alla parte,
il  cui  appello  sia  stato dichiarato inammissibile, la facolta' di
proporre  ricorso  per cassazione «contro le sentenze di primo grado»
entro  quarantacinque  giorni  dalla  notifica  del  provvedimento di
inammissibilita';
     che  il comma 2 dell'art. 10 - successivamente alle ordinanze di
rimessione   -   e'   stato  oggetto  di  dichiarazioni  di  parziale
incostituzionalita',  che non interferiscono, peraltro, con l'odierno
thema decidendum
,  in  quanto correlate alla dichiarazione di parziale illegittimita'
costituzionale  di  disposizioni  «a  regime» distinte da quella oggi
impugnata  (gli  artt.  593  e  443,  comma  1, cod. proc. pen., come
novellati  dalla  legge  n. 46 del 2006) (sentenze n. 26 e n. 320 del
2007);
     che,  cio'  premesso,  i  rimettenti  danno  per scontato che la
formula  «sentenza di proscioglimento», impiegata nell'art. 10, comma
2,  della  legge  n. 46  del  2006, abbracci anche le sentenze di non
luogo a procedere;
     che  l'indirizzo  allo  stato prevalente nella giurisprudenza di
legittimita' e', peraltro, di segno opposto;
     che,  al  riguardo, si rileva, infatti, che la formula «sentenza
di proscioglimento» designa, nella sua accezione tecnica, la sentenza
liberatoria pronunciata da un giudice chiamato a decidere sul merito:
comprendendo,  in  specie  -  come si desume dall'intitolazione della
sezione  I, capo II, titolo III del libro VII del codice di procedura
penale  -  le  (sole)  sentenze  «di  non  doversi  procedere»  e  di
«assoluzione»;
     che,   a  sostegno  dell'indirizzo  in  questione,  si  osserva,
altresi',  come  la  contrapposizione  terminologica fra «sentenza di
proscioglimento»  e  «sentenza  di  non luogo a procedere» - la quale
rispecchia  la  diversa  natura delle due pronunce (quanto ad oggetto
dell'accertamento,   base   decisionale,   regime  di  stabilita'  ed
efficacia  extrapenale) - sia gia' stata valorizzata da questa Corte,
al  fine  di  dichiarare  non fondata altra questione di legittimita'
costituzionale  dello  stesso  art.  428  cod.  proc. pen. (nel testo
originario), nella parte in cui non prevedeva la facolta' della parte
civile  di  proporre  appello  avverso  la  sentenza  di  non luogo a
procedere  per  il  reato  di  diffamazione  a mezzo stampa (sentenza
n. 381 del 1992);
     che  -  sempre  a  supporto  dell'orientamento  in discorso - si
rileva,  ancora,  come la disposizione di cui al comma 2 dell'art. 10
della legge n. 46 del 2006 abbia natura di norma eccezionale, proprio
perche' derogatoria del generale principio tempus regit actum
:   onde   essa  andrebbe  interpretata  restrittivamente,  rimanendo
comunque insuscettibile di applicazione analogica;
     che,  da  ultimo, tale orientamento evidenzia come la previsione
di  un  trattamento  differenziato  della  sentenza  di  non  luogo a
procedere  rispetto  alla  sentenza  di proscioglimento - quanto alla
disciplina   transitoria   che   accompagna   il   nuovo   regime  di
inappellabilita' delle decisioni liberatorie - introdotto dalla legge
n. 46  del  2006,  possa giustificarsi proprio alla luce di una delle
considerazioni  svolte  dagli odierni rimettenti: e, cioe', alla luce
della  non riferibilita' alle sentenze di non luogo a procedere delle
rationes
che,  sulla base dei lavori preparatori della novella, sono alla base
della  scelta di rendere inappellabili le sentenze di proscioglimento
(rationes  consistenti  nel garantire all'imputato un doppio grado di
merito  sulla pronuncia di condanna; nell'impossibilita' di escludere
ogni  ragionevole  dubbio  sulla  colpevolezza,  dopo una sentenza di
proscioglimento;  nell'opportunita'  di  evitare  che la decisione di
proscioglimento emessa da un giudice che ha assistito alla formazione
della  prova in contraddittorio - quale quello di primo grado - possa
essere  ribaltata  da  altro giudice - quello di appello - che ha una
cognizione prevalentemente «cartolare» del materiale probatorio);
     che  la  prospettiva  interpretativa  ora  ricordata  - la quale
renderebbe irrilevanti le questioni nei giudizi a quibus
-  non  e'  stata,  peraltro,  affatto  presa  in  esame  dai giudici
rimettenti, anche solo per negarne eventualmente la praticabilita';
     che,   d'altro  canto  -  con  riguardo  all'autonoma  questione
sollevata dalla Corte d'appello di Salerno nei confronti dello stesso
art. 10, nella parte in cui (con asserita irrazionale dilatazione dei
tempi  processuali) estenderebbe la disciplina transitoria anche agli
appelli  anteriormente  proposti  contro  le  sentenze di non luogo a
procedere  -  l'omesso  esame della soluzione ermeneutica in discorso
equivale  a  mancato  adempimento  dell'onere,  che grava sul giudice
rimettente,  di  verificare preventivamente se la norma impugnata sia
suscettibile  di  interpretazioni  alternative,  atte  ad escludere i
dubbi di costituzionalita' (ex plurimis
, sentenza n. 192 del 2007; ordinanza n. 32 del 2007);
     che  le  questioni  vanno  dichiarate,  pertanto, manifestamente
inammissibili.
Visti  gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87,
e  9,  comma  2,  delle  norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte costituzionale.
              per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti  i  giudizi,  Dichiara  la  manifesta  inammissibilita' delle
questioni  di legittimita' costituzionale dell'art. 428 del codice di
procedura penale, come sostituito dall'art. 4 della legge 20 febbraio
2006,  n. 46  (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di
inappellabilita'  delle  sentenze di proscioglimento), e dell'art. 10
delle  medesima  legge n. 46 del 2006, sollevate, in riferimento agli
artt.   3,  111  e  112  della  Costituzione,  dalla  Corte  militare
d'appello,  sezione  distaccata di Verona, e dalla Corte d'appello di
Salerno con le ordinanze indicate in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 2008.
                         Il Presidente: Bile
                         Il redattore: Flick
                      Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 18 gennaio 2008.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola