N. 849 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 - 28 marzo 2007

  Ordinanza  del  28 marzo 2007 emessa dal Corte di assise di appello
di Napoli nel procedimento penale a carico di Giordani Paolo

  Processo  penale  -  Giudizio abbreviato - Previsto svolgimento del
  giudizio  dinanzi  al  giudice  dell'udienza  preliminare anche nei
  procedimenti  di  competenza della Corte di assise - Violazione del
  principio  di  sovranita'  popolare,  del  diritto  di  difesa, del
  principio  del giudice naturale precostituito per legge - Contrasto
  con i principi costituzionali relativi all'esercizio della funzione
  giurisdizionale.
  - Codice di procedura penale, art. 438.
  - Costituzione, artt. 1, 24, 25, 101, 102 e 111.
(GU n.5 del 30-1-2008 )
                    LA CORTE DI ASSISE DI APPELLO
Riunita  in  Camera di consiglio ha pronunciato la seguente ordinanza
sull'appello   proposto   da   Paolo  Giordani  avverso  la  sentenza
n. 1487/06  emessa  dal  Tribunale di Napoli, sezione del gi.p., uff.
29°,  dott.  Nicola Miraglia Del Giudice, in data 22 giugno 2006, nel
procedimento  penale  n. 43932/04 R.G. N.R., con la quale il predetto
era  dichiarato  responsabile dei reati d'omicidio in danno di Nunzio
De  Luca e di porto abusivo di coltello, ritenuti in continuazione e,
concesse  le  circostanze  attenuanti  generiche  e la diminuente del
rito,  condannato  alla pena di dodici anni di reclusione, nonche' al
pagamento  delle  spese  processuali  e  di  custodia  cautelare,  al
risarcimento  danni  in  favore  delle  costituite  parti  civili con
provvisionale e rifusione delle spese.
La  Corte,  letti  gli  atti  e  sentite  le parti, provvedendo sulla
preliminare  questione di legittimita' costituzionale della norma che
prevede  lo  svolgimento  del  giudizio  abbreviato dinanzi al g.u.p.
allorquando  si  procede  per  i  reati  di  competenza  della  Corte
d'assise;
                            O s s e r v a
A) Rilevanza della questione.
La  questione  prospettata  dalla  difesa  e'  certamente  rilevante,
poiche',  nel  caso  di  specie, il giudizio si e' svolto con il rito
abbreviato  dinanzi  al  g.u.p.  Nel caso la questione fosse ritenuta
fondata  dalla Consulta, il processo di primo grado andrebbe ripetuto
dinanzi alla Corte d'assise.
B) Non manifesta infondatezza della questione.
1) Competenza per materia.
1.1) Il legislatore, nel libro primo, titolo primo, capo secondo, del
nuovo  codice  di  procedura  penale,  si  occupa della giurisdizione
penale  e  della  competenza,  determinandone le regole e stabilendo,
all'art. 5, quali sono i reati di competenza della Corte d'assise. La
competenza  del  tribunale  e'  stabilita  per  tutti i reati che non
appartengono  alla  competenza  della Corte d'assise predetta (art. 6
c.p.  cit.). Con il capo sesto sono, poi, determinate le attribuzioni
del  tribunale  in  composizione collegiale (art. 33-bis c.p.p.) o in
composizione  monocratica (art. 33-ter c.p.p.), secondo la natura dei
reati.
1.2)  Dall'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale (24
ottobre 1989), il procedimento speciale disciplinato dal libro sesto,
titolo  primo,  e precisamente il giudizio abbreviato di cui all'art.
438  c.p.p., ha subito varie modifiche ed in ultimo, qualunque sia la
natura  del  reato,  il  legislatore ha stabilito che la decisione di
merito spetti sempre al giudice dell'udienza preliminare, anche nelle
cause di competenza della Corte d'assise.
1.3)  Nella  XIV  legislatura,  in  data  25  giugno  2002,  e' stata
presentata  una  proposta  di  legge  da  vari  deputati, alcuni noti
proceduristi,  di  modifica  all'art.  438  del  c.p.p. concernente i
presupposti  del  giudizio  abbreviato.  La  proposta di legge, in un
articolo unico, stabiliva testualmente: Dopo il comma 5 dell'art. 438
del  codice  di  procedura penale e' inserito il seguente: «5-bis nel
caso  di reati previsti dall'art. 5 il giudizio abbreviato si' svolge
dinanzi  alla  Corte  di  Assise».  Trattavasi  del progetto di legge
n. 2901  ove  il sostenitore poneva in rilievo che: «Quando si tratta
di decidere in ordine ad un reato di omicidio volontario per il quale
astrattamente e' irrogabile la pena dell'ergastolo, il legislatore ha
richiesto  una particolare composizione dell'organo giudicante di cui
sei sono giudici popolari.
L'esigenza  sottesa  a  tale  previsione  non  e'  soltanto quella di
garantire  una  maggiore  ponderazione degli elementi processuali che
inevitabilmente piu' giudici, anziche' uno soltanto, sono in grado di
operare,  ma  anche quella di garantire - giusta la rilevanza sociale
che    tali    fatti    assumono   -   la   partecipazione   popolare
all'amministrazione    della    giustizia    come    previsto   dalla
Costituzione».
Tale  proposta  di  legge  non  ha  avuto seguito e se ne ignorano le
ragioni.
2)  La  partecipazione  popolare  all'amministrazione della giustizia
come previsto dalla Costituzione.
2.1)  A conoscere di gravi reati come quello di omicidio, a norma del
ricordato  art.  5  c.p.p.,  e'  la  Corte  d'assise,  riordinata con
la legge  10  aprile  1951  n. 287,  la quale prevede una particolare
composizione  del  collegio  giudicante: due magistrati e sei giudici
popolari (art. 3, lett. a), b) e c) legge cit.).
2.2) Sono note le discussioni che seguirono tale legge che e' rimasta
immutata  nel tempo. Veniva esaltata una magistratura che giudica dei
reati piu' gravi ed irroga le pene maggiori e che e' raffigurata come
la  Magistratura  del  popolo. Veniva anche auspicata l'abolizione di
tale  sistema con l'ipotesi di una composizione di una Corte affidata
soltanto a magistrati togati e specializzati. Si era anche ipotizzata
una  modifica all'attuale ordinamento per quanto attiene al numero di
componenti  il  collegio  (che  dovrebbe  essere dispari e non pari),
all'aumento  di  un giudice togato. Nelle successive modifiche di cui
alla   legge   27  dicembre  1956  n. 1441,  e'  stata  stabilita  la
partecipazione  delle donne all'amministrazione della giustizia nelle
Corti  d'assise. La composizione ha sempre dato luogo ad appassionate
polemiche.  Un giurista, prendendo spunto da un dibattito televisivo,
ebbe ad insistere sui risultati del Congresso forense di Palermo, che
voleva  la  composizione  delle  Corti  con  giudici  togati.  Veniva
ricordato  l'intervento  di  un  procuratore  generale il quale aveva
sostenuto  che  i  giudici  popolari  trovano la loro giustificazione
specialmente  negli  Stati  a  diritto libero e non scritto. In altri
termini,  quando  vi  e'  bisogno di un'interpretazione tecnica, essa
puo'   essere  data  soltanto  da  corti  formate  esclusivamente  da
magistrati   di   carriera.  Naturalmente  vi  sono  state  posizioni
discordanti.  I  sostenitori del vigente sistema non hanno mancato di
rilevare che la voce di persone estranee all'ordine giudiziario porta
nel  collegio  misto valutazioni che piu' direttamente si ricollegano
al  modo  con  cui  il  fatto e' apprezzato dalla pubblica coscienza.
Poiche'  la giustizia e' amministrata nel nome del popolo, come tale,
deve  essere  dallo stesso considerata e sentita. E cosi', rispetto a
quei  fatti  che  maggiormente  turbano  la  coscienza  collettiva ed
individuale,   e   la   pubblica  tranquillita',  appare  conveniente
consentire  che  la  voce del popolo abbia il suo peso nei piu' gravi
giudizi  penali. Tutto cio' naturalmente viene cancellato allorquando
il giudizio abbreviato nelle cause di competenza della Corte d'assise
viene celebrato dinanzi al g.u.p.
2.3)  Vi  e' diversita', anche sotto il profilo della responsabilita'
dell'organo  giudicante, tra il giuramento del magistrato togato (che
e' quello previsto dall'ordinamento giudiziario) e quello del giudice
popolare  (di  cui  e' nota la formula). Conseguentemente il giudizio
che viene collegialmente espresso nei reati di estrema gravita' quale
quello  di  omicidio,  e'  la risultante delle valutazioni tecniche e
giuridiche  delle  prove  (che  sono  bagaglio dei due magistrati), e
delle  ragioni  dell'accusa  e della difesa, (che appartengono ai sei
giudici popolari).
Tale considerazione merita di essere approfondita.
Il legislatore, con il nuovo codice di procedura penale, per la prima
volta  si  e'  occupato  della prova stabilendo, in un apposito libro
(libro  terzo),  l'oggetto  della  prova,  il  diritto  alla  prova e
soprattutto  la  «valutazione  della  prova»,  regole  alle  quali il
magistrato  togato  e'  vincolato  anche  per  giuramento  (vedasi la
formula).   Sembra   cosi'   che  sia  venuto  meno  il  c.d.  libero
convincimento,  anche  perche'  il nuovo codice esige che la sentenza
debba  tra  l'altro  contenere,  oltre  alla  concisa esposizione dei
motivi  di  fatto,  anche  i motivi di diritto su cui la decisione e'
fondata  (art.  546,  comma 1, lett. e) c.p.p.). La decisione assunta
dai  componenti  del  collegio  di una Corte d'assise (due magistrati
togati  e  sei  giudici  popolari) rimane invece svincolata da regole
precise  sulla  valutazione della prova e, ad avviso di questa Corte,
puo'  attingere  elementi  di  valutazione  dal libero convincimento,
poiche'  i  sei  giudici  popolari  sono vincolati ad una formula che
vuole  una  particolare  attenzione non solo alle prove ma anche alle
ragioni  dell'accusa  e  della  difesa,  affinche' la sentenza riesca
quale la societa' l'attende.
Tutte  le predette circostanze non possono realizzarsi allorquando il
giudizio abbreviato, nelle cause di competenza della Corte di assise,
venga  affidato  al  g.u.p.  e  cio'  a parte le maggiori garanzie di
serenita',  di  imparzialita'  e  di  equita'  (concetto quest'ultimo
estraneo  alla  valutazione  delle  prove)  rispetto  ad  un  giudice
monocratico designato dall'art. 438 c.p.p.
Concludendo  sul  punto  non sara' superfluo ricordare che l'art.106,
secondo  comma Cost., proprio per apprestare tutela costituzionale al
giudizio  su  reati di estrema gravita' formulando per gli stessi una
riserva  di  collegialita', vieta la nomina di magistrati onorari per
le  funzioni  attribuite  ai  giudici  collegiali,  in relazione alla
delicatezza dei casi sottoposti al loro esame.
3)  Precedenti  decisioni  della  Corte  costituzionale  sul giudizio
abbreviato.
3.1)   Una   prima   ordinanza   della  Corte  costituzionale  emessa
all'indomani  dell'entrata  in  vigore  del nuovo codice di procedura
penale,   si   e'   occupata  incidentalmente  del  giudice  naturale
precostituito  per  legge  a  proposito  degli artt. 247, comma 4 del
d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271 (norme di attuazione di coordinamento e
transitorie  del  codice  di  procedura  penale), 438, comma 1 e 440,
comma  1  c.p.p.  con  riferimento agli artt. 3, 25, 102 e 107 Cost.,
439-443  c.p.p. Il Giudice istruttore presso il Tribunale di Firenze,
in  un  processo  di  omicidio  pluriaggravato  e  di strage, ove gli
imputati  ne  avevano  chiesto la definizione con il rito abbreviato,
essendovi  dissenso  del  p.m.,  ebbe  a  sollevare  la  questione di
legittimita'   costituzionale  degli  articoli  sopra  ricordati.  In
particolare   venne   rilevato   che   l'art.  247,  comma  4,  legge
n. 271/1989,  appariva  in  contrasto  con gli artt. 3, 35, 102 e 107
Cost.  perche'  non prevedeva per il p.m. l'obbligo della motivazione
del  mancato  consenso  negando  quindi  al  G.I.  la possibilita' di
valutare  tale  dissenso  e,  nel  caso  in  cui  lo  avesse ritenuto
ingiustificato,  di  applicare  in  favore dell'imputato la riduzione
della  pena  prevista  dall'art.  422, comma 2 c.p.p. La questione di
legittimita'  costituzionale  venne sollevata anche a proposito degli
artt.  438-443  c.p.p.  e  l'art. 247, comma 4 del d.lgs. cit., nelle
parti  in  cui, per i reati attribuiti alla competenza della Corte di
assise,  giudice  naturale  precostituito  per  legge,  prevedono che
quest'ultima   sia   sostituita  dal  g.u.p.  ovvero  dal  G.I.,  per
violazione  degli  artt.1, 3, 13, 24, 25, 76, 77, 101, 102, 107 e 111
Cost., 6 della Convenzione dei diritti dell'uomo firmata a Roma il 14
novembre 1950 e ratificata con legge n. 848/1955.
La  Corte  ebbe  ad  osservare  che  il  G.I.  remittente da un verso
censurava  «la  norma de qua perche' non gli consente di sindacare le
ragioni  poste  dal p.m.  a  base del dissenso all'accoglimento della
richiesta  degli  imputati  di  definire  il  processo  con  il  rito
abbreviato  ai  sensi  degli  artt.  438  e segg. codice di procedura
penale,   e  dall'altro  verso,  rilevava  che  l'attribuzione  della
relativa  competenza  al  G.I.,  comportando  il suo sostituirsi alla
Corte  di  assise,  giudice  naturale  precostituito  per  legge  per
giudicare  dei  delitti  di  cui gli imputati richiedenti il giudizio
abbreviato,  violerebbe l'art. 25 Cost.». Il Giudice delle leggi, per
quanto  riguarda  quest'ultima  questione, non emise alcuna decisione
ritenendo  che:  «l'ordinanza  di  remissione  e'  affetta  da palese
contraddittorieta'   e   che   detto   vizio   cagiona  la  manifesta
inammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale: che,
quindi,  va emessa declaratoria in tal senso» a norma degli artt. 26,
comma  2,  legge  11  marzo  1953,  n. 87  e  9,  comma 2 delle norme
integrative  per  i  giudizi  davanti alla Corte costituzionale (vds.
ordinanza n. 0056 del 1991, ud. 28 gennaio 1991, mass. 0016828).
3.2)  Anche in altre occasioni la Corte non ha avuto modo di decidere
la  questione  qui  dibattuta.  Con  la  sentenza  n. 0069/91, ud. 28
gennaio   1991,   mass.   0016993,   occupandosi  della  mancanza  di
pubblicita',  rilevava  che  questa era una delle caratteristiche del
giudizio  abbreviato previsto nel nuovo c.p.p. come uno dei mezzi per
realizzare  una maggiore speditezza e celerita' nella definizione dei
processi  penali e soggiungeva testualmente: «Allo stesso imputato e'
dato valutare i vantaggi del nuovo rito ed i rischi ad esso connessi,
tra cui vi e' la rinuncia all'acquisizione di prove dibattimentali e,
per  quanto  riguarda  i processi di Corte di assise, all'apporto dei
giudici  popolari,  incidenti  entrambi  sulla  valutazione della sua
responsabilita».   Dalla   motivazione  della  sentenza  che  ebbe  a
dichiarare   l'inammissibilita'   della   questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  247, comma 2 del d.P.R. n. 28 luglio 1989,
n. 271  (norme  di  attuazione  e  di coordinamento e transitorie del
codice  di  procedura  penale)  con  riferimento  all'art. 101 Cost.,
sollevata dalla Corte d'assise di Torino, nulla si desume a proposito
della  questione  di  cui  si discute. Parimenti e' a dirsi per altre
decisioni.
La  sentenza  n. 0176/91,  ud. 22 aprile 1991, mass. 0017119, ebbe ad
occuparsi  della  legittimita'  costituzionale dell'art. 442, comma 2
c.p.p. con riferimento all'art. 76 Cost. nella parte in cui prevedeva
che in caso di condanna, alla pena dell'ergastolo, venisse sostituita
la   pena  della  reclusione  di  30  anni;  nonche'  del  dubbio  di
incostituzionalita'  degli  artt.  458,  comma  2  e  441  c.p.p. con
riferimento agli artt. 25, primo comma e 102, terzo comma Cost. nella
parte  in  cui prevedono che il giudizio abbreviato si svolga innanzi
al g.u.p. anche in relazione a procedimenti aventi ad oggetto delitti
di  competenza  della  Corte d'assise; ed infine dell'art. 441 c.p.p.
con riferimento all'art. 101 Cost. nella parte in cui non prevede che
il  giudizio  abbreviato  debba  svolgersi  in  pubblica  udienza. La
decisione  della  Corte  costituzionale,  anche  in  tal  caso, si e'
sottratta  alla decisione di costituzionalita' o meno della norma che
stabilisce la competenza del g.i.p. allorquando il procedimento abbia
per  oggetto  reati  di  competenza  della  Corte  d'assise. Infatti,
leggendo  la  motivazione  che  peraltro porto' alla dichiarazione di
illegittimita'  costituzionale  dell'art.442, comma 2, ultimo periodo
c.p.p.   (alla   pena   dell'ergastolo  e'  sostituita  quella  della
reclusione  di  anni  30),  nulla  e' dato rilevare a proposito della
questione,    pur    sottoposta    all'esame    della    Corte,    di
incostituzionalita'  con  riferimento  agli  artt.  25, primo comma e
102, terzo  comma Cost., degli artt. 458, comma 2 e 441, c.p.p. nella
parte  in  cui prevedono che il giudizio abbreviato si svolga innanzi
al g.u.p. anche in relazione a procedimenti aventi ad oggetto delitti
di  competenza  della Corte d'assise. Infatti la massima tratta dalla
sentenza  cit. testualmente recita: «Perdono conseguentemente rilievo
le  questioni  relative  agli  artt.  458, comma 2 e 441 c.p.p. nella
parte  in  cui prevedono che il giudizio abbreviato si svolga innanzi
al   g.i.p.  anche  in  relazione  ai  procedimenti  per  delitti  di
competenza  della Corte di assise, e dell'art. 441 c.p.p. nella parte
in  cui  non  prevede  che  il giudizio abbreviato debba svolgersi in
pubblica udienza».
Anche  nelle  altre decisioni della Corte costituzionale ove e' preso
in  considerazione il giudizio abbreviato, nulla e' dato rilevare. Si
fa  riferimento  all'ordinanza  n. 0376 del 1991, ud. 11 luglio 1991,
mass.  0017464, alla sentenza n. 0076 del 1993, ud. 26 febbraio 1993;
mass.  0019256  e ordinanza n. 0040 del 20 gennaio, mass. 0026052. In
tale  ultima  decisione  la  Corte,  nell'occuparsi  del problema del
giudice  naturale  precostituito  per  legge a proposito dei reati di
competenza  della  Corte d'assise, dispose la restituzione degli atti
al  Giudice  a  quo  con  riferimento  alla questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 438, comma 1 e 4 c.p.p. per avere ammesso il
rito  abbreviato  anche  nei  casi  di  reati puniti con l'ergastolo,
sottraendo  cosi'  l'imputato al suo giudice naturale, cioe' la Corte
d'assise,  affinche'  valuti  la perdurante rilevanza della questione
pur dopo l'approvazione del d.l. 24 novembre 2000, n. 341 (convertito
dalla  legge 19 gennaio 2001), il quale ha espressamente previsto che
nei  procedimenti  pendenti  alla  data  della sua entrata in vigore,
quando  sia applicabile la pena dell'ergastolo con isolamento diurno,
l'imputato  possa  revocare  l'istanza  di  giudizio abbreviato ed il
giudizio prosegua nelle forme ordinarie.
3.3) Non risultano altre decisioni che siano occupate incidentalmente
del  problema  qui  dibattuto  ma,  prima  di  enunciare i profili di
incostituzionalita'  che, ad avviso della Corte, sussistono dell'art.
438  c.p.p.  laddove  sottrae al giudice naturale (Corte d'assise) la
conoscenza  dei  gravi  reati  di  cui  all'art. 5 c.p.p., sara' bene
ricordare  che i giudici piu' volte si sono posti tale problema ed il
legislatore  aveva  addirittura approntato un disegno di legge di cui
abbiamo sopra riportato ogni utile riferimento.
4)  Questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 438 c.p.p. in
relazione  agli  artt. 1, 24, 25, 101, 102 e 111 Cost. che, ad avviso
della Corte, non appare «manifestamente infondata».
4.1)  Tutto  quanto  e'  stato  fin  qui esposto autorizza la Corte a
ritenere che trattasi di una questione certamente non «manifestamente
infondata».  Per  rimettere  gli atti alla Corte costituzionale basta
cioe'  che  il  giudice  verifichi,  non  gia'  la  fondatezza  della
questione,  ma  la  sua  infondatezza  che,  per  giunta,  dev'essere
manifesta  ovvero  evidente,  palese,  il che non ricorre nel caso di
specie.
4.2)  L'attuale  normativa  del  procedimento abbreviato ha eliminato
ogni  condizione  di fatto che distingua i casi attribuiti al giudice
del  dibattimento da quelli attribuiti, con l'abbreviamento del rito,
al giudice dell'udienza preliminare. La scelta del rito e' un diritto
potestativo  dell'imputato  che, in tal modo, sceglie anche l'ufficio
giudiziario  che giudichera' il suo caso. Cio' contrasta non soltanto
con  il  principio, recentemente affermato dalla Consulta, che impone
la  par  condicio  per le diverse parti del processo (analogo diritto
non  compete  all'accusa  pubblica  e  privata),  ma  soprattutto con
l'assoluta  indisponibilita'  dei  diritti costituzionali. Non sembra
potersi  ammettere,  in altre parole, che una semplice manifestazione
di  volonta'  di  una  delle  parti  del  processo incida sul giudice
naturale precostituito per legge.
La   volonta'   dell'imputato,  in  altre  parole,  e'  assolutamente
ininfluente.  Tutta  l'elaborazione  dell'esegesi  della Costituzione
porta  a  configurare  l'irrinunciabilita'  delle  garanzie, anche da
parte   del   beneficiario  della  garanzia  stessa.  L'esempio  piu'
eclatante,  cui  normalmente  si  fa  ricorso,  e' quello del diritto
all'integrita'  individuale:  il  divieto di atti di disposizione sul
proprio   corpo   trova   il   suo   fondamento   proprio   in   tale
irrinunciabilita'.   Ma  e'  la  stessa  giurisprudenza  della  Corte
costituzionale a fornirci il concetto di diritto irrinunciabile per i
diritti  costituzionalmente garantiti. Con la sentenza n. 125/1979 (e
successivamente  ribadendo  il concetto nella sentenza n. 188/1980 e,
poi,  nell'ordinanza  n. 68/1981), la Corte, occupandosi del problema
del  rifiuto  dell'imputato  di  difendersi  e  di  essere difeso, e,
conseguentemente,  della  legittimita' costituzionale della norma che
impone l'obbligatorieta' del difensore d'ufficio anche per l'imputato
che  non  intenda  essere  difeso,  esplicitamente faceva riferimento
all'irrinunciabilita'  del  diritto  di  difesa,  giustificata  dalla
necessita'  di  contemperare  l'esercizio  di  tale  diritto  con  il
corretto svolgimento della funzione giurisdizionale.
4.3)  Conferma, poi, della individuazione della irrinunciabilita' del
diritto  costituzionale, allorquando l'esercizio di questi diritti, e
quindi  la  sua  eventuale  rinuncia, comprometta interessi di natura
piu' generale, puo' ricavarsi da quanto il legislatore costituzionale
ha fatto nella modifica dell'art. 111. Costituzionalizzato il diritto
al contraddittorio per la formazione della prova, si sarebbe posto il
problema  della rilevanza della volonta' della parte alla rinuncia al
contraddittorio,   conseguente  al  consenso  per  l'acquisizione  al
fascicolo  del  dibattimento  di  atti  compiuti  dal  p.m. (art. 431
c.p.p.):  ebbene, proprio per rendere operativa tale possibilita', e'
stato   necessario   che   il  legislatore  indicasse  specificamente
nell'art. 111 la rilevanza della volonta' dell'imputato ai fini della
formazione  della  prova  non in contraddittorio. Cio' indica che, se
non   vi   fosse   stata   la   specifica  indicazione,  nella  norma
costituzionale, il consenso sarebbe stato irrilevante, proprio per la
ragione  addotta  dalla  Corte  costituzionale nella citata sentenza:
l'interesse  generale  al  contraddittorio avrebbe fatto profilare il
diritto a questo come un diritto irrinunciabile.
4.4)   Il   diritto   al  giudizio  da  parte  del  giudice  naturale
precostituito   per   legge  non  e',  o  non  e'  solo,  un  diritto
dell'imputato.  L'essenza del processo e' di verificare la fondatezza
delle  tesi  che  le  parti  contrappongono,  verifica che dev'essere
svolta  da parte di un giudice terzo ed imparziale. Se funzione della
norma  costituzionale  e'  quella  di  assicurare  la  presenza di un
giudice  assolutamente  terzo  ed imparziale, in quanto assolutamente
indipendente,  ciascuna parte, sia essa pubblica sia essa privata, e'
titolare  di  questo  diritto. Lo svolgimento del giudizio abbreviato
davanti  al giudice all'udienza preliminare, e non davanti al giudice
identificato  quale  giudice  competente  per quel reato (sia esso un
giudice  collegiale,  sia esso, ancor piu', un giudice a composizione
mista,  ma sia anche un giudice monocratico tabellarmente predisposto
per  quel  giudizio)  determina  la  sottrazione  a  quel  giudice  e
realizza,  quindi,  la  compressione di un diritto di cui e' titolare
non  solo la parte che, con la richiesta di giudizio abbreviato, puo'
ritenersi  abbia  rinunziato a tale diritto, ma anche di quello delle
altre  parti  che  non hanno formulato richiesta, prestato consenso o
comunque,  sia pure implicitamente, effettuato rinunzia, in quanto la
legge  ritiene  irrilevante  la loro volonta'. In proposito, non puo'
rimanere   senza   rilievo   che  la  recente  sentenza  della  Corte
costituzionale, che ha sancito l'illegittimita' del divieto d'appello
del  pubblico ministero avverso sentenze assolutorie, ha affermato la
necessita'  dell'assoluta  parita'  di  diritti  fra parte pubblica e
parte  privata,  che  non  si  comprende  come  possa, viceversa, non
verificarsi nella situazione in esame.
4.5)  Le  argomentazioni  che  precedono, come s'e' visto, riguardano
anche i giudizi di competenza del tribunale. Cio', ovviamente, non ha
rilevanza  in  questa sede. La questione presenta, tuttavia, risvolti
del  tutto  particolari nel caso dei procedimenti di competenza della
Corte   d'assise,   laddove   entra   in  gioco  il  principio  della
partecipazione  del  popolo  alla  decisione dei processi che, per la
gravita'  dei  fatti  ascritti  agli  imputati,  abbiano  un maggiore
impatto sull'opinione pubblica e sulla coscienza collettiva.
4.6)  L'art.  1  Cost.  richiama alla mente la formula del giuramento
prestato dai Giudici popolari. In virtu' di tale norma «la sovranita'
appartiene  al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della
Costituzione».  Va  qui  ricordata la legge istitutiva delle Corti di
assise  (legge 10 aprile 1951 n. 287 e succ. modif.) la quale prevede
una particolare composizione del Collegio giudicante: due magistrati,
sei  Giudici  popolari (art. 3, lett. a), b) e c) legge cit.). Per il
combinato  disposto  di tale legge con l'art. 1 Cost. e per l'art. 25
Cost.,  in virtu' del quale «nessuno puo' essere distolto dal giudice
naturale  precostituito  per  legge»  puo' ben dirsi che sottrarre il
giudizio   alla   Corte   di  assise  per  affidarlo  ad  un  giudice
monocratico,  oltre a violare tali norme costituzionali, ad avviso di
questa  Corte  remittente,  vulnera  il  principio di ragionevolezza,
giacche'  restano  fermi  i  principi  di speditezza connessi al rito
abbreviato  pur  quando  tale giudizio viene celebrato dinanzi ad una
Corte di assise.
4.7)  Anche  l'art.  24  Cost.,  che si occupa del diritto di difesa,
appare  in  contrasto  con  la  denunciata norma dell'art. 438 c.p.p.
L'oralita'  del  processo  penale,  e  piu'  precisamente «le ragioni
dell'accusa   e   le   ragioni   della  difesa»,  che  devono  essere
attentamente   ascoltate   dai  giudici  popolari  per  far  fede  al
giuramento prestato, non trovano ingresso nel giudizio abbreviato che
si  svolge  dinanzi  ad  un  giudice togato (il g.u.p.) il quale deve
valutare  le  prove secondo i canoni stabiliti dal nuovo c.p.p. e non
puo',  ad  avviso  della  Corte, attingere elementi di valutazione da
affidare  al  suo  libero  convincimento. Il diritto di difesa appare
violato  anche  in  considerazione  dell'assoluta  diversita' dei due
giudizi: quello di primo grado affidato ad un magistrato, e quello di
appello,  invece,  a due magistrati ed a sei giudici popolari i quali
partecipano  al  giudizio senza essere dei tecnici ma per l'esigenza,
avvertita   dal   legislatore,   che   vi  sia  anche  una  giustizia
concretamente amministrata in nome del popolo e come tale considerata
e sentita proprio dai giudici popolari.
A  ben  riflettere,  nella  permanenza  di un giudizio di primo grado
affidato ad un sol giudice togato, si ha un vero e proprio squilibrio
nel  giudizio  di  secondo grado. Il difensore dell'imputato infatti,
con  i  suoi motivi di appello, nel ricordare che il legislatore, con
il  nuovo  c.p.p.  entrato in vigore il 24 ottobre 1989, con il libro
terzo   intitolato   «Prova»,   si  e'  occupato  tra  l'altro  della
valutazione  della  prova,  e  che  a  proposito  dei requisiti della
sentenza  e'  stato  stabilito  che  nella stessa occorra una concisa
esposizione  dei  motivi  di  diritto  su cui la decisione e' fondata
(art.  546, comma 1, lett. e) c.p.p.), non ha mancato di censurare la
sentenza  in ordine alla distorta applicazione della prova indiziaria
di  cui  si  occupa  il  legislatore per la prima volta nel codice di
rito,  all'art.  192,  comma  2  c.p.p.  rilevando  come la decisione
impugnata,  nell'affermare  la  responsabilita'  dell'imputato, abbia
ritenuto  di  poter utilizzare il suo libero convincimento svincolato
da  ogni regola di valutazione della prova. Censura questa che, se il
giudizio  fosse  stato  celebrato dinanzi ad una Corte di assise, non
avrebbe  potuto  trovare  ingresso.  La  Corte  di assise di appello,
proprio  per  la  composizione allargata a sei giudici popolari, puo'
fare  ricorso  al libero convincimento ed in tal caso, se il giudizio
espresso in primo grado provenisse da una Corte di assise e non da un
Giudice  togato,  sarebbe  possibile  porre a confronto una decisione
adottata con gli stessi canoni di valutazione della prova.
4.8)  Secondo l'art. 101 Cost., «la giustizia e' amministrata in nome
del  popolo»  e  «i  giudici  sono  soggetti  soltanto  alla  legge».
Ricordando  le due distinte formule di giuramento, quella del giudice
togato  e  quella dei giudici popolari, sara' facile rilevare come la
legge  istitutiva  delle  Corti  di assise debba trovare tutela nella
norma  sopra  ricordata  poiche'  si e' ritenuto che persone estranee
all'ordine  giudiziario entrino a far parte di un collegio giudicante
(in  presenza  naturalmente  delle  condizioni  volute dalla legge) e
quindi  di emettere una sentenza che risulti conforme a quella che la
societa' l'attende.
4.9)   L'art.  102  Cost.,  dopo  aver  stabilito  che  «la  funzione
giurisdizionale e' esercitata da magistrati ordinari e regolati dalle
norme  sull'ordinamento  giudiziario»,  aggiunge  che «in determinate
materie  puo'  aversi  anche  la  partecipazione  di cittadini idonei
estranei  alla magistratura» e che «la legge regola i casi e le forme
della  partecipazione  diretta  del  popolo all'amministrazione della
giustizia».  Con  tale norma si e' voluto, ancora una volta, blindare
di  costituzionalita' il giudice naturale (art.25 Cost.) in relazione
alla  legge istitutiva delle Corti di assise: principi che risultano,
ad  avviso  della Corte, vulnerati dall'art. 438 c.p.p. in virtu' del
quale  ad  una  Corte  di  assise  viene  sostituito  un tribunale in
composizione monocratica.
4.10)  La  scelta  potestativa  dell'imputato  di far ricorso al rito
speciale  realizza, quindi, con eclatante evidenza una sottrazione al
giudice  naturale  precostituito  per  legge.  Con  le  numerosissime
sentenze  che  si  sono occupate dei riflessi sul processo penale del
disposto del secondo comma dell'articolo venticinque, a partire dalla
storica  sentenza  n. 378/1962  (est. Petrocelli), la Corte ha sempre
fissato   il   concetto  che  la  norma  vuole  garantire  l'astratta
determinazione  del giudice, ancor prima della commissione del fatto,
tanto   che   la  dottrina  ha  parlato  di  principio  di  legalita'
processuale.   Orbene,  nel  momento  in  cui,  per  atto  volontario
dell'imputato,   si  sottrae  il  giudizio  all'organo  astrattamente
determinato  dalla  legge e lo si trasferisce al giudice dell'udienza
preliminare,  questi  e'  addirittura fisicamente individuato. Ne' si
dica  che  tale  giudice  e' astrattamente individuato dalla legge (e
quindi  precostituito)  perche'  tale  pre-determinazione in tanto ha
effetto,   in  quanto  il  soggetto  privato  opera  la  sua  scelta,
vincolante  ed immotivata: sicche', in definitiva, si tratterebbe pur
sempre,  al  piu',  di  una  competenza  alternativa,  che  e'  stata
reiteratamente dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale.
4.11)  Il  successivo  intervento  del  giudice  misto  nel  giudizio
abbreviato (con l'attribuzione alla stessa Corte d'assise d'appello a
conoscere la causa in secondo grado) nega pregio al possibile rilievo
contrario  che  il  giudice  togato  monocratico  sia piu' idoneo (e,
quindi,  naturale,  secondo un'accezione accolta dalla Consulta nelle
pronunce  che  s'occuparono della sottrazione del minore al tribunale
per  i  minorenni  in  caso  di  connessione)  a  giudicare  il  rito
abbreviato, stante l'assenza dell'oralita'.
4.12) L'art.111 Cost. inizia testualmente: «la giurisdizione si attua
mediante  il  giusto  processo  regolato  dalla  legge».  Se la legge
stabilisce quale debba essere il giudice competente per materia (art.
5  c.p.p.) e se la legge costituzionale esige che nessuno puo' essere
distolto  dal  giudice  naturale  precostituito per legge, l'art. 438
c.p.p. e' in violazione della legge anche costituzionale.
Per  tutte  le  ragioni  esposte in motivazione la Corte di assise di
appello  di  Napoli  ritiene che la dedotta questione di legittimita'
costituzionale sia non manifestamente infondata.
                              P. Q. M.
Visti  gli  artt.  134 Cost., 1 della legge costituzionale 9 febbraio
1948  n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87; Solleva la questione
di  legittimita' costituzionale dell'art. 438 del codice di procedura
penale  per  contrasto  con gli artt. 1, 24, 25, 101, 102 e 111 della
Costituzione  nella  parte  in  cui  demanda  al giudice dell'udienza
preliminare   lo   svolgimento  del  giudizio  abbreviato  anche  nei
procedimenti  di  competenza  della  Corte  di  assise;  Sospende  il
presente  giudizio  ed  ordina  la trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale;  Ordina  che,  a  cura della cancelleria, la presente
ordinanza  sia  notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e
sia  comunicata  ai  Presidenti  del  Senato della Repubblica e della
Camera dei deputati.
     Cosi' deciso in Napoli, addi' 26 marzo 2007.
                  Il Presidente estensore: Lignola