N. 21 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 maggio 2007

  Ordinanza del 10 maggio 2007 emessa dal Giudice dell'esecuzione del
Tribunale  di  Roma  nei  giudizi  riuniti  di  opposizione agli atti
esecutivi  promossi  dall'Assimmobil  di  Assennato  Maria Laura & C.
s.a.s. contro Capitalia S.p.A. (gia' Banca di Roma S.p.A.) ed altri.

  Procedimento  civile  -  Espropriazione  immobiliare  - Giudizio di
  opposizione agli atti esecutivi - Ricorso avverso provvedimento del
  giudice  dell'esecuzione  recante  declaratoria di inammissibilita'
  dell'istanza   di   conversione  del  pignoramento  presentata  dal
  debitore  esecutato  nel  giorno  della  redazione  del  verbale di
  vendita  ad  opera  del  notaio delegato - Ritenuta intempestivita'
  della  detta istanza alla stregua del novellato art. 495 cod. proc.
  civ.  che consente la conversione prima che sia disposta la vendita
  o l'assegnazione - Applicabilita' della nuova disciplina anche alle
  procedure  esecutive  pendenti alla data di entrata in vigore della
  novella  - Omessa previsione dell'ultrattivita' del previgente art.
  495  cod. proc. civ. che ammetteva il debitore esecutato a chiedere
  la conversione del pignoramento in qualsiasi momento anteriore alla
  vendita,  ivi  compreso  il  giorno dell'udienza a cio' deputata e,
  secondo  gli  indirizzi  della giurisprudenza di legittimita', fino
  all'aggiudicazione  definitiva - Denunciata violazione dei principi
  di  uguaglianza  e  di  ragionevolezza  sotto  il  duplice  profilo
  dell'irrazionale   assimilazione   di   situazioni   normativamente
  differenziabili  e dell'ingiustificata lesione dell'affidamento del
  debitore  esecutato  in  ordine  alla sperimentabilita' del rimedio
  della   conversione   del  pignoramento  come  regolamentato  dalla
  normativa  vigente  al momento dell'avvio dell'esecuzione forzata -
  Incidenza sul diritto di difesa del debitore esecutato.
  -  Codice  di procedura civile, art. 495, come modificato dall'art.
  2,  comma  3,  lett.  e),  del  decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35,
  convertito,  con  modificazioni, nella legge 14 maggio 2005, n. 80;
  del   decreto-legge   14   marzo   2005,   n. 35,  convertito,  con
  modificazioni,  nella  legge  14  maggio 2005, n. 80, art. 2, comma
  3-sexies, aggiunto  dall'art.  1,  comma 6, della legge 28 dicembre
  2005,  n. 263,  come  modificato  dall'art. 1, del decreto-legge 30
  dicembre  2005,  n. 271, convertito, con modificazioni, nella legge
  23  febbraio  2006,  n. 51; decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 273,
  art.   39-quater   del  decreto-legge  30  dicembre  2005,  n. 273,
  convertito, con modificazioni, nella legge 23 febbraio 2006, n. 51.
  - Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.8 del 13-2-2008 )
                            IL TRIBUNALE
Ha   emesso   la   seguente   ordinanza   di  remissione  alla  Corte
costituzionale  (ex  artt.  136 Cost.; 1, legge cost. 1948, n. 1; 23,
legge  1953,  n. 87) nelle procedure riunite di opposizione agli atti
esecutivi  promosse  da  Assimobil di Assennato Maria Laura (Avvocato
Egidio Lanari);
Contro  Banca  di Roma S.p.A. ora Capitalia S.p.A. (Avvocato Marcello
Freudiani);  Banca  Monte  dei  Paschi  di Siena - Concessionaria del
Servizio riscossione tributi (Avvocato Pietro Frontoni); GERIT S.p.A.
(Avvocato   Gianluca   Mantellini);   Michele  Russo;  aggiudicatario
(Avvocati Francesco Pappalardo e Mario Pacchia).
Sciogliendo  la riserva assunta nell'udienza del 26 gennaio 2007, con
termini di giorni trenta per note illustrative;
Letti  ed  esaminati  gli  atti  delle  parli  relativi ai giudizi di
opposizione ed esaminato il fascicolo della procedura esecutiva;
Esaminata  la questione di costituzionalita' posta dall'opponente con
il ricorso depositato in data 18 maggio 2006
                            O s s e r v a
Nella   fattispecie   viene   in   considerazione   la   legittimita'
costituzionale  della  disposizione  contenuta  nell'art. 495 c.p.c.,
come  novellata,  in  rapporto  alle  disposizioni  dettate in regime
transitorio,  precisamente  nell'art.  2, comma 3, lett. e), n. 6.1),
d.l.  n. 35  del  2005,  convertito  in  legge  n. 80  del  2005, che
sostituisce  le  parole «in qualsiasi momento anteriore alla vendita»
con  le  parole «prima che sia disposta la vendita o l'assegnazione a
norma  degli  articoli  530,  552 e 569 c.p.c.», e nell'art. 2, comma
3-sexies,  dello  stesso  provvedimento, come sostituito dall'art. 1,
comma  6  della  legge  n. 263  del 2005, ulteriormente modificato ai
sensi  dell'art  39-quater,  d.l.  n. 273  del  2005, convertito, con
modificazioni,  nella  legge  n. 51  del  2006,  in cui e' prescritto
«questa  disposizione  entra  in vigore il 1° marzo 2006 e si applica
anche  alle  procedure  pendenti  a  tale  data di entrata in vigore.
Quando tuttavia e' gia' stata ordinata la vendita, la stessa ha luogo
con  l'osservanza delle norme precedentemente in vigore. L'intervento
dei  creditori  non  muniti di titolo esecutivo conserva efficacia se
avvenuto prima del 1° marzo 2006».
1) Giudizio di rilevanza.
Ritiene   questo   giudice   che   sia   rilevante  la  questione  di
costituzionalita' al fine del decidere.
Invero,  l'opponente  con  il  primo  ricorso,  depositato in data 16
maggio  2006,  chiedeva  che  fosse  dichiarato  nullo  il verbale di
vendita  redatto dal notaio delegato in data 12 maggio 2006, alle ore
15,30,  con conseguente revoca dell'aggiudicazione, poiche' lo stesso
giorno  del  12  maggio  2006 il debitore aveva depositato istanza di
conversione  con  versamento della somma richiesta ai sensi dell'art.
495  c.p.c.;  con  successivo  ricorso,  depositato in data 18 maggio
2006,    l'opponente   impugnava   il   provvedimento   del   giudice
dell'esecuzione del 12 maggio 2006, e depositato dalla cancelleria il
15  maggio  2006,  che  aveva  dichiarato  inammissibile l'istanza di
conversione  sopra  detta,  inammissibilita'  che  era cosi' motivata
«...rilevato   che,   per   effetto   delle  chiare  disposizioni  di
attuazione,  la  nuova  formulazione  dell'art. 495 c.p.c. si applica
anche  alle  procedure  pendenti alla data di entrata in vigore della
riforma».
Orbene,  il  tenore  letterale dettato nel regime transitorio «questa
disposizione entra in vigore il 1° marzo 2006 e si applica anche alle
procedure  esecutive  pendenti  a tale data di entrata in vigore» non
lascia  dubbi  interpretativi  sulla  scelta  retroattiva operata dal
legislatore  della riforma, tant'e' che e' fatta salva l'applicazione
secondo le norme precedentemente in vigore» solo per la fase relativa
alla  vendita,  laddove gia' sia stata emanata la relativa ordinanza;
e'  cosi',  infatti,  che  testualmente  ha dichiarato il legislatore
«...Quando  tuttavia  e' gia' stata ordinata la vendita, la stessa ha
luogo con l'osservanza delle norme precedentemente in vigore».
La  chiara  espressione  «la  stessa»,  contenuta  nella disposizione
appena  riferita,  non  puo'  che  rivolgersi  alla  fase  della sola
vendita,  vale  a dire allo svolgimento di ognuna delle attivita' che
conducono  alla  definizione  del procedimento di vendita che avviene
con   l'emissione  del  decreto  di  trasferimento,  con  preclusione
dell'applicazione   della   disciplina  previgente  ad  ogni  diversa
attivita' processuale delle procedure pendenti.
Invero, la limitazione dell'ultrattivita' della vecchia normativa per
la  sola  fase della vendita emerge tanto piu' quanto maggiormente e'
evidente la struttura della procedura esecutiva.
Tanto  deve  essere affermato in linea con l'indirizzo della Corte di
cassazione,  elaborato con riguardo alle nullita' insanabili, secondo
cui  il  processo  esecutivo  e' strutturato non come una sequenza di
atti  preordinati  ad un unico provvedimento finale, come il processo
ordinario  di cognizione, ma come una serie autonoma di atti ordinati
a  successivi  e  distinti  provvedimenti;  con la conseguenza che le
nullita'  verificatesi  in  una  determinata  fase  del  procedimento
possono  riflettersi sulla validita' degli atti della fase successiva
che da essi dipendono solo se fatte valere entro la conclusione della
fase in cui si sono prodotte ma sempre nel termine decadenziale dalla
conoscenza legale dell'atto conclusivo della relativa fase, salvo che
la  situazione invalidante si rifletta nell'intero processo impedendo
che  questo  pervenga  al  risultato che ne costituisce lo scopo, nel
qual  caso  e'  rilevabile  in  ogni  tempo: (v. Cass. 1999 n. 4584 e
Cass., sez. un. 1995, n. 11178).
Dunque,  rimane salva l'applicazione della vecchia disciplina, quando
sia  gia'  stata disposta la vendita, solo per la relativa fase della
vendita stessa e cosi', a titolo esemplificativo, per le vendite gia'
fissate  al  momento  dell'entrata in vigore della riforma, l'offerta
dopo  l'incanto deve essere di almeno un sesto superiore al prezzo di
aggiudicazione e non secondo la nuova disciplina, di cui all'art. 584
c.p.c.,  secondo  cui  l'offerta  successiva  all'aggiudicazione deve
essere  superiore  di  almeno  un  quinto; o ancora, l'offerente puo'
ritirarsi  dalla gara senza perdere la cauzione, come invece previsto
nell'ultimo  comma  del  nuovo  citato  articolo;  ed  ancora, non e'
necessaria  l'adesione  dell'offerente in caso di richiesta di rinvio
da  parte  del  creditore  munito di titolo escutivo, come richiesto,
invece, nell'art. 161-bis att. c.p.c.
Risulta,  dunque,  confermata l'applicazione retroattiva, per effetto
del  chiaro  disposto  transitorio, della nuova disciplina a tutte le
procedure  per  le  quali non sia stata emessa l'ordinanza di vendita
ovvero,  anche  quando stata emessa l'ordinanza di vendita, per tutte
le  fasi  anteriori  alla  vendita.  Ne consegue l'arretramento della
barriera  preclusiva  per la proposizione dell'istanza di conversione
fino al momento anteriore all'emissione dell'ordinanza di vendita.
Per  effetto  del  regime  transitorio  dettato dal legislatore della
riforma,  deriva  che  ogni  volta che l'istanza di conversione venga
proposta  dal  debitore  esecutato in una procedura in cui la vendita
sia  gia'  stata  disposta, l'istanza medesima deve essere dichiarata
inammissibile  e  cio'  anche  se  l'immobile non sia stato venduto a
causa  delle  vicende  processuali  concrete,  quali,  tra le ipotesi
maggiormente  ricorrenti,  l'istanza di rinvio da parte del creditore
procedente;  il  rinvio  disposto  ai  sensi dell'art. 631 c.p.c. per
mancata comparizione del creditore munito di titolo esecutivo; l'asta
andata deserta per mancanza di offerte.
Pertanto, emergono nel presente giudizio i profili di rilevanza della
questione,  atteso che l'applicazione dell'art. 495 c.p.c. anche alle
procedure  pendenti alla data di entrata in vigore della riforma, per
effetto  dell'art.  2,  comma  3-sexies,  d.l.  14 marzo 2005, n. 35,
convertito,  con  modificazioni,  nella  legge 14 maggio 2005, n. 80,
come  sostituito  dall'art. 1, comma 6, della legge 28 dicembre 2005,
n. 263  e  successivamente modificato dall'art. 39-quater del d.l. 30
dicembre  2005, n. 273, convertito, con modificazioni, nella legge 23
febbraio   2006,   n. 51,  viola  il  diritto  del  debitore  a  fare
affidamento  sulle posizioni giuridiche processuali acquisite secondo
cui egli poteva presentare domanda di conversione del pignoramento, e
cosi'  recuperare  l'immobile,  fino al giorno dell'udienza in cui si
teneva la vendita.
Infatti, secondo il vecchio art. 495 c.p.c. il debitore puo' chiedere
la  conversione  «in  qualsiasi momento anteriore alla vendita», dove
per vendita si era inteso, anche sulla scorta dell'orientamento della
Corte  di  legittimita',  l'udienza di vendita e non il provvedimento
che  lo  disponeva,  tanto  che in giurisprudenza si trattava solo di
risolvere   il  dubbio  se  il  diritto  alla  conversione  fosse  da
intendersi   esercitabile  anche  successivamente  all'aggiudicazione
provvisoria,   nei   dieci  giorni  successivi  e  necessari  per  il
consolidamento  dell'aggiudicazione  definitiva,  per  effetto  della
mancata presentazione di offerta in aumento di sesto, o se si dovesse
arretrare  il  detto  diritto  alla  soglia dell'aggiudicazione anche
provvisoria.  Sul  punto si erano pronunciate anche le sezioni unite,
con  sentenza  del  27  ottobre  1995,  n. 11178,  che si allineavano
sostanzialmente  alle  precedenti  pronunce in cui si era chiaramente
affermato  che  l'istanza  di  conversione doveva ritenersi possibile
anche dopo l'aggiudicazione provvisoria, in ragione del fatto che «la
funzione  della  conversione sarebbe quella di assicurare, in maniera
piu'  sicura,  attraverso  la  trasformazione  del bene in denaro, la
realizzazione  dei  diritti  dei  creditori,  con  la conseguenza che
quando  questo  risultato  e'  conseguito, non puo' trovare spazio la
tutela  di  situazioni  soggettive  a  favore  di  terzi  rispetto al
processo  esecutivo, in quanto si tratta di situazioni secondarie che
emergono  solo  quando  quelle  principali  sono  esaurite» (Cass. 23
luglio  1993,  n. 8236  e,  nello  steso senso, gia' Cass. 18 gennaio
1983, n. 413).
La  interpretazione  letterale come gia' finora illustrata non lascia
dubbi  interpretativi  sulla  portata  preclusiva  della  gia' emessa
ordinanza  di  vendita  rispetto all'istanza di conversione, ma anche
un'interpretazione  sistematica  conferma la volonta' del legislatore
nei   termini  adottati  dal  giudice  del  provvedimento  impugnato,
dichiarativo dell'inammissibilita' della conversione.
Infatti  il  regime  transitorio  dettato con le norme gia' citate fa
espressamente salvi gli interventi dei creditori non muniti di titolo
esecutivo  che  siano stati svolti nell'esecuzione prima del 1° marzo
del  2006,  con  cio'  confermando  che  tutto  cio' che non e' stato
espressamente  derogato  dalla  scelta  del  legislatore, rientra nel
principio  della  diretta  ed immediata applicazione del nuovo regime
processuale  per  ogni  atto, fase ed attivita' anche delle procedure
pendenti alla data di entrata in vigore della nuova disciplina.
La  questione  e'  dunque  rilevante ai fini del decidere la presente
fattispecie.
2) Giudizio di non manifesta infondatezza.
Posta  l'interpretazione della norma transitoria come sopra motivato,
nei   termini   di   rilevanza   della   questione,   la  censura  di
illegittimita'  costituzionale  appare  altresi'  non  manifestamente
infondata.
Invero deve essere sottoposto a scrutinio di costituzionalita' l'art.
495  c.p.c.  anche  alle  procedure  pendenti alla data di entrata in
vigore  della  riforma, per effetto dell'art. 2, comma 3-sexies, d.l.
14  marzo  2005, n. 35, convertito, con modificazioni, nella legge 14
maggio 2005, n. 80, come sostituito dall'art. 1, comma 6, della legge
28  dicembre  2005,  n. 263  e  successivamente  modificato dall'art.
39-quater   del  d.l.  30  dicembre  2005,  n. 273,  convertito,  con
modificazioni,  nella  legge  23 febbraio 2006, n. 51, nella parte in
cui  non  e'  previsto,  dopo  aver disposto «Quando tuttavia e' gia'
stata  ordinata la vendita, la stessa ha luogo con l'osservanza delle
norme  precedentemente  in  vigore»,  che  l'osservanza  delle  norme
precedenti  deve  estendersi  anche  con  riferimento all'affidamento
delle   posizioni   giuridiche  processuali  acquisite  dal  debitore
esecutato   che   poteva   presentare   domanda  di  conversione  del
pignoramento,  e  cosi'  salvare  il  suo  bene, fino al giorno della
vendita,  o  secondo  la  definizione  che l'eccellentissima Consulta
riterra' piu' conforme al diritto.
E'  chiaro  che  il cambiamento della legge processuale nel corso del
giudizio  (id  est,  nel  caso  di  specie, nel corso della procedura
esecutiva)  pone  un  problema  di  conservazione  (degli effetti sia
processuali  che  extraprocessuali) degli atti compiuti ma pone anche
un problema di unita' e coerenza interna della complessiva disciplina
dell'applicazione, in tempi diversi, delle norme abrogate e di quelle
successivamente introdotte.
Infatti,   la   mera  applicazione  nelle  procedure  pendenti  della
disciplina  nuova,  potrebbe  risultare  in  conflitto  con posizioni
legittimamente  acquisite  dalle  parti in virtu' del vecchio regime,
cosi'  dando  luogo  a  problemi  di  legittimita' costituzionale con
riferimento agli articoli 3 e 24, in particolare, della Costituizone.
Il  legislatore della riforma ha dettato un regime transitorio in cui
ha  distinto  le  fasi  soggette  ad  ultrattivita'  della disciplina
abrogata  (la  fase  della  vendita, quando e' gia' stata ordinata la
vendita  e  l'intervento del creditore non munito di titolo esecutivo
se  svolto  prima  dell'entrata  in  vigore  della  novella) e quelle
soggette  a  retroattivita'  della  disciplina  di nuova introduzione
(tutte le altre fasi della procedura diverse dalla vendita).
La  scelta  legislativa non ha tenuto conto dell'esigenza di certezza
che si pone per il cittadino non solo con riferimento al contenuto di
una legge ma anche riguardo alla legge processuale, dovendo conoscere
nella  dinamica  dei  suoi  diritti  processuali  quali principi sono
applicabili  a  tutela delle sue aspettative. Il cittadino ha, cioe',
il  diritto alla ragionevole aspettativa che la corretta applicazione
della  norma,  che  ha consacrato una determinata modalita' di difesa
processuale,  non  verra'  riconsiderata  a  posteriori  a  causa del
cambiamento  della  legge  che  regola  quell'atto e quella attivita'
processuale.
Orbene,  se  la  regola  dell'efficacia  irretroattiva  della  legge,
dettata  nell'art.  11  delle  disposizioni  preliminari  del  codice
civile, non e' regola intangibile per il legislatore che puo' dettare
apposita  normativa  transitoria  in  ragione delle sue insindacabili
scelte  politiche,  tuttavia  lo stesso legislatore dovra' pur sempre
operare tra i vari atti processuali un rapporto tale da consentire il
rispetto  dell'unita', della coerenza interna del sistema processuale
nel rispetto dei diritti costituzionali di azione e di difesa.
Certo  il legislatore deve individuare soluzioni operative e pratiche
che  realizzano  il passaggio da un sistema processuale all'altro pur
sempre   sulla  base  di  regole  di  esperienza,  ragionevolezza  ed
opportunita'  con  connotati  politici ed insindacabili e tuttavia il
legislatore,  nell'individuare  soluzioni  di diritto transitorio, e'
tenuto  ad  uniformarsi ai fondamentali principi costituzionali sulla
tutela dei diritti.
La  Consulta  si  e'  gia'  pronunciata  al  riguardo,  statuendo che
l'irretroattivita'   della   legge   rappresenta   uno  dei  principi
fondamentali  cui  il  legislatore  ordinario  deve  attenersi, salva
l'esistenza  di  una  effettiva  ragione giustificatrice e sempre nel
rispetto della certezza dei rapporti giuridici.
Il  principio  la  Corte lo ha affermato anche in materia processuale
«il  principio  dell'immediata  applicazione della sopravvenuta legge
processuale  si  applica,  dove manchi... una disciplina transitoria,
soltanto agli atti processuali successivi all'entrata in vigore della
legga stessa: questa non retroagisce, invece, su quelli anteriormente
compiuti,  i  quali  sono regolati, secondo il fondamentale principio
tempus  regit actum dalla legge sotto il cui imperio sono stati posti
in  essere»  (sent.  4  aprile  1990, n. 155, ma anche sent. 29 marzo
1991, n. 136).
Ha  dichiarato  la  Corte  che  il  legislatore  puo', facendo uso di
discrezionalita' temperata da ragionevolezza (valutazione comparativa
degli  interessi  sostanziali  e  della  posizione  processuale delle
parti)  disporre  nel  senso  tanto  della retroattivita' delle nuove
disposizioni  (sent.  1° luglio 1986, n. 199), quanto nel senso della
ultrattivita' di quelle abrogate (sent. 29 marzo 1991, n. 136) ma con
il  limite dell'osservanza dei principi costituzionali sul diritto di
difesa,  dovendo  assicurarsi la tutela delle ragionevoli aspettative
dei  litiganti,  nel  passaggio  da  una normativa piu' permissiva ad
altra piu' rigorosa.
Infatti  un'interpretazione  di  detto  principio lo ha reso la Corte
nella  sentenza,  interpretativa  di  rigetto,  del  26 gennaio 1988,
n. 82,  che  ha  dichiarato  non fondata la questione di legittimita'
cosituzionale   dell'art.   437,  secondo  comma,  c.p.c.  nel  testo
introdotto dalla legge 1973, n. 533, motivando che «le preclusioni in
appello,  ripristinate  con  la  legge n. 533 del 1973, hanno la loro
coerente  ed  insopprimibile  ragion  d'essere  nella nuova struttura
conferita   al   processo   di   primo   grado  da  tale  legge,  con
l'applicazione  dei  principi  di  oralita' ed immediatezza: sarebbe,
pertanto,  contrario al sistema processuale, globalmente considerato,
imporle  a  quanti  abbiano  partecipato  al  giudizio di primo grado
secondo  il  rito determinato dalla legge previgente. In altre parole
lo  jus  novrum  consentito  dall'art.  345  c.p. c. vecchio testo va
considerato, nel caso in cui il processo di primo grado si sia svolto
secondo  il  rito  abrogato,  come  un  effetto  gia'  prodotto dalla
sentenza  conclusiva  di  detto  procedimento, con la conseguenza che
esso  risulta  utilizzabile  dalle  parti nell'udienza di discussione
fissata  davanti  al  giudice di appello a norma dell'art. 435, primo
comma, c.p.c.».
In  sostanza la ratio della decisione e' nell'affermazione che l'atto
del  processo  non  solo non potra' essere posto in discussione dalla
legge sopravvenuta ma potra' condizionare l'applicazione futura della
legge  stessa  ogni volta che non venga rispettato il principio della
coerenza  interna, dell'unita' del singolo procedimento, e con esso i
diritti di difesa costituzionalmente garantiti.
Sulla base di tali posizioni del Giudice delle leggi ne deriva che se
il  legislatore  puo' adottare un regime transitorio derogativo, egli
e' sempre vincolato al rispetto delle regole di unita', continuita' e
coerenza  interna  del  procedimento, quali diretti precipitati delle
garanzie costituzionali.
Invero,   il   diritto   di   difesa   costituzionalmente   garantito
risulterebbe  violato  tutte le volte in cui la parte ha impostato la
propria strategia difensiva, delle posizioni giuridicamente tutelate,
alla  luce  della legge processuale vigente al momento del compimento
di  un  determinato  atto  o,  come  nel  caso de quo, addirittura in
riferimento ad una intera fase processuale.
Nella  procedura  esecutiva,  infatti,  il  debitore  sapeva di poter
contare  sul diritto di ottenere la conversione del pignoramento fino
al  giorno  dell'asta e addirittura, per effetto della giurisprudenza
di   legittimita'   piu'   sopra  richiamata,  dopo  l'aggiudicazione
provvisoria.
Dunque  la difesa atteggiata sulla disciplina vigente non puo' essere
danneggiata  dal  cambiamento  delle regole tecniche del processo che
diano  luogo,  per  tal  via,  all'inibizione di poteri e di facolta'
processuali  che  il  cittadino-parte processuale aveva acquisito nel
vigore della legge abrogata.
In  questo  senso  sono  state  molte  le pronunce della Consulta sul
principio di derivazione costituzionale della tutela dell'affidamento
del soggetto processuale (sent. n. 111 del 1998).
Analogamente  si  e'  espressa  la Corte costituzionale in materia di
intervento  legislativo  di interpretazione autentica ed ha affermato
che  la  stessa incontra dei limiti, tra i quali «i principi generali
di   ragionevolezza   e   di   uguaglianza,   quello   della   tutela
dell'affidamento legittimamente posto sulla certezza dell'ordinamento
giuridico  e  quello  del  rispetto delle funzioni costituzionalmente
riservate  al  potere  giudiziario»  ed  ha  precisato  che la tutela
dell'affidamento  «deve  valere anche in materia processuale, dove si
traduce  nell'esigenza  che  le  parti  conoscano  il  momento in cui
sorgono oneri con effetto loro pregiudizievoli, nonche' nel legittimo
affidamento delle parti stesse nello svolgimento del giudizio secondo
le regole vigenti al compimento degli atti processuali».
Al  principio di affidamento si ispirano le sentenze 4 novembre 1999,
n. 416; 16 aprile 1998, n. 111.
Dunque  il  legislatore  puo'  adottare  scelte particolari di regime
transitorio  purche' la soluzione in concreto dettata sia ragionevole
e non confligga con i principi costituzionali (art. 3 e 24 Cost.).
In   definitiva  e'  acquisito  al  vaglio  di  costituzionalita'  il
fondamentale  molo della clausola generale di ragionevolezza che deve
informare il legislatore.
Nella fattispecie la Corte potra' accertare la violazione del diritto
di  difesa  e del principio di uguaglianza non solo verificando se il
legislatore   abbia   adottato   un  pari  trattamento  giuridico  di
situazioni uguali ma soprattutto se abbia saputo cogliere il rispetto
del   vero   nucleo   del  principio  di  uguaglianza  attraverso  un
trattamento  adeguatamente differenziato di situazioni giuridiche tra
loro diverse.
Il  principio  di  ragionevolezza  non  potra'  sfuggire dal consueto
canone  fondamentale  di  valutazione della legittimita' e non potra'
non  consentire  di  individuare che nella fattispecie l'applicazione
delle   norme   censurate   non   tengono   conto   del   trattamento
differenziato,   rispetto   ai  debitori,  di  situazioni  giuridiche
diverse,  quelle  maturate  nella  ragionevole  aspettativa di tutela
secondo  il  vecchio regime e quella non ancora acquisita alla tutela
del  debitore  di procedure per le quali mai ancora e' stata disposta
la vendita.
L'assenza  di razionalita' legislativa che appare emergere nel regime
transitorio   non   puo'   non  tramutarsi  in  una  vera  e  propria
discriminazione.
La  Corte  ha  avuto  modo  di  esplicitare  le proprie decisioni sul
principio di ragionevolezza delle statuizioni volte a giustificare la
disparita'  di  trattamento  fra  i cittadini (sent. n. 104 del 1968;
sent. n. 200 del 1972; sent. n. 10 del 1980 e n. 15 e 177 del 1983).
Per   tutto   quanto   sopra   motivato,  la  questione  non  risulta
manifestamente   infondata   emergendo  il  fumus  boni  juris  sulla
fondatezza  della  questione  per violazione degli artt. 3 e 24 della
Costituzione e dei principi costituzionali impliciti di affidamento e
di ragionevolezza, come sopra illustrati.
                              P. Q. M.
Visti  gli  articoli 136 Cost., 1, legge Cost. 1948, n. 1 e 23, legge
1953,  n. 87;  Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata la
questione  di legittimita' costituzionale degli artt. 495 c.p.c. e 2,
comma   3-sexies,   d.l.   14  marzo  2005,  n. 35,  convertito,  con
modificazioni,  nella  legge  14  maggio 2005, n. 80, come sostituito
dall'art.  1,  comma  6,  della  legge  28  dicembre  2005,  n. 263 e
successivamente  modificato  dall'art. 39-quater del d.l. 30 dicembre
2005,  n. 273, convertito, con modificazioni, nella legge 23 febbraio
2006,  n. 51,  per violazione degli artt. 3 e 24 Cost. e dei principi
costituzionali   impliciti  della  ragionevolezza  delle  statuizioni
legislative  e  dell'affidamento  del soggetto processuale all'azione
secondo la legge processuale vigente, nella parte in cui le censurate
disposizioni   non  fanno  salvo  il  diritto  del  debitore  a  fare
affidamento   sulla  posizione  giuridica  processualmente  acquisita
secondo  cui  egli  poteva  presentare  domanda  di  conversione  del
pignoramento,   e   cosi'   recuperare  l'immobile,  fino  al  giorno
dell'udienza  in  cui  si  teneva  la  vendita.  Sospende il presente
giudizio  e  la  relativa  procedura  esecutiva  per pregiudizialita'
costituzionale;  Dispone  l'immediata  trasmissione  degli  atti alla
Corte  costituzionale; Dispone altresi' che la presente ordinanza sia
comunicata  al  Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti
della  Camera  dei deputati e del Senato della Repubblica; Manda alla
cancelleria  per  quanto  di  competenza  e per la comunicazione alle
parti secondo il rito.
     Roma, addi' 3 maggio 2007
                       Il giudice: Battagliese