N. 116 ORDINANZA 14 - 24 aprile 2008

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Processo  penale - Astensione collettiva degli avvocati dalle udienze
  -  Mancata  previsione  a  carico  degli  avvocati  di  conseguenze
  economiche equiparabili alla mancata percezione del salario o dello
  stipendio  da parte del lavoratore dipendente in caso di sciopero -
  Richiesta  di  pronuncia  additiva  implicante scelte discrezionali
  riservate   al   legislatore  -  Manifesta  inammissibilita'  della
  questione.
- Legge 12 giugno 1990, n. 146, artt. 2 e 2-bis.
- Costituzione, artt. 3, 39, 40 e 97.
(GU n.19 del 30-4-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta  dai  signori:  Presidente:  Franco  BILE; Giudici: Giovanni
Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE SIERVO, Paolo MADDALENA,
Alfonso  QUARANTA, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,
Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe  TESAURO,  Paolo  Maria NAPOLITANO; ha
pronunciato la seguente
                              Ordinanza
nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale degli artt. 2 e 2-bis
della  legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del diritto
di  sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei
diritti  della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della
Commissione  di  garanzia  dell'attuazione della legge), promosso con
ordinanza   del   15  dicembre  2006  dal  Tribunale  di  Pesaro  nel
procedimento penale a carico di B.B., iscritta al n. 672 del registro
ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 39, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  12 marzo 2008 il Giudice
relatore Luigi Mazzella.
   Ritenuto  che,  con  ordinanza emessa in data 15 dicembre 2006, il
Tribunale  di  Pesaro  ha sollevato, con riferimento agli articoli 3,
40,   39   e   97   della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale  degli  articoli 2 e 2-bis della legge 15 giugno 1990,
n. 146  (Norme  sull'esercizio  del  diritto  di sciopero nei servizi
pubblici  essenziali  e  sulla salvaguardia dei diritti della persona
costituzionalmente   tutelati.   Istituzione   della  Commissione  di
garanzia  dell'attuazione  della  legge),  nelle  parti  in  cui  non
prevedono   l'imposizione  a  carico  degli  avvocati  che  intendono
astenersi   dalle  udienze,  in  adesione  ad  astensioni  collettive
proclamate   dagli  organismi  sindacali  dell'Avvocatura,  di  oneri
economici  equiparabili  alla  mancata percezione del salario o dello
stipendio dal lavoratore dipendente;
     che  il  rimettente  riferisce che il difensore dell'imputato ha
comunicato  la  propria  adesione all'astensione collettiva nazionale
dalle  udienze proclamata dall'Organismo Unitario dell'Avvocatura per
i giorni 14, 15 e 16 dicembre 2007, con delibera del 30 novembre 2006
e   che  e'  stato  quindi  nominato  un  difensore  di  ufficio,  in
sostituzione  del difensore di fiducia, ex art. 97, quarto comma, del
codice di procedura penale;
     che,   prosegue  il  Tribunale,  la  Corte  costituzionale,  con
sentenza    n. 171   del   1996,   ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 5, della legge n. 146 del 1990,
nella  parte  in  cui non prevedeva, in caso di astensione collettiva
dall'attivita'  giudiziaria  degli avvocati e dei procuratori legali,
l'obbligo d'un congruo preavviso e di un ragionevole limite temporale
dell'astensione  e  non  prevedeva  altresi'  gli  strumenti idonei a
individuare  e  assicurare  le  prestazioni  essenziali,  nonche'  le
procedure e le misure conseguenziali nell'ipotesi di inosservanza;
     che,  nel  giudizio  pendente,  la proclamazione dell'astensione
dalle   udienze   per  i  giorni  14,  15  e  16  dicembre  e'  stata
effettivamente comunicata con congruo preavviso;
     che,  tuttavia, a parere del rimettente, nell'attuale disciplina
dell'astensione    collettiva    degli    avvocati    dalle   udienze
residuerebbero  elementi  di  contrasto  con principi costituzionali,
che,  in  caso  di  dichiarazione  di illegittimita', comporterebbero
l'illiceita'     dell'astensione     collettiva     proclamata     e,
conseguentemente, l'inammissibilita' del rinvio del processo ad altra
udienza;
     che,  prosegue  il rimettente, nella sentenza n. 171 del 1996 si
ribadisce  che,  per  quanto  l'astensione  collettiva  dalle udienze
promossa  dalle  organizzazioni  forensi  non  e'  riconducibile alla
nozione di sciopero, nondimeno alla stessa deve ritenersi applicabile
in parte qua la disciplina della legge n. 146 del 1990;
     che, secondo il rimettente, presupposto logico dell'applicazione
della  disciplina  dello  sciopero  nei  servizi  pubblici essenziali
all'astensione  degli  avvocati  dalle udienze, affermata dalla Corte
nella  citata  sentenza, e' il fatto che tale astensione presenti gli
elementi  essenziali  dello  sciopero,  uno  dei  quali certamente e'
costituito  dal  costo  economico  che  grava sul singolo lavoratore,
concretantesi nella perdita del salario o dello stipendio relativo al
periodo di sciopero;
     che  tale  perdita  costituirebbe anche una remora all'eccesso o
all'abuso del diritto di sciopero;
     che,  secondo  il  rimettente,  il  rispetto  e  la  tutela  che
progressivamente lo sciopero ha acquistato, sarebbero dovuti anche al
fatto  che  ogni  sciopero  ha  un  costo  per il lavoratore, laddove
l'astensione  dalle  udienze  non costerebbe nulla all'avvocato, dato
che  il  rinvio dell'udienza ad altra data, a suo dire, comporterebbe
al  massimo  il  rinvio della maturazione e percezione dei diritti ed
onorari  che  l'avvocato  avrebbe conseguito a seguito dell'attivita'
processuale rinviata, ma non la loro perdita;
     che  inoltre,  aggiunge il rimettente, poiche' generalmente, nel
processo   penale,   l'imputato   ha  interesse  a  procrastinare  la
conclusione  del  processo  perche'  il  tempo  gioca  a  suo favore,
l'astensione dalle udienze non solo non costerebbe nulla all'avvocato
ma  nella  maggior  parte  dei  casi, giovando alla parte, gioverebbe
anche a lui;
     che   la   mancanza   di  remore  di  carattere  economico  alla
proclamazione  delle  astensioni  dalle  udienze  farebbe si' che gli
organismi  professionali  possano  ricorrervi con notevole liberta' e
disinvoltura, ben diversamente da quanto e' concesso ai sindacati dei
lavoratori  dipendenti,  ai  quali  ogni giorno di sciopero costa una
corrispondente   quota   della   retribuzione,   con  la  conseguente
attribuzione  all'avvocatura  di  un enorme potere di incidenza sulle
condizioni  di  funzionamento  dell'amministrazione della giustizia e
turbativa della dialettica sindacale;
     che  cio'  determinerebbe  l'illegittimita' costituzionale della
legge  n. 146 del 1990 nella parte in cui, per effetto della sentenza
n. 171   del  1996  della  Corte  costituzionale,  disciplina,  oltre
all'esercizio   del   diritto   di   sciopero  nei  servizi  pubblici
essenziali,  l'esercizio  del  diritto  di  astensione  dalle udienze
proclamato  dalle  organizzazioni  sindacali  degli  avvocati,  senza
prevedere  a  carico degli avvocati oneri economici equiparabili alla
mancata  percezione  del  salario  o  dello  stipendio dal lavoratore
dipendente;
     che  secondo  il rimettente, il fatto che gli avvocati non siano
lavoratori  dipendenti  ma  liberi  professionisti  non esclude, anzi
impone la previsione legislativa dell'obbligo, a carico dell'avvocato
che  intenda astenersi dall'udienza, di versare ad un fondo apposito,
costituito eventualmente presso l'amministrazione della giustizia, in
quanto  danneggiata  dall'astensione,  una  somma  corrispondente  al
valore-udienza,  da  determinarsi  per legge in relazione alla natura
dell'attivita'   giudiziaria   in   concreto   mancata   per  effetto
dell'astensione, o comunque la previsione di strumenti che consentano
di  equiparare  in concreto, sotto il profilo economico, l'astensione
dell'avvocato a quella del lavoratore dipendente;
     che  la  mancata  previsione  legislativa  di  siffatto  obbligo
sarebbe  in  contrasto  con  gli  articoli  3,  40,  39  e  97  della
Costituzione;
     che la violazione dell'art. 3 discenderebbe dalla macroscopica e
irragionevole  disparita'  di trattamento tra situazioni analoghe con
riferimento  sia  alla  condotta  (astensione dalle udienze) che agli
effetti  (turbativa  dell'amministrazione  della  giustizia), a causa
delle  diverse  condizioni  personali  e  sociali dei soggetti che si
astengono dalle udienze: lavoratori autonomi gli avvocati, lavoratori
dipendenti i magistrati e il personale amministrativo;
     che  la  violazione  dell'art.  40,  unica fonte di legittimita'
della  legge  n. 146  del  1990, si concreterebbe nella equiparazione
allo  sciopero  di  una  attivita'  priva  di un elemento essenziale,
inscindibile dalla nozione storica e giuridica dello sciopero;
     che  la  violazione dell'art. 39 sarebbe insita nella disparita'
di  trattamento  riservato dalla legge n. 146 del 1990 alle attivita'
sindacali  comportanti  l'astensione  dalle  udienze  poste in essere
dalla organizzazione degli avvocati rispetto a quelle poste in essere
dalle organizzazioni dei magistrati e del personale amministrativo.
     che,  infine,  la violazione dell'art. 97 conseguirebbe al fatto
che  ogni  astensione  determina  il rinvio di processi e di udienze,
anche  a  data  lontana  di  mesi  e  talora  di  anni, e sconvolge i
calendari delle udienze;
     che  e' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  dall'Avvocatura  generale dello Stato, e ha
chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata;
     che,  sottolinea  in  primo  luogo  l'Avvocatura,  il rimettente
avrebbe  del  tutto  omesso  la  motivazione circa la rilevanza della
questione  in relazione all'art. 2 della legge n. 146 del 1990, a suo
giudizio   inapplicabile   alla   fattispecie,  interamente  regolata
dall'art. 2-bis;
     che,  quanto  a  quest'ultima  norma,  il rimettente avrebbe poi
omesso   di   illustrare  le  ragioni  per  cui,  a  suo  avviso,  la
regolamentazione  dell'astensione  collettiva dalle udienze, prevista
dal  predetto articolo e affidata alla Commissione di Garanzia di cui
all'art.  12  della  legge  citata,  non  consentirebbe  di  ritenere
superati  gli  evidenziati profili di incostituzionalita'; o, in ogni
caso, le ragioni per le quali egli non abbia ritenuto di disapplicare
direttamente   la   regolamentazione   provvisoria   adottata   dalla
Commissione di garanzia, di rango subprimario;
     che,  in  secondo  luogo, l'Avvocatura dello Stato sottolinea la
inammissibilita'  della  questione  per  il  carattere additivo della
invocata pronuncia;
     che,  nel  merito,  l'Avvocatura  evidenzia l'infondatezza della
questione,  sia  per l'erroneita' del presupposto logico da cui parte
il  rimettente,  ossia l'equiparazione dell'astensione degli avvocati
allo  sciopero dei lavoratori subordinati, che presuppone un rapporto
di  subordinazione, del tutto assente nel mandato professionale, come
dimostrato dalle responsabilita' professionali gravanti sull'avvocato
anche  in caso di sua adesione all'astensione; sia per l'infondatezza
dell'affermazione  circa  la mancanza di ogni danno economico per gli
avvocati   nell'adesione   all'astensione   dalla  propria  attivita'
professionale, danno da ravvisarsi nel rischio di perdita del cliente
e nella perdita degli onorari.
   Considerato  che  il  Tribunale  di Pesaro dubita, con riferimento
agli  articoli  3, 40, 39 e 97 della Costituzione, della legittimita'
costituzionale  degli  articoli 2 e 2-bis della legge 15 giugno 1990,
n. 146  (Norme  sull'esercizio  del  diritto  di sciopero nei servizi
pubblici  essenziali  e  sulla salvaguardia dei diritti della persona
costituzionalmente   tutelati.   Istituzione   della  Commissione  di
garanzia  dell'attuazione  della  legge),  nelle  parti  in  cui  non
prevedono  l'imposizione,  a  carico  degli  avvocati  che  intendono
astenersi   dalle  udienze,  in  adesione  ad  astensioni  collettive
proclamate   dagli  organismi  sindacali  dell'Avvocatura,  di  oneri
economici  equiparabili  alla  mancata percezione del salario o dello
stipendio dal lavoratore dipendente;
     che  le  due  norme  vengono  censurate  nella  parte in cui non
prevedono  a carico degli avvocati «oneri economici equiparabili alla
mancata  percezione  del  salario  o  dello  stipendio dal lavoratore
dipendente»,  senza  che  il  rimettente  specifichi, se non a titolo
meramente  esemplificativo, la natura, le modalita' di pagamento e la
destinazione degli oneri che dovrebbero essere imposti;
     che  lo  stesso rimettente, sostanzialmente, invoca una sentenza
additiva,   in   una  materia  riservata  alla  discrezionalita'  del
legislatore,  proprio  in  virtu'  della  varieta' e pluralita' delle
soluzioni  possibili (in tal senso, ex plurimis, ordinanze n. 380 del
2006, n. 199 e n. 225 del 2007);
     che,  pertanto,  la  questione  deve ritenersi, sotto l'indicato
profilo, manifestamente inammissibile.
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
              Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara   la   manifesta   inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  degli articoli 2 e 2-bis della legge 15
giugno 1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei
servizi  pubblici  essenziali  e sulla salvaguardia dei diritti della
persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di
garanzia  dell'attuazione  della  legge),  sollevata dal Tribunale di
Pesaro,   in   riferimento  agli  articoli  3,  39,  40  e  97  della
Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 aprile 2008.
                         Il Presidente: Bile
                       Il redattore: Mazzella
                      Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 24 aprile 2008.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola