N. 156 ORDINANZA 7 - 16 maggio 2008

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo penale - Appello - Modifiche normative - Possibilita' per il
  pubblico  ministero  di proporre appello avverso le sentenze di non
  luogo a procedere - Preclusione - Disciplina transitoria - Prevista
  inammissibilita' dell'appello proposto prima dell'entrata in vigore
  della  novella  -  Successiva  declaratoria  di incostituzionalita'
  parziale  di  tale previsione in relazione ad altre disposizioni «a
  regime» - Incidenza sul thema decidendum - Esclusione.
- Cod.  proc. pen., art. 428, come sostituito dall'art. 4 della legge
  20  febbraio 2006, n. 46; legge n. 46 del 20 febbraio 2006, artt. 4
  e 10.
- Costituzione, artt. 3, 111 e 112.
Processo penale - Appello - Modifiche normative - Possibilita' per il
  pubblico  ministero  di proporre appello avverso le sentenze di non
  luogo   a  procedere  -  Preclusione  -  Applicazione  della  nuova
  disciplina  ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore
  della  novella - Denunciata irragionevolezza nonche' violazione dei
  principi  di  eguaglianza,  di parita' delle parti e di ragionevole
  durata  del  processo  e  dell'obbligatorieta' dell'azione penale -
  Questioni   sollevate  sulla  premessa  della  riferibilita'  delle
  sentenze  di non luogo a procedere alla categoria delle sentenze di
  proscioglimento  -  Omessa  verifica  della possibilita' di diverse
  soluzioni   ermeneutiche   -   Manifesta   inammissibilita'   delle
  questioni.
- Cod.  proc. pen., art. 428, come sostituito dall'art. 4 della legge
  20  febbraio 2006, n. 46; legge n. 46 del 20 febbraio 2006, artt. 4
  e 10.
- Costituzione, artt. 3, 111 e 112.
(GU n.22 del 21-5-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta  dai  signori:  Presidente:  Franco  BILE; Giudici: Giovanni
Maria  FLICK,  Ugo  DE  SIERVO,  Paolo  MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO,
Alfonso  QUARANTA,  Franco  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI,
Sabino   CASSESE,   Giuseppe  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO;  ha
pronunciato la seguente
                              Ordinanza
nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 428 del codice
di  procedura  penale,  come  sostituito  dall'art.  4 della legge 20
febbraio  2006,  n. 46  (Modifiche  al codice di procedura penale, in
materia  di  inappellabilita'  delle  sentenze di proscioglimento), e
degli  artt.  4 e 10 della stessa legge, promossi con ordinanze del 6
aprile  2006 dalla Corte militare d'appello di Napoli, del 6 e del 19
aprile  2006  dalla Corte d'appello di Roma e del 17 marzo 2006 dalla
Corte  militare  d'appello di Napoli, rispettivamente iscritte ai nn.
424,  453,  531  e 552 del registro ordinanze 2006 e pubblicate nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  nn. 43, 44, 48 e 49, 1ª serie
speciale, dell'anno 2006.
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  2 aprile 2008 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
   Ritenuto   che   con   due   ordinanze   di   identico  contenuto,
rispettivamente  del 6 aprile e del 17 marzo 2006 (r.o. nn. 424 e 552
del  2006),  la  Corte  militare d'appello di Napoli ha sollevato, in
riferimento  agli artt. 3, 111 e 112 della Costituzione, questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 428 codice di procedura penale,
come  sostituito  dall'art.  4  della  legge 20 febbraio 2006, n. 46,
«nella  parte  in  cui  non  prevede,  per  il pubblico ministero, la
possibilita'  di  appellare  le  sentenze  di non luogo a procedere»,
nonche' dell'art. 10, commi 1 e 2, della medesima legge:
     che  la  Corte  rimettente  -  chiamata  in  entrambi  i giudizi
a delibare  l'ammissibilita'  dell'appello proposto dall'organo della
pubblica accusa avverso sentenze di non luogo a procedere pronunciate
dal  Giudice  per  le  indagini  preliminari,  in funzione di Giudice
dell'udienza    preliminare,    presso    il    Tribunale   militare,
rispettivamente, di Bari e di Napoli - rileva che, ai sensi dell'art.
10  della  legge  n. 46  del  2006,  gli  appelli  dovrebbero  essere
dichiarati inammissibili, in quanto anteriori alla data di entrata in
vigore della legge;
     che  tuttavia  la  nuova  disciplina  dei  limiti oggettivi alla
impugnabilita'  delle  sentenze  di proscioglimento, introdotta dalla
legge  n. 46 del 2006, si porrebbe in contrasto con diversi parametri
costituzionali;
     che,  secondo  la  Corte  rimettente,  sarebbe  violato l'art. 3
Cost.,   sia   sotto  il  profilo  della  lesione  del  principio  di
ragionevolezza,  impedendosi «al rappresentante della pubblica accusa
di  dare, nell'ambito della sequenza processuale, concreta attuazione
al  principio  dell'obbligatorieta'  dell'azione  penale»;  sia sotto
quello della violazione del principio di eguaglianza, in relazione al
potere riconosciuto invece alla parte civile di impugnare le sentenze
di proscioglimento;
     che  sarebbe,  inoltre,  violato  il secondo comma dell'art. 111
Cost.,   per   l'evidente   lesione   che   la  disciplina  censurata
determinerebbe  ai principi della parita' fra le parti nel processo e
della ragionevole durata del processo;
     che   la   lesione   del   primo  principio  originerebbe  dalla
considerazione  che  la  garanzia della parita' tra le parti dovrebbe
estendersi  a  tutti gli strumenti funzionali al raggiungimento degli
scopi che il processo deve garantire e che, per l'organo dell'accusa,
ineriscono alla completa attuazione della pretesa punitiva;
     che,  quanto alla lesione della ragionevole durata del processo,
il  sistema  derivante  dalle  norme censurate - prevedendo la natura
esclusivamente  rescindente  del  giudizio per cassazione in esito al
ricorso  del  pubblico  ministero  ed,  in  caso  di accoglimento, la
regressione  del  processo  al primo grado - comporterebbe, ad avviso
della  Corte  rimettente,  una  evidente  dilatazione  dei  tempi del
processo, non sorretta da alcuna giustificazione;
     che  le  norme denunciate risulterebbero, altresi', in contrasto
con  l'art.  112 Cost., poiche' il potere di impugnazione dell'organo
dell'accusa  costituirebbe  «una  delle  espressioni»  del  principio
dell'obbligatorieta' dell'azione penale;
     che,  infine,  la Corte rimettente evidenzia «l'irragionevolezza
interna» del regime transitorio disciplinato nell'art. 10 della legge
n. 46  del 2006 in relazione alla particolare situazione del pubblico
ministero  il  cui  appello  va dichiarato inammissibile anche quando
abbia  gia' chiesto ed ottenuto, in tale fase, «l'ammissione di nuove
prove  decisive,  circostanza  che nel nuovo assetto consentirebbe di
coltivare   l'impugnazione   di   merito   avverso   le  sentenze  di
proscioglimento»;
     che  la  Corte  rimettente ritiene che le considerazioni esposte
valgano  «a maggior ragione» in relazione ai limiti all'appello della
sentenza di non luogo a procedere;
     che,  infatti, la sentenza di non luogo a procedere, adottata al
termine   dell'udienza   preliminare,  non  e'  assimilabile  ad  una
decisione  di  merito;  con  la  conseguenza  che, con l'eliminazione
dell'appello  del  pubblico  ministero,  «viene escluso in radice non
tanto  un  secondo  giudizio  di  merito,  quanto  la possibilita' di
pervenire  all'unico  giudizio  di  merito  davanti  al giudice della
cognizione»;
     che  con  due  ordinanze, di identico contenuto, rispettivamente
emesse  in  data  6  aprile  e 19 aprile 2006 (r.o. nn. 453 e 531 del
2006),  la  Corte d'appello di Roma ha sollevato, in riferimento agli
artt.   3   e   111   Cost.,   analoga   questione   di  legittimita'
costituzionale,  censurando l'art. 4 (modificativo dell'art. 428 cod.
proc.  pen.)  e l'art. «11» (recte: 10) della legge 20 febbraio 2006,
n. 46,  nella  parte  in  cui  sanciscono, per il pubblico ministero,
l'inappellabilita' «anche per i procedimenti in corso» delle sentenze
di non luogo a procedere;
     che  la  Corte  rimettente  -  premesso  di  essere  chiamata  a
celebrare  due  diversi  giudizi di appello a seguito di impugnazione
del pubblico ministero avverso altrettante sentenze, rese dal Giudice
delle  indagini  preliminari,  in  funzione  di Giudice per l'udienza
preliminare presso il Tribunale di Roma, di non luogo a procedere per
diverse ragioni (difetto di querela; insussistenza del fatto; difetto
di  condizione  di procedibilita', per essere stato il reato commesso
all'estero)  -  ritiene che, entrata in vigore nelle more dei giudizi
la  legge  n. 46  del  2006, gli appelli dovrebbero essere dichiarati
inammissibili ai sensi dell'art. «11» (recte: 10) di essa;
     che,  tuttavia,  la  Corte  rimettente dubita della legittimita'
costituzionale    della    disciplina   censurata   in   riferimento,
innanzitutto,  al  principio della durata ragionevole del processo di
cui  all'art.  111, secondo comma, ultima parte, Cost., in quanto, in
esito  al  nuovo  meccanismo  processuale,  potrebbe  verificarsi - a
seguito  dell'annullamento  da  parte della Corte di cassazione - una
regressione  del procedimento alla fase dell'udienza preliminare; con
inevitabile  dilatazione  dei tempi di definizione del processo e con
conseguente  aggravio  di  lavoro  per l'organo di legittimita', data
l'estensione della sua competenza "sul merito";
     che, inoltre, sarebbe leso il canone della ragionevolezza, posto
che  tale  riforma  «non appare giustificata ne' da esigenze connesse
alla  corretta  amministrazione  della  giustizia,  ne'  da  concreti
effetti  benefici  giuridici»,  oltre  a  vanificare gli appelli gia'
proposti;  mentre  il  precedente  secondo  grado "di merito" sarebbe
stato idoneo a garantire «un opportuno controllo da parte del giudice
collegiale  sui  possibili errori, anche di fatto, delle sentenze» di
non luogo a procedere.
   Considerato  che  le  ordinanze  di rimessione sollevano questioni
identiche,  onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti
con unica decisione:
     che  entrambi  i  giudici  a  quibus dubitano della legittimita'
costituzionale,  in  riferimento  agli  artt.  3,  111  e  112  della
Costituzione,  dell'art.  428  del  codice  di procedura penale, come
sostituito dall'art. 4 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche
al  codice  di procedura penale, in materia di inappellabilita' delle
sentenze  di  proscioglimento),  quest'ultimo  direttamente censurato
dalla  Corte  d'appello  di  Roma,  nella parte in cui esclude che il
pubblico  ministero possa proporre appello avverso la sentenza di non
luogo   a  procedere  emessa  in  esito  all'udienza  preliminare,  e
dell'art. 10 della medesima legge;
     che  i  rimettenti sollevano la questione sul presupposto che la
norma  censurata  sia  applicabile  nei  giudizi a quibus - ancorche'
concernenti  appelli  avverso  sentenze  di  non  luogo  a  procedere
proposti prima dell'entrata in vigore della legge n. 46 del 2006 - in
forza  della  disposizione transitoria di cui all'art. 10 della legge
stessa:  disposizione  che  viene  fatta  quindi  oggetto di autonoma
denuncia di incostituzionalita';
     che,  peraltro,  il comma 1 del citato art. 10 - nello stabilire
che «la presente legge si applica anche ai procedimenti in corso alla
data  di entrata in vigore della medesima» - si limita, di per se', a
ribadire  il principio tempus regit actum, il quale disciplina in via
generale la successione di leggi nel settore processuale penale;
     che  una deroga a detto principio e' invece introdotta dal comma
2  dell'art.  10,  il  quale  -  incidendo sull'atto processuale gia'
compiuto  (nella  specie, l'impugnazione) - stabilisce che «l'appello
proposto  contro  una sentenza di proscioglimento dall'imputato o dal
pubblico  ministero  prima  della  data  di  entrata  in vigore della
presente  legge  viene  dichiarato  inammissibile  con  ordinanza non
impugnabile»;
     che, correlativamente, il successivo comma 3 accorda alla parte,
il  cui  appello  sia  stato dichiarato inammissibile, la facolta' di
proporre  ricorso  per cassazione «contro le sentenze di primo grado»
entro  quarantacinque  giorni  dalla  notifica  del  provvedimento di
inammissibilita';
     che  il comma 2 dell'art. 10 - successivamente alle ordinanze di
rimessione   -   e'   stato  oggetto  di  dichiarazioni  di  parziale
incostituzionalita',  che non interferiscono, peraltro, con l'odierno
thema  decidendum, in quanto correlate alla dichiarazione di parziale
illegittimita'  costituzionale di disposizioni «a regime» distinte da
quella oggi impugnata (gli artt. 593 e 443, comma 1, cod. proc. pen.,
come  novellati  dalla legge n. 46 del 2006) (sentenze n. 26 e n. 320
del 2007);
     che,  cio'  premesso,  i  rimettenti  danno  per scontato che la
formula  «sentenza di proscioglimento», impiegata nell'art. 10, comma
2,  della  legge  n. 46  del  2006, abbracci anche le sentenze di non
luogo a procedere;
     che,   peraltro,   questa  Corte  -  dichiarando  manifestamente
inammissibile  una questione di legittimita' costituzionale basata su
un identico presupposto interpretativo (cfr. ordinanza n. 4 del 2008)
-   ha  evidenziato  che  l'indirizzo  allo  stato  prevalente  nella
giurisprudenza di legittimita' e', invece, di segno opposto;
     che,  al  riguardo, si rileva, infatti, che la formula «sentenza
di proscioglimento» designa, nella sua accezione tecnica, la sentenza
liberatoria pronunciata da un giudice chiamato a decidere sul merito:
comprendendo,  in  specie  -  come si desume dall'intitolazione della
sezione  I, capo II, titolo III del libro VII del codice di procedura
penale  -  le  (sole)  sentenze  «di  non  doversi  procedere»  e  di
«assoluzione»;
     che,   a  sostegno  dell'indirizzo  in  questione,  si  osserva,
altresi',  come  la  contrapposizione  terminologica fra «sentenza di
proscioglimento»  e  «sentenza  di  non luogo a procedere» - la quale
rispecchia  la  diversa  natura delle due pronunce (quanto ad oggetto
dell'accertamento,   base   decisionale,   regime  di  stabilita'  ed
efficacia  extrapenale) - sia gia' stata valorizzata da questa Corte,
al  fine  di  dichiarare  non fondata altra questione di legittimita'
costituzionale  dello  stesso  art.  428  cod.  proc. pen. (nel testo
originario), nella parte in cui non prevedeva la facolta' della parte
civile  di  proporre  appello  avverso  la  sentenza  di  non luogo a
procedere  per  il  reato  di  diffamazione  a mezzo stampa (sentenza
n. 381 del 1992);
     che  -  sempre  a  supporto  dell'orientamento  in discorso - si
rileva,  ancora,  come la disposizione di cui al comma 2 dell'art. 10
della legge n. 46 del 2006 abbia natura di norma eccezionale, proprio
perche'  derogatoria  del generale principio tempus regit actum: onde
essa   andrebbe  interpretata  restrittivamente,  rimanendo  comunque
insuscettibile di applicazione analogica;
     che,  secondo  tale  orientamento, il trattamento differenziato,
introdotto  dalla legge n. 46 del 2006 fra la sentenza di non luogo a
procedere  e  quella  di  proscioglimento  -  quanto  alla disciplina
transitoria  che  accompagna  il  nuovo  regime di inappellabilita' -
potrebbe  giustificarsi proprio alla luce di una delle considerazioni
svolte  dagli  odierni  rimettenti:  e,  cioe',  alla  luce della non
riferibilita'  alle  sentenze di non luogo a procedere delle rationes
che,  alla  stregua  dei  lavori preparatori della novella, sono alla
base   della   scelta   di   rendere  inappellabili  le  sentenze  di
proscioglimento  (rationes  consistenti nel garantire all'imputato un
doppio    grado    di    merito    sulla   pronuncia   di   condanna;
nell'impossibilita'   di  escludere  ogni  ragionevole  dubbio  sulla
colpevolezza, dopo una sentenza di proscioglimento; nell'opportunita'
di  evitare  che la decisione di proscioglimento emessa da un giudice
che  ha  assistito  alla  formazione  della prova in contraddittorio,
quale  quello di primo grado, possa essere ribaltata da altro giudice
-   quello  di  appello  -  che  ha  una  cognizione  prevalentemente
«cartolare» del materiale probatorio);
     che  la  prospettiva  interpretativa  ora  ricordata  - la quale
renderebbe  irrilevanti  le  questioni  nei giudizi a quibus - non e'
stata, peraltro, affatto presa in esame dai giudici rimettenti, anche
solo per negarne eventualmente la praticabilita';
     che,   d'altro  canto  -  con  riguardo  all'autonoma  questione
sollevata nei confronti dello stesso art. 10, nella parte in cui (con
asserita  irrazionale dilatazione dei tempi processuali) estenderebbe
la  disciplina  transitoria anche agli appelli anteriormente proposti
contro  le  sentenze  di non luogo a procedere - l'omesso esame della
soluzione  ermeneutica  in  discorso  equivale  a mancato adempimento
dell'onere,   che   grava   sul  giudice  rimettente,  di  verificare
preventivamente   se   la   norma   censurata   sia  suscettibile  di
interpretazioni   alternative,   atte   ad   escludere   i  dubbi  di
costituzionalita'  (ex  plurimis, sentenza n. 192 del 2007; ordinanza
n. 32 del 2007);
     che  le  questioni  vanno  dichiarate,  pertanto, manifestamente
inammissibili.
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
              Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi,
   Dichiara   la   manifesta   inammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  428  del codice di procedura
penale,  come  sostituito  dall'art.  4 della legge 20 febbraio 2006,
n. 46  (Modifiche  al  codice  di  procedura  penale,  in  materia di
inappellabilita'  delle sentenze di proscioglimento), e degli artt. 4
e  10  delle medesima legge n. 46 del 2006, sollevate, in riferimento
agli  artt.  3,  111  e  112 della Costituzione, dalla Corte militare
d'appello di Napoli e dalla Corte d'appello di Roma, con le ordinanze
indicate in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 maggio 2008.
                         Il Presidente: Bile
                         Il redattore: Flick
                      Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 16 maggio 2008.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola