N. 65 ORDINANZA 10 - 14 marzo 2008

  Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

  Reati   e  pene  -  Prescrizione  -  Atti  interruttivi  -  Mancata
  inclusione  dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari -
  Denunciata  ingiustificata  disparita'  di trattamento fra le parti
  del  processo  -  Richiesta di pronuncia additiva in malam partem -
  Intervento  precluso  alla Corte - Manifesta inammissibilita' della
  questione.
  -  Cod.  pen.,  art.  160,  modificato  dall'art.  6  della legge 5
  dicembre 2005, n. 251.
  - Costituzione, artt. 3 e 111.
(GU n.13 del 19-3-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta  dai  signori:  Presidente:  Franco  BILE; Giudici: Giovanni
Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE SIERVO, Paolo MADDALENA,
Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA,
Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe
TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO; ha pronunciato la seguente
                              Ordinanza
nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 160 del codice
penale  modificato  dall'art.  6  della legge 5 dicembre 2005, n. 251
(Modifiche  al  codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in
materia   di  attenuanti  generiche,  di  recidiva,  di  giudizio  di
comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di
prescrizione),  promosso  con ordinanza del 3 maggio 2006 dal Giudice
per  le indagini preliminari del Tribunale di Milano nel procedimento
penale  a  carico  di R. G. ed altri, iscritta al n. 313 del registro
ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 38, 1ª serie speciale, dell'anno 2006.
   Visti  l'atto  di costituzione di R. G. ed altri nonche' l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  15  gennaio  2008  il  giudice
relatore Giovanni Maria Flick;
   Udito  l'avvocato  dello Stato Massimo Giannuzzi per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
   Ritenuto  che,  con  l'ordinanza  in  epigrafe,  il Giudice per le
indagini  preliminari  del  Tribunale  di  Milano  ha  sollevato,  in
riferimento  agli  artt.  3  e  111  della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  160 del codice penale, nella
parte  in  cui «non prevede l'avviso di conclusione delle indagini di
cui  all'art.  415-bis  cod.  proc.  pen. quale atto interruttivo del
corso della prescrizione»;
     che   il   rimettente   -  premesso  che,  in  sede  di  udienza
preliminare,  la  difesa  degli  imputati ha richiesto l'emissione di
pronuncia  di non luogo a procedere ai sensi dell'art. 425 del codice
di  procedura  penale,  sul rilievo dell'intervenuta prescrizione dei
reati  contestati, gia' maturata all'atto della richiesta di rinvio a
giudizio  -  evidenzia  che,  prima  di tale evento, «l'unico atto di
iniziativa  del  P.M.  inoltrato  agli  imputati interessati» risulta
essere  l'avviso  di conclusione delle indagini preliminari, ai sensi
dell'art.  415-bis  cod.  proc.  pen.: atto non rientrante tra quelli
indicati  dall'art. 160, secondo comma, cod. pen. ed aventi efficacia
interruttiva del corso della prescrizione;
     che   questi   ultimi   -  argomenta  il  giudice  a  quo  -  si
caratterizzano    per    essere    sintomatici    della   persistenza
dell'interesse  punitivo  in  capo allo Stato, presupponendo essi «lo
svolgimento   di   attivita'   processuale   da  parte  degli  organi
giudiziari»:  cosi'  da  palesare  la  volonta' dello Stato, espressa
attraverso  i  suoi  organi,  di  proseguire  nella pretesa punitiva;
caratteristiche,  queste,  che connotano indubbiamente anche l'avviso
di  cui  all'art. 415-bis cod. proc. pen., introdotto nel rito penale
dalla legge n. 479 del 1999;
     che,  invero, attraverso l'avviso di conclusione delle indagini,
il pubblico ministero «concretamente anticipa» l'accusa nei confronti
della  persona  indagata,  attraverso  modalita'  formali  del  tutto
assimilabili  alla  contestazione  del  fatto  cui  e' preordinata la
richiesta  di  rinvio  a  giudizio:  cosi' manifestandosi, attraverso
un'univoca  iniziativa  dell'organo d'accusa, la volonta' statuale di
coltivare la punizione da parte dello Stato;
     che   pertanto,   deduce  ancora  il  giudice  a  quo,  l'omesso
inserimento  di  tale  atto  nel novero di quelli interruttivi di cui
all'art.  160,  secondo  comma,  cod.  pen. puo' essere spiegato solo
ipotizzando  «il mancato coordinamento tra la disposizione introdotta
[...]  ed  il  codice  di  diritto sostanziale»; apparendo altrimenti
incongruo  che  ad  un  tal  genere  di atto, in tutto rispondente ai
criteri che connotano gli altri atti interruttivi della prescrizione,
non venga riconosciuta identica efficacia;
     che d'altra parte tale esclusione, secondo il rimettente, non e'
emendabile   in   via   interpretativa,   attraverso  l'assimilazione
dell'avvertimento    all'indagato    della    facolta'   di   rendere
interrogatorio,  contenuto  nell'avviso  ex  art.  415-bis cod. proc.
pen.,  all'invito  a  presentarsi  per  rendere interrogatorio di cui
all'art.  375,  comma  3,  del  medesimo  codice: atto, quest'ultimo,
invece  annoverato fra quelli che producono l'effetto di interrompere
il  corso  della prescrizione; sicche' l'esclusione si traduce in una
ingiustificata    disparita'    di    trattamento   «tra   situazioni
sostanzialmente identiche per ratio e natura», contrastando cosi' con
l'art. 111, secondo comma, della Costituzione;
     che,    infatti,   e'   risolto   immotivatamente,   in   favore
dell'indagato,  il  contrasto  tra  l'interesse  di quest'ultimo alla
estinzione  del  reato  per  decorso  del tempo e quello dello Stato,
impersonato  dal  pubblico  ministero,  che  non ha tuttavia palesato
inerzia o disinteresse alla pretesa punitiva;
     che  tale  situazione,  ad avviso del giudice a quo, integra una
disparita'  di trattamento tra le parti processuali in violazione del
principio  di  parita'  di esse nel processo, espresso nell'art. 111,
secondo  comma,  della  Costituzione,  «in  adesione al piu' generale
principio di cui all'art. 3 della Costituzione»;
     che  nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello
Stato,   concludendo  per  l'inammissibilita'  o,  comunque,  per  la
manifesta  infondatezza  della questione e ritenendo, in particolare,
«improprio»  il richiamo al principio costituzionale di parita' delle
parti   nel   processo:   principio   «di   carattere   squisitamente
processuale»  e,  come  tale,  inidoneo  a  fondare  una  censura  di
incostituzionalita' di una norma in materia di prescrizione, istituto
di diritto sostanziale;
     che   nel   giudizio   di   costituzionalita'   hanno   spiegato
costituzione  le  parti  private  G.R., A.C. ed A.C., concludendo per
l'infondatezza della questione;
     che  la  difesa  privata - muovendo dal presupposto che l'elenco
delle  cause  interruttive  di  cui  all'art.  160  cod.  pen.  e' da
intendersi nel senso di «rigorosa tassativita», ragion per cui un suo
ampliamento  e' destinato a risolversi in una «inammissibile analogia
in malam partem» - afferma che l'avviso di conclusioni delle indagini
non  e'  atto  idoneo  ad  evidenziare  l'interesse  dello Stato alla
punizione   del   colpevole,  rivestendo  piuttosto  la  funzione  di
consentire  all'indagato  di difendersi provando; per altro verso, la
difesa privata assume che, ferma restando la sovrana discrezionalita'
del   legislatore   nell'individuare   gli   atti   aventi  efficacia
interruttiva   della   prescrizione,   il   sindacato   della   Corte
risulterebbe comunque paralizzato dal principio di legalita' espresso
nell'art.   25   Cost.,  posto  che  una  pronuncia  di  accoglimento
comporterebbe  l'innesto,  nel  sistema, di norma di minor favore per
l'imputato.
   Considerato  che  il  Giudice  per  le  indagini  preliminari  del
Tribunale  Milano  dubita  della  compatibilita'  costituzionale,  in
riferimento  agli artt. 3 e 111 della Carta, dell'art. 160 del codice
penale,  nella  parte  in  cui  tale  norma non prevede, tra gli atti
interruttivi  del  corso  della prescrizione, l'avviso di conclusione
delle  indagini  di  cui all'art. 415-bis del codice del rito penale:
situazione  che,  ad  avviso  del  rimettente, si risolverebbe in una
ingiustificata  disparita'  di  trattamento  in favore dell'indagato,
attesa  l'irragionevole  esclusione  di  un  atto  di  iniziativa del
pubblico  ministero,  del  tutto  identico,  per natura e funzione, a
quelli tipici contemplati nella norma addotta a sospetto;
     che   il   giudice   a   quo   muove  dal  corretto  presupposto
interpretativo  - di recente ribadito anche dalle Sezioni unite della
Suprema  Corte  di  Cassazione (sentenza 22 febbraio 2007 n. 21833) -
secondo  il  quale  l'avviso  di  conclusione  delle indagini ex art.
415-bis   cod.   proc.  pen.  non  ha  efficacia  interruttiva  della
prescrizione,   non   risultando   compreso  nell'elenco  degli  atti
espressamente  previsti  dall'art.  160, secondo comma, cod. pen.; e,
nondimeno,  egli  richiede una pronuncia additiva, volta ad integrare
la   serie  degli  atti  che,  contemplati  nella  norma  del  codice
sostanziale,  risultano  gli  unici  idonei  a  produrre l'effetto di
interrompere il corso della prescrizione;
     che  tuttavia la pronuncia che il rimettente sollecita - mirando
ad introdurre una nuova ipotesi di interruzione della prescrizione al
di  fuori di quelle contemplate dal legislatore - esorbita dai poteri
spettanti  a  questa Corte, a cio' ostando il principio della riserva
di  legge sancito dall'art. 25, secondo comma, Cost.; tale principio,
rimettendo  al legislatore la scelta dei fatti da sottoporre a pena e
delle  sanzioni  loro  applicabili,  inibisce  alla  Corte  tanto  la
creazione  di  nuove  fattispecie  criminose o l'estensione di quelle
esistenti a casi non previsti, quanto «di incidere in peius
sulla  risposta  punitiva  o  su  aspetti  inerenti alla punibilita»:
aspetti  fra  i  quali,  indubbiamente,  rientrano quelli inerenti la
disciplina  della  prescrizione  e  dei  relativi atti interruttivi o
sospensivi   (si   veda   la   sentenza  n. 394  del  2006;  riguardo
all'introduzione  di  nuove  ipotesi  di interruzione del corso della
prescrizione,  si vedano, tra le tante, le ordinanze n. 245 del 1999;
n. 412  del  1998; n. 178 del 1997; n. 315 del 1996; n. 144 del 1994;
nn. 193 e 188 del 1993);
     che  pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente
inammissibile.
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
              Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara   la   manifesta   inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale dell'art. 160, secondo comma, del codice
penale,   sollevata,   in  riferimento  agli  artt.  3  e  111  della
Costituzione,  dal  Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
di Milano con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2008.
                         Il Presidente: Bile
                         Il redattore: Flick
                      Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 14 marzo 2008.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola