N. 182 SENTENZA 19 - 30 maggio 2008

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Impiego pubblico - Procedimento disciplinare a carico di un agente di
  P.S.  -  Obbligo  dell'incolpato  di avvalersi esclusivamente di un
  difensore  appartenente all'Amministrazione della P.S. - Denunciata
  lesione  della garanzia difensiva dell'incolpato e del principio di
  ragionevolezza  -  Eccepita  inammissibilita'  della  questione per
  irrilevanza - Reiezione.
- D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, art. 20, comma 2.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
Impiego pubblico - Procedimento disciplinare a carico di un agente di
  P.S.  -  Obbligo  dell'incolpato  di avvalersi esclusivamente di un
  difensore  appartenente all'Amministrazione della P.S. - Denunciata
  lesione  della garanzia difensiva dell'incolpato e del principio di
  ragionevolezza  -  Limitata  applicazione  del  diritto  di  difesa
  nell'ambito  dei  procedimenti amministrativi, anche disciplinari -
  Idoneita'  della  previsione  della possibilita' per l'incolpato di
  partecipare  al procedimento e di difendersi - Non fondatezza della
  questione.
- D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, art. 20, comma 2.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
Impiego pubblico - Procedimento disciplinare a carico di un agente di
  P.S.  -  Obbligo  dell'incolpato  di avvalersi esclusivamente di un
  difensore  appartenente  all'Amministrazione della P.S. - Lamentato
  ingiustificato  deteriore  trattamento rispetto ai magistrati, agli
  impiegati  civili  dello  Stato e al personale del Corpo di polizia
  penitenziaria - Disomogeneita' delle situazioni poste a raffronto -
  Non fondatezza della questione.
- D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, art. 20, comma 2.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.24 del 4-6-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Franco BILE;
Giudici:  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
   Paolo  MADDALENA, Franco GALLO, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,
   Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente
                              Sentenza
nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 20, comma 2,
del  decreto  del Presidente della Repubblica 25 ottobre 1981, n. 737
(Sanzioni  disciplinari  per  il  personale  dell'amministrazione  di
pubblica  sicurezza  e  regolamentazione  dei relativi procedimenti),
promosso con ordinanza del 2 aprile 2007 dal Tribunale amministrativo
regionale  della  Sicilia  -  sezione staccata di Catania sul ricorso
proposto   da   Russello   Natalino   nei   confronti  del  Ministero
dell'Interno  ed altro, iscritta al n. 756 del registro ordinanze del
2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, 1ª
serie speciale, dell'anno 2007.
   Visto l'atto intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 16 aprile 2008 il giudice
relatore Sabino Cassese.
                          Ritenuto in fatto
   1.  - Nel  corso  di  un  giudizio  introdotto  da  un  dipendente
dell'amministrazione  di  pubblica  sicurezza  per l'annullamento del
decreto  n. 333-D/0166145 del 15 dicembre 2000, con cui il capo della
polizia   -   direttore  generale  del  Dipartimento  della  pubblica
sicurezza   del   Ministero   dell'interno   -  ha  disposto  la  sua
destituzione,  a  decorrere  dal  28  settembre  2000,  il  Tribunale
amministrativo regionale della Sicilia - sezione staccata di Catania,
ha  sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della
Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 20,
comma  2,  del  d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 (Sanzioni disciplinari
per   il  personale  dell'Amministrazione  di  pubblica  sicurezza  e
regolamentazione dei relativi procedimenti).
   La norma impugnata prevede che, nel corso del procedimento dinanzi
al Consiglio di disciplina, «Il segretario, appena terminata la prima
riunione,  notifica per iscritto all'inquisito che dovra' presentarsi
al   consiglio   di   disciplina   nel  giorno  e  nell'ora  fissati,
avvertendolo   che   ha  facolta'  di  prendere  visione  degli  atti
dell'inchiesta  o  di  chiederne  copia entro dieci giorni e di farsi
assistere  da  un  difensore  appartenente  all'Amministrazione della
pubblica  sicurezza, comunicandone il nominativo entro tre giorni; lo
avverte  inoltre  che,  se  non  si presentera', ne' dara' notizia di
essere legittimamente impedito, si procedera' in sua assenza».
   Il  Tribunale  rimettente  denuncia  la  norma  nella parte in cui
consente  al  dipendente  dell'amministrazione di pubblica sicurezza,
sottoposto   a   procedimento   disciplinare,   di  essere  assistito
esclusivamente   da  un  difensore  appartenente  all'amministrazione
medesima.
   Il  Tribunale  da' conto che il procedimento disciplinare a carico
del ricorrente e' stato promosso a seguito della sentenza di condanna
del  Tribunale  di  Agrigento che lo ha riconosciuto responsabile del
reato  di  falso,  previsto dall'art. 479 del codice penale, per aver
redatto  una  falsa  relazione  di servizio, che, successivamente, la
condanna  e'  stata confermata dalla Corte d'appello di Palermo e che
il  ricorso  per  cassazione  avverso quest'ultima decisione e' stato
dichiarato inammissibile.
   Il  Tribunale  rimettente  riporta  le  numerose censure mosse dal
ricorrente  nel  giudizio  principale avverso il decreto disciplinare
impugnato  e  riferisce  che  l'amministrazione  si  e' costituita in
giudizio chiedendo il rigetto del ricorso.
   In  punto  di  non  manifesta  infondatezza  della  questione,  il
Tribunale  ritiene  che  la norma impugnata, oltre a violare l'art. 3
Cost.,  «sarebbe  incompatibile con il pieno esercizio del diritto di
difesa  riconosciuto  dall'art. 24 Cost. che lo estende alla garanzia
dell'assistenza  tecnica  che  puo', tipicamente e professionalmente,
essere  assicurata  da  un  avvocato  del libero Foro oltre che da un
dipendente della P.A.».
   Al  riguardo,  il  Tribunale rammenta che la Corte costituzionale,
con  la  sentenza  n. 497  del  2000,  ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale  del  secondo  comma  dell'art.  34  del regio decreto
legislativo  31  maggio 1946, n. 511 (Guarentigie della magistratura)
che,  al  pari della norma oggetto di censura, imponeva all'incolpato
di farsi assistere soltanto da un difensore appartenente alla propria
amministrazione  e che, pertanto, le motivazioni addotte allora dalla
Corte costituzionale possono essere «sovrapponibili» per la decisione
del  caso  in  esame.  Richiama,  in  proposito,  quanto  dalla Corte
costituzionale  precisato  nella  citata  pronuncia  in  ordine  alla
«pienezza   della   tutela  paragiurisdizionale»  che  -  secondo  il
Tribunale  rimettente  -  sarebbe  funzionale  al corretto e regolare
svolgimento delle funzioni dell'amministrazione di pubblica sicurezza
e al suo prestigio.
   Il  Tribunale  ritiene,  inoltre,  la  norma impugnata illegittima
tenuto  conto  che,  da un lato, l'art. 16 del decreto legislativo 30
ottobre  1992, n. 449 (Determinazione delle sanzioni disciplinari per
il   personale   del   Corpo   di  polizia  penitenziaria  e  per  la
regolamentazione  dei  relativi  procedimenti,  a norma dell'art. 21,
comma  1,  della  legge  15  dicembre  1990, n. 395), prevede, per il
personale   appartenente   al   Corpo  della  polizia  penitenziaria,
sottoposto a procedimento disciplinare, la possibilita' che lo stesso
si  possa  fare  assistere  anche  da  un avvocato e che, dall'altro,
l'art.  55,  comma  5,  del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165
(Norme  generali  sull'ordinamento  del  lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche), con riguardo al personale del settore del
pubblico impiego contrattualizzato, non pone limiti alla nomina di un
difensore.
   Infine,  il  Tribunale  rimettente, in punto di rilevanza, osserva
che  la  questione di costituzionalita' «va ritenuta rilevante per la
definizione  del  presente  giudizio  [...]  nei  termini  di  cui in
motivazione».
   2.  -  E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia dichiarata inammissibile o
comunque infondata.
   In  via  preliminare, la difesa erariale eccepisce l'insufficienza
della   motivazione  dell'ordinanza  di  remissione  in  ordine  alla
rilevanza  della  questione  e,  nel  merito, sostiene l'infondatezza
della   questione   proposta,   con   riferimento   al  principio  di
eguaglianza,   quanto   al   termine   di   paragone  costituito  dal
procedimento  disciplinare  dei magistrati (art. 34 del regio decreto
legislativo  n. 511  del  1946),  attesa  la  diversita'  tra  i  due
procedimenti  disciplinari  posti  in  comparazione  e considerato il
peculiare  carattere giurisdizionale di quello relativo ai magistrati
(sentenza n. 497 del 2000).
   La   difesa   erariale   sostiene  peraltro  l'infondatezza  della
questione, con riferimento all'asserita violazione dell'art. 3 Cost.,
anche quanto alle altre due categorie indicate dal rimettente, stante
la diversita' delle discipline dei procedimenti poste a confronto.
   Quanto  alla  dedotta  violazione  dell'art.  24  Cost., la difesa
erariale  esclude  che  la  mancanza  nella  norma  denunciata di una
previsione  esplicita della possibilita' di avvalersi dell'assistenza
di  un  avvocato possa costituire di per se' motivo di illegittimita'
costituzionale  per  violazione  del principio di difesa, considerato
che   la  garanzia  sancita  dall'art.  24  Cost.  si  riferisce  «al
procedimento  giurisdizionale»  (sentenze  nn.  122  e  32 del 1974).
Richiama   in   proposito   il   costante  orientamento  della  Corte
costituzionale  secondo  cui «l'esercizio della funzione disciplinare
nell'ambito  del  pubblico impiego, della magistratura e delle libere
professioni,   si  esprime  con  modalita'  diverse,  in  conseguenza
dell'ampia  discrezionalita' legislativa in materia» (sentenze n. 351
del 1989 e nn. 202 e 119 del 1995).
   Conclude  l'Avvocatura  sostenendo  che,  nel  caso  in  esame, il
diritto  di  difesa  e'  comunque  assicurato in quanto al dipendente
dell'amministrazione di pubblica sicurezza, sottoposto a procedimento
disciplinare,   la   norma   non  impedisce  una  piena  ed  efficace
possibilita'  di  contraddittorio,  essendo consentito l'accesso agli
atti  ed  essendo  prevista  la  facolta'  di  depositare, nel giorno
fissato  per  la  trattazione  orale,  una  memoria  scritta,  con la
possibilita'  di  produrre  anche nuovi elementi di prova. Del resto,
ribadisce  l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  l'interessato  puo'
esperire  i  mezzi  di  tutela  giurisdizionale  previsti dalla legge
avverso il provvedimento disciplinare adottato dall'amministrazione.
                       Considerato in diritto
   1. - Il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia - sezione
staccata   di   Catania,   ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  20,  comma  2, del d.P.R. 25 ottobre 1981,
n. 737  (Sanzioni  disciplinari per il personale dell'Amministrazione
di  pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti),
per violazione degli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione,
nella  parte  in  cui  consente al dipendente dell'amministrazione di
pubblica sicurezza, sottoposto a procedimento disciplinare, di essere
assistito     esclusivamente    da    un    difensore    appartenente
all'amministrazione medesima.
   2.   -   In   via   preliminare,   va   disattesa  l'eccezione  di
inammissibilita'  prospettata  dalla  difesa  erariale  atteso che il
Tribunale  rimettente  ha indicato in modo sufficiente le ragioni per
le  quali  ritiene  di  dover fare applicazione della norma censurata
nella fattispecie oggetto del giudizio principale.
   3.  -  La  questione non e' fondata in relazione agli artt. 24 e 3
della Costituzione.
   La  Corte  ha affermato che la garanzia costituzionale del diritto
di difesa (art. 24 Cost.) e' limitata al procedimento giurisdizionale
e  non  puo',  quindi,  essere  invocata  in  materia di procedimento
disciplinare  che, viceversa, ha natura amministrativa e sfocia in un
provvedimento non giurisdizionale (sentenze n. 289 del 1992 e nn. 122
e 32 del 1974).
   Ha, tuttavia, sottolineato che l'art. 24 Cost. se indubbiamente si
dispiega   nella  pienezza  del  suo  valore  prescrittivo  solo  con
riferimento  ai  procedimenti  giurisdizionali, non manca tuttavia di
riflettersi    in    maniera    piu'   attenuata   sui   procedimenti
amministrativi,  in  relazione ai quali, in compenso, si impongono al
piu'  alto  grado  le  garanzie di imparzialita' e di trasparenza che
circondano  l'agire amministrativo (sentenze n. 460 del 2000 e n. 505
del 1995).
   Un  procedimento  disciplinare  che,  come  quello  in esame, puo'
concludersi  con  la  destituzione, tocca le condizioni di vita della
persona,  incidendo sulla sua sfera lavorativa, e richiede percio' il
rispetto  di garanzie procedurali per la contestazione degli addebiti
e per la partecipazione dell'interessato al procedimento.
   In  tale ambito, secondo i principi che ispirano la disciplina del
«patrimonio   costituzionale   comune»   relativo   al   procedimento
amministrativo  (sentenza n. 104 del 2006), desumibili dagli obblighi
internazionali,  dall'ordinamento  comunitario  e  dalla legislazione
nazionale  (art.  6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, resa esecutiva dalla
legge  4  agosto  1955, n. 848, recante «Ratifica ed esecuzione della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta'  fondamentali  firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950 e del
Protocollo  addizionale  alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il
20  marzo  1952»,  art.  47  della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione  europea,  firmata a Nizza il 7 dicembre 2000, nonche' la
legge   7   agosto   1990,   n. 241,  concernente  «Nuove  norme  sul
procedimento amministrativo»), vanno garantiti all'interessato alcuni
essenziali strumenti di difesa, quali la conoscenza degli atti che lo
riguardano,  la  partecipazione  alla  formazione  dei  medesimi e la
facolta'  di contestarne il fondamento e di difendersi dagli addebiti
(sentenze  n. 460  del  2000  e nn. 505 e 126 del 1995). Nello stesso
senso,  secondo  l'interpretazione  della  Corte  di  giustizia delle
Comunita'  europee, il diritto di difesa «impone che i destinatari di
decisioni  che  pregiudichino  in  maniera sensibile i loro interessi
siano messi in condizione di far conoscere utilmente il loro punto di
vista»  (Corte  di  giustizia,  sentenza 24 ottobre 1996, C-32/95 P.,
Commissione Comunita' europea c. Lisrestal).
   Con  particolare riferimento al procedimento disciplinare relativo
ai  dipendenti delle forze armate, questa Corte ha ribadito che «deve
essere   salvaguardata   una   possibilita'  di  contraddittorio  che
garantisca  il  nucleo  essenziale  di  valori  inerenti  ai  diritti
inviolabili  della  persona  [...]  quando  possono derivare per essa
sanzioni  che incidono su beni, quale il mantenimento del rapporto di
servizio  o  di  lavoro,  che hanno rilievo costituzionale» (sentenza
n. 356 del 1995).
   Da  quanto osservato si evince che il diritto di difesa non ha una
applicazione  piena,  nell'ambito  dei  procedimenti  amministrativi.
Donde    consegue   che   non   possa   considerarsi   manifestamente
irragionevole   la   decisione  del  legislatore  di  consentire  che
l'accusato ricorra ad un difensore, ma di limitare, in considerazione
della funzione svolta (tutela dell'ordine pubblico), la sua scelta ai
dipendenti della stessa amministrazione.
   Pertanto,  la  mancata  previsione,  nella  norma censurata, della
possibilita'  di  nominare  quale difensore un avvocato, «anche se il
legislatore  potrebbe  nella sua discrezionalita' prevederla seguendo
un  modello di piu' elevata garanzia» (sentenza n. 356 del 1995), non
viola  ne'  il diritto di difesa, ne' il principio di ragionevolezza,
considerato che la stessa norma consente all'inquisito di partecipare
al procedimento e di difendere le proprie ragioni.
   3.2.  -  Neppure  risulta  violato l'art. 3 Cost. sotto il profilo
della  disparita'  di  trattamento  della  categoria  dei  dipendenti
dell'amministrazione   di   pubblica   sicurezza  rispetto  alle  tre
categorie evocate in comparazione.
   In   premessa   va   ricordato  che  «l'esercizio  della  funzione
disciplinare  nell'ambito  del pubblico impiego, della magistratura e
delle  libere  professioni  si  esprime  con  modalita'  diverse  che
caratterizzano  i  relativi procedimenti a volte come amministrativi,
altre  volte  come giurisdizionali, [...] in rispondenza a scelte del
legislatore,  la  cui  discrezionalita' in materia di responsabilita'
disciplinare spazia entro un ambito molto ampio» (sentenza n. 145 del
1976).
   In  primo  luogo,  a  differenza  di  quanto  sostiene  il giudice
rimettente,  le  argomentazioni  della Corte costituzionale formulate
nella  sentenza  n. 497  del  2000  in  relazione alla disciplina del
procedimento a carico dei magistrati incolpati, prevista dall'art. 34
del  regio  decreto  legislativo  31 maggio 1946, n. 511 (Guarentigie
della magistratura), non sono affatto «sovrapponibili» alla decisione
della  questione  in  esame.  Secondo  quanto piu' volte affermato da
questa   Corte,   tale   procedimento   «si   svolge  secondo  moduli
giurisdizionali»  (sentenza  n. 145  del  1976)  in base al principio
costituzionale  di  garanzia dell'indipendenza e dell'autonomia della
magistratura  sancito  dall'art. 101 della Costituzione. Quindi, esso
non  e'  comparabile  con  il  procedimento  disciplinare degli altri
settori della pubblica amministrazione (sentenza n. 289 del 1992).
   In secondo luogo, la norma censurata non e' comparabile ne' con la
disciplina  del  procedimento  a  carico degli impiegati civili dello
Stato  prevista  dall'art.  55,  comma  5, del decreto legislativo 30
marzo  2001,  n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle
dipendenze  delle amministrazioni pubbliche), ne' con quella prevista
per  il personale del Corpo di polizia penitenziaria dall'art. 16 del
decreto  legislativo  30  ottobre  1992, n. 449 (Determinazione delle
sanzioni   disciplinari   per  il  personale  del  Corpo  di  polizia
penitenziaria  e per la regolamentazione dei relativi procedimenti, a
norma  dell'art.  21, comma 1, della legge 15 dicembre 1990, n. 395),
attesa   la   disomogeneita'   delle  categorie  poste  a  confronto,
caratterizzate da assetti ordinamentali molto diversi.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art.  20,  comma 2, del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 (Sanzioni
disciplinari   per  il  personale  dell'Amministrazione  di  pubblica
sicurezza  e  regolamentazione dei relativi procedimenti), sollevata,
con  riferimento  agli  articoli  3  e  24  della  Costituzione,  dal
Tribunale  amministrativo  regionale della Sicilia - sezione staccata
di Catania, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 maggio 2008.
                         Il Presidente: Bile
                        Il redattore: Cassere
                      Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 30 maggio 2008.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola