N. 201 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 - 11 luglio 2006
Ordinanza dell'11 luglio 2006 emessa dal Commissione tributaria provinciale di Venezia sul ricorso proposto da Patrizia s.a.s. di Consalvi Patrizia & C. contro Agenzia delle Entrate - Ufficio di Venezia 1 Giurisdizioni speciali - Giurisdizione tributaria - Controversie riguardanti le sanzioni irrogate dall'Agenzia delle Entrate per l'impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria - Attribuzione alla giurisdizione tributaria di tutte le controversie aventi ad oggetto le sanzioni amministrative comunque irrogate da uffici finanziari, in linea con l'indirizzo interpretativo seguito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione e assunto come «diritto vivente» - Estraneita' della materia delle sanzioni concernenti l'impiego di lavoratori irregolari all'ambito oggettivo della giurisdizione tributaria - Denunciata violazione del divieto di istituire giudici speciali - Asserita lesione dei criteri costituzionali concernenti il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo. - Decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12, art. 3, comma 3, convertito con modificazioni nella legge 23 aprile 2002, n. 73; decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, come modificato dall'art. 3-bis, comma 1, lett. a), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito con modificazioni nella legge 2 dicembre 2005, n. 248. - Costituzione, artt. 102, 103 e IV disposizione transitoria [recte: VI]. In via subordinata: Giurisdizioni speciali - Giurisdizione tributaria - Devoluzione alla giurisdizione tributaria delle controversie riguardanti le sanzioni irrogate dall'Agenzia delle Entrate per l'impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria - Divieto di prova testimoniale - Ritenuta operativita' di tale divieto anche in relazione a controversie che, come quelle riguardanti le sanzioni irrogate dall'Agenzia delle Entrate per l'impiego di lavoratori irregolari, non hanno natura tributaria - Denunciata violazione del principio di uguaglianza sotto il profilo dell'ingiustificata differenziazione del regime probatorio rispettivamente previsto nell'ordinario processo del lavoro e nel giudizio innanzi alle commissioni tributarie - Incidenza sul diritto di difesa delle parti. - Decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 4. - Costituzione, artt. 3 e 24.(GU n.28 del 2-7-2008 )
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI VENEZIA Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso proposto dalla Patrizia s.a.s. di Consalvi Patrizia & C. in persona della sua accomandataria Patrizia Consalvi, con sede legale in Venezia-Marghera, via Rizzardi n. 45, elettivamente domiciliata in Mestre, via Teatro Vecchio n. 1, presso 1'avv. Giuseppe Ceccarelli che la rappresenta e difende per mandato a margine dei ricorsi introduttivi; Contro l'Agenzia delle entrate, Ufficio di Venezia 1, costituita in giudizio con controdeduzioni 20 gennaio 2005 prot. 2552 in persona del capo area di controllo Stefano Dell'Abate, avverso l'atto di irrogazione di sanzione emesso dall'Agenzia delle entrate, Ufficio di Venezia 1, il 2 novembre 2004 n. 847LS3200039-2004 con cui venne irrogata alla ricorrente una sanzione di Euro 23.863,74, sulla base della segnalazione dell'INPS 22 ottobre 2004, da cui emerge che la stessa impiego' una lavoratrice non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria (la sigra Ruska Oksana, nata in Ucraina il 4 aprile 1979 avente mansioni di barista). Letti gli atti; Sentito il relatore avv. Forlati in camera di consiglio. Ritenuto in fatto ed in diritto che con l'impugnato provvedimento di irrogazione di sanzioni l'Agenzia delle entrate, Ufficio di Venezia 1, richiese il pagamento di Euro 23.863,74 alla Patrizia s.a.s. di Patrizia Consalvi &C.; che tale provvedimento fu emanato dopo che l'Agenzia ebbe esaminato la segnalazione dell'INPS che comunicava che la societa' ricorrente avrebbe impiegato, alle proprie dipendenze e con funzione di barista nel proprio esercizio di Venezia Marghera, la sigra Ruska Oksana, cittadina ucraina in Italia senza premesso di soggiorno, senza farla risultare dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria; che, sulla base di tale constatazione dell'INPS l'Agenzia delle Entrate, col provvedimento qui impugnato, irrogo' la sanzione di Euro 23.863,74, avendo rilevato che «il costo del lavoro, calcolato in base ai vigenti CCNL per il periodo compreso tra l'inizio dell'anno e la data di constatazione della violazione, ammonta ad Euro 11.931,87»; che il provvedimento suddetto, secondo l'avvertimento in esso contenuto, fu impugnato a questa Commissione tributaria provinciale dalla Patrizia s .a .s.; che nel ricorso la societa' ricorrente eccepi' in via preliminare il difetto di giurisdizione dell'adita Commissione tributaria, sul rilievo che «il legislatore parla di sanzione amministrativa e la stessa non puo' assumere natura di violazione tributaria ratione loci, atteso che, peraltro, essa appare chiaramente legata a violazioni inerenti la materia giuslavoristica», affermando che dovrebbe essere competente a decidere questa controversia non la Commissione tributaria, ma il giudice ordinario; che cio' avrebbe particolare rilievo in quanto «solo dinnanzi al giudice ordinario vi e' la possibilita' di istruire la causa e dare la prova anche per testi del proprio assunto, anche con riferimento all'esatto inquadramento del rapporto di lavoro contestato»; che, inoltre, la ricorrente si dolse della incostituzionalita' dei commi 3 e 5, dell'art. 3 del d.l. n. 12/2002, per violazione del principio di uguaglianza, in quanto commisurava l'entita' della sanzione in modo automatico con riferimento all'inizio di ogni anno, prescindendo dall'effettiva durata del rapporto di lavoro irregolare; che, nel merito, la societa' ricorrente: affermo' che la signora Oksana era una cliente del bar che si tratteneva presso il locale per parecchie ore e con la quale l'accomandataria aveva instaurato solo un rapporto di amicizia; contesto' l'esistenza del rapporto di lavoro, assumendo che la signora Oksana era stata pregata di sostituire per poco tempo la titolare, costretta ad assentarsi dall'esercizio per ragioni personali e; che al ricorso resistette l'Agenzia delle Entrate, affermando: da un lato, che la giurisdizione della Commissione va radicata sull'art. 3 del d.l. n. 12/2002, nel suo testo di cui alla legge di conversione n. 73/2002, il cui ultimo comma (numerato sub 5) stabilisce che la competenza all'inogazione della sanzione e' attribuita all'Agenzia delle entrate; dall'altro, che al procedimento per l'irrogazione di tali sanzioni si applica il d.lgs. n. 472/1997, ad eccezione del comma 2, dell'art. 16; infine, che risulta applicabile l'art. 18 stesso decreto, che attribuisce alle Commissioni tributarie la competenza a conoscere i ricorsi contro i provvedimenti di irrogazione delle sanzioni adottati dall'Agenzia delle entrate; che la Commissione ritiene di dubbia costituzionalita' queste norme attributive ad essa della giurisdizione, per le ragioni che si esporranno; che, inoltre, la societa' ricorrente sollevo' questione di legittimita' costituzionale dei limiti della prova sull'esistenza del rapporto di lavoro (in ipotesi irregolare), quali stabiliti per il processo tributario dall'art. 7 del d.lgs. n. 546/1992; che questa seconda questione (gia' decisa dal Giudice delle leggi con sentenza n. 18/2000 nel senso della costituzionalita) presenta aspetti di novita', in considerazione della peculiarita' della specie, in cui si deve accertare l'esistenza di un rapporto di lavoro; che la sezione ritiene entrambe le questioni di legittimita' costituzionale ad un tempo rilevanti e non manifestamente infondate, per le ragioni che seguono: A) Rilevanza delle questioni di costituzionalita' sollevate. a) La rilevanza, nel presente giudizio, della questione relativa alla giurisdizione e' in re ipsa. Ex art. 3 del d.lgs. n. 546/1992 sul processo tributario «il difetto di giurisdizione e' rilevato anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo»; e dunque la Sezione ben puo' (e quindi deve) esaminare d'ufficio la questione, anche se essa non fosse stata dibattuta tra le parti (che, invece, l'affrontarono). Essa attiene al potere di questo giudice di conoscere la presente controversia; ed e' preliminare ad ogni altra. Dunque la soluzione del dubbio di costituzionalita' sulle norme attributive alla Commissione della giurisdizione in questa specie e' essenziale al fine del decidere. b) La questione di legittimita' costituzionale dei limiti relativi alla prova per testimoni del rapporto di lavoro (l'art. 7 comma 4, del d. lgs. n. 546/1992 ne esclude l'ammissibilita' nel processo tributario) ha invece rilevanza solo se dalla Corte costituzionale venisse data risposta negativa al dubbio di costituzionalita' sulla giurisdizione e la Commissione fosse chiamata a giudicare nel merito del ricorso della Patrizia s.a.s.. La questione di questi limiti alla prova ha rilevanza ai fini del decidere, perche' la ricorrente nego' l'esistenza di un rapporto di lavoro intercorrente tra essa e la signora Ruska Oksana, cittadina ucraina, rapporto invece affermato dagli ispettori dell'Inps nel verbale posto dall'Agenzia delle entrate a fondamento del proprio provvedimento di irrogazione delle sanzioni de quibus. Ne', ad avviso della sezione, rileva la mancata richiesta da parte della ricorrente di prove orali (cfr. Corte cost. 2 dicembre 2004 n. 375); e cio' in considerazione del fatto che, per accertare l'esistenza di rapporti di lavoro o comunque di rapporti previdenziali, al giudice ordinario e' attribuito il potere di disporre ex officio di ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile (cfr. an. 421 c.p.c., richiamato, per le controversie in materia di assistenza per previdenza obbligatoria dall'art. 442 stesso codice). E, al fine di accertare l'esistenza o meno del rapporto di lavoro (questione nodale al fine del giudizio sulla legittimita' delle sanzioni), di questo potere la sezione farebbe uso, se non ne fosse impedita dall'art. 7, comma 4, del d. lgs n. 546/1992, sospettato di incostituzionalita'. Infatti, in questa specie l'atto impugnato si radica solo su una dichiarazione che la lavoratrice irregolare (che non si sa se conosca la lingua italiana) avrebbe reso agli ispettori dell'Inps (ma il verbale non risulta da lei sottoscritto); su una dichiarazione cioe' che fu resa da persona che avrebbe ben interesse a far risultare di essere stata dipendente della ricorrente, se non altro per recuperare eventuali differenze salariali ed il TFR.; su una dichiarazione che, invece, la ricorrente (la sua accomandataria non era presente all'ispezione dell'Inps) contesta, affermando che solo di una momentanea sostituzione al banco si sarebbe trattato, per consentire un momentaneo allontanamento dell'esercizio della sua titolare; sostituzione fatta per ragioni di amicizia, come tale gratuita e non costitutiva di un rapporto di lavoro. D'altro canto, la dichiarazione di incostituzionalita' dell'art. 7. comma 4, cit., renderebbe immediatamente applicabile al presente procedimento l'art. 421 c.p.c., per il richiamo fatto al codice di rito dall'art. 1, del d. lgs. n. 546/1992. E, dunque, questo rapporto deve essere approfondita in punto di fatto con l'esercizio, se mai consentito, di poteri istruttori ufficiosi, non potendo limitarsi l'istruttoria alle risultanze del verbale degli ispettori dell'Inps. B) Dubbi di costituzionalita' delle norme sulla giurisdizione ed impossibilita' di dare ad esse un'interpretazione conforme alla Costituzione. 1. - La questione della giurisdizione sulle controversie relative all'irrogazione di sanzioni per lavoro irregolare e' stata ampiamente dibattuta; e per valutare la costituzionalita' del dato normativo, la sezione ritiene di dover prendere le mosse da un'attenta valutazione delle conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimita'. 1.1. - Della questione della giurisdizione sugli atti di irrogazione di sanzioni per lavoro irregolare non si occupo' la Corte costituzionale nella sua sentenza n. 144/2005 (che pure dichiaro' incostituzionale l'art. 3, comma 3, del d.l. n. 12/2002 nella parte in cui non ammette la possibilita' di provare che il rapporto di lavoro irregolare abbia avuto inizio successivamente al 1 gennaio dell'anno in cui si constato' la violazione); e cio' perche', come si legge nella sentenza stessa, in quella specie la Commissione tributaria di Perugia remittente aveva affrontato, risolvendola in senso positivo, la questione della sussistenza della giurisdizione del giudice tributario. Tale sentenza della Corte costituzionale, infatti, affermo' che «il difetto di giurisdizione del giudice rimettente puo' comportare l'inammissibilita' della q.l.c. da questi sollevata solo quando sia evidente ictu oculi; ne consegue che eventuali contrasti di giurisprudenza circa l'individuazione del giudice dotato di giurisdizione non rendono ex se inammissibile l'incidente di costituzionalita». Alla conclusione della manifesta inammissibilita' della medesima questione giunsero successivamente le ordinanze delle Corte costituzionale 1 febbraio 2006 n. 34 e 10 marzo 2006 n. 94; manifesta inammissibilita' radicata pero' sul fatto che i giudici remittenti omisero di «compiere il doveroso tentativo di individuare un'interpretazione della norma denunciata conforme a Costituzione». Alla sezione remittente non risultano, quindi, decisioni della Corte costituzionale che abbiano esaminato il merito della questione di legittimita' costituzionale che qui si intende sollevare. 1.2. - Della questione si occuparono invece le Sezioni unite della Corte di cassazione con ordinanza 10 febbraio 2006, n. 2888, in cui fu affermata la giurisdizione delle Commissioni tributarie a conoscere le controversie relative alla irrogazione di sanzioni per lavoro irregolare; ordinanza che la Corte costituzionale non considero nelle sue due ordinanze n. 34 e 94/2006, per ovvie ragioni temporali; decisione delle sezioni unite della Corte di cassazione che radicalmente immuta, ad avviso del giudice remittente, il quadro ermeneutico di riferimento delle norme de quibus; e rende, a suo avviso, impossibile qualsiasi interpretazione conforme a Costituzione delle norme sulla giurisdizione sugli atti di irrogazione di sanzioni per lavoro irregolare, secondo quanto si specifichera' infra. Giovera' ripercorrere tale ordinanza, che la sezione assume come sicuro indice del diritto vivente, per l'approfondimento delle questioni ivi trattate e per la somma autorevolezza del giudice da cui proviene. 1.3. - Tale ordinanza, dopo aver richiamato i dati normativi gia' sopra evidenziati, ed in particolare l'art. 2 del d.lgs. n. 546/1992 (nel suo testo sostituito dall'art. 12 della 1egge n. 448/2001), afferma che «il principio generale enunciato dalla giurisprudenza delle sezioni unite della Corte e' che, in materia di sanzioni amministrative, la devoluzione alla giurisdizione delle commissioni tributarie e' strettamente dipendente dalla natura della norma violata e, dunque, dalla ricorrenza alla competenza del giudice tributario a conoscere dell'obbligo o dovere la cui violazione da' luogo alla sanzione (vedi Cass. ss. uu. n. 5040/ 2004 e n. 4804/2005)». L'ordinanza continua affermando che «natura tributaria non puo' certamente riconoscersi alla disposizione in tema di registrazione dei lavoratori occupati, e cio' in considerazione delle piu' generali finalita' perseguite con i provvedimenti volti a favorire l'emersione del lavoro irregolare, cui l'obbligo di registrazione dei lavoratori impiegati e' legato dai rapporto di strumentalita». 1.4. - Tuttavia, l'ordinanza prosegue rilevando che la sanzione de quo «sebbene non correlata al mancato pagamento o all'inosservanza di un obbligo tributario, si aggiunge al sistema sanzionatorio contenuto nei decreti legislativi 18 dicembre 1997 n. 471, 472 e 473». E a giudicare delle controversie relative all'irrogazione delle dette sanzioni sono chiamate le Commissioni tributarie dato che «a sensi dell'art. 3, comma 4, del d.l. n. 12/2002.... competente ad irrogare la sanzione e' l'Agenzia delle entrate e viene percio' in considerazione la specifica previsione di competenza del giudice tributario per le "sanzioni amministrative comunque irrogate dagli uffici finanziari", come recata dal novellato art. 2 del d.lgs n. 546/1992». A queste considerazioni ne seguono di ulteriori, di cui la piu' importante e' la constatazione della «tendenza espansiva dell'ambito della giurisdizione tributaria (che non incontra precisi limiti costituzionali, fatto salvo il principio di ragionevolezza), estesa dal legislatore, per ragioni di connessione in senso ampio, a materie estranee ad imposte e tributi; l'intervento piu' recente e' rappresentato dall'art. 3-bis del d.l. 30 settembre 2005 n. 203...», che attribuisce alla giurisdizione delle commissioni le controversie sui canoni di occupazione di spazi ed aree pubbliche, di quelli per gli scarichi di acque reflue, ecc... 2. - Questa ordinanza delle Sezioni unite e' di certo chiara manifestazione ed indicazione del diritto vivente. Essa impone una prima considerazione. Secondo le Sezioni unite della Corte suprema, il fondamento della giurisdizione delle Commissioni tributarie, in materia di sanzioni per lavoro irregolare, e' costituito dal solo fatto che la legge attibuisce il potere di irrogarle agli uffici finanziari; e cio' ancorche' la violazione che si intende sanzionare non sia affatto «correlata al mancato pagamento o all'inosservanza di un obbligo tributario». Sempre secondo le Sezioni unite, tale attibuzione (l'unica che rileva nella presente controversia) «non incontra precisi limiti costituzionali, fatto salvo il principio di ragionevolezza». 2.1. - La sezione remittente ritiene in primo luogo di dover condividere la lettura data dalla Sezioni unite al complesso normativo esaminato. Il richiamo contenuto nel d.l. n. 12/2002 (convertito nella legge 3002), alle norme sulle sanzioni tributarie di cui al d.lgs. n. 472/1997, nonche' l'art. 2 del d.lgs. n. 546/1992, cosi' come modificato dall'art. 3-bis, comma 1, lett. a) del d.l. n. 203/2005, convertito nella legge n. 248/2005, non lasciano all'interprete spazio per interpretazioni diverse da quelle prospettate dalle Sezioni unite, che pero' la Sezione remittente sospetta di incostituzionalita' per le ragioni infra espresse. Infatti, il richiamo al d.lgs. n. 472/1997 ricomprende indubitabilmente anche il richiamo del suo articolo 18, il cui primo comma cosi' testualmente stabilisce: «Contro il provvedimento di irrogazione e' ammesso ricorso alle commissioni tributarie». Ancora, le Sezioni unite, fonte primaria del diritto vivente, lessero le norme in esame nel senso che costitutivo della giurisdizione delle Commissioni tributarie fosse la mera irrogazione di una sanzione da parte di «uffici finanziari», indipendentemente dalla natura tributaria della violazione sanzionata. 2.1.1. - Alla luce della legislazione vigente, ed in particolare dal testo in vigore dell'art. 2 del d.lgs. n. 546/1992, tale lettura non solo appare corretta alla Sezione remittente, ma anche l'unica possibile; e cio' tanto piu' che, secondo le Sezioni unite, «il richiamo operato dal comma 5, dell'art. 3, d.l. n. 12/2002 al d.lgs. 472/1992 [recte, 1997] letto alla luce della norma sopravvenuto sulla giurisdizione conserva, quindi, inalterata la sua coerenza, laddove rende applicabili le disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria ad una fattispecie non caratterizzata dalla commissione di un fatto in violazione di norme tributarie». Infatti, ex art. 2 del d.lgs. n. 546/1992 novellato, vi e' giurisdizione delle Commissioni tributarie se oggetto del contenzioso sono «sanzioni amministrative comunque irrogate da uffici finanziari». In questo testo sono significativi, in quanto precludono interpretazioni diverse da quelle delle Sezioni unite, le parole amministrative e comunque; la prima, perche' indica la volonta' del legislatore di affidare alle commissioni controversie sulle sanzioni anche non tributarie (queste ultime sono la species del piu' vasto genus delle sanzioni amministrative); la seconda perche' rafforza la conclusione detta e non consente di escludere dalla giurisdizione de quo le sanzioni non tributarie, purche' vengano irrogate da «uffici finanziari». 2.1.2. - Ne' potrebbe trovare applicazione il secondo comma dell'art. 18 del d. lgs n. 472/1997, che regolava l'ipotesi di sanzioni relative a tributi «rispetto ai quali non sussiste la giurisdizione delle commissioni tributarie», per le quali era consentito il «ricorso amministrativo in alternativa all'azione avanti l'autorita' giudiziaria ordinaria». Tale norma non puo' piu' trovare applicazione, dato che la giurisdizione delle commissioni tributarie e' oggi estesa ai «tributi di ogni genere e specie» (art. 2 del d. lgs. n. 546/1992 nel testo di cui al d.l. n. 203/2005) e non esistono piu' controversie tributarie che sfuggano alla giurisdizione delle commissioni tributarie. Ribadendo quanto gia' scritto, l'ordinanza delle sezioni unite della Corte suprema n. 2888/2006 preclude qualsiasi interpretazione conforme a Costituzione delle norme della cui costituzionalita' la sezione remittente dubita. 2.1.3. - L'unico punto rispetto al quale la sezione remittente dissente dall'ordinanza delle sezioni unite n. 2888/2006 e' allora quello avente ad oggetto l'asserita conformita' a Costituzione delle norme in esame. Rispetto ad esse e tenendo presente gli insegnamenti della Corte costituzionale, la sezione remittente si pone il dubbio se esista nel legislatore il potere di attribuire alle commissioni tributarie la giurisdizione su controversie di natura certamente non tributaria, quale quella de quo. E cio' con riferimento agli art. 102 e 103 ed alla sesta disposizione transitoria della Costituzione. 2.2.1. - La Corte costituzionale ritiene da molti anni che le commissioni tributarie abbiano natura giurisdizionale; ex plurimis, cio' dichiaro' espressamente nelle sentenze 27 dicembre 1974 n. 287, 3 agosto 1976 n. 215 e 24 novembre 1982 n. 196. In particolare, nella sentenza n. 287/1974 il Giudice delle leggi, mutando d'avviso rispetto al proprio precedente indirizzo (di cui alla sentenza 10 febbraio 1969 n. 10), specifico' che «la nuova disciplina delle commissioni tributarie, introdotta con d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, [si risolve] nell'esercizio del potere di revisione previsto dalla VI disp. trans. cost. per gli organi di giurisdizione speciale esistenti anteriormente» La sentenza n. 214/1976 ribadi' che la riforma tributaria del 1972-1973 (cfr. il decreto delegato n. 636/1972, che attuo' la «revisione della disciplina del contenzioso tributario», secondo quanto disposto dalla legge delega n. 825/1971) permetteva di affermare «con certezza che per revisione [attuata con le suddette norme] non puo' esser stata indicata che l'operazione prevista, con quel nome, dalla disposizione VI transitoria; e cio' tanto piu' che quella operazione di revisione e' riferita come da compiersi in ordine alle "Commissioni tributarie", le quali non potevano essere che quelle anteriori, le sole allora esistenti». Fu cosi' escluso che il riordino delle commissioni tributarie, disposto dal legislatore nel 1971-1972, comportasse violazione dell'art. 102, comma 2, cost. L'indirizzo fu poi ribadito anche dalla sentenza della Corte cost. 24 novembre 1982 n. 196. Dunque, secondo la Corte costituzionale, la commissioni tributarie, cosi' come riordinate con il d.P.R. n. 636/1972 (e poi col d. lgs. n. 546/1992), in tanto non violano il divieto di istituzione di giudici speciali e sono da ritenersi costituzionalmente legittime, in quanto furono fatte salve dalla VI disp. trans. cost.; ed in forza di tale ultima norma furono fatte oggetto della «revisione» attuata nel 1971-1972. 22.2. - A cio' si aggiunse l'ordinanza 23 aprile 1998 n. 144, in cui la Corte costituzionale affermo' che «per le preesistenti giurisdizioni speciali, una volta che siano assoggettate a revisione, non si crea una sorta di immodificabilita' nella configurazione e nel funzionamento, ne' si consumano le potesta' di intervento del legislatore ordinario; che questi conserva il normale potere di sopprimere ovvero di trasformare, di riordinare i giudici speciali, conservati ai sensi della VI disposizione transitoria, o di ristrutturarli nuovamente anche nel funzionamento e nella procedura, con il duplice limite di non snaturare (come elemento essenziale e caratterizzante la giurisdizione speciale) le materie attribuite alla loro rispettiva competenza e di assicurare la conformita' a Costituzione, fermo permanendo il principio che il divieto di giudici speciali non riguarda quelli preesistenti a Costituzione e mantenuti a seguito della loro revisione». Applicando detti principi alla specie, occorre allora accertare se l'attribuzione della giurisdizione alle commissioni tibutarie sulle controversie relative alle sanzioni per lavoro irregolare (per il solo fatto che esse sono irrogate da uffici finanziari) finisca con lo «snaturare (come elemento essenziale e caratterizzante la giurisdizione speciale) le materie attribuite alla loro rispettiva competenza»; e dunque si ponga in contrasto con la Carta. 2.2.3. - Per completare il quadro di riferimento normativo. va infine ricordato che alla cognizione delle commissioni tributarie, nell'ordinamento preesistente alla Costituzione e vigente sino alla loro revisione del 1971-1972, era attribuito esclusivamente il potere di conoscere questioni tributarie, e cio' in base alle loro leggi istitutive o di riordino (si vedano, tipicamente, il r.d. n. 1516/1937 sulle commissioni per le imposte dirette ed indirette sugli affari o, per i tributi degli enti locali, gli art. 278 e segg. del t.u. fin. loc. del 1931). Prima della Costituzione della Repubblica e comunque prima del 1972, ad esse non fu mai conferito alcun potere di conoscere controversie aventi ad oggetto altre materie, certamente non rapporti di lavoro irregolare. 2.3. - Alla luce di quanto precede, si chiede allora la sezione se non violi l'art. 102 e l'art. IV disp. trans. cost. il complesso di norme sopra enunciato (art. 3, comma 3, del d.l. n. 12/2002, nella parte in cui richiama l'art. 18 del d.lgs. n. 472/1997), nonche' - e soprattutto - l'art. 2 novellato del d.lgs. n. 546/1992 nella parte in cui attribuisce al giudice tributario la giurisdizione sulle sanzioni per lavoro irregolare, secondo quanto ritenuto dalle sezioni unite. Un primo rilievo. Attraverso l'escamotage dell'attribuzione agli uffici finanziari di poteri sanzionatori in materia non tributaria, il legislatore allargo' la giurisdizione delle commissioni tributarie ad ambiti e materie che non appartenevano alla sua cognizione originaria, sottraendoli al giudice ordinario. Le commissioni tributarie sono ritenute dalla Corte costituzionale giudici speciali, salvati dalla disposizione transitoria e revisionati in forza della stessa. Ma l'estensione della loro giurisdizione a materie sicuramente non tributarie (e cosi' diverse da quelle, sia pure genericamente intese, per cui furono fatte salve) pone il dubbio se non si sia violato l'art. 102 cost., ed il principio (tendenziale) dell'unicita' della giurisdizione che esso sancisce, sia pur con ampie eccezioni (pero' previste dalla Costituzione e nei limiti della stessa); nonche' di quello, ad esso correlato, di divieto di istituzione di giudici speciali. In altri termini, se non si' sia operato quello snaturamento degli elementi essenziali e caratterizzanti la giurisdizione speciale tributaria, che la Corte costituzionale indico' come limite del potere legislativo. Il dubbio puo' essere sollevato anche sub specie dell'art. 103 cost., nella misura in cui si e' in presenza, nella materia de quo, di interessi legittimi. In conclusione la sezione dubita che nel caso, attraverso l'attribuzione all'Agenzia delle entrate di poteri in materie non tributarie, si sia indebitamente allargata la giurisdizione di un giudice speciale a materie diverse da quelle ad esso attribuite dalla legge nel momento in cui entro' in vigore la Costituzione della Repubblica e per le quali furono «fatti salvi»; e che questo allargamento snaturi gli elementi caratterizzanti la giurisdizione speciale, assumendo sostanziale natura di istituzione di giudice speciale in violazione (sia pure in modo mascherato) dell'art. 102 cost. (ovvero, per gli interessi legittimi, dell'art. 103). 2.4. - Rafforza il dubbio in questione la sentenza della Corte costituzionale 6 luglio 2004 n. 204, che dichiaro' parzialmente incostituzionale la nuova determinazione dell'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, di cui alla legge n. 205/2000. A tale conclusione il Giudice delle leggi giunse perche' ritenne che il potere del legislatore di ampliare l'area della giurisdizione esclusiva, pur attibuitogli dall'art. 103 cost., fosse comunque limitato a materie nelle quali «opera la pubblica amministrazione-autorita». A tal fine non era sufficiente la mera partecipazione al giudizio della p.a.; e il criterio discretivo costituzionalmente corretto fu individuato dalla Corte non tanto nella partecipazione della p.a. ad un'azione contro di essa o da essa proposta, quanto piuttosto nel fatto che le materie che rientrano nella giurisdizione esclusiva debbono essere «particolari», e cioe' devono essere «contrassegnat[e] dalla circostanza che la p.a. agisce come autorita' nei confronti della quale e' accordata tutela al cittadino davanti la giudice amministrativo». In questo modo, la Corte costituzionale ritenne che non potesse il legislatore prescindere dalla storica ripartizione tra giurisdizione ordinaria ed amministrativa (quale esistente all'atto dell'entrata in vigore della Costituzione), perche' questi erano i limiti di fondo del riparto delle giurisdizioni ordinaria ed amministrativa stabiliti nella Carta; e che la sua discrezionalita' fosse nella sostanza limitata dalla predetta connessione. Pone allora la sezione remittente il dubbio se la medesima impostazione debba essere seguita anche nell'individuare il riparto della giurisdizione tra il giudice speciale tributario (fatto salvo dalla VI disp. trans.) ed il giudice ordinario e/o amministrativo. 3. - La Sezione terza della Commissione tributaria provinciale di Venezia, quindi, ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 3, del d.l. n. 12/2002 (convertito nella legge n. 73/2002), nella parte in cui richiama l'art. 18 del d. lgs. n. 472/1997, nonche' l'art.2 del d.lgs. n. 546/1992, cosi' come modificato dall'art. 3-bis, comma 1, lett. a) del d.l. n. 203/2005, convertito nella legge. n. 248/2005, nella parte in cui attribuisce alle commissioni tributarie la giurisdizione sulle controversie derivanti dagli atti di irrogazione di sanzioni per lavoro irregolare emanati dall'Agenzia delle entrate. La Sezione sospende il giudizio sottopostole e rimette la questione suddetta alla Corte costituzionale. C) Sull'inammissibilita' della prova per testimoni (questione subordinata a quella che precede). 1. - La Corte costituzionale con la sentenza 21 gennaio 2000 n. 18 affermo' la legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 546/1992 sul rilievo che «il divieto della prova testimoniale nel processo tributario trova giustificazione, sia nella spiccata specificita' dello stesso rispetto a quello civile ed amministrativo, correlata alla configurazione dell'organo decidente e al rapporto sostanziale oggetto del giudizio, sia nella circostanza che esso e' ancora, specie sul piano istruttorio, in massima parte scritto e documentale; sia, infine, nella stessa natura della pretesa fatta valere dall'Amministrazione finanziaria attraverso un procedimento di accertamento dell'obbligo del contribuente che mal si concilia con la prova testimoniale». Tale sentenza del Giudice delle leggi, unita all'assolutezza delle parole usate nella norma in questione («non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale.»), impedisce qualsiasi lettura costituzionalmente conforme dell'art. 7, comma 4, del d.lgs n. 546/ 1992, almeno se risultera' fondato il dubbio infra espresso. ll divieto c'e'; ed e' apodittico, senza possibilita' di diverse letture. 2. - Si chiede la sezione remittente se le ragioni adottate dalla Corte costituzionale per affermare la legittimita' del divieto di prova per testimoni nel procedimento tributario reggano ancora, almeno la' ove, avanti il giudice tributario, non piu' di rapporti tributari si discuta, ma di rapporti di tutt'altra natura quali quelli dell'esistenza (o meno) di un rapporto di lavoro, regolare o irregolare che sia e per i quali avanti il giudice ordinario sussiste un potere istruttorio ufficioso. Infatti, l'art. 421 c.p.c., richiamato per le controversie previdenziali dall'art. 442 c.p.c., nell'ammettere la prova per testi, stabilisce che, avanti il Giudice ordinario, nella materia in esame massimi devono essere i poteri istruttori del giudice, non piu' vincolato ne' dal principio dispositivo di cui all'art. 115 c.p.c., ne' dai limiti stabiliti dal codice civile; norma questa presente nel processo del lavoro quanto meno dalla entrata in vigore, nel 1942, del codice di rito civile (cfr. l'abrogato an. 439 c.p.c., identico all'art. 421 vigente); e (si aggiunge obiter, data la natura collegiale delle commissioni) oggi (in parte) estesa anche al giudice monocratico nelle ordinarie controversie civili dall'art. 281 ter c.p.c.. 3. - Ritiene la sezione che la controversia sulle sanzioni irrogate per lavoro irregolare sulla base delle norme supra piu volte richiamate abbia di certo natura non tributaria, ma sostanzialmente giuslavoristica o previdenziale, come del resto ritenuto dall'ordinanza delle sezioni unite piu' volte richiamata. Sorge quindi il dubbio che piu' non sussista (o si sia attenuata), quanto meno per questo tipo di controversie, la giustificazione che fece ritenere alla Corte costituzionale che il divieto in esame non ledesse ne' il principio di eguaglianza ex art. 3 Cost., ne' il diritto di difesa ex art. 24 Cost. Quanto all'art. 3 Cost., macroscopica sarebbe, infatti, la differenza di trattamento tra il normale processo del lavoro avanti i tribunali ordinari e quello che si svolge avanti le commissioni tributarie. Basti pensare alla diversita' di situazione sul piano istruttorio tra la causa per il recupero dei contributi previdenziali omessi in caso di lavoro irregolare e quella avente ad oggetto le sanzioni irrogate per il medesimo fatto. Avanti il giudice del lavoro la prova e' libera e addirittura svincolata dal principio dispositivo e dai limiti stabiliti dal codice civile; avanti le commissioni tributarie la prova testimoniale non e' invece ammessa, anche se il fatto da provare e' lo stesso. Anche il diritto di difesa, costituzionalmente protetto, sarebbe in tale ipotesi irragionevolmente compresso, in una situazione in cui l'esistenza del rapporto di lavoro, soprattutto se irregolare, viene in principalita' provato per testimoni. Togliere a chi subisce l'irrogazione della sanzione (che puo' anche essere assai pesante, soprattutto se di riflette che sono le piccole imprese quelle che ricorrono per lo piu' al lavoro inegolare), o alla stessa Agenzia delle entrate, o al giudice la possibilita' di acquisire per testimoni la prova dell'esistenza (o dell'inesistenza) di un rapporto di lavoro che si assume irregolare significa privare il rapporto contenzioso dello strumento principe per dimostrare la fondatezza (o l'infondatezza) della pretesa sanzionatoria dell'Agenzia. E non va dimenticato che potrebbe essere proprio l'ente irrogatore delle sanzioni per lavoro irregolare il soggetto interessato a dover provare per testi l'esistenza di un rapporto di lavoro, dato che su di lui grava l'onere della prova; e cio' soprattutto la', come nella specie, dove il verbale degli ispettori dell'Inps lascia elementi di dubbio e richieda integrazioni istruttorie. In altri termini sorge il dubbio se l'estensione della giurisdizione tributaria (sempreche' sia ritenuta costituzionalmente legittima) alle controversie sulla legittimita' delle sanzioni per lavoro irregolare abbia fatto venir meno la specificita' del processo tributario che giustifica il divieto in esame, dato che lo stesso non ha (nel caso) piu' ad oggetto rapporti tributari, ma rapporti di tutt'altra natura, in particolare rapporti giuslavoristici e/o previdenziali. Nella specie, infatti, non si discute «dell'accertamento dell'obbligo del contribuente», ma dell'esistenza, o meno, di un rapporto di lavoro e, di riflesso, di un obbligo di natura non tributaria. 4. - La sezione quindi, ma solo nell'ipotesi che la Corte dichiarasse infondata la questione di legittimita' costituzionale sulla giurisdizione sopra sollevata, ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 546/1992.
P. Q. M. Sospende il presente giudizio; Rimette gli atti del ricorso proposto dalla Patrizia s.a.s. di Consalvi Patrizia & C. contro l'Agenzia delle entrate, Ufficio di Venezia 1 (n. 115/2005 rg.), alla Corte costituzionale per il giudizio di legittimita' costituzionale delle seguenti norme: a) in principalita', dell'art. 3, comma 3, del d.l. n. 12/2002 (convertito nella legge n. 73/2002), nella parte in cui richiama l'art. 18 del d.lgs. n. 472/1997, nonche' l'art. 2 del d.lgs. n. 546/1992, cosi' come modificato dall'art. 3-bis, comma 1, lett. a) del d.l. n. 203/2005, convertito nella legge n. 248/2005 nella parte in cui attribuisce alle commissioni tributarie la giurisdizione sulle controversie derivanti dagli atti di irrogazione di sanzioni per lavoro irregolare emanati dagli uffici finanziari in materie non tributarie, per contrasto con gli artt. 102, 103 cost. e IV disp. trans. cost.; b) in subordine e per l'ipotesi che le norme ora dette sulla giurisdizione vengano ritenute conformi alla Costituzione, l'art. 7, comma 4, del d.lgs n. 546/1992 per contrasto con gli art. 3 e 24 Cost. Ordina che la presente ordinanza venga, a cura della segreteria della commissione, notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento, ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87/1953. Venezia, addi' 8 luglio 2006 Il Presidente e relatore: Forlati