N. 21 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 maggio 2007
Ordinanza del 10 maggio 2007 emessa dal Giudice dell'esecuzione del Tribunale di Roma nei giudizi riuniti di opposizione agli atti esecutivi promossi dall'Assimmobil di Assennato Maria Laura & C. s.a.s. contro Capitalia S.p.A. (gia' Banca di Roma S.p.A.) ed altri. Procedimento civile - Espropriazione immobiliare - Giudizio di opposizione agli atti esecutivi - Ricorso avverso provvedimento del giudice dell'esecuzione recante declaratoria di inammissibilita' dell'istanza di conversione del pignoramento presentata dal debitore esecutato nel giorno della redazione del verbale di vendita ad opera del notaio delegato - Ritenuta intempestivita' della detta istanza alla stregua del novellato art. 495 cod. proc. civ. che consente la conversione prima che sia disposta la vendita o l'assegnazione - Applicabilita' della nuova disciplina anche alle procedure esecutive pendenti alla data di entrata in vigore della novella - Omessa previsione dell'ultrattivita' del previgente art. 495 cod. proc. civ. che ammetteva il debitore esecutato a chiedere la conversione del pignoramento in qualsiasi momento anteriore alla vendita, ivi compreso il giorno dell'udienza a cio' deputata e, secondo gli indirizzi della giurisprudenza di legittimita', fino all'aggiudicazione definitiva - Denunciata violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza sotto il duplice profilo dell'irrazionale assimilazione di situazioni normativamente differenziabili e dell'ingiustificata lesione dell'affidamento del debitore esecutato in ordine alla sperimentabilita' del rimedio della conversione del pignoramento come regolamentato dalla normativa vigente al momento dell'avvio dell'esecuzione forzata - Incidenza sul diritto di difesa del debitore esecutato. - Codice di procedura civile, art. 495, come modificato dall'art. 2, comma 3, lett. e), del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005, n. 80; del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005, n. 80, art. 2, comma 3-sexies, aggiunto dall'art. 1, comma 6, della legge 28 dicembre 2005, n. 263, come modificato dall'art. 1, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 271, convertito, con modificazioni, nella legge 23 febbraio 2006, n. 51; decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 273, art. 39-quater del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 273, convertito, con modificazioni, nella legge 23 febbraio 2006, n. 51. - Costituzione, artt. 3 e 24.(GU n.8 del 13-2-2008 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza di remissione alla Corte costituzionale (ex artt. 136 Cost.; 1, legge cost. 1948, n. 1; 23, legge 1953, n. 87) nelle procedure riunite di opposizione agli atti esecutivi promosse da Assimobil di Assennato Maria Laura (Avvocato Egidio Lanari); Contro Banca di Roma S.p.A. ora Capitalia S.p.A. (Avvocato Marcello Freudiani); Banca Monte dei Paschi di Siena - Concessionaria del Servizio riscossione tributi (Avvocato Pietro Frontoni); GERIT S.p.A. (Avvocato Gianluca Mantellini); Michele Russo; aggiudicatario (Avvocati Francesco Pappalardo e Mario Pacchia). Sciogliendo la riserva assunta nell'udienza del 26 gennaio 2007, con termini di giorni trenta per note illustrative; Letti ed esaminati gli atti delle parli relativi ai giudizi di opposizione ed esaminato il fascicolo della procedura esecutiva; Esaminata la questione di costituzionalita' posta dall'opponente con il ricorso depositato in data 18 maggio 2006 O s s e r v a Nella fattispecie viene in considerazione la legittimita' costituzionale della disposizione contenuta nell'art. 495 c.p.c., come novellata, in rapporto alle disposizioni dettate in regime transitorio, precisamente nell'art. 2, comma 3, lett. e), n. 6.1), d.l. n. 35 del 2005, convertito in legge n. 80 del 2005, che sostituisce le parole «in qualsiasi momento anteriore alla vendita» con le parole «prima che sia disposta la vendita o l'assegnazione a norma degli articoli 530, 552 e 569 c.p.c.», e nell'art. 2, comma 3-sexies, dello stesso provvedimento, come sostituito dall'art. 1, comma 6 della legge n. 263 del 2005, ulteriormente modificato ai sensi dell'art 39-quater, d.l. n. 273 del 2005, convertito, con modificazioni, nella legge n. 51 del 2006, in cui e' prescritto «questa disposizione entra in vigore il 1° marzo 2006 e si applica anche alle procedure pendenti a tale data di entrata in vigore. Quando tuttavia e' gia' stata ordinata la vendita, la stessa ha luogo con l'osservanza delle norme precedentemente in vigore. L'intervento dei creditori non muniti di titolo esecutivo conserva efficacia se avvenuto prima del 1° marzo 2006». 1) Giudizio di rilevanza. Ritiene questo giudice che sia rilevante la questione di costituzionalita' al fine del decidere. Invero, l'opponente con il primo ricorso, depositato in data 16 maggio 2006, chiedeva che fosse dichiarato nullo il verbale di vendita redatto dal notaio delegato in data 12 maggio 2006, alle ore 15,30, con conseguente revoca dell'aggiudicazione, poiche' lo stesso giorno del 12 maggio 2006 il debitore aveva depositato istanza di conversione con versamento della somma richiesta ai sensi dell'art. 495 c.p.c.; con successivo ricorso, depositato in data 18 maggio 2006, l'opponente impugnava il provvedimento del giudice dell'esecuzione del 12 maggio 2006, e depositato dalla cancelleria il 15 maggio 2006, che aveva dichiarato inammissibile l'istanza di conversione sopra detta, inammissibilita' che era cosi' motivata «...rilevato che, per effetto delle chiare disposizioni di attuazione, la nuova formulazione dell'art. 495 c.p.c. si applica anche alle procedure pendenti alla data di entrata in vigore della riforma». Orbene, il tenore letterale dettato nel regime transitorio «questa disposizione entra in vigore il 1° marzo 2006 e si applica anche alle procedure esecutive pendenti a tale data di entrata in vigore» non lascia dubbi interpretativi sulla scelta retroattiva operata dal legislatore della riforma, tant'e' che e' fatta salva l'applicazione secondo le norme precedentemente in vigore» solo per la fase relativa alla vendita, laddove gia' sia stata emanata la relativa ordinanza; e' cosi', infatti, che testualmente ha dichiarato il legislatore «...Quando tuttavia e' gia' stata ordinata la vendita, la stessa ha luogo con l'osservanza delle norme precedentemente in vigore». La chiara espressione «la stessa», contenuta nella disposizione appena riferita, non puo' che rivolgersi alla fase della sola vendita, vale a dire allo svolgimento di ognuna delle attivita' che conducono alla definizione del procedimento di vendita che avviene con l'emissione del decreto di trasferimento, con preclusione dell'applicazione della disciplina previgente ad ogni diversa attivita' processuale delle procedure pendenti. Invero, la limitazione dell'ultrattivita' della vecchia normativa per la sola fase della vendita emerge tanto piu' quanto maggiormente e' evidente la struttura della procedura esecutiva. Tanto deve essere affermato in linea con l'indirizzo della Corte di cassazione, elaborato con riguardo alle nullita' insanabili, secondo cui il processo esecutivo e' strutturato non come una sequenza di atti preordinati ad un unico provvedimento finale, come il processo ordinario di cognizione, ma come una serie autonoma di atti ordinati a successivi e distinti provvedimenti; con la conseguenza che le nullita' verificatesi in una determinata fase del procedimento possono riflettersi sulla validita' degli atti della fase successiva che da essi dipendono solo se fatte valere entro la conclusione della fase in cui si sono prodotte ma sempre nel termine decadenziale dalla conoscenza legale dell'atto conclusivo della relativa fase, salvo che la situazione invalidante si rifletta nell'intero processo impedendo che questo pervenga al risultato che ne costituisce lo scopo, nel qual caso e' rilevabile in ogni tempo: (v. Cass. 1999 n. 4584 e Cass., sez. un. 1995, n. 11178). Dunque, rimane salva l'applicazione della vecchia disciplina, quando sia gia' stata disposta la vendita, solo per la relativa fase della vendita stessa e cosi', a titolo esemplificativo, per le vendite gia' fissate al momento dell'entrata in vigore della riforma, l'offerta dopo l'incanto deve essere di almeno un sesto superiore al prezzo di aggiudicazione e non secondo la nuova disciplina, di cui all'art. 584 c.p.c., secondo cui l'offerta successiva all'aggiudicazione deve essere superiore di almeno un quinto; o ancora, l'offerente puo' ritirarsi dalla gara senza perdere la cauzione, come invece previsto nell'ultimo comma del nuovo citato articolo; ed ancora, non e' necessaria l'adesione dell'offerente in caso di richiesta di rinvio da parte del creditore munito di titolo escutivo, come richiesto, invece, nell'art. 161-bis att. c.p.c. Risulta, dunque, confermata l'applicazione retroattiva, per effetto del chiaro disposto transitorio, della nuova disciplina a tutte le procedure per le quali non sia stata emessa l'ordinanza di vendita ovvero, anche quando stata emessa l'ordinanza di vendita, per tutte le fasi anteriori alla vendita. Ne consegue l'arretramento della barriera preclusiva per la proposizione dell'istanza di conversione fino al momento anteriore all'emissione dell'ordinanza di vendita. Per effetto del regime transitorio dettato dal legislatore della riforma, deriva che ogni volta che l'istanza di conversione venga proposta dal debitore esecutato in una procedura in cui la vendita sia gia' stata disposta, l'istanza medesima deve essere dichiarata inammissibile e cio' anche se l'immobile non sia stato venduto a causa delle vicende processuali concrete, quali, tra le ipotesi maggiormente ricorrenti, l'istanza di rinvio da parte del creditore procedente; il rinvio disposto ai sensi dell'art. 631 c.p.c. per mancata comparizione del creditore munito di titolo esecutivo; l'asta andata deserta per mancanza di offerte. Pertanto, emergono nel presente giudizio i profili di rilevanza della questione, atteso che l'applicazione dell'art. 495 c.p.c. anche alle procedure pendenti alla data di entrata in vigore della riforma, per effetto dell'art. 2, comma 3-sexies, d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005, n. 80, come sostituito dall'art. 1, comma 6, della legge 28 dicembre 2005, n. 263 e successivamente modificato dall'art. 39-quater del d.l. 30 dicembre 2005, n. 273, convertito, con modificazioni, nella legge 23 febbraio 2006, n. 51, viola il diritto del debitore a fare affidamento sulle posizioni giuridiche processuali acquisite secondo cui egli poteva presentare domanda di conversione del pignoramento, e cosi' recuperare l'immobile, fino al giorno dell'udienza in cui si teneva la vendita. Infatti, secondo il vecchio art. 495 c.p.c. il debitore puo' chiedere la conversione «in qualsiasi momento anteriore alla vendita», dove per vendita si era inteso, anche sulla scorta dell'orientamento della Corte di legittimita', l'udienza di vendita e non il provvedimento che lo disponeva, tanto che in giurisprudenza si trattava solo di risolvere il dubbio se il diritto alla conversione fosse da intendersi esercitabile anche successivamente all'aggiudicazione provvisoria, nei dieci giorni successivi e necessari per il consolidamento dell'aggiudicazione definitiva, per effetto della mancata presentazione di offerta in aumento di sesto, o se si dovesse arretrare il detto diritto alla soglia dell'aggiudicazione anche provvisoria. Sul punto si erano pronunciate anche le sezioni unite, con sentenza del 27 ottobre 1995, n. 11178, che si allineavano sostanzialmente alle precedenti pronunce in cui si era chiaramente affermato che l'istanza di conversione doveva ritenersi possibile anche dopo l'aggiudicazione provvisoria, in ragione del fatto che «la funzione della conversione sarebbe quella di assicurare, in maniera piu' sicura, attraverso la trasformazione del bene in denaro, la realizzazione dei diritti dei creditori, con la conseguenza che quando questo risultato e' conseguito, non puo' trovare spazio la tutela di situazioni soggettive a favore di terzi rispetto al processo esecutivo, in quanto si tratta di situazioni secondarie che emergono solo quando quelle principali sono esaurite» (Cass. 23 luglio 1993, n. 8236 e, nello steso senso, gia' Cass. 18 gennaio 1983, n. 413). La interpretazione letterale come gia' finora illustrata non lascia dubbi interpretativi sulla portata preclusiva della gia' emessa ordinanza di vendita rispetto all'istanza di conversione, ma anche un'interpretazione sistematica conferma la volonta' del legislatore nei termini adottati dal giudice del provvedimento impugnato, dichiarativo dell'inammissibilita' della conversione. Infatti il regime transitorio dettato con le norme gia' citate fa espressamente salvi gli interventi dei creditori non muniti di titolo esecutivo che siano stati svolti nell'esecuzione prima del 1° marzo del 2006, con cio' confermando che tutto cio' che non e' stato espressamente derogato dalla scelta del legislatore, rientra nel principio della diretta ed immediata applicazione del nuovo regime processuale per ogni atto, fase ed attivita' anche delle procedure pendenti alla data di entrata in vigore della nuova disciplina. La questione e' dunque rilevante ai fini del decidere la presente fattispecie. 2) Giudizio di non manifesta infondatezza. Posta l'interpretazione della norma transitoria come sopra motivato, nei termini di rilevanza della questione, la censura di illegittimita' costituzionale appare altresi' non manifestamente infondata. Invero deve essere sottoposto a scrutinio di costituzionalita' l'art. 495 c.p.c. anche alle procedure pendenti alla data di entrata in vigore della riforma, per effetto dell'art. 2, comma 3-sexies, d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005, n. 80, come sostituito dall'art. 1, comma 6, della legge 28 dicembre 2005, n. 263 e successivamente modificato dall'art. 39-quater del d.l. 30 dicembre 2005, n. 273, convertito, con modificazioni, nella legge 23 febbraio 2006, n. 51, nella parte in cui non e' previsto, dopo aver disposto «Quando tuttavia e' gia' stata ordinata la vendita, la stessa ha luogo con l'osservanza delle norme precedentemente in vigore», che l'osservanza delle norme precedenti deve estendersi anche con riferimento all'affidamento delle posizioni giuridiche processuali acquisite dal debitore esecutato che poteva presentare domanda di conversione del pignoramento, e cosi' salvare il suo bene, fino al giorno della vendita, o secondo la definizione che l'eccellentissima Consulta riterra' piu' conforme al diritto. E' chiaro che il cambiamento della legge processuale nel corso del giudizio (id est, nel caso di specie, nel corso della procedura esecutiva) pone un problema di conservazione (degli effetti sia processuali che extraprocessuali) degli atti compiuti ma pone anche un problema di unita' e coerenza interna della complessiva disciplina dell'applicazione, in tempi diversi, delle norme abrogate e di quelle successivamente introdotte. Infatti, la mera applicazione nelle procedure pendenti della disciplina nuova, potrebbe risultare in conflitto con posizioni legittimamente acquisite dalle parti in virtu' del vecchio regime, cosi' dando luogo a problemi di legittimita' costituzionale con riferimento agli articoli 3 e 24, in particolare, della Costituizone. Il legislatore della riforma ha dettato un regime transitorio in cui ha distinto le fasi soggette ad ultrattivita' della disciplina abrogata (la fase della vendita, quando e' gia' stata ordinata la vendita e l'intervento del creditore non munito di titolo esecutivo se svolto prima dell'entrata in vigore della novella) e quelle soggette a retroattivita' della disciplina di nuova introduzione (tutte le altre fasi della procedura diverse dalla vendita). La scelta legislativa non ha tenuto conto dell'esigenza di certezza che si pone per il cittadino non solo con riferimento al contenuto di una legge ma anche riguardo alla legge processuale, dovendo conoscere nella dinamica dei suoi diritti processuali quali principi sono applicabili a tutela delle sue aspettative. Il cittadino ha, cioe', il diritto alla ragionevole aspettativa che la corretta applicazione della norma, che ha consacrato una determinata modalita' di difesa processuale, non verra' riconsiderata a posteriori a causa del cambiamento della legge che regola quell'atto e quella attivita' processuale. Orbene, se la regola dell'efficacia irretroattiva della legge, dettata nell'art. 11 delle disposizioni preliminari del codice civile, non e' regola intangibile per il legislatore che puo' dettare apposita normativa transitoria in ragione delle sue insindacabili scelte politiche, tuttavia lo stesso legislatore dovra' pur sempre operare tra i vari atti processuali un rapporto tale da consentire il rispetto dell'unita', della coerenza interna del sistema processuale nel rispetto dei diritti costituzionali di azione e di difesa. Certo il legislatore deve individuare soluzioni operative e pratiche che realizzano il passaggio da un sistema processuale all'altro pur sempre sulla base di regole di esperienza, ragionevolezza ed opportunita' con connotati politici ed insindacabili e tuttavia il legislatore, nell'individuare soluzioni di diritto transitorio, e' tenuto ad uniformarsi ai fondamentali principi costituzionali sulla tutela dei diritti. La Consulta si e' gia' pronunciata al riguardo, statuendo che l'irretroattivita' della legge rappresenta uno dei principi fondamentali cui il legislatore ordinario deve attenersi, salva l'esistenza di una effettiva ragione giustificatrice e sempre nel rispetto della certezza dei rapporti giuridici. Il principio la Corte lo ha affermato anche in materia processuale «il principio dell'immediata applicazione della sopravvenuta legge processuale si applica, dove manchi... una disciplina transitoria, soltanto agli atti processuali successivi all'entrata in vigore della legga stessa: questa non retroagisce, invece, su quelli anteriormente compiuti, i quali sono regolati, secondo il fondamentale principio tempus regit actum dalla legge sotto il cui imperio sono stati posti in essere» (sent. 4 aprile 1990, n. 155, ma anche sent. 29 marzo 1991, n. 136). Ha dichiarato la Corte che il legislatore puo', facendo uso di discrezionalita' temperata da ragionevolezza (valutazione comparativa degli interessi sostanziali e della posizione processuale delle parti) disporre nel senso tanto della retroattivita' delle nuove disposizioni (sent. 1° luglio 1986, n. 199), quanto nel senso della ultrattivita' di quelle abrogate (sent. 29 marzo 1991, n. 136) ma con il limite dell'osservanza dei principi costituzionali sul diritto di difesa, dovendo assicurarsi la tutela delle ragionevoli aspettative dei litiganti, nel passaggio da una normativa piu' permissiva ad altra piu' rigorosa. Infatti un'interpretazione di detto principio lo ha reso la Corte nella sentenza, interpretativa di rigetto, del 26 gennaio 1988, n. 82, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' cosituzionale dell'art. 437, secondo comma, c.p.c. nel testo introdotto dalla legge 1973, n. 533, motivando che «le preclusioni in appello, ripristinate con la legge n. 533 del 1973, hanno la loro coerente ed insopprimibile ragion d'essere nella nuova struttura conferita al processo di primo grado da tale legge, con l'applicazione dei principi di oralita' ed immediatezza: sarebbe, pertanto, contrario al sistema processuale, globalmente considerato, imporle a quanti abbiano partecipato al giudizio di primo grado secondo il rito determinato dalla legge previgente. In altre parole lo jus novrum consentito dall'art. 345 c.p. c. vecchio testo va considerato, nel caso in cui il processo di primo grado si sia svolto secondo il rito abrogato, come un effetto gia' prodotto dalla sentenza conclusiva di detto procedimento, con la conseguenza che esso risulta utilizzabile dalle parti nell'udienza di discussione fissata davanti al giudice di appello a norma dell'art. 435, primo comma, c.p.c.». In sostanza la ratio della decisione e' nell'affermazione che l'atto del processo non solo non potra' essere posto in discussione dalla legge sopravvenuta ma potra' condizionare l'applicazione futura della legge stessa ogni volta che non venga rispettato il principio della coerenza interna, dell'unita' del singolo procedimento, e con esso i diritti di difesa costituzionalmente garantiti. Sulla base di tali posizioni del Giudice delle leggi ne deriva che se il legislatore puo' adottare un regime transitorio derogativo, egli e' sempre vincolato al rispetto delle regole di unita', continuita' e coerenza interna del procedimento, quali diretti precipitati delle garanzie costituzionali. Invero, il diritto di difesa costituzionalmente garantito risulterebbe violato tutte le volte in cui la parte ha impostato la propria strategia difensiva, delle posizioni giuridicamente tutelate, alla luce della legge processuale vigente al momento del compimento di un determinato atto o, come nel caso de quo, addirittura in riferimento ad una intera fase processuale. Nella procedura esecutiva, infatti, il debitore sapeva di poter contare sul diritto di ottenere la conversione del pignoramento fino al giorno dell'asta e addirittura, per effetto della giurisprudenza di legittimita' piu' sopra richiamata, dopo l'aggiudicazione provvisoria. Dunque la difesa atteggiata sulla disciplina vigente non puo' essere danneggiata dal cambiamento delle regole tecniche del processo che diano luogo, per tal via, all'inibizione di poteri e di facolta' processuali che il cittadino-parte processuale aveva acquisito nel vigore della legge abrogata. In questo senso sono state molte le pronunce della Consulta sul principio di derivazione costituzionale della tutela dell'affidamento del soggetto processuale (sent. n. 111 del 1998). Analogamente si e' espressa la Corte costituzionale in materia di intervento legislativo di interpretazione autentica ed ha affermato che la stessa incontra dei limiti, tra i quali «i principi generali di ragionevolezza e di uguaglianza, quello della tutela dell'affidamento legittimamente posto sulla certezza dell'ordinamento giuridico e quello del rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario» ed ha precisato che la tutela dell'affidamento «deve valere anche in materia processuale, dove si traduce nell'esigenza che le parti conoscano il momento in cui sorgono oneri con effetto loro pregiudizievoli, nonche' nel legittimo affidamento delle parti stesse nello svolgimento del giudizio secondo le regole vigenti al compimento degli atti processuali». Al principio di affidamento si ispirano le sentenze 4 novembre 1999, n. 416; 16 aprile 1998, n. 111. Dunque il legislatore puo' adottare scelte particolari di regime transitorio purche' la soluzione in concreto dettata sia ragionevole e non confligga con i principi costituzionali (art. 3 e 24 Cost.). In definitiva e' acquisito al vaglio di costituzionalita' il fondamentale molo della clausola generale di ragionevolezza che deve informare il legislatore. Nella fattispecie la Corte potra' accertare la violazione del diritto di difesa e del principio di uguaglianza non solo verificando se il legislatore abbia adottato un pari trattamento giuridico di situazioni uguali ma soprattutto se abbia saputo cogliere il rispetto del vero nucleo del principio di uguaglianza attraverso un trattamento adeguatamente differenziato di situazioni giuridiche tra loro diverse. Il principio di ragionevolezza non potra' sfuggire dal consueto canone fondamentale di valutazione della legittimita' e non potra' non consentire di individuare che nella fattispecie l'applicazione delle norme censurate non tengono conto del trattamento differenziato, rispetto ai debitori, di situazioni giuridiche diverse, quelle maturate nella ragionevole aspettativa di tutela secondo il vecchio regime e quella non ancora acquisita alla tutela del debitore di procedure per le quali mai ancora e' stata disposta la vendita. L'assenza di razionalita' legislativa che appare emergere nel regime transitorio non puo' non tramutarsi in una vera e propria discriminazione. La Corte ha avuto modo di esplicitare le proprie decisioni sul principio di ragionevolezza delle statuizioni volte a giustificare la disparita' di trattamento fra i cittadini (sent. n. 104 del 1968; sent. n. 200 del 1972; sent. n. 10 del 1980 e n. 15 e 177 del 1983). Per tutto quanto sopra motivato, la questione non risulta manifestamente infondata emergendo il fumus boni juris sulla fondatezza della questione per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione e dei principi costituzionali impliciti di affidamento e di ragionevolezza, come sopra illustrati.
P. Q. M. Visti gli articoli 136 Cost., 1, legge Cost. 1948, n. 1 e 23, legge 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 495 c.p.c. e 2, comma 3-sexies, d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005, n. 80, come sostituito dall'art. 1, comma 6, della legge 28 dicembre 2005, n. 263 e successivamente modificato dall'art. 39-quater del d.l. 30 dicembre 2005, n. 273, convertito, con modificazioni, nella legge 23 febbraio 2006, n. 51, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost. e dei principi costituzionali impliciti della ragionevolezza delle statuizioni legislative e dell'affidamento del soggetto processuale all'azione secondo la legge processuale vigente, nella parte in cui le censurate disposizioni non fanno salvo il diritto del debitore a fare affidamento sulla posizione giuridica processualmente acquisita secondo cui egli poteva presentare domanda di conversione del pignoramento, e cosi' recuperare l'immobile, fino al giorno dell'udienza in cui si teneva la vendita. Sospende il presente giudizio e la relativa procedura esecutiva per pregiudizialita' costituzionale; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone altresi' che la presente ordinanza sia comunicata al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; Manda alla cancelleria per quanto di competenza e per la comunicazione alle parti secondo il rito. Roma, addi' 3 maggio 2007 Il giudice: Battagliese