N. 849 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 - 28 marzo 2007
Ordinanza del 28 marzo 2007 emessa dal Corte di assise di appello di Napoli nel procedimento penale a carico di Giordani Paolo Processo penale - Giudizio abbreviato - Previsto svolgimento del giudizio dinanzi al giudice dell'udienza preliminare anche nei procedimenti di competenza della Corte di assise - Violazione del principio di sovranita' popolare, del diritto di difesa, del principio del giudice naturale precostituito per legge - Contrasto con i principi costituzionali relativi all'esercizio della funzione giurisdizionale. - Codice di procedura penale, art. 438. - Costituzione, artt. 1, 24, 25, 101, 102 e 111.(GU n.5 del 30-1-2008 )
LA CORTE DI ASSISE DI APPELLO Riunita in Camera di consiglio ha pronunciato la seguente ordinanza sull'appello proposto da Paolo Giordani avverso la sentenza n. 1487/06 emessa dal Tribunale di Napoli, sezione del gi.p., uff. 29°, dott. Nicola Miraglia Del Giudice, in data 22 giugno 2006, nel procedimento penale n. 43932/04 R.G. N.R., con la quale il predetto era dichiarato responsabile dei reati d'omicidio in danno di Nunzio De Luca e di porto abusivo di coltello, ritenuti in continuazione e, concesse le circostanze attenuanti generiche e la diminuente del rito, condannato alla pena di dodici anni di reclusione, nonche' al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare, al risarcimento danni in favore delle costituite parti civili con provvisionale e rifusione delle spese. La Corte, letti gli atti e sentite le parti, provvedendo sulla preliminare questione di legittimita' costituzionale della norma che prevede lo svolgimento del giudizio abbreviato dinanzi al g.u.p. allorquando si procede per i reati di competenza della Corte d'assise; O s s e r v a A) Rilevanza della questione. La questione prospettata dalla difesa e' certamente rilevante, poiche', nel caso di specie, il giudizio si e' svolto con il rito abbreviato dinanzi al g.u.p. Nel caso la questione fosse ritenuta fondata dalla Consulta, il processo di primo grado andrebbe ripetuto dinanzi alla Corte d'assise. B) Non manifesta infondatezza della questione. 1) Competenza per materia. 1.1) Il legislatore, nel libro primo, titolo primo, capo secondo, del nuovo codice di procedura penale, si occupa della giurisdizione penale e della competenza, determinandone le regole e stabilendo, all'art. 5, quali sono i reati di competenza della Corte d'assise. La competenza del tribunale e' stabilita per tutti i reati che non appartengono alla competenza della Corte d'assise predetta (art. 6 c.p. cit.). Con il capo sesto sono, poi, determinate le attribuzioni del tribunale in composizione collegiale (art. 33-bis c.p.p.) o in composizione monocratica (art. 33-ter c.p.p.), secondo la natura dei reati. 1.2) Dall'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale (24 ottobre 1989), il procedimento speciale disciplinato dal libro sesto, titolo primo, e precisamente il giudizio abbreviato di cui all'art. 438 c.p.p., ha subito varie modifiche ed in ultimo, qualunque sia la natura del reato, il legislatore ha stabilito che la decisione di merito spetti sempre al giudice dell'udienza preliminare, anche nelle cause di competenza della Corte d'assise. 1.3) Nella XIV legislatura, in data 25 giugno 2002, e' stata presentata una proposta di legge da vari deputati, alcuni noti proceduristi, di modifica all'art. 438 del c.p.p. concernente i presupposti del giudizio abbreviato. La proposta di legge, in un articolo unico, stabiliva testualmente: Dopo il comma 5 dell'art. 438 del codice di procedura penale e' inserito il seguente: «5-bis nel caso di reati previsti dall'art. 5 il giudizio abbreviato si' svolge dinanzi alla Corte di Assise». Trattavasi del progetto di legge n. 2901 ove il sostenitore poneva in rilievo che: «Quando si tratta di decidere in ordine ad un reato di omicidio volontario per il quale astrattamente e' irrogabile la pena dell'ergastolo, il legislatore ha richiesto una particolare composizione dell'organo giudicante di cui sei sono giudici popolari. L'esigenza sottesa a tale previsione non e' soltanto quella di garantire una maggiore ponderazione degli elementi processuali che inevitabilmente piu' giudici, anziche' uno soltanto, sono in grado di operare, ma anche quella di garantire - giusta la rilevanza sociale che tali fatti assumono - la partecipazione popolare all'amministrazione della giustizia come previsto dalla Costituzione». Tale proposta di legge non ha avuto seguito e se ne ignorano le ragioni. 2) La partecipazione popolare all'amministrazione della giustizia come previsto dalla Costituzione. 2.1) A conoscere di gravi reati come quello di omicidio, a norma del ricordato art. 5 c.p.p., e' la Corte d'assise, riordinata con la legge 10 aprile 1951 n. 287, la quale prevede una particolare composizione del collegio giudicante: due magistrati e sei giudici popolari (art. 3, lett. a), b) e c) legge cit.). 2.2) Sono note le discussioni che seguirono tale legge che e' rimasta immutata nel tempo. Veniva esaltata una magistratura che giudica dei reati piu' gravi ed irroga le pene maggiori e che e' raffigurata come la Magistratura del popolo. Veniva anche auspicata l'abolizione di tale sistema con l'ipotesi di una composizione di una Corte affidata soltanto a magistrati togati e specializzati. Si era anche ipotizzata una modifica all'attuale ordinamento per quanto attiene al numero di componenti il collegio (che dovrebbe essere dispari e non pari), all'aumento di un giudice togato. Nelle successive modifiche di cui alla legge 27 dicembre 1956 n. 1441, e' stata stabilita la partecipazione delle donne all'amministrazione della giustizia nelle Corti d'assise. La composizione ha sempre dato luogo ad appassionate polemiche. Un giurista, prendendo spunto da un dibattito televisivo, ebbe ad insistere sui risultati del Congresso forense di Palermo, che voleva la composizione delle Corti con giudici togati. Veniva ricordato l'intervento di un procuratore generale il quale aveva sostenuto che i giudici popolari trovano la loro giustificazione specialmente negli Stati a diritto libero e non scritto. In altri termini, quando vi e' bisogno di un'interpretazione tecnica, essa puo' essere data soltanto da corti formate esclusivamente da magistrati di carriera. Naturalmente vi sono state posizioni discordanti. I sostenitori del vigente sistema non hanno mancato di rilevare che la voce di persone estranee all'ordine giudiziario porta nel collegio misto valutazioni che piu' direttamente si ricollegano al modo con cui il fatto e' apprezzato dalla pubblica coscienza. Poiche' la giustizia e' amministrata nel nome del popolo, come tale, deve essere dallo stesso considerata e sentita. E cosi', rispetto a quei fatti che maggiormente turbano la coscienza collettiva ed individuale, e la pubblica tranquillita', appare conveniente consentire che la voce del popolo abbia il suo peso nei piu' gravi giudizi penali. Tutto cio' naturalmente viene cancellato allorquando il giudizio abbreviato nelle cause di competenza della Corte d'assise viene celebrato dinanzi al g.u.p. 2.3) Vi e' diversita', anche sotto il profilo della responsabilita' dell'organo giudicante, tra il giuramento del magistrato togato (che e' quello previsto dall'ordinamento giudiziario) e quello del giudice popolare (di cui e' nota la formula). Conseguentemente il giudizio che viene collegialmente espresso nei reati di estrema gravita' quale quello di omicidio, e' la risultante delle valutazioni tecniche e giuridiche delle prove (che sono bagaglio dei due magistrati), e delle ragioni dell'accusa e della difesa, (che appartengono ai sei giudici popolari). Tale considerazione merita di essere approfondita. Il legislatore, con il nuovo codice di procedura penale, per la prima volta si e' occupato della prova stabilendo, in un apposito libro (libro terzo), l'oggetto della prova, il diritto alla prova e soprattutto la «valutazione della prova», regole alle quali il magistrato togato e' vincolato anche per giuramento (vedasi la formula). Sembra cosi' che sia venuto meno il c.d. libero convincimento, anche perche' il nuovo codice esige che la sentenza debba tra l'altro contenere, oltre alla concisa esposizione dei motivi di fatto, anche i motivi di diritto su cui la decisione e' fondata (art. 546, comma 1, lett. e) c.p.p.). La decisione assunta dai componenti del collegio di una Corte d'assise (due magistrati togati e sei giudici popolari) rimane invece svincolata da regole precise sulla valutazione della prova e, ad avviso di questa Corte, puo' attingere elementi di valutazione dal libero convincimento, poiche' i sei giudici popolari sono vincolati ad una formula che vuole una particolare attenzione non solo alle prove ma anche alle ragioni dell'accusa e della difesa, affinche' la sentenza riesca quale la societa' l'attende. Tutte le predette circostanze non possono realizzarsi allorquando il giudizio abbreviato, nelle cause di competenza della Corte di assise, venga affidato al g.u.p. e cio' a parte le maggiori garanzie di serenita', di imparzialita' e di equita' (concetto quest'ultimo estraneo alla valutazione delle prove) rispetto ad un giudice monocratico designato dall'art. 438 c.p.p. Concludendo sul punto non sara' superfluo ricordare che l'art.106, secondo comma Cost., proprio per apprestare tutela costituzionale al giudizio su reati di estrema gravita' formulando per gli stessi una riserva di collegialita', vieta la nomina di magistrati onorari per le funzioni attribuite ai giudici collegiali, in relazione alla delicatezza dei casi sottoposti al loro esame. 3) Precedenti decisioni della Corte costituzionale sul giudizio abbreviato. 3.1) Una prima ordinanza della Corte costituzionale emessa all'indomani dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, si e' occupata incidentalmente del giudice naturale precostituito per legge a proposito degli artt. 247, comma 4 del d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271 (norme di attuazione di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), 438, comma 1 e 440, comma 1 c.p.p. con riferimento agli artt. 3, 25, 102 e 107 Cost., 439-443 c.p.p. Il Giudice istruttore presso il Tribunale di Firenze, in un processo di omicidio pluriaggravato e di strage, ove gli imputati ne avevano chiesto la definizione con il rito abbreviato, essendovi dissenso del p.m., ebbe a sollevare la questione di legittimita' costituzionale degli articoli sopra ricordati. In particolare venne rilevato che l'art. 247, comma 4, legge n. 271/1989, appariva in contrasto con gli artt. 3, 35, 102 e 107 Cost. perche' non prevedeva per il p.m. l'obbligo della motivazione del mancato consenso negando quindi al G.I. la possibilita' di valutare tale dissenso e, nel caso in cui lo avesse ritenuto ingiustificato, di applicare in favore dell'imputato la riduzione della pena prevista dall'art. 422, comma 2 c.p.p. La questione di legittimita' costituzionale venne sollevata anche a proposito degli artt. 438-443 c.p.p. e l'art. 247, comma 4 del d.lgs. cit., nelle parti in cui, per i reati attribuiti alla competenza della Corte di assise, giudice naturale precostituito per legge, prevedono che quest'ultima sia sostituita dal g.u.p. ovvero dal G.I., per violazione degli artt.1, 3, 13, 24, 25, 76, 77, 101, 102, 107 e 111 Cost., 6 della Convenzione dei diritti dell'uomo firmata a Roma il 14 novembre 1950 e ratificata con legge n. 848/1955. La Corte ebbe ad osservare che il G.I. remittente da un verso censurava «la norma de qua perche' non gli consente di sindacare le ragioni poste dal p.m. a base del dissenso all'accoglimento della richiesta degli imputati di definire il processo con il rito abbreviato ai sensi degli artt. 438 e segg. codice di procedura penale, e dall'altro verso, rilevava che l'attribuzione della relativa competenza al G.I., comportando il suo sostituirsi alla Corte di assise, giudice naturale precostituito per legge per giudicare dei delitti di cui gli imputati richiedenti il giudizio abbreviato, violerebbe l'art. 25 Cost.». Il Giudice delle leggi, per quanto riguarda quest'ultima questione, non emise alcuna decisione ritenendo che: «l'ordinanza di remissione e' affetta da palese contraddittorieta' e che detto vizio cagiona la manifesta inammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale: che, quindi, va emessa declaratoria in tal senso» a norma degli artt. 26, comma 2, legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (vds. ordinanza n. 0056 del 1991, ud. 28 gennaio 1991, mass. 0016828). 3.2) Anche in altre occasioni la Corte non ha avuto modo di decidere la questione qui dibattuta. Con la sentenza n. 0069/91, ud. 28 gennaio 1991, mass. 0016993, occupandosi della mancanza di pubblicita', rilevava che questa era una delle caratteristiche del giudizio abbreviato previsto nel nuovo c.p.p. come uno dei mezzi per realizzare una maggiore speditezza e celerita' nella definizione dei processi penali e soggiungeva testualmente: «Allo stesso imputato e' dato valutare i vantaggi del nuovo rito ed i rischi ad esso connessi, tra cui vi e' la rinuncia all'acquisizione di prove dibattimentali e, per quanto riguarda i processi di Corte di assise, all'apporto dei giudici popolari, incidenti entrambi sulla valutazione della sua responsabilita». Dalla motivazione della sentenza che ebbe a dichiarare l'inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 247, comma 2 del d.P.R. n. 28 luglio 1989, n. 271 (norme di attuazione e di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale) con riferimento all'art. 101 Cost., sollevata dalla Corte d'assise di Torino, nulla si desume a proposito della questione di cui si discute. Parimenti e' a dirsi per altre decisioni. La sentenza n. 0176/91, ud. 22 aprile 1991, mass. 0017119, ebbe ad occuparsi della legittimita' costituzionale dell'art. 442, comma 2 c.p.p. con riferimento all'art. 76 Cost. nella parte in cui prevedeva che in caso di condanna, alla pena dell'ergastolo, venisse sostituita la pena della reclusione di 30 anni; nonche' del dubbio di incostituzionalita' degli artt. 458, comma 2 e 441 c.p.p. con riferimento agli artt. 25, primo comma e 102, terzo comma Cost. nella parte in cui prevedono che il giudizio abbreviato si svolga innanzi al g.u.p. anche in relazione a procedimenti aventi ad oggetto delitti di competenza della Corte d'assise; ed infine dell'art. 441 c.p.p. con riferimento all'art. 101 Cost. nella parte in cui non prevede che il giudizio abbreviato debba svolgersi in pubblica udienza. La decisione della Corte costituzionale, anche in tal caso, si e' sottratta alla decisione di costituzionalita' o meno della norma che stabilisce la competenza del g.i.p. allorquando il procedimento abbia per oggetto reati di competenza della Corte d'assise. Infatti, leggendo la motivazione che peraltro porto' alla dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art.442, comma 2, ultimo periodo c.p.p. (alla pena dell'ergastolo e' sostituita quella della reclusione di anni 30), nulla e' dato rilevare a proposito della questione, pur sottoposta all'esame della Corte, di incostituzionalita' con riferimento agli artt. 25, primo comma e 102, terzo comma Cost., degli artt. 458, comma 2 e 441, c.p.p. nella parte in cui prevedono che il giudizio abbreviato si svolga innanzi al g.u.p. anche in relazione a procedimenti aventi ad oggetto delitti di competenza della Corte d'assise. Infatti la massima tratta dalla sentenza cit. testualmente recita: «Perdono conseguentemente rilievo le questioni relative agli artt. 458, comma 2 e 441 c.p.p. nella parte in cui prevedono che il giudizio abbreviato si svolga innanzi al g.i.p. anche in relazione ai procedimenti per delitti di competenza della Corte di assise, e dell'art. 441 c.p.p. nella parte in cui non prevede che il giudizio abbreviato debba svolgersi in pubblica udienza». Anche nelle altre decisioni della Corte costituzionale ove e' preso in considerazione il giudizio abbreviato, nulla e' dato rilevare. Si fa riferimento all'ordinanza n. 0376 del 1991, ud. 11 luglio 1991, mass. 0017464, alla sentenza n. 0076 del 1993, ud. 26 febbraio 1993; mass. 0019256 e ordinanza n. 0040 del 20 gennaio, mass. 0026052. In tale ultima decisione la Corte, nell'occuparsi del problema del giudice naturale precostituito per legge a proposito dei reati di competenza della Corte d'assise, dispose la restituzione degli atti al Giudice a quo con riferimento alla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 438, comma 1 e 4 c.p.p. per avere ammesso il rito abbreviato anche nei casi di reati puniti con l'ergastolo, sottraendo cosi' l'imputato al suo giudice naturale, cioe' la Corte d'assise, affinche' valuti la perdurante rilevanza della questione pur dopo l'approvazione del d.l. 24 novembre 2000, n. 341 (convertito dalla legge 19 gennaio 2001), il quale ha espressamente previsto che nei procedimenti pendenti alla data della sua entrata in vigore, quando sia applicabile la pena dell'ergastolo con isolamento diurno, l'imputato possa revocare l'istanza di giudizio abbreviato ed il giudizio prosegua nelle forme ordinarie. 3.3) Non risultano altre decisioni che siano occupate incidentalmente del problema qui dibattuto ma, prima di enunciare i profili di incostituzionalita' che, ad avviso della Corte, sussistono dell'art. 438 c.p.p. laddove sottrae al giudice naturale (Corte d'assise) la conoscenza dei gravi reati di cui all'art. 5 c.p.p., sara' bene ricordare che i giudici piu' volte si sono posti tale problema ed il legislatore aveva addirittura approntato un disegno di legge di cui abbiamo sopra riportato ogni utile riferimento. 4) Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 438 c.p.p. in relazione agli artt. 1, 24, 25, 101, 102 e 111 Cost. che, ad avviso della Corte, non appare «manifestamente infondata». 4.1) Tutto quanto e' stato fin qui esposto autorizza la Corte a ritenere che trattasi di una questione certamente non «manifestamente infondata». Per rimettere gli atti alla Corte costituzionale basta cioe' che il giudice verifichi, non gia' la fondatezza della questione, ma la sua infondatezza che, per giunta, dev'essere manifesta ovvero evidente, palese, il che non ricorre nel caso di specie. 4.2) L'attuale normativa del procedimento abbreviato ha eliminato ogni condizione di fatto che distingua i casi attribuiti al giudice del dibattimento da quelli attribuiti, con l'abbreviamento del rito, al giudice dell'udienza preliminare. La scelta del rito e' un diritto potestativo dell'imputato che, in tal modo, sceglie anche l'ufficio giudiziario che giudichera' il suo caso. Cio' contrasta non soltanto con il principio, recentemente affermato dalla Consulta, che impone la par condicio per le diverse parti del processo (analogo diritto non compete all'accusa pubblica e privata), ma soprattutto con l'assoluta indisponibilita' dei diritti costituzionali. Non sembra potersi ammettere, in altre parole, che una semplice manifestazione di volonta' di una delle parti del processo incida sul giudice naturale precostituito per legge. La volonta' dell'imputato, in altre parole, e' assolutamente ininfluente. Tutta l'elaborazione dell'esegesi della Costituzione porta a configurare l'irrinunciabilita' delle garanzie, anche da parte del beneficiario della garanzia stessa. L'esempio piu' eclatante, cui normalmente si fa ricorso, e' quello del diritto all'integrita' individuale: il divieto di atti di disposizione sul proprio corpo trova il suo fondamento proprio in tale irrinunciabilita'. Ma e' la stessa giurisprudenza della Corte costituzionale a fornirci il concetto di diritto irrinunciabile per i diritti costituzionalmente garantiti. Con la sentenza n. 125/1979 (e successivamente ribadendo il concetto nella sentenza n. 188/1980 e, poi, nell'ordinanza n. 68/1981), la Corte, occupandosi del problema del rifiuto dell'imputato di difendersi e di essere difeso, e, conseguentemente, della legittimita' costituzionale della norma che impone l'obbligatorieta' del difensore d'ufficio anche per l'imputato che non intenda essere difeso, esplicitamente faceva riferimento all'irrinunciabilita' del diritto di difesa, giustificata dalla necessita' di contemperare l'esercizio di tale diritto con il corretto svolgimento della funzione giurisdizionale. 4.3) Conferma, poi, della individuazione della irrinunciabilita' del diritto costituzionale, allorquando l'esercizio di questi diritti, e quindi la sua eventuale rinuncia, comprometta interessi di natura piu' generale, puo' ricavarsi da quanto il legislatore costituzionale ha fatto nella modifica dell'art. 111. Costituzionalizzato il diritto al contraddittorio per la formazione della prova, si sarebbe posto il problema della rilevanza della volonta' della parte alla rinuncia al contraddittorio, conseguente al consenso per l'acquisizione al fascicolo del dibattimento di atti compiuti dal p.m. (art. 431 c.p.p.): ebbene, proprio per rendere operativa tale possibilita', e' stato necessario che il legislatore indicasse specificamente nell'art. 111 la rilevanza della volonta' dell'imputato ai fini della formazione della prova non in contraddittorio. Cio' indica che, se non vi fosse stata la specifica indicazione, nella norma costituzionale, il consenso sarebbe stato irrilevante, proprio per la ragione addotta dalla Corte costituzionale nella citata sentenza: l'interesse generale al contraddittorio avrebbe fatto profilare il diritto a questo come un diritto irrinunciabile. 4.4) Il diritto al giudizio da parte del giudice naturale precostituito per legge non e', o non e' solo, un diritto dell'imputato. L'essenza del processo e' di verificare la fondatezza delle tesi che le parti contrappongono, verifica che dev'essere svolta da parte di un giudice terzo ed imparziale. Se funzione della norma costituzionale e' quella di assicurare la presenza di un giudice assolutamente terzo ed imparziale, in quanto assolutamente indipendente, ciascuna parte, sia essa pubblica sia essa privata, e' titolare di questo diritto. Lo svolgimento del giudizio abbreviato davanti al giudice all'udienza preliminare, e non davanti al giudice identificato quale giudice competente per quel reato (sia esso un giudice collegiale, sia esso, ancor piu', un giudice a composizione mista, ma sia anche un giudice monocratico tabellarmente predisposto per quel giudizio) determina la sottrazione a quel giudice e realizza, quindi, la compressione di un diritto di cui e' titolare non solo la parte che, con la richiesta di giudizio abbreviato, puo' ritenersi abbia rinunziato a tale diritto, ma anche di quello delle altre parti che non hanno formulato richiesta, prestato consenso o comunque, sia pure implicitamente, effettuato rinunzia, in quanto la legge ritiene irrilevante la loro volonta'. In proposito, non puo' rimanere senza rilievo che la recente sentenza della Corte costituzionale, che ha sancito l'illegittimita' del divieto d'appello del pubblico ministero avverso sentenze assolutorie, ha affermato la necessita' dell'assoluta parita' di diritti fra parte pubblica e parte privata, che non si comprende come possa, viceversa, non verificarsi nella situazione in esame. 4.5) Le argomentazioni che precedono, come s'e' visto, riguardano anche i giudizi di competenza del tribunale. Cio', ovviamente, non ha rilevanza in questa sede. La questione presenta, tuttavia, risvolti del tutto particolari nel caso dei procedimenti di competenza della Corte d'assise, laddove entra in gioco il principio della partecipazione del popolo alla decisione dei processi che, per la gravita' dei fatti ascritti agli imputati, abbiano un maggiore impatto sull'opinione pubblica e sulla coscienza collettiva. 4.6) L'art. 1 Cost. richiama alla mente la formula del giuramento prestato dai Giudici popolari. In virtu' di tale norma «la sovranita' appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Va qui ricordata la legge istitutiva delle Corti di assise (legge 10 aprile 1951 n. 287 e succ. modif.) la quale prevede una particolare composizione del Collegio giudicante: due magistrati, sei Giudici popolari (art. 3, lett. a), b) e c) legge cit.). Per il combinato disposto di tale legge con l'art. 1 Cost. e per l'art. 25 Cost., in virtu' del quale «nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge» puo' ben dirsi che sottrarre il giudizio alla Corte di assise per affidarlo ad un giudice monocratico, oltre a violare tali norme costituzionali, ad avviso di questa Corte remittente, vulnera il principio di ragionevolezza, giacche' restano fermi i principi di speditezza connessi al rito abbreviato pur quando tale giudizio viene celebrato dinanzi ad una Corte di assise. 4.7) Anche l'art. 24 Cost., che si occupa del diritto di difesa, appare in contrasto con la denunciata norma dell'art. 438 c.p.p. L'oralita' del processo penale, e piu' precisamente «le ragioni dell'accusa e le ragioni della difesa», che devono essere attentamente ascoltate dai giudici popolari per far fede al giuramento prestato, non trovano ingresso nel giudizio abbreviato che si svolge dinanzi ad un giudice togato (il g.u.p.) il quale deve valutare le prove secondo i canoni stabiliti dal nuovo c.p.p. e non puo', ad avviso della Corte, attingere elementi di valutazione da affidare al suo libero convincimento. Il diritto di difesa appare violato anche in considerazione dell'assoluta diversita' dei due giudizi: quello di primo grado affidato ad un magistrato, e quello di appello, invece, a due magistrati ed a sei giudici popolari i quali partecipano al giudizio senza essere dei tecnici ma per l'esigenza, avvertita dal legislatore, che vi sia anche una giustizia concretamente amministrata in nome del popolo e come tale considerata e sentita proprio dai giudici popolari. A ben riflettere, nella permanenza di un giudizio di primo grado affidato ad un sol giudice togato, si ha un vero e proprio squilibrio nel giudizio di secondo grado. Il difensore dell'imputato infatti, con i suoi motivi di appello, nel ricordare che il legislatore, con il nuovo c.p.p. entrato in vigore il 24 ottobre 1989, con il libro terzo intitolato «Prova», si e' occupato tra l'altro della valutazione della prova, e che a proposito dei requisiti della sentenza e' stato stabilito che nella stessa occorra una concisa esposizione dei motivi di diritto su cui la decisione e' fondata (art. 546, comma 1, lett. e) c.p.p.), non ha mancato di censurare la sentenza in ordine alla distorta applicazione della prova indiziaria di cui si occupa il legislatore per la prima volta nel codice di rito, all'art. 192, comma 2 c.p.p. rilevando come la decisione impugnata, nell'affermare la responsabilita' dell'imputato, abbia ritenuto di poter utilizzare il suo libero convincimento svincolato da ogni regola di valutazione della prova. Censura questa che, se il giudizio fosse stato celebrato dinanzi ad una Corte di assise, non avrebbe potuto trovare ingresso. La Corte di assise di appello, proprio per la composizione allargata a sei giudici popolari, puo' fare ricorso al libero convincimento ed in tal caso, se il giudizio espresso in primo grado provenisse da una Corte di assise e non da un Giudice togato, sarebbe possibile porre a confronto una decisione adottata con gli stessi canoni di valutazione della prova. 4.8) Secondo l'art. 101 Cost., «la giustizia e' amministrata in nome del popolo» e «i giudici sono soggetti soltanto alla legge». Ricordando le due distinte formule di giuramento, quella del giudice togato e quella dei giudici popolari, sara' facile rilevare come la legge istitutiva delle Corti di assise debba trovare tutela nella norma sopra ricordata poiche' si e' ritenuto che persone estranee all'ordine giudiziario entrino a far parte di un collegio giudicante (in presenza naturalmente delle condizioni volute dalla legge) e quindi di emettere una sentenza che risulti conforme a quella che la societa' l'attende. 4.9) L'art. 102 Cost., dopo aver stabilito che «la funzione giurisdizionale e' esercitata da magistrati ordinari e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario», aggiunge che «in determinate materie puo' aversi anche la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura» e che «la legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia». Con tale norma si e' voluto, ancora una volta, blindare di costituzionalita' il giudice naturale (art.25 Cost.) in relazione alla legge istitutiva delle Corti di assise: principi che risultano, ad avviso della Corte, vulnerati dall'art. 438 c.p.p. in virtu' del quale ad una Corte di assise viene sostituito un tribunale in composizione monocratica. 4.10) La scelta potestativa dell'imputato di far ricorso al rito speciale realizza, quindi, con eclatante evidenza una sottrazione al giudice naturale precostituito per legge. Con le numerosissime sentenze che si sono occupate dei riflessi sul processo penale del disposto del secondo comma dell'articolo venticinque, a partire dalla storica sentenza n. 378/1962 (est. Petrocelli), la Corte ha sempre fissato il concetto che la norma vuole garantire l'astratta determinazione del giudice, ancor prima della commissione del fatto, tanto che la dottrina ha parlato di principio di legalita' processuale. Orbene, nel momento in cui, per atto volontario dell'imputato, si sottrae il giudizio all'organo astrattamente determinato dalla legge e lo si trasferisce al giudice dell'udienza preliminare, questi e' addirittura fisicamente individuato. Ne' si dica che tale giudice e' astrattamente individuato dalla legge (e quindi precostituito) perche' tale pre-determinazione in tanto ha effetto, in quanto il soggetto privato opera la sua scelta, vincolante ed immotivata: sicche', in definitiva, si tratterebbe pur sempre, al piu', di una competenza alternativa, che e' stata reiteratamente dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale. 4.11) Il successivo intervento del giudice misto nel giudizio abbreviato (con l'attribuzione alla stessa Corte d'assise d'appello a conoscere la causa in secondo grado) nega pregio al possibile rilievo contrario che il giudice togato monocratico sia piu' idoneo (e, quindi, naturale, secondo un'accezione accolta dalla Consulta nelle pronunce che s'occuparono della sottrazione del minore al tribunale per i minorenni in caso di connessione) a giudicare il rito abbreviato, stante l'assenza dell'oralita'. 4.12) L'art.111 Cost. inizia testualmente: «la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge». Se la legge stabilisce quale debba essere il giudice competente per materia (art. 5 c.p.p.) e se la legge costituzionale esige che nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge, l'art. 438 c.p.p. e' in violazione della legge anche costituzionale. Per tutte le ragioni esposte in motivazione la Corte di assise di appello di Napoli ritiene che la dedotta questione di legittimita' costituzionale sia non manifestamente infondata.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 Cost., 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87; Solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 438 del codice di procedura penale per contrasto con gli artt. 1, 24, 25, 101, 102 e 111 della Costituzione nella parte in cui demanda al giudice dell'udienza preliminare lo svolgimento del giudizio abbreviato anche nei procedimenti di competenza della Corte di assise; Sospende il presente giudizio ed ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Cosi' deciso in Napoli, addi' 26 marzo 2007. Il Presidente estensore: Lignola