N. 87 ORDINANZA 31 marzo - 4 aprile 2008

  Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
  Fallimento  e  procedure  concorsuali  -  Riabilitazione  civile  -
  Abrogazione  del procedimento di riabilitazione ad opera del d.lgs.
  n. 5  del  2006 - Ultrattivita' della previgente legge fallimentare
  nei  confronti  di  coloro  che  sono  stati dichiarati falliti con
  integrale   applicazione   della   pregressa  normativa  -  Mancata
  previsione  -  Lamentata  lesione  dei  principi di uguaglianza, di
  ragionevolezza e del diritto di difesa - Sopravvenuto mutamento del
  quadro   normativo   e   sopravvenuta  sentenza  di  illegittimita'
  costituzionale - Necessita' di un nuovo esame sulla rilevanza delle
  questioni - Restituzione degli atti ai giudici rimettenti.
  - D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, artt. 17 (recte: 15), 47, 128, 129 e
  150;  d.P.R.  14 novembre 2002, n. 313, artt. 24, 25 e 26 (rectius:
  artt.  24, comma 1, lettera n), 25, comma 1, lettera n) e 26, comma
  1, lettera b).
  - Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.16 del 9-4-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta  dai  signori:  Presidente:  Franco  BILE; Giudici: Giovanni
Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE SIERVO, Paolo MADDALENA,
Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA,
Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe
TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO; ha pronunciato la seguente
                              Ordinanza
nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale degli artt. 17 (recte:
15),  47, 128, 129 e 150 del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5
(Riforma  organica  della  disciplina  delle  procedure concorsuali a
norma  dell'art.  1,  comma  5,  della  legge 14 maggio 2005, n. 80),
nonche'  degli artt. 24, 25 e 26 (rectius: artt. 24, comma 1, lettera
n,  25, comma 1, lettera n, e 26, comma 1, lettera b) del decreto del
Presidente  della  Repubblica  14  novembre 2002, n. 313 (Testo unico
delle   disposizioni   legislative  e  regolamentari  in  materia  di
casellario  giudiziale,  di  anagrafe  delle  sanzioni amministrative
dipendenti  da  reato  e dei relativi carichi pendenti), promossi con
ordinanza  del 26 febbraio 2007 dal Tribunale ordinario di Udine, con
7  ordinanze  del 19 gennaio 2007 e 3 ordinanze del 14 marzo 2007 dal
Tribunale  ordinario di Pescara, rispettivamente iscritte ai nn. 521,
624,  625,  626,  627,  628,  629,  719,  720, 721 e 722 del registro
ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
nn. 28, 36 e 42, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
   Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  Camera  di consiglio del 13 febbraio 2008 il giudice
relatore Paolo Maria Napolitano.
   Ritenuto  che, nel corso di un giudizio originato dalla istanza di
D. G. G., dichiarata fallita con sentenza del 5 giugno 1991, volta ad
ottenere,  dopo  cinque  anni dalla chiusura del fallimento, disposta
con  decreto  del 19 ottobre 2000, la dichiarazione di riabilitazione
ex  art.  142 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del
fallimento,    del    concordato   preventivo,   dell'amministrazione
controllata e della liquidazione coatta amministrativa), il Tribunale
ordinario  di Udine, con ordinanza depositata il 26 febbraio 2007, ha
sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3  e 24 della Costituzione,
questione  di legittimita' costituzionale degli artt. 17 (recte: 15),
47,  128,  129  e  150  del  decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5
(Riforma  organica  della  disciplina  delle  procedure concorsuali a
norma  dell'art.  1,  comma  5,  della  legge 14 maggio 2005, n. 80),
nonche'  degli artt. 24, 25 e 26 (rectius: artt. 24, comma 1, lettera
n),  25,  comma  1, lettera n), e 26, comma 1, lettera b) del decreto
del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313 (Testo unico
delle   disposizioni   legislative  e  regolamentari  in  materia  di
casellario  giudiziale,  di  anagrafe  delle  sanzioni amministrative
dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti);
     che  il  Tribunale  rimettente,  osservato  che,  essendo  stato
abolito   il   registro  dei  falliti  a  seguito  della  intervenuta
abrogazione  dell'art.  50  della  legge  fallimentare,  ed  essendo,
conseguentemente, anche caduta la previsione della iscrizione in esso
del  nominativo  delle  persone delle quali fosse stato dichiarato il
fallimento, sono venute meno le conseguenze pregiudizievoli che erano
connesse alla predetta iscrizione, rileva che deve ritenersi non piu'
esperibile la procedura di riabilitazione connessa ai fallimenti gia'
chiusi alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2006, posto
che  l'art.  150  dello  stesso  decreto  legislativo  prevede che si
continui ad applicare la precedente disciplina fallimentare solo alle
procedure  ancora  pendenti  al momento della entrata in vigore della
nuova normativa, mentre la riabilitazione presuppone la gia' avvenuta
chiusura del fallimento;
     che,  prosegue  il  rimettente,  sebbene la nuova disciplina dei
fallimenti  preveda, anche per quelli apertisi anteriormente alla sua
entrata  in  vigore, la immediata cessazione di tutte le «incapacita'
del  fallito»  al momento della chiusura del fallimento, tuttavia non
e'  possibile  «cancellare»  dal  casellario giudiziale la iscrizione
della  sentenza dichiarativa del fallimento, se non in caso di revoca
di questo;
     che,  aggiunge  il Tribunale di Udine, secondo quanto prescritto
dall'art.  3,  lettera  q), del d.P.R. n. 313 del 2002, la iscrizione
nel  casellario  giudiziale della sentenza di fallimento deve tuttora
essere eseguita, col risultato che, anche per i fallimenti dichiarati
sotto  il  vigore  della nuova disciplina fallimentare, essendo stata
abrogata  la  procedura  di  riabilitazione,  non  e'  piu' possibile
ottenere,  neppure  dopo  la chiusura del fallimento, la non menzione
dell'avvenuto fallimento nei certificati del casellario giudiziale;
     che,  secondo  il  rimettente,  cio'  determina  sia «una palese
compromissione   dei   diritti  civili  delle  persone  sottoposte  a
fallimento»,  risultando  impossibile  - a causa della abolizione del
procedimento  per  la  riabilitazione  - anche per coloro che fossero
stati  dichiarati  falliti  sulla  base  delle norme previgenti e non
avessero  ancora maturato i requisiti per chiedere la riabilitazione,
o  comunque  non  lo avessero fatto prima della entrata in vigore del
d.lgs. n. 5 del 2006, ottenere la «cancellazione» della dichiarazione
di   fallimento   dal  casellario  giudiziale,  sia  un'inammissibile
disparita'  di  trattamento fra quanti, prima della entrata in vigore
del  d.lgs.  n. 5 del 2006, hanno conseguito il predetto beneficio, e
quanti, quale sia stata la legge regolatrice del loro fallimento, non
avendo  tempestivamente  ottenuto la riabilitazione, continueranno ad
essere gravati dalla menzionata pregiudizievole iscrizione;
     che  e'  intervenuto nel giudizio di legittimita' costituzionale
il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri, rappresentato e difeso
dalla  Avvocatura  generale  dello  Stato,  che  ha  concluso  per la
inammissibilita'  o,  comunque,  per  l'infondatezza  della questione
sollevata;
     che,   preliminarmente,   la   difesa  erariale  ha  dedotto  la
inammissibilita' della questione per difetto di rilevanza, affermando
che, non sussistendo allo stato a carico della istante nel giudizio a
quo   alcuna   conseguenza  pregiudizievole  della  dichiarazione  di
fallimento,  la  medesima sarebbe, in quello stesso giudizio, carente
di interesse a ricorrere;
     che,  nel  merito,  la  interveniente difesa ha osservato che il
rimettente non avrebbe dimostrato quale lesione possa derivare, a chi
sia  fallito,  dalla  iscrizione,  meramente rappresentativa del dato
storico,  della  sentenza  dichiarativa del fallimento nel casellario
giudiziale;
     che,  con  dieci ordinanze, sostanzialmente di identico tenore -
sette  delle  quali  depositate  il 19 gennaio 2007 e tre il 14 marzo
2007,   pronunziate   nel  corso  di  altrettanti  giudizi  volti  al
conseguimento   della  riabilitazione  da  parte  di  coloro  il  cui
fallimento,  dichiarato  anteriormente alla data di entrata in vigore
del d.lgs. n. 5 del 2006, era stato chiuso oltre 5 anni prima di tale
data - il Tribunale ordinario di Pescara ha sollevato, in riferimento
all'art.    3   della   Costituzione,   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 150 del d.lgs. n. 5 del 2006, nella parte in
cui  non prevede la persistente applicabilita', nei confronti di quei
soggetti  il  cui  fallimento  sia stato integralmente regolato dalla
previgente    disciplina   fallimentare,   delle   disposizioni   che
prevedevano e regolavano la procedura di riabilitazione;
     che, come rileva il rimettente, il 16 gennaio 2006 e' entrato in
vigore  l'art.  47  del  d.lgs.  n. 5  del 2006, il quale ha abrogato
l'art.  50  della  legge  fallimentare  che istituiva il registro dei
falliti  e correlava alla iscrizione in detto registro la persistenza
delle  incapacita'  personali  stabilite  dalla  legge  a  carico dei
falliti;
     che, prosegue il Tribunale di Pescara, sebbene il citato art. 47
del  d.lgs.  n. 5  del  2006  sia  applicabile  anche  ai  fallimenti
dichiarati  prima  della sua entrata in vigore, di talche', anche per
tali  fattispecie,  puo'  ritenersi  che dalla data sopra indicata le
incapacita'   personali   che  conseguono  al  fallimento  permangono
soltanto  finche'  permane  lo  status  di  fallito  e cessano con la
chiusura  del  fallimento,  senza  che  sia  a  tal  fine  necessario
procedere alla riabilitazione del fallito, tuttavia non per questo vi
e'  totale carenza di interesse da parte dei ricorrenti nei giudizi a
quibus;
     che,   infatti,   gli   effetti   della  riabilitazione  non  si
esauriscono  nella  sola  cancellazione  del nome del riabilitato dal
registro dei falliti e nella conseguente cessazione delle incapacita'
personali   connesse  a  tale  iscrizione,  residuando  anche  quelli
previsti   dall'art.   241  legge  fallimentare,  relativamente  alla
estinzione  del  reato  di  bancarotta  semplice  o,  in caso di gia'
intervenuta  condanna,  della  esecuzione  e degli effetti di questa,
nonche'  dagli  artt.  24,  26  e  28  del  d.P.R.  n. 313  del 2002,
disposizioni,   queste,   che   subordinano   la   non  menzione  dei
provvedimenti   concernenti   il   fallimento   nei  certificati  del
casellario   giudiziale   alla   definitivita'   della   sentenza  di
riabilitazione;
     che, continua il rimettente, a decorrere dal 16 luglio del 2006,
data  di  entrata in vigore nella sua completezza del d.lgs. n. 5 del
2006  -  il  quale,  agli artt. 128 e 129, ha sostituito all'istituto
della   riabilitazione   quello,   avente   diversa   natura,   della
esdebitazione  -  si  e'  determinata  non  solo la impossibilita' di
ammettere   i   ricorsi  per  riabilitazione  relativi  a  fallimenti
disciplinati  dalle  nuove  norme,  ma  anche  la  impossibilita'  di
ammettere  gli  analoghi  ricorsi  riferiti a fallimenti disciplinati
dalla normativa previgente;
     che a tale conclusione il rimettente giunge in quanto l'art. 150
del  d.lgs.  n. 5 del 2006, nel dettare la disciplina transitoria fra
il  sistema  precedente  alla  riforma  e  quello  successivo, limita
l'ultrattivita'  della  previgente  legge  fallimentare (oltre che ai
ricorsi   per  dichiarazione  di  fallimento  gia'  depositati)  alle
procedure  di fallimento pendenti alla data del 16 luglio 2006, cosi'
escludendo   i   procedimenti   per   riabilitazione   che,   sebbene
presuppongano  una  procedura  fallimentare, non ne costituiscono una
fase,  essendo, invece autonomi, per genesi e disciplina, rispetto ad
essa;
     che,  da quanto sopra, il rimettente fa derivare, per i debitori
dichiarati  falliti  che  gia'  non  l'abbiano  ottenuta prima del 16
luglio 2006, la impossibilita' di accedere alla riabilitazione, anche
quale  causa  di  estinzione del reato di bancarotta semplice o degli
effetti  della  relativa  condanna  nonche'  quale  motivo  della non
menzione del fallimento nei certificati del casellario giudiziale;
     che,  secondo  il  rimettente,  cio'  determina un'inammissibile
disparita'  di  trattamento  fra  situazioni  identiche, non trovando
giustificazione   alcuna   la   discriminazione,   sotto  il  profilo
dell'accesso  alla  riabilitazione,  esistente  fra  soggetti  le cui
procedure sono state disciplinate dalla medesima normativa, cagionata
solo  dal  fatto  che  taluni,  e  non  altri,  abbiano  ottenuto  la
riabilitazione prima di una certa data;
     che  il  rimettente ritiene non emendabile in via interpretativa
la  descritta  disparita'  di  trattamento, sicche' l'unico mezzo per
rimuoverla  e'  sollevare la questione di legittimita' costituzionale
dell'art.  150  del  d.lgs.  n. 5  del  2006  in  quanto  non prevede
l'applicabilita' della disciplina della riabilitazione civile, di cui
agli  artt. da 142 a 145 della legge fallimentare nel testo anteriore
alla  entrata  in  vigore  del  d.lgs.  n. 5  del 2006, ai fallimenti
soggetti, per il resto, alla previgente normativa fallimentare;
     quanto  alla  rilevanza della questione, il Tribunale rimettente
osserva  che  la  norma censurata deve essere applicata nei giudizi a
quibus,  derivando  dall'esito  dell'incidente  di  costituzionalita'
l'ammissibilita' o meno dei ricorsi;
     che,  relativamente  a  quattro  delle  ordinanze di rimessione,
cioe'  quelle  contraddistinte dai numeri di registro 719, 720, 721 e
722  del  2007,  e' intervenuto in giudizio, con comparse di identico
tenore,  il  Presidente  del  Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dalla  Avvocatura generale dello Stato, il quale, rifacendosi
ai   medesimi   argomenti   gia'  svolti  in  occasione  dell'analogo
intervento  in  giudizio  concernente  l'ordinanza  del  Tribunale di
Udine,  ha concluso per la inammissibilita' ovvero per l'infondatezza
della sollevata questione.
   Considerato  che  il Tribunale ordinario di Udine ha sollevato, in
riferimento  agli  artt.  3  e  24  della  Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale degli artt. 17 (recte: 15), 47, 128, 129
e  150 del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica
della  disciplina  delle  procedure  concorsuali a norma dell'art. 1,
comma  5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), nonche' degli artt. 24,
25 e 26 (rectius: artt. 24, comma 1, lettera n), 25, comma 1, lettera
n),  e  26,  comma  1,  lettera  b)  del decreto del Presidente della
Repubblica  14  novembre 2002, n. 313 (Testo unico delle disposizioni
legislative  e  regolamentari in materia di casellario giudiziale, di
anagrafe  delle  sanzioni  amministrative  dipendenti  da reato e dei
relativi  carichi  pendenti), in quanto, essendo stata abolita per il
fallito  la  possibilita'  di  ottenere la riabilitazione civile come
prevista dagli articoli da 142 a 145 del regio decreto 16 marzo 1942,
n. 267   (Disciplina   del  fallimento,  del  concordato  preventivo,
dell'amministrazione   controllata   e   della   liquidazione  coatta
amministrativa),  nel  testo  vigente  anteriormente  alla entrata in
vigore  del  predetto  d.lgs.  n. 5  del  2006,  colui  che sia stato
dichiarato  fallito,  vigente  la  vecchia  disciplina, sarebbe stato
privato,  in  maniera  irragionevole  e con lesione della facolta' di
agire  in giudizio a tutela dei propri diritti, della possibilita' di
conseguire   il   beneficio  della  non  menzione  dei  provvedimenti
concernenti  il  fallimento  nei  certificati, generale e civile, del
casellario   giudiziale   rilasciati  a  richiesta  dell'interessato,
conseguendo  siffatto beneficio solo alla avvenuta riabilitazione del
fallito con sentenza passata in giudicato;
   che,  a  sua  volta,  il Tribunale ordinario di Pescara, con dieci
ordinanze aventi contenuto sostanzialmente identico, ha sollevato, in
riferimento  all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  del  solo  art.  150  del d.lgs. n. 5 del 2006, nella
parte  in  cui,  non  prevedendo  la ultrattivita' - nei confronti di
coloro che siano stati dichiarati falliti con integrale applicazione,
sino  alla  chiusura  della  procedura,  della  previgente disciplina
fallimentare   -  delle  disposizioni  che,  nel  testo  della  legge
fallimentare anteriore alla riforma realizzata col citato d.lgs. n. 5
del  2006,  regolavano  la  riabilitazione civile, impedisce a questi
soggetti  di  beneficiare  delle  persistenti  conseguenze favorevoli
della   riabilitazione   quali,   ai   sensi   dell'art.   241  legge
fallimentare,  la estinzione del reato di bancarotta semplice oppure,
ove gia' sia intervenuta condanna, la cessazione della sua esecuzione
e  degli  altri  effetti,  o  quali, ai sensi degli artt. 24 e 26 del
d.P.R. n. 313 del 2002, la non menzione dei provvedimenti concernenti
il  fallimento  nei  certificati,  generale  e civile, del casellario
giudiziale rilasciati a richiesta dell'interessato;
     che,   attesa   l'evidente  connessione  fra  gli  incidenti  di
costituzionalita',   essi   possono   essere   riuniti   e   trattati
congiuntamente per essere decisi con unica pronunzia;
     che,  successivamente  al  deposito  delle  undici  ordinanze di
remissione,   il   quadro  normativo  di  riferimento  nel  quale  si
inscrivono  le  disposizioni  oggetto  di  questione  di legittimita'
costituzionale e' sensibilmente mutato;
     che, in particolare, a decorrere dal 1° gennaio 2008, e' entrato
in   vigore   il   decreto  legislativo  12  settembre  2007,  n. 169
(Disposizioni  integrative  e  correttive  al  regio decreto 16 marzo
1942, n. 267, nonche' al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in
materia  di  disciplina  del  fallimento, del concordato preventivo e
della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell'art. 1, commi
5,  5-bis, e 6 della legge 14 maggio 2005, n. 80), il quale, all'art.
21,  comma  1,  ha  espressamente  disposto  la abrogazione di talune
disposizioni contenute del d.P.R. n. 313 del 2002;
     che,  nello  specifico, oltre ad essere stati abrogati l'art. 3,
comma   1,  lettera  l),  del  d.P.R.  n. 313  del  2002,  norma  che
disciplinava  la  iscrizione  nel casellario giudiziale, fra l'altro,
dei  provvedimenti  giudiziari  aventi ad oggetto la dichiarazione di
fallimento, e il successivo art. 5, comma 2, lettera i), del medesimo
d.P.R.  n. 313  del  2002, che, a sua volta prevedeva la eliminazione
della  iscrizione  della sentenza dichiarativa del fallimento solo in
caso  di intervenuta revoca definitiva dello stesso, risultano essere
stati  oggetto  di  abrogazione  anche  gli stessi artt. 24, comma 1,
lettera  n),  25, comma 1, lettera n), e 26, comma 1, lettera b), del
d.P.R.  n. 313  del 2002, cioe' alcune delle disposizioni legislative
censurate  dal Tribunale di Udine e che anche il Tribunale di Pescara
ha   tenuto   presente   nel   motivare   il   proprio  incidente  di
costituzionalita',   trattandosi   proprio   delle  disposizioni  che
disciplinavano la inseribilita' o meno nei certificati del casellario
giudiziale della sentenza dichiarativa del fallimento;
     che,  peraltro,  il medesimo art. 21 del d.lgs. n. 169 del 2007,
al comma 2, prevede altresi' che, per le procedure concorsuali aperte
a  far  data  dal 16 gennaio 2006, il richiamo, contenuto negli artt.
24, comma 1, lettera n), e 26, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 313
del  2002, all'istituto della riabilitazione deve intendersi riferito
alla chiusura del fallimento;
     che,  oltre alle ricordate sopravvenienze legislative, e' ancora
intervenuta  la  sentenza  n. 39  del  2008  di questa Corte che, nel
dichiarare la illegittimita' costituzionale degli art. 50 e 142 della
legge  fallimentare,  nel  testo anteriore alla entrata in vigore del
d.lgs.  n. 5  del  2006,  - concernenti, il primo, la istituzione del
pubblico  registro dei falliti e la previsione della permanenza delle
incapacita'  connesse  allo  status  di fallito fin tanto che dura la
predetta  iscrizione e, il secondo, la cancellazione della iscrizione
in  questione  e  la  cessazione  delle  ricordate incapacita' solo a
seguito  della  definitivita'  della  sentenza di riabilitazione - ha
precisato,  anche  sulla scorta della giurisprudenza formatasi presso
la  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,  che  le  norme suddette
risultavano  in contrasto con l'art. 3 della Costituzione proprio la'
dove prevedevano che determinati effetti del fallimento, assunti come
genericamente  sanzionatori, permanessero anche «dopo la chiusura del
fallimento  [...]  senza  correlarsi  alla  protezione  di  interessi
meritevoli di tutela»;
     che   la   complessita'   ed   articolazione   delle  menzionate
sopravvenienze,   intervenute  nell'ambito  normativo  oggetto  delle
ordinanze   di  rimessione,  inducono  questa  Corte  a  disporre  la
restituzione  degli atti ai due rimettenti perche' valutino, anche in
considerazione  di  eventuali  ulteriori  prospettive  interpretative
costituzionalmente   orientate,   la   perdurante   rilevanza   delle
rispettive questioni nei giudizi di cui sono investiti.
                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi,
   Ordina  la restituzione degli atti al Tribunale ordinario di Udine
e al Tribunale ordinario di Pescara.
   Cosi'  deciso  in Roma, presso la sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 31 marzo 2008.
                         Il Presidente: Bile
                      Il redattore: Napolitano
                      Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 4 aprile 2008.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola