N. 187 ORDINANZA 19 - 30 maggio 2008
Giudizio sull'ammissibilita' del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Parlamento - Immunita' parlamentari - Procedimento penale per diffamazione a carico di un senatore - Deliberazione di insindacabilita' della Camera di appartenenza - Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dalla Corte d'Appello di Roma - Sussistenza dei requisiti soggettivo ed oggettivo per l'instaurazioue del conflitto - Ammissibilita' del ricorso - Comunicazione e notificazione conseguenti. - Deliberazione del Senato della Repubblica 18 marzo 2004 (doc. IV-ter, n. 2), - Costituzione, art. 68, primo comma; legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 37; norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, art. 26, comma terzo.(GU n.24 del 4-6-2008 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Franco BILE; Giudici: Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 18 marzo 2004 (Doc. IV-ter, n. 2), relativa alla insindacabilita', ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal senatore Cesare Previti nei confronti del giornalista Davide Maria Sassoli, promosso con ricorso della Corte di Appello di Roma, depositato in cancelleria il 10 gennaio 2008 ed iscritto al n. 1 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2008, fase di ammissibilita'; Udito nella Camera di consiglio del 7 maggio 2008 il giudice relatore Sabino Cassese; Ritenuto che la Corte d'appello di Roma, con ricorso del 26 novembre 2007, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Senato della Repubblica in relazione alla delibera adottata nella seduta del 18 marzo 2004 (Doc. IV-ter, n. 2), con la quale e' stata dichiarata, ai sensi del primo comma dell'art. 68 della Costituzione, l'insindacabilita' delle dichiarazioni del senatore Cesare Previti, rispetto alle quali pende un procedimento penale; che la Corte ricorrente espone che il parlamentare e' imputato del reato di diffamazione per avere dichiarato all'agenzia ANSA, in data 16 giugno 1995, che David Maria Sassoli «era partecipe di uno stile giornalistico volutamente mistificatorio e specificatamente diretto ad annebbiare anche verita' pacifiche e come giornalista capace di mistificare anche fatti notori per scarsa professionalita' e per opportunita' di disinformazione strumentalizzata ad impegno in campagne politiche»; che, in fatto, il Collegio riferisce che il giudice di prime cure, a seguito della delibera di insindacabilita' del Senato della Repubblica adottata in accoglimento della proposta della Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari secondo cui «le dichiarazioni rese dal Previti non siano da ricondurre ad una polemica meramente personale bensi' ad una manifestazione del pensiero di natura essenzialmente politica», aveva dichiarato, con sentenza del 4 novembre 2004, non doversi procedere nei confronti del parlamentare a norma dell'art. 129, comma 1, del codice di procedura penale; che la Corte aggiunge, inoltre, che avverso tale sentenza hanno proposto appello, da un lato, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma e, dall'altro, la parte civile, chiedendo entrambi che la Corte sollevi conflitto di attribuzione tra poteri, in particolare rilevando che le affermazioni diffamatorie del senatore sono connesse, non alla sua funzione di parlamentare, bensi' alla sua personale vicenda e, in particolare, alle accuse di mendacio mossegli in relazione alla sua affermazione di non conoscere il giudice Dinacci; che la Corte d'appello ricorrente osserva che non puo' dedursi dal contenuto delle espressioni in esame alcun nesso funzionale tra le medesime e l'attivita' funzionale svolta dal senatore, atteso che esse si limitano ad esprimere una critica personale nei confronti della parte lesa in relazione ad un fatto del tutto indipendente dalla carica di senatore all'epoca ricoperta dal parlamentare. In particolare, riferisce che quest'ultimo «aveva affermato a suo tempo di non conoscere personalmente il magistrato dr. Dinacci in servizio presso il Ministero di grazia e giustizia: tale circostanza, secondo quanto appurato dal giornalista, era risultata non vera, talche' quest'ultimo aveva posto in evidenza la inattendibilita' della dichiarazione nel corso di un telegiornale andato in onda sulla rete 3 della televisione RAI: di qui la reazione verbale del prevenuto contestata al capo di imputazione»; che la Corte d'appello ritiene che «appare evidente dunque, cosi' ricostruiti i fatti, come, sia la conoscenza da parte dell'imputato del dr. Dinacci, sia il servizio giornalistico redatto in merito alla parte lesa, sia infine la reazione che si assume offensiva dell'imputato medesimo, non siano affatto funzionalmente connessi con l'ufficio di senatore» e cita l'orientamento costante della giurisprudenza costituzionale in tema di nesso funzionale secondo cui debbono ritenersi sindacabili, in linea di principio, tutte quelle dichiarazioni che fuoriescono dal campo applicativo delle dichiarazioni «divulgative all'esterno di attivita' parlamentari» e che non siano immediatamente collegabili con specifiche forme di esercizio di funzioni parlamentari, non essendo a tal fine sufficiente una generica comunanza di argomento o di contesto politico (sentenze n. 140 del 2003 e n. 521 del 2002); che, a parere della Corte ricorrente, non puo' essere condivisa la tesi difensiva secondo la quale, a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 20 giugno 2003, n. 140, le decisioni della Camera di appartenenza circa la sussistenza delle guarentigie previste dall'art. 68 Cost., sarebbero sindacabili solo da un punto di vista formale e cioe' unicamente nell'ipotesi in cui siano affette da vizi procedurali o motivazionali tali da risolversi in una menomazione delle attribuzioni dell'autorita' giudiziaria. Ad avviso della Corte, limitare alla mera inosservanza dei requisiti formali la sindacabilita' della decisione del Parlamento significherebbe proporre un'interpretazione della legge in esame innovativa rispetto al testo costituzionale e, comunque, in contrasto con la giurisprudenza costituzionale che ha affermato che tale legge esplicita, ma non amplia, il contenuto della tutela della insindacabilita' delle opinioni espresse dai membri del Parlamento (sentenza n. 120 del 2004); che il Collegio ricorrente, infine, osserva di non ritenere ostative ad «una nuova proposizione del conflitto di attribuzione» le due pronunce della Corte costituzionale, citate dalla difesa dell'imputato, atteso che esse hanno ad oggetto vizi di improcedibilita' (sentenza n. 35 del 1999) e di inammissibilita' (sentenza n. 30 del 2002) che non ostano ad una nuova proposizione del presente conflitto. Considerato che in questa fase la Corte e' chiamata, ai sensi dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ad accertare se il sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sia ammissibile, valutando, senza contraddittorio tra le parti, se ne sussistano i requisiti soggettivo ed oggettivo, restando impregiudicata ogni ulteriore decisione anche in punto di ammissibilita'; che, quanto al requisito soggettivo la Corte d'appello di Roma e' legittimata a sollevare il conflitto, essendo competente a dichiarare definitivamente, in relazione al procedimento del quale e' investita, la volonta' del potere cui appartiene, in considerazione della posizione di indipendenza, costituzionalmente garantita, di cui godono i singoli organi giurisdizionali (sentenza n. 116 del 2003); che analogamente il Senato della Repubblica, che ha deliberato l'insindacabilita' delle opinioni espresse del parlamentare Previti quando rivestiva la qualita' di senatore, e' legittimato ad essere parte del conflitto, in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la volonta' del potere che rappresenta (sentenza n. 30 del 2002); che, per quanto riguarda il profilo oggettivo del conflitto, la Corte ricorrente denuncia la menomazione della propria sfera di attribuzione, garantita da norme costituzionali, in conseguenza dell'adozione, da parte del Senato della Repubblica di una deliberazione ove si afferma, in modo asseritamente illegittimo, che le opinioni espresse da un proprio membro rientrano nell'esercizio delle funzioni parlamentari, in tal modo godendo della garanzia di insindacabilita' stabilita dall'art. 68, primo comma, della Costituzione; che, pertanto, esiste la materia di un conflitto la cui risoluzione spetta alla competenza di questa Corte.
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara ammissibile ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione proposto dalla Corte d'appello di Roma nei confronti del Senato della Repubblica con il ricorso indicato in epigrafe; Dispone: a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza alla ricorrente Corte d'appello di Roma; b) che l'atto introduttivo e la presente ordinanza siano, a cura della ricorrente, notificati al Senato della Repubblica entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere poi depositati, con la prova dell'avvenuta notifica, nella cancelleria di questa Corte entro il termine di venti giorni previsto dall'art. 26, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 maggio 2008. Il Presidente: Bile Il redattore: Cassese Il cancelliere: Di Paola Depositata in cancelleria il 30 maggio 2008. Il direttore della cancelleria: Di Paola