N. 69 ORDINANZA 10 - 14 marzo 2008

  Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

  Processo  penale  -  Dibattimento  -  Contestazione  suppletiva del
  pubblico  ministero di circostanze aggravanti gia' desumibili dagli
  atti  delle  indagini  preliminari, in particolare della recidiva -
  Rimessione  in  termini  dell'imputato per la richiesta di giudizio
  abbreviato  o  di  applicazione  della  pena - Mancata previsione -
  Prospettata  lesione  del  diritto  di  difesa  e del principio del
  giusto  processo,  nonche'  lamentata  ingiustificata disparita' di
  trattamento  tra  imputati - Difetto di rilevanza della questione -
  Manifesta inammissibilita'.
  - Cod. proc. pen., art. 517.
  - Costituzione, artt. 3, 24 e 111.
(GU n.13 del 19-3-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta  dai  signori:  Presidente:  Franco  BILE; Giudici: Giovanni
Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE SIERVO, Paolo MADDALENA,
Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA,
Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe
TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO; ha pronunciato la seguente
                              Ordinanza
nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 517 del codice
di  procedura  penale,  promosso con ordinanza del 12 giugno 2007 dal
Tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di L. E., iscritta
al  n. 713  del  registro  ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 41, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  Camera  di consiglio del 27 febbraio 2008 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
   Ritenuto  che,  con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale
di  Roma,  in  composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento
agli  artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  dell'art.  517  del codice di procedura penale, nella
parte  in  cui non prevede che - nel caso di contestazione suppletiva
di   circostanze   aggravanti,   e  in  particolare  della  recidiva,
effettuata  dal  pubblico  ministero  in  base  alle risultanze delle
indagini  preliminari,  e  non  di  nuovi  elementi  emersi nel corso
dell'istruttoria dibattimentale - l'imputato venga rimesso in termini
ai  fini della presentazione della richiesta di giudizio abbreviato o
di applicazione della pena;
     che  il rimettente - investito del processo nei confronti di una
persona  imputata  dei  reati  di cui agli artt. 640 e 648 del codice
penale  -  riferisce  che,  dopo  la  dichiarazione  di  apertura del
dibattimento  e  l'ammissione  delle  prove  richieste dalle parti, e
prima  che  avesse  inizio l'istruttoria, il pubblico ministero aveva
contestato  all'imputato,  rimasto  contumace, la recidiva specifica,
infraquinquennale e reiterata;
     che  -  disposta la notifica al contumace del verbale recante la
contestazione  suppletiva  -  alla  successiva  udienza  il difensore
dell'imputato  aveva  eccepito  l'illegittimita'  costituzionale,  in
relazione  all'art.  111  Cost., dell'art. 517 cod. proc. pen., nella
parte  in  cui  non  prevede che, in caso di contestazione suppletiva
della  recidiva  da  parte  del  pubblico  ministero,  l'imputato sia
rimesso  in  termini  per chiedere la definizione del processo con il
rito abbreviato;
     che,  ad  avviso  del rimettente, la questione sarebbe rilevante
nel  giudizio  a  quo,  in  quanto  la contestazione suppletiva della
recidiva  e'  avvenuta  in  un momento successivo al compimento delle
formalita'  di  cui  all'art.  491  cod.  proc.  pen., costituenti il
termine   ultimo  per  l'esercizio,  da  parte  dell'imputato,  della
facolta'  di  chiedere  la  definizione del processo con uno dei riti
alternativi:   onde  il  rimettente  stesso  si  troverebbe  a  dover
delibare,  alla  stregua di tale dato, «l'ammissibilita' o meno della
richiesta  di  giudizio  abbreviato  implicitamente  anticipata dalla
difesa dell'imputato»;
     che   quanto,   poi,   alla  non  manifesta  infondatezza  della
questione,  il  giudice a quo ricorda come questa Corte, con sentenza
n. 265  del  1995  (recte:  1994)  -  innovando  la propria pregressa
giurisprudenza  -  abbia  dichiarato  l'illegittimita' costituzionale
degli  artt.  516  e  517  cod.  proc.  pen.,  nella parte in cui non
prevedono  la  facolta'  dell'imputato  di  chiedere  al  giudice del
dibattimento  l'applicazione  della  pena, a norma dell'art. 444 cod.
proc.  pen.,  relativamente  al  fatto diverso o al reato concorrente
contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un
fatto   che  gia'  risultava  dagli  atti  di  indagine,  al  momento
dell'esercizio dell'azione penale;
     che in tali casi, difatti - secondo quanto precisato dalla Corte
-  la  libera  determinazione  dell'imputato  verso  i  riti speciali
risulta  sviata  da aspetti di «anomalia» caratterizzanti la condotta
processuale  del  pubblico  ministero,  derivanti  dall'erroneita'  o
dall'incompletezza  dell'imputazione,  apprezzabile  sulla base degli
stessi  atti  d'indagine:  cosi'  che non potrebbe parlarsi di libera
assunzione del rischio del dibattimento da parte del giudicabile;
     che  una simile disciplina - sempre per affermazione della Corte
-  risulterebbe,  altresi', censurabile in rapporto all'art. 3 Cost.,
venendo    l'imputato   irragionevolmente   discriminato,   ai   fini
dell'accesso  ai  riti  speciali,  in ragione della maggiore o minore
esattezza  della  discrezionale  valutazione  delle  risultanze delle
indagini preliminari da parte del pubblico ministero, nell'esercitare
l'azione penale alla chiusura delle indagini stesse;
   che  -  a  parere  del giudice a quo - le medesime conclusioni non
potrebbero  non valere anche in rapporto alla contestazione «tardiva»
di  circostanze aggravanti: di circostanze, cioe', la cui sussistenza
fosse ravvisabile dal pubblico ministero gia' in base agli atti delle
indagini preliminari;
     che,   pure   in  tale  ipotesi,  la  mancata  previsione  della
rimessione  in  termini  dell'imputato  per  la  richiesta  dei  riti
speciali   si   risolverebbe   in   una   discriminazione   priva  di
giustificazione  razionale; nonche' in una violazione del diritto del
giudicabile  a  difendersi  e  ad  essere  sottoposto  ad  un  giusto
processo,  inteso  come  «diritto  ad  una scelta del rito pienamente
consapevole, assunta in base alla previsione ed alla ponderazione dei
rischi connessi»;
     che  la scelta del rito, da parte di un imputato gravato da piu'
precedenti penali, risulterebbe, infatti, inevitabilmente influenzata
dalla  contestazione  o  meno, ad opera del pubblico ministero, della
circostanza aggravante della recidiva: e cio' specie ove si tratti di
recidiva  reiterata,  stante il divieto del giudizio di prevalenza su
di essa di eventuali circostanze attenuanti, introdotto dalla legge 5
dicembre  2005,  n. 251;  divieto  a fronte del quale la richiesta di
giudizio  abbreviato  o  dell'applicazione  di  pena rappresenterebbe
l'unico  modo  per  ottenere  una riduzione - di un terzo o fino a un
terzo - del trattamento sanzionatorio;
     che,  in  tale  prospettiva,  la  contestazione  «tardiva» della
recidiva,  effettuata  dal  pubblico  ministero  dopo  l'apertura del
dibattimento,    rappresenterebbe    «un'anomalia    della   condotta
processuale    della    parte    pubblica»,   idonea   «a   frustrare
irrimediabilmente  la  strategia  difensiva  dell'imputato in uno dei
suoi punti chiave»;
     che   nel   giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto  il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale dello Stato, chiedendo che la questione sia
dichiarata non fondata.
   Considerato  che  il  giudice  a  quo  dubita  della  legittimita'
costituzionale,   in  riferimento  agli  artt.  3,  24  e  111  della
Costituzione,  dell'art.  517  del  codice di procedura penale, nella
parte  in cui non prevede che - nel caso in cui il pubblico ministero
contesti in dibattimento circostanze aggravanti gia' desumibili dagli
atti  delle  indagini  preliminari,  e  in  particolare la recidiva -
l'imputato venga rimesso in termini ai fini della presentazione della
richiesta di giudizio abbreviato o di applicazione della pena;
     che  dall'ordinanza  di rimessione emerge, peraltro, che nessuna
richiesta   di   rito  alternativo  e'  stata,  in  concreto,  ancora
presentata dall'imputato nel giudizio a quo;
     che  il rimettente desume, infatti, la rilevanza della questione
unicamente   dalla   circostanza  che  il  difensore  abbia  eccepito
l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 517 cod. proc. pen., nella
parte in cui non consente all'imputato di accedere al rito abbreviato
nell'ipotesi  considerata:  eccezione che il giudice a quo interpreta
come «implicita anticipazione» della relativa richiesta;
     che, proprio in quanto tale, detta eccezione non vale, tuttavia,
a  rendere  attualmente pregiudiziale il quesito di costituzionalita'
rispetto  alla  definizione  del giudizio a quo: e cio' specie ove si
consideri  che  -  essendo  l'imputato  contumace  - il difensore non
potrebbe  presentare  la  richiesta  di  giudizio  abbreviato per suo
conto,  salvo  che sia munito di procura speciale (art. 438, comma 3,
cod.  proc.  pen.);  evenienza  della quale non v'e', peraltro, alcun
cenno nell'ordinanza di rimessione;
     che, pertanto - a prescindere da ogni rilievo riguardo al merito
delle  censure, e segnatamente quanto alla validita' dell'assunto per
cui,  in  rapporto  ad  una  circostanza aggravante quale la recidiva
(basata   sui  meri  precedenti  penali  dell'imputato),  la  mancata
tempestiva richiesta del rito alternativo non comporterebbe la libera
assunzione del «rischio» della sua contestazione in dibattimento - la
questione va dichiarata manifestamente inammissibile (con riferimento
ad analogo quesito, si veda l'ordinanza n. 129 del 2003).
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
              Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara   la   manifesta   inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  517  del codice di procedura
penale,  sollevata,  in  riferimento  agli  artt.  3,  24 e 111 della
Costituzione,  dal  Tribunale  di  Roma  con  l'ordinanza indicata in
epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2008.
                         Il Presidente: Bile
                         Il redattore: Flick
                      Il cancelliere:  Di Paola
   Depositata in cancelleria il 14 marzo 2008.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola