N. 154 ORDINANZA 7 - 16 maggio 2008

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale  -  Appello - Modifiche normative - Impugnazione del
  pubblico   ministero   avverso   sentenze   di   proscioglimento  -
  Preclusione,  salvo che nelle ipotesi di cui all'art. 603, comma 2,
  cod. proc. pen., se la nuova prova e' decisiva - Applicazione della
  nuova  disciplina  anche  ai  procedimenti  in  corso  alla data di
  entrata  in  vigore  della  novella - Sopravvenuta dichiarazione di
  illegittimita' costituzionale delle norme censurate - Necessita' di
  un nuovo esame della rilevanza delle questioni - Restituzione degli
  atti ai giudici remittenti.
- Cod.  proc. pen., art. 593, come modificato dall'art. 1 della legge
  20  febbraio 2006, n. 46; legge n. 46 del 20 febbraio 2006, artt. 1
  e 10.
- Costituzione, artt. 3, 24, 97, 111 e 112.
Processo  penale - Appello - Modifiche normative - Impugnazione della
  parte  civile  avverso  sentenze  di proscioglimento - Preclusione,
  secondo  l'interpretazione della Corte di cassazione - Applicazione
  della  nuova disciplina anche ai procedimenti in corso alla data di
  entrata in vigore della novella - Lamentata violazione dei principi
  di  eguaglianza,  di  parita'  delle  parti  nel processo e di buon
  andamento   dell'amministrazione  della  giustizia  e  lesione  del
  diritto  di difesa - Insussistenza di un «diritto vivente» conforme
  alla   premessa   ermeneutica  -  Omessa  verifica,  da  parte  del
  rimettente,  della  possibilita'  di altre opzioni interpretative -
  Manifesta inammissibilita' delle questioni.
- Cod.  proc. pen., art. 576, come modificato dall'art. 6 della legge
  20  febbraio  2006,  n. 46, e art. 593; legge n. 46 del 20 febbraio
  2006, art. 10.
- Costituzione, artt. 3, 24, 97 e 111.
(GU n.22 del 21-5-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta  dai  signori:  Presidente:  Franco  BILE; Giudici: Giovanni
Maria  FLICK,  Ugo  DE  SIERVO,  Paolo  MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO,
Alfonso  QUARANTA,  Franco  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI,
Sabino   CASSESE,   Giuseppe  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO;  ha
pronunciato la seguente
                              Ordinanza
nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 593 del codice
di  procedura  penale,  come  sostituito  dall'art.  1 della legge 20
febbraio  2006,  n. 46  (Modifiche  al codice di procedura penale, in
materia  di  inappellabilita'  delle  sentenze  di  proscioglimento),
dell'art.  576  cod.  proc.  pen.,  come modificato dall'art. 6 della
citata  legge  n. 46 del 2006, anche in combinato disposto con l'art.
593  dello  stesso codice, e degli artt. 1 e 10 della medesima legge,
promossi,  nell'ambito  di diversi procedimenti penali, con ordinanze
del  5  aprile  2006 dalla Corte d'appello di Roma, del 31 marzo 2006
dalla  Corte  d'appello  di  Lecce  e  del  9  marzo 2006 dalla Corte
d'appello  di Bologna, rispettivamente iscritte ai nn. 265, 429 e 577
del  registro  ordinanze  2006  e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica nn. 35, 43 e 51, 1ª serie speciale, dell'anno 2006;
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  2 aprile 2008 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick;
   Ritenuto  che la Corte d'appello di Roma (r.o. n. 265 del 2006) ha
sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3 e 111 della Costituzione,
questione  di  legittimita'  costituzionale  degli artt. 1 e 10 della
legge  20  febbraio  2006,  n. 46  (Modifiche  al codice di procedura
penale,   in   materia   di   inappellabilita'   delle   sentenze  di
proscioglimento), nella parte in cui precludono al pubblico ministero
di  proporre  appello  avverso  le  sentenze  di  proscioglimento  e,
nell'ipotesi   di   processi  gia'  pendenti,  impongono  alla  Corte
d'appello    di    dichiarare   l'inammissibilita'   delle   predette
impugnazioni;
     che  la  Corte  rimettente  ha inoltre sollevato, in riferimento
agli   artt.   3,   24   e   111  Cost.,  questione  di  legittimita'
costituzionale  del  «combinato disposto» degli artt. 576, comma 1, e
593  del  codice di procedura penale, come modificati rispettivamente
dagli  artt.  6 e 1 della citata legge n. 46 del 2006, nella parte in
cui  «precludono  alla  parte  civile  la  possibilita'  di proporre,
comunque,  appello  avverso  le sentenze emesse in primo grado e, per
l'effetto,  di  dichiarare inammissibile, ai sensi dell'art. 591 cod.
proc. pen., l'appello proposto dalla parte civile»;
     che  la  Corte  rimettente  -  chiamata  a  delibare gli appelli
proposti  dal  pubblico  ministero  e  dalla parte civile avverso una
sentenza  di  assoluzione  per  insussistenza  del  fatto, emessa dal
Tribunale  di Roma - rileva che, alla luce della normativa introdotta
dalla  legge  n. 46  del 2006, gli appelli proposti dovrebbero essere
dichiarati inammissibili;
     che,  tuttavia, la disciplina censurata si porrebbe in contrasto
con plurimi parametri costituzionali;
     che,  in  particolare, per quanto concerne la prima questione di
costituzionalita',  la  Corte  d'appello  rimettente  ritiene  che la
preclusione  dell'appello  delle  sentenze di proscioglimento in capo
all'organo  della  pubblica  accusa -  conseguente  alla sostituzione
dell'art.  593 cod. proc. pen. ad opera dell'art. 1 della legge n. 46
del 2006 - violi innanzitutto il principio della parita' fra le parti
e  il  principio  della  ragionevole  durata  del  processo,  sanciti
nell'art. 111, secondo comma, Cost.;
     che il principio della parita' imporrebbe che ciascuna parte sia
posta  nella condizione di promuovere una rivisitazione critica della
decisione, attraverso la proposizione di un appello «nel merito»;
     che  sono  possibili  e  giustificabili  parziali limitazioni al
potere  di  impugnazione  dell'organo  dell'accusa (come, ad esempio,
nella  disciplina  del giudizio abbreviato); ma non troverebbe alcuna
giustificazione  la  totale  privazione del potere di impugnazione in
capo  a  tale  organo,  a  nulla rilevando la residua possibilita' di
proporre  appello  nelle  ipotesi  previste  dall'art. 603 cod. proc.
pen., stante la loro assoluta marginalita';
     che,  quanto alla lesione del principio della ragionevole durata
del processo, il sistema derivante dalle norme censurate - prevedendo
la  natura  esclusivamente rescindente del giudizio per cassazione in
esito  al ricorso del pubblico ministero ed, in caso di accoglimento,
la regressione del processo al primo grado - comporterebbe, ad avviso
della  Corte  rimettente,  un evidente aumento dei gradi di giudizio,
con conseguente dilatazione dei tempi del processo;
     che,  inoltre,  sarebbe  palese il contrasto con il principio di
ragionevolezza  di  cui  all'art.  3  Cost.,  posto  che  il pubblico
ministero  conserverebbe  il  potere  di proporre appello avverso una
sentenza di condanna parziale (dunque, di parziale accoglimento della
pretesa  punitiva), ma gli sarebbe preclusa l'impugnazione in caso di
assoluzione,  vale  a  dire  di  totale  sconfessione  della  pretesa
punitiva;
     che   quanto   alla   seconda   questione  proposta  -  relativa
all'impugnazione  della parte civile, come disciplinata dall'art. 576
cod.  proc. pen., nel testo novellato dalla legge n. 46 del 2006 - la
Corte  rimettente  muove  dal  presupposto che alla parte privata non
competa  piu'  tale  potere essendo stato soppresso il riferimento al
«mezzo previsto per il pubblico ministero», che, prima della novella,
avrebbe  costituito il solo elemento testuale idoneo a legittimare ed
a rendere possibile l'appello della parte civile;
     che,  a  giudizio  della  Corte  rimettente,  le  ragioni  della
illegittimita' costituzionale (per violazione degli artt. 3, 24 e 111
Cost.)   esposte  in  relazione  alla  preclusione  dell'appello  del
pubblico ministero, varrebbero anche in riferimento alla eliminazione
del medesimo potere in capo alla parte privata;
     che  analoghe,  ed  in parte sovrapponibili, argomentazioni sono
poste  a  fondamento  delle  questioni di legittimita' costituzionale
sollevate dalla Corte d'appello di Lecce (r.o. 429 del 2006);
     che,  in  particolare,  la  Corte  d'appello di Lecce dubita, in
riferimento  agli  artt.  3,  24,  97 e 111 Cost., della legittimita'
costituzionale   dell'art.  593  cod.  proc.  pen.,  come  sostituito
dall'art.  1  della  citata legge n. 46 del 2006, «nella parte in cui
limita  l'appello  del  pubblico  ministero  alle  sole  sentenze  di
condanna e lo consente contro le sentenze di proscioglimento nei soli
casi previsti dall'art. 603, comma 2, cod. proc. pen.»; dell'art. 576
cod.  proc.  pen.,  come modificato dall'art. 6 della legge n. 46 del
2006,  «in relazione all'art. 593 cod. proc. pen., nella parte in cui
non  consente  alla  parte  civile  l'appello  contro  le sentenze di
proscioglimento»;  infine,  dell'art.  10 della legge n. 46 del 2006,
«che  dichiara  applicabile, anche con riguardo alla parte civile, la
nuova disciplina introdotta ai processi in corso»;
     che  la  Corte  rimettente  premette  di  essere investita degli
appelli  proposti  dal  pubblico  ministero  e  dalla  persona offesa
costituita  parte  civile avverso la sentenza con la quale l'imputato
e'  stato assolto perche' il fatto non costituisce reato dai reati di
diffamazione  e  calunnia; e precisa che - intervenuta nelle more del
giudizio  la  legge  n. 46  del  2006  che  ha  abrogato l'art. 577 e
modificato gli artt. 593 e 576 cod. proc. pen. - gli appelli proposti
dovrebbero  essere  dichiarati  inammissibili,  in  forza  di  quanto
previsto dall'art. 10 della citata legge n. 46 del 2006;
     che,  quanto  al contrasto della disciplina censurata con l'art.
97 Cost., la Corte d'appello di Lecce ritiene che il meccanismo della
declaratoria  di  inammissibilita' dell'appello proposto dal pubblico
ministero  e  della  «conversione»  forzosa in ricorso per cassazione
entro i quarantacinque giorni successivi alla notifica della relativa
ordinanza - secondo il regime transitorio previsto nell'art. 10 della
legge  n. 46  del  2006  - violerebbe il principio del buon andamento
della   pubblica   amministrazione,  applicabile  anche  agli  organi
giurisdizionali;
     che,   infatti,   «senza   un'apparente  ragione»,  risulterebbe
vanificato  «il  lavoro  svolto  dal  pubblico ministero, costretto a
rimodulare la sua impugnazione e a trasformarla in ricorso», gravando
contemporaneamente  il  lavoro  della  Corte  di  cassazione,  fino a
comprometterne l'efficienza;
     che  anche  la Corte d'appello di Bologna (r.o. n. 577 del 1006)
solleva   analoghe   questioni  di  legittimita'  costituzionale:  a)
dell'art.  10,  commi  1,  2  e  3,  della  legge  n. 46 del 2006, in
riferimento  agli artt. 3, 24, 97, 111 e 112 Cost.; b) dell'art. 593,
comma  2,  cod.  proc.  pen., come sostituito dall'art. 1 della legge
n. 46  del 2006, «nella parte in cui limita l'appello dell'imputato e
del  pubblico  ministero, contro le sentenze di proscioglimento, alle
sole   ipotesi   ivi  previste,  nonche'  dalle  parole  "Qualora  il
giudice...",  sino alla fine del comma», in riferimento agli artt. 3,
97, 111 e 112 Cost.; c) dell'art. 576, comma 1, cod. proc. pen., come
modificato dall'art. 6 della legge n. 46 del 2006, nella parte in cui
impedisce  «alla  parte civile di proporre impugnazione, con il mezzo
previsto   per   il   pubblico   ministero,  contro  la  sentenza  di
proscioglimento pronunciata nel giudizio», in relazione agli artt. 3,
24, 97 e 111 della Costituzione;
     che  la  Corte  d'appello  rimettente e' chiamata a celebrare il
giudizio  d'appello,  in  esito  ad  impugnazione  proposta tanto dal
pubblico ministero, quanto dalla parte civile costituita, avverso una
sentenza  di  assoluzione  e -  sul  presupposto  interpretativo  che
entrambe le impugnazioni dovrebbero essere dichiarate inammissibili -
motiva diffusamente circa la rilevanza delle questioni;
     che   anche  la  Corte  d'appello  di  Bologna  ritiene  che  la
soppressione  dell'appello del pubblico ministero avverso le sentenze
di  proscioglimento  si  ponga  in  contrasto con l'art. 111, secondo
comma,  Cost. per violazione del principio della parita' fra le parti
e  della ragionevole durata del processo; nonche' con l'art. 3 Cost.,
in relazione al mantenimento in capo all'organo della pubblica accusa
del potere di proporre appello avverso le sentenze di condanna;
     che  il contrasto con l'art. 97 Cost. e' argomentato sul rilievo
che  una  «norma  che  impedisca,  al pubblico ministero, di emendare
l'erroneo  proscioglimento  dell'imputato ed, alle vittime, di vedere
corrisposta   la   propria   legittima   aspettativa  di  punizione»,
violerebbe il principio del buon andamento e dell'imparzialita' della
pubblica  amministrazione:  sia  sotto  il profilo della inefficienza
della  «macchina  giudiziaria»;  sia  sotto  quello  della  legittima
aspettativa,  per tutti i cittadini, «del piu' completo ed imparziale
perseguimento del fine di repressione dei reati»;
     che,  infine  - richiamando  un indirizzo «anche se piu' datato»
della  Corte  costituzionale,  che avrebbe ricollegato la facolta' di
appello  del  pubblico  ministero  al  principio dell'obbligatorieta'
dell'azione  penale -  la  Corte rimettente deduce il contrasto della
disciplina censurata con l'art. 112 Cost.;
     che,  quanto  alle  censure  mosse all'art. 576 cod. proc. pen.,
nella  parte  in  cui  tale  norma  impedirebbe  alla parte civile di
proporre  appello  avverso  le sentenze di assoluzione, si lamenta il
contrasto  della  disciplina censurata con l'art. 111 Cost., sotto il
profilo   della   violazione   del   principio  di  parita'  rispetto
all'imputato;  con l'art. 24 Cost., per lesione del diritto di difesa
del  soggetto  danneggiato  dal  reato;  con  l'art.  3 Cost., per la
irragionevole  disparita' di trattamento che si determinerebbe fra il
danneggiato  che ha scelto di esercitare l'azione civile nel processo
penale  e si vedrebbe privato di uno strumento di impugnazione, da un
lato,  e  il danneggiato che «percorre la strada del processo civile»
ed  al quale sarebbe garantito il doppio grado di giudizio di merito,
dall'altro;
     che,   infine,   secondo   la  Corte  rimettente  la  disciplina
transitoria  contenuta  nell'art.  10  della  legge  n. 46  del  2006
sarebbe,  con  riferimento alla parte civile, priva di ragionevolezza
(art.  3  Cost.)  oltre  che  contraria al diritto di difesa (art. 24
Cost.), in quanto sottrarrebbe alla parte privata un mezzo di gravame
su  cui  «aveva  riposto  congruo  affidamento  perche',  al  momento
dell'impugnazione, quel mezzo gli era garantito dall'ordinamento»;
     che anche il regime transitorio dettato per la parte pubblica e'
ritenuto  in  contrasto  con  l'art.  3 Cost., sotto il profilo della
discriminazione  tra  «la  posizione  di  coloro  che  hanno proposto
appello prima dell'entrata in vigore della legge» e «quella di coloro
che  proporranno  l'impugnazione  solo  in seguito»: infatti, solo in
relazione  «a  questi ultimi, e non ai primi, e' concessa la facolta'
d'appello  contro  i proscioglimenti, seppur nei limiti del novellato
secondo comma dell'art. 593 cod. proc. pen.».
   Considerato  che  le  ordinanze  di rimessione sollevano questioni
identiche,  onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti
con unica pronuncia;
     che  le Corti d'appello rimettenti dubitano, in riferimento agli
artt.  3,  24,  97,  111 e 112 della Costituzione, della legittimita'
costituzionale   della   preclusione   -  conseguente  alla  modifica
dell'art.  593  del  codice  di procedura penale ad opera dell'art. 1
della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura
penale,   in   materia   di   inappellabilita'   delle   sentenze  di
proscioglimento)  -  dell'appello  delle  sentenze di proscioglimento
emesse  all'esito  del  giudizio di primo grado da parte del pubblico
ministero;  e della immediata applicabilita' di tale regime, in forza
dell'art.  10  della  legge,  ai  procedimenti  in corso alla data di
entrata in vigore della medesima;
     che i giudici a quibus
-  muovendo dalla comune premessa interpretativa in forza della quale
la citata legge n. 46 del 2006 avrebbe soppresso il potere di appello
della parte civile - sollevano, in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e
111  Cost.,  questione di legittimita' costituzionale anche dell'art.
576  cod.  proc.  pen., come modificato dall'art. 6 della legge n. 46
del  2006,  (Corti  d'appello  di  Lecce  e  di  Bologna),  anche  in
«combinato  disposto»  con l'art. 593 nel testo novellato dalla legge
n. 46  del 2006 (Corte d'appello di Roma), nonche' dell'art. 10 della
medesima legge recante il relativo regime transitorio;
     che,   quanto   alla   prima  questione,  concernente  i  limiti
all'appello  del pubblico ministero, successivamente all'ordinanza di
rimessione   questa  Corte,  con  la  sentenza  n. 26  del  2007,  ha
dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  sia  dell'art.  1 della
citata  legge n. 46 del 2006, «nella parte in cui, sostituendo l'art.
593 del codice di procedura penale, esclude che il pubblico ministero
possa   appellare   contro  le  sentenze  di  proscioglimento,  fatta
eccezione  per  le  ipotesi  previste  dall'art.  603,  comma  2, del
medesimo  codice,  se  la nuova prova e' decisiva»; sia dell'art. 10,
comma  2,  della  stessa  legge,  «nella  parte  in  cui  prevede che
l'appello   proposto  contro  una  sentenza  di  proscioglimento  dal
pubblico  ministero  prima  della  data  di  entrata  in vigore della
medesima legge e' dichiarato inammissibile»;
     che,  alla  stregua  della richiamata pronuncia di questa Corte,
gli  atti devono pertanto essere restituiti ai giudici rimettenti per
un nuovo esame della rilevanza delle questioni;
     che,   quanto   alla   seconda   questione   proposta,  relativa
all'appello  della  parte  civile,  le  Corti  rimettenti muovono dal
presupposto  interpretativo  che -  a seguito delle modifiche recate,
dall'art.  6  della  legge  n. 46  del  2006, all'art. 576 cod. proc.
pen. -  alla  parte  civile  non sia piu' consentito proporre appello
avverso le sentenze di proscioglimento;
     che,   peraltro,   questa  Corte  -  dichiarando  manifestamente
inammissibile una questione di legittimita' costituzionale fondata su
un identico presupposto ermeneutico (cfr. ordinanza n. 32 del 2007) -
ha  evidenziato  che  «deve  registrasi  l'assenza  allo stato, di un
"diritto  vivente" conforme alla premessa interpretativa posta a base
dei  dubbi di legittimita' costituzionale»: potendosi ravvisare, gia'
all'epoca di tale decisione, una diversa soluzione ermeneutica idonea
a soddisfare il petitum
     che,  in  particolare, nella citata pronuncia, veniva richiamata
l'opposta  tesi  affermata dalla Corte di cassazione, in virtu' della
quale  la  novella  del 2006 non avrebbe affatto determinato il venir
meno,  in  capo  alla  parte  civile, del potere di appello contro le
sentenze  di  proscioglimento,  ai soli effetti della responsabilita'
civile;
     che  tale  tesi - nel frattempo divenuta maggioritaria presso la
giurisprudenza  di legittimita' - ha trovato ulteriore conferma nella
pronuncia  delle  Sezioni  unite  della  Corte di cassazione (si veda
Cassazione,  sezioni  unite,  29  marzo  2007,  n. 27614) la quale ha
ribadito  come la parte civile, anche dopo l'intervento sull'art. 576
cod.  proc.  pen.  ad  opera  dell'art. 6 della legge n. 46 del 2006,
possa  proporre  appello,  agli effetti della responsabilita' civile,
contro  la  sentenza  di  proscioglimento pronunciata nel giudizio di
primo grado;
     che,  nell'affermare  tale opzione ermeneutica, il giudice della
legittimita'  ha,  in  particolare,  fatto  leva sull'interpretazione
logico-sistematica  dell'art.  576  cod.  proc. pen. - attribuendo «a
mero  difetto di tecnica legislativa la formulazione letterale» della
norma  in  questione  -  e,  soprattutto, sulla volonta' legislativa,
quale desumibile dai lavori parlamentari;
     che, in proposito, la Corte di cassazione ha evidenziato come le
modifiche  apportate al testo normativo originariamente approvato dal
Parlamento,  dopo il rinvio alle Camere da parte del Presidente della
Repubblica  ai  sensi  dell'art.  74  Cost.  -  ed  in particolare la
soppressione,  nell'art.  576  cod.  proc.  pen., dell'inciso «con il
mezzo  previsto  dal  pubblico  ministero»  - risultassero in realta'
finalizzate  a  «rimodulare,  accrescendoli, i poteri di impugnazione
della  parte civile, sganciandone la posizione da quella del pubblico
ministero»  ed  a  ripristinare,  dunque,  il potere di appello della
parte privata: con il chiaro intento di recepire il rilievo formulato
nel  messaggio  presidenziale,  circa  l'eccessiva compressione della
tutela  delle  vittime  del reato, quale si delineava nelle soluzioni
legislative inizialmente adottate;
     che  a  cio'  va aggiunto come neppure in ordine alla disciplina
transitoria  si riscontri uniformita' di vedute: essendosi affermato,
da  una  parte  della giurisprudenza di legittimita', che ove pure la
nuova  legge avesse effettivamente rimosso il potere di appello della
parte civile, non ne conseguirebbe comunque - contrariamente a quanto
assumono i rimettenti - l'inammissibilita' dell'appello anteriormente
proposto da detta parte; e cio' in quanto la disposizione transitoria
di cui all'art. 10, comma 1 - evocata dai giudici a quibus
a  sostegno del loro assunto - nello stabilire che «la presente legge
si  applica  ai  procedimenti in corso alla data di entrata in vigore
della  medesima»,  si  sarebbe  limitata  soltanto  a  riaffermare il
generale   principio   tempus   regit  actum,  tipico  della  materia
processuale;
     che,   pertanto,   avendo   omesso   i   giudici  rimettenti  di
sperimentare  adeguate  soluzioni  ermeneutiche  -  diverse da quelle
praticate  -  idonee  a  rendere le disposizioni impugnate esenti dai
prospettati  dubbi  di  legittimita',  le  questioni  proposte devono
essere  dichiarate  manifestamente  inammissibili,  alla  luce  della
costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, ordinanze n. 35
del  2006,  n. 381  del 2005 e n. 279 del 2003; nonche', su questione
analoga, oltre alla gia' richiamata ordinanza n. 32 del 2007, si veda
l'ordinanza n. 3 del 2008).
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
              per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi;
   Ordina la restituzione degli atti alle Corti d'appello di Roma, di
Lecce  e  di  Bologna,  in  relazione  alle questioni di legittimita'
costituzionale  dell'art.  593  del  codice di procedura penale, come
modificato dall'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche
al  codice  di procedura penale, in materia di inappellabilita' delle
sentenze  di  proscioglimento),  e  degli artt. 1 e 10 della medesima
legge;
   Dichiara   la   manifesta   inammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  576  del codice di procedura
penale,  come  modificato  dall'art.  6 della legge 20 febbraio 2006,
n. 46,  anche  in  combinato  disposto  con  l'art. 593 del codice di
procedura  penale, e dell'art. 10 della medesima legge, sollevate, in
riferimento  agli  artt.  3,  24,  97 e 111 della Costituzione, dalle
Corti  d'appello  di Roma, di Lecce e di Bologna, con le ordinanze in
epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 maggio 2008.
                         Il Presidente: Bile
                         Il redattore: Flick
                      Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 16 maggio 2008.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola