N. 201 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 - 11 luglio 2006

Ordinanza  dell'11  luglio  2006  emessa  dal  Commissione tributaria
provinciale  di  Venezia  sul  ricorso proposto da Patrizia s.a.s. di
Consalvi  Patrizia  &  C.  contro  Agenzia delle Entrate - Ufficio di
Venezia 1

Giurisdizioni  speciali  -  Giurisdizione  tributaria  - Controversie
  riguardanti  le  sanzioni  irrogate  dall'Agenzia delle Entrate per
  l'impiego  di  lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra
  documentazione   obbligatoria  -  Attribuzione  alla  giurisdizione
  tributaria  di  tutte le controversie aventi ad oggetto le sanzioni
  amministrative comunque irrogate da uffici finanziari, in linea con
  l'indirizzo  interpretativo seguito dalle Sezioni Unite della Corte
  di  Cassazione e assunto come «diritto vivente» - Estraneita' della
  materia   delle   sanzioni   concernenti  l'impiego  di  lavoratori
  irregolari  all'ambito  oggettivo  della giurisdizione tributaria -
  Denunciata  violazione  del divieto di istituire giudici speciali -
  Asserita  lesione dei criteri costituzionali concernenti il riparto
  di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo.
- Decreto-legge  22 febbraio 2002, n. 12, art. 3, comma 3, convertito
  con  modificazioni  nella  legge  23  aprile  2002,  n. 73; decreto
  legislativo  31  dicembre  1992,  n. 546,  art.  2, come modificato
  dall'art.  3-bis, comma 1, lett. a), del decreto-legge 30 settembre
  2005,  n. 203,  convertito con modificazioni nella legge 2 dicembre
  2005, n. 248.
- Costituzione,  artt. 102, 103 e IV disposizione transitoria [recte:
  VI].
In via subordinata: Giurisdizioni speciali - Giurisdizione tributaria
  -  Devoluzione  alla  giurisdizione  tributaria  delle controversie
  riguardanti  le  sanzioni  irrogate  dall'Agenzia delle Entrate per
  l'impiego  di  lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra
  documentazione  obbligatoria  -  Divieto  di  prova  testimoniale -
  Ritenuta   operativita'  di  tale  divieto  anche  in  relazione  a
  controversie  che,  come  quelle  riguardanti  le sanzioni irrogate
  dall'Agenzia  delle Entrate per l'impiego di lavoratori irregolari,
  non  hanno  natura tributaria - Denunciata violazione del principio
  di     uguaglianza    sotto    il    profilo    dell'ingiustificata
  differenziazione  del  regime  probatorio  rispettivamente previsto
  nell'ordinario  processo  del  lavoro  e  nel giudizio innanzi alle
  commissioni  tributarie  -  Incidenza  sul  diritto di difesa delle
  parti.
- Decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 4.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.28 del 2-7-2008 )
          LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI VENEZIA
   Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  proposto  dalla
Patrizia  s.a.s.  di  Consalvi  Patrizia  &  C.  in persona della sua
accomandataria    Patrizia    Consalvi,    con    sede    legale   in
Venezia-Marghera,  via  Rizzardi  n. 45, elettivamente domiciliata in
Mestre,  via  Teatro  Vecchio n. 1, presso 1'avv. Giuseppe Ceccarelli
che  la  rappresenta  e  difende  per  mandato  a margine dei ricorsi
introduttivi;
   Contro  l'Agenzia  delle entrate, Ufficio di Venezia 1, costituita
in giudizio con controdeduzioni 20 gennaio 2005 prot. 2552 in persona
del  capo  area  di  controllo  Stefano Dell'Abate, avverso l'atto di
irrogazione di sanzione emesso dall'Agenzia delle entrate, Ufficio di
Venezia  1,  il  2  novembre  2004 n. 847LS3200039-2004 con cui venne
irrogata  alla  ricorrente una sanzione di Euro 23.863,74, sulla base
della  segnalazione  dell'INPS  22 ottobre 2004, da cui emerge che la
stessa  impiego'  una lavoratrice non risultante dalle scritture o da
altra  documentazione  obbligatoria  (la  sigra Ruska Oksana, nata in
Ucraina il 4 aprile 1979 avente mansioni di barista).
   Letti gli atti;
   Sentito il relatore avv. Forlati in camera di consiglio.
   Ritenuto  in fatto ed in diritto che con l'impugnato provvedimento
di  irrogazione  di  sanzioni  l'Agenzia  delle  entrate,  Ufficio di
Venezia  1,  richiese  il  pagamento  di Euro 23.863,74 alla Patrizia
s.a.s. di Patrizia Consalvi &C.;
     che  tale  provvedimento  fu  emanato  dopo  che  l'Agenzia ebbe
esaminato  la  segnalazione  dell'INPS che comunicava che la societa'
ricorrente  avrebbe impiegato, alle proprie dipendenze e con funzione
di  barista nel proprio esercizio di Venezia Marghera, la sigra Ruska
Oksana,  cittadina  ucraina  in  Italia  senza premesso di soggiorno,
senza  farla  risultare  dalle  scritture  o  da altra documentazione
obbligatoria;
     che,  sulla base di tale constatazione dell'INPS l'Agenzia delle
Entrate, col provvedimento qui impugnato, irrogo' la sanzione di Euro
23.863,74,  avendo  rilevato  che  «il costo del lavoro, calcolato in
base ai vigenti CCNL per il periodo compreso tra l'inizio dell'anno e
la   data   di   constatazione  della  violazione,  ammonta  ad  Euro
11.931,87»;
     che  il  provvedimento  suddetto, secondo l'avvertimento in esso
contenuto,  fu  impugnato a questa Commissione tributaria provinciale
dalla Patrizia s .a .s.;
     che   nel   ricorso   la  societa'  ricorrente  eccepi'  in  via
preliminare   il  difetto  di  giurisdizione  dell'adita  Commissione
tributaria,  sul  rilievo  che  «il  legislatore  parla  di  sanzione
amministrativa  e  la  stessa  non puo' assumere natura di violazione
tributaria   ratione   loci,   atteso   che,  peraltro,  essa  appare
chiaramente legata a violazioni inerenti la materia giuslavoristica»,
affermando   che   dovrebbe   essere  competente  a  decidere  questa
controversia non la Commissione tributaria, ma il giudice ordinario;
     che cio' avrebbe particolare rilievo in quanto «solo dinnanzi al
giudice  ordinario  vi e' la possibilita' di istruire la causa e dare
la  prova  anche per testi del proprio assunto, anche con riferimento
all'esatto inquadramento del rapporto di lavoro contestato»;
     che,  inoltre,  la ricorrente si dolse della incostituzionalita'
dei  commi 3 e 5, dell'art. 3 del d.l. n. 12/2002, per violazione del
principio  di  uguaglianza,  in  quanto  commisurava  l'entita' della
sanzione  in modo automatico con riferimento all'inizio di ogni anno,
prescindendo dall'effettiva durata del rapporto di lavoro irregolare;
     che, nel merito, la societa' ricorrente:
      affermo'  che  la signora Oksana era una cliente del bar che si
tratteneva  presso  il  locale  per  parecchie  ore  e  con  la quale
l'accomandataria aveva instaurato solo un rapporto di amicizia;
      contesto'  l'esistenza del rapporto di lavoro, assumendo che la
signora  Oksana  era  stata  pregata  di sostituire per poco tempo la
titolare,   costretta   ad   assentarsi  dall'esercizio  per  ragioni
personali e;
     che al ricorso resistette l'Agenzia delle Entrate, affermando:
      da  un lato, che la giurisdizione della Commissione va radicata
sull'art.  3  del d.l. n. 12/2002, nel suo testo di cui alla legge di
conversione   n. 73/2002,  il  cui  ultimo  comma  (numerato  sub  5)
stabilisce   che  la  competenza  all'inogazione  della  sanzione  e'
attribuita all'Agenzia delle entrate;
      dall'altro,  che  al  procedimento  per  l'irrogazione  di tali
sanzioni  si applica il d.lgs. n. 472/1997, ad eccezione del comma 2,
dell'art. 16;
      infine,  che  risulta applicabile l'art. 18 stesso decreto, che
attribuisce  alle  Commissioni tributarie la competenza a conoscere i
ricorsi contro i provvedimenti di irrogazione delle sanzioni adottati
dall'Agenzia delle entrate;
     che  la  Commissione  ritiene di dubbia costituzionalita' queste
norme  attributive ad essa della giurisdizione, per le ragioni che si
esporranno;
     che,  inoltre,  la  societa'  ricorrente  sollevo'  questione di
legittimita' costituzionale dei limiti della prova sull'esistenza del
rapporto  di  lavoro  (in ipotesi irregolare), quali stabiliti per il
processo tributario dall'art. 7 del d.lgs. n. 546/1992;
     che  questa  seconda  questione  (gia'  decisa dal Giudice delle
leggi  con  sentenza  n. 18/2000  nel  senso  della costituzionalita)
presenta  aspetti  di  novita',  in considerazione della peculiarita'
della  specie, in cui si deve accertare l'esistenza di un rapporto di
lavoro;
     che  la  sezione  ritiene  entrambe le questioni di legittimita'
costituzionale  ad un tempo rilevanti e non manifestamente infondate,
per le ragioni che seguono:
A) Rilevanza delle questioni di costituzionalita' sollevate.
   a)  La  rilevanza, nel presente giudizio, della questione relativa
alla giurisdizione e' in re ipsa.
   Ex  art.  3  del  d.lgs.  n. 546/1992  sul processo tributario «il
difetto  di giurisdizione e' rilevato anche d'ufficio in ogni stato e
grado  del  processo»;  e  dunque la Sezione ben puo' (e quindi deve)
esaminare  d'ufficio  la  questione,  anche  se  essa non fosse stata
dibattuta tra le parti (che, invece, l'affrontarono).
   Essa  attiene al potere di questo giudice di conoscere la presente
controversia;  ed  e'  preliminare ad ogni altra. Dunque la soluzione
del   dubbio   di  costituzionalita'  sulle  norme  attributive  alla
Commissione  della  giurisdizione  in  questa specie e' essenziale al
fine del decidere.
   b) La questione di legittimita' costituzionale dei limiti relativi
alla  prova  per  testimoni del rapporto di lavoro (l'art. 7 comma 4,
del  d.  lgs.  n. 546/1992  ne  esclude l'ammissibilita' nel processo
tributario)  ha  invece  rilevanza solo se dalla Corte costituzionale
venisse  data  risposta negativa al dubbio di costituzionalita' sulla
giurisdizione  e la Commissione fosse chiamata a giudicare nel merito
del ricorso della Patrizia s.a.s..
   La  questione di questi limiti alla prova ha rilevanza ai fini del
decidere,  perche'  la ricorrente nego' l'esistenza di un rapporto di
lavoro  intercorrente  tra  essa e la signora Ruska Oksana, cittadina
ucraina,  rapporto  invece  affermato  dagli  ispettori dell'Inps nel
verbale  posto  dall'Agenzia  delle  entrate a fondamento del proprio
provvedimento di irrogazione delle sanzioni de quibus.
   Ne', ad avviso della sezione, rileva la mancata richiesta da parte
della  ricorrente  di  prove  orali (cfr. Corte cost. 2 dicembre 2004
n. 375);  e  cio'  in  considerazione  del  fatto  che, per accertare
l'esistenza   di   rapporti   di   lavoro   o  comunque  di  rapporti
previdenziali,  al  giudice  ordinario  e'  attribuito  il  potere di
disporre  ex  officio  di ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti
stabiliti  dal codice civile (cfr. an. 421 c.p.c., richiamato, per le
controversie  in  materia  di  assistenza per previdenza obbligatoria
dall'art.  442  stesso codice). E, al fine di accertare l'esistenza o
meno  del  rapporto  di lavoro (questione nodale al fine del giudizio
sulla  legittimita'  delle  sanzioni),  di  questo  potere la sezione
farebbe  uso,  se  non ne fosse impedita dall'art. 7, comma 4, del d.
lgs n. 546/1992, sospettato di incostituzionalita'.
   Infatti,  in  questa specie l'atto impugnato si radica solo su una
dichiarazione che la lavoratrice irregolare (che non si sa se conosca
la  lingua  italiana)  avrebbe  reso  agli ispettori dell'Inps (ma il
verbale  non risulta da lei sottoscritto); su una dichiarazione cioe'
che  fu  resa da persona che avrebbe ben interesse a far risultare di
essere stata dipendente della ricorrente, se non altro per recuperare
eventuali  differenze salariali ed il TFR.; su una dichiarazione che,
invece,  la  ricorrente  (la  sua  accomandataria  non  era  presente
all'ispezione   dell'Inps)  contesta,  affermando  che  solo  di  una
momentanea  sostituzione al banco si sarebbe trattato, per consentire
un  momentaneo  allontanamento  dell'esercizio  della  sua  titolare;
sostituzione  fatta per ragioni di amicizia, come tale gratuita e non
costitutiva di un rapporto di lavoro.
   D'altro  canto,  la dichiarazione di incostituzionalita' dell'art.
7.  comma  4, cit., renderebbe immediatamente applicabile al presente
procedimento  l'art.  421  c.p.c., per il richiamo fatto al codice di
rito dall'art. 1, del d. lgs. n. 546/1992.
   E,  dunque,  questo  rapporto deve essere approfondita in punto di
fatto  con  l'esercizio,  se  mai  consentito,  di  poteri istruttori
ufficiosi,  non  potendo  limitarsi l'istruttoria alle risultanze del
verbale degli ispettori dell'Inps.
B)  Dubbi  di  costituzionalita'  delle  norme sulla giurisdizione ed
impossibilita'  di  dare  ad  esse  un'interpretazione  conforme alla
Costituzione.
   1.  - La questione della giurisdizione sulle controversie relative
all'irrogazione di sanzioni per lavoro irregolare e' stata ampiamente
dibattuta; e per valutare la costituzionalita' del dato normativo, la
sezione  ritiene di dover prendere le mosse da un'attenta valutazione
delle  conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza costituzionale e di
legittimita'.
   1.1.   -   Della  questione  della  giurisdizione  sugli  atti  di
irrogazione di sanzioni per lavoro irregolare non si occupo' la Corte
costituzionale  nella  sua  sentenza  n. 144/2005 (che pure dichiaro'
incostituzionale  l'art.  3, comma 3, del d.l. n. 12/2002 nella parte
in  cui  non  ammette  la  possibilita' di provare che il rapporto di
lavoro  irregolare  abbia  avuto  inizio successivamente al 1 gennaio
dell'anno in cui si constato' la violazione); e cio' perche', come si
legge   nella  sentenza  stessa,  in  quella  specie  la  Commissione
tributaria  di  Perugia  remittente aveva affrontato, risolvendola in
senso  positivo,  la  questione della sussistenza della giurisdizione
del giudice tributario.
   Tale  sentenza  della  Corte costituzionale, infatti, affermo' che
«il  difetto  di giurisdizione del giudice rimettente puo' comportare
l'inammissibilita'  della  q.l.c. da questi sollevata solo quando sia
evidente   ictu   oculi;  ne  consegue  che  eventuali  contrasti  di
giurisprudenza   circa   l'individuazione   del   giudice  dotato  di
giurisdizione   non   rendono  ex  se  inammissibile  l'incidente  di
costituzionalita».
   Alla  conclusione  della manifesta inammissibilita' della medesima
questione   giunsero   successivamente   le   ordinanze  delle  Corte
costituzionale 1 febbraio 2006 n. 34 e 10 marzo 2006 n. 94; manifesta
inammissibilita'  radicata  pero'  sul fatto che i giudici remittenti
omisero   di   «compiere   il   doveroso   tentativo  di  individuare
un'interpretazione della norma denunciata conforme a Costituzione».
   Alla  sezione  remittente  non  risultano, quindi, decisioni della
Corte  costituzionale che abbiano esaminato il merito della questione
di legittimita' costituzionale che qui si intende sollevare.
   1.2. - Della questione si occuparono invece le Sezioni unite della
Corte  di  cassazione con ordinanza 10 febbraio 2006, n. 2888, in cui
fu   affermata   la  giurisdizione  delle  Commissioni  tributarie  a
conoscere  le  controversie relative alla irrogazione di sanzioni per
lavoro   irregolare;   ordinanza  che  la  Corte  costituzionale  non
considero nelle  sue due ordinanze n. 34 e 94/2006, per ovvie ragioni
temporali;  decisione  delle  sezioni unite della Corte di cassazione
che  radicalmente immuta, ad avviso del giudice remittente, il quadro
ermeneutico  di  riferimento  delle  norme  de quibus; e rende, a suo
avviso, impossibile qualsiasi interpretazione conforme a Costituzione
delle norme sulla giurisdizione sugli atti di irrogazione di sanzioni
per lavoro irregolare, secondo quanto si specifichera' infra.
   Giovera'  ripercorrere  tale ordinanza, che la sezione assume come
sicuro  indice  del  diritto  vivente,  per  l'approfondimento  delle
questioni  ivi  trattate  e per la somma autorevolezza del giudice da
cui proviene.
   1.3.  - Tale ordinanza, dopo aver richiamato i dati normativi gia'
sopra  evidenziati, ed in particolare l'art. 2 del d.lgs. n. 546/1992
(nel  suo  testo  sostituito  dall'art.  12 della 1egge n. 448/2001),
afferma  che  «il  principio  generale enunciato dalla giurisprudenza
delle  sezioni  unite  della  Corte  e'  che,  in materia di sanzioni
amministrative,  la  devoluzione alla giurisdizione delle commissioni
tributarie  e'  strettamente  dipendente  dalla  natura  della  norma
violata  e,  dunque,  dalla  ricorrenza  alla  competenza del giudice
tributario  a  conoscere  dell'obbligo o dovere la cui violazione da'
luogo   alla   sanzione   (vedi   Cass.   ss.  uu.  n. 5040/  2004  e
n. 4804/2005)».
   L'ordinanza  continua  affermando  che «natura tributaria non puo'
certamente  riconoscersi  alla  disposizione in tema di registrazione
dei lavoratori occupati, e cio' in considerazione delle piu' generali
finalita' perseguite con i provvedimenti volti a favorire l'emersione
del  lavoro irregolare, cui l'obbligo di registrazione dei lavoratori
impiegati e' legato dai rapporto di strumentalita».
   1.4. - Tuttavia, l'ordinanza prosegue rilevando che la sanzione de
quo «sebbene non correlata al mancato pagamento o all'inosservanza di
un obbligo tributario, si aggiunge al sistema sanzionatorio contenuto
nei decreti legislativi 18 dicembre 1997 n. 471, 472 e 473».
   E  a  giudicare  delle controversie relative all'irrogazione delle
dette  sanzioni  sono  chiamate le Commissioni tributarie dato che «a
sensi  dell'art.  3,  comma  4, del d.l. n. 12/2002.... competente ad
irrogare  la  sanzione  e' l'Agenzia delle entrate e viene percio' in
considerazione  la  specifica  previsione  di  competenza del giudice
tributario  per  le  "sanzioni amministrative comunque irrogate dagli
uffici  finanziari",  come  recata  dal  novellato  art.  2 del d.lgs
n. 546/1992».
   A  queste  considerazioni  ne seguono di ulteriori, di cui la piu'
importante  e' la constatazione della «tendenza espansiva dell'ambito
della  giurisdizione  tributaria  (che  non  incontra  precisi limiti
costituzionali,  fatto  salvo il principio di ragionevolezza), estesa
dal legislatore, per ragioni di connessione in senso ampio, a materie
estranee   ad   imposte  e  tributi;  l'intervento  piu'  recente  e'
rappresentato  dall'art. 3-bis del d.l. 30 settembre 2005 n. 203...»,
che  attribuisce alla giurisdizione delle commissioni le controversie
sui  canoni  di occupazione di spazi ed aree pubbliche, di quelli per
gli scarichi di acque reflue, ecc...
   2.  -  Questa  ordinanza  delle  Sezioni  unite e' di certo chiara
manifestazione ed indicazione del diritto vivente.
   Essa impone una prima considerazione.
   Secondo  le Sezioni unite della Corte suprema, il fondamento della
giurisdizione  delle  Commissioni  tributarie, in materia di sanzioni
per  lavoro  irregolare,  e'  costituito  dal solo fatto che la legge
attibuisce  il  potere  di  irrogarle  agli uffici finanziari; e cio'
ancorche'  la  violazione  che  si intende sanzionare non sia affatto
«correlata  al  mancato  pagamento  o  all'inosservanza di un obbligo
tributario».
   Sempre  secondo  le  Sezioni  unite, tale attibuzione (l'unica che
rileva  nella  presente  controversia)  «non  incontra precisi limiti
costituzionali, fatto salvo il principio di ragionevolezza».
   2.1.  -  La  sezione  remittente  ritiene  in primo luogo di dover
condividere   la  lettura  data  dalla  Sezioni  unite  al  complesso
normativo esaminato.
   Il  richiamo contenuto nel d.l. n. 12/2002 (convertito nella legge
3002),  alle  norme  sulle  sanzioni  tributarie  di  cui  al  d.lgs.
n. 472/1997,  nonche'  l'art.  2  del  d.lgs. n. 546/1992, cosi' come
modificato  dall'art.  3-bis, comma 1, lett. a) del d.l. n. 203/2005,
convertito  nella  legge  n. 248/2005,  non  lasciano  all'interprete
spazio  per  interpretazioni  diverse  da  quelle  prospettate  dalle
Sezioni   unite,   che   pero'  la  Sezione  remittente  sospetta  di
incostituzionalita' per le ragioni infra espresse.
   Infatti,   il   richiamo   al   d.lgs.   n. 472/1997   ricomprende
indubitabilmente  anche il richiamo del suo articolo 18, il cui primo
comma  cosi'  testualmente  stabilisce:  «Contro  il provvedimento di
irrogazione  e' ammesso ricorso alle commissioni tributarie». Ancora,
le  Sezioni  unite,  fonte  primaria  del diritto vivente, lessero le
norme  in  esame  nel senso che costitutivo della giurisdizione delle
Commissioni  tributarie  fosse la mera irrogazione di una sanzione da
parte   di   «uffici   finanziari»,  indipendentemente  dalla  natura
tributaria della violazione sanzionata.
   2.1.1.  -  Alla luce della legislazione vigente, ed in particolare
dal  testo in vigore dell'art. 2 del d.lgs. n. 546/1992, tale lettura
non  solo  appare  corretta alla Sezione remittente, ma anche l'unica
possibile;  e  cio'  tanto  piu'  che,  secondo le Sezioni unite, «il
richiamo  operato dal comma 5, dell'art. 3, d.l. n. 12/2002 al d.lgs.
472/1992 [recte, 1997] letto alla luce della norma sopravvenuto sulla
giurisdizione  conserva,  quindi, inalterata la sua coerenza, laddove
rende   applicabili   le   disposizioni   generali   sulle   sanzioni
amministrative   in   materia   tributaria  ad  una  fattispecie  non
caratterizzata  dalla  commissione di un fatto in violazione di norme
tributarie».
   Infatti,  ex  art.  2  del  d.lgs.  n. 546/1992  novellato,  vi e'
giurisdizione delle Commissioni tributarie se oggetto del contenzioso
sono   «sanzioni   amministrative   comunque   irrogate   da   uffici
finanziari».
   In   questo   testo   sono  significativi,  in  quanto  precludono
interpretazioni  diverse  da  quelle  delle  Sezioni unite, le parole
amministrative  e  comunque; la prima, perche' indica la volonta' del
legislatore  di affidare alle commissioni controversie sulle sanzioni
anche  non  tributarie  (queste ultime sono la species del piu' vasto
genus  delle sanzioni amministrative); la seconda perche' rafforza la
conclusione  detta e non consente di escludere dalla giurisdizione de
quo  le  sanzioni non tributarie, purche' vengano irrogate da «uffici
finanziari».
   2.1.2.  -  Ne'  potrebbe  trovare  applicazione  il  secondo comma
dell'art.  18  del  d.  lgs  n. 472/1997,  che  regolava l'ipotesi di
sanzioni  relative  a  tributi  «rispetto  ai  quali  non sussiste la
giurisdizione   delle  commissioni  tributarie»,  per  le  quali  era
consentito  il  «ricorso  amministrativo  in  alternativa  all'azione
avanti l'autorita' giudiziaria ordinaria».
   Tale  norma  non  puo'  piu'  trovare  applicazione,  dato  che la
giurisdizione delle commissioni tributarie e' oggi estesa ai «tributi
di ogni genere e specie» (art. 2 del d. lgs. n. 546/1992 nel testo di
cui  al d.l. n. 203/2005) e non esistono piu' controversie tributarie
che sfuggano alla giurisdizione delle commissioni tributarie.
   Ribadendo  quanto  gia'  scritto,  l'ordinanza delle sezioni unite
della  Corte  suprema n. 2888/2006 preclude qualsiasi interpretazione
conforme  a  Costituzione  delle norme della cui costituzionalita' la
sezione remittente dubita.
   2.1.3.  -  L'unico  punto  rispetto al quale la sezione remittente
dissente  dall'ordinanza  delle  sezioni unite n. 2888/2006 e' allora
quello  avente ad oggetto l'asserita conformita' a Costituzione delle
norme in esame.
   Rispetto  ad  esse e tenendo presente gli insegnamenti della Corte
costituzionale, la sezione remittente si pone il dubbio se esista nel
legislatore  il  potere  di attribuire alle commissioni tributarie la
giurisdizione  su  controversie  di natura certamente non tributaria,
quale quella de quo.
   E  cio'  con  riferimento  agli  art.  102  e  103  ed  alla sesta
disposizione transitoria della Costituzione.
   2.2.1.  -  La  Corte  costituzionale  ritiene da molti anni che le
commissioni  tributarie  abbiano natura giurisdizionale; ex plurimis,
cio'  dichiaro' espressamente nelle sentenze 27 dicembre 1974 n. 287,
3 agosto 1976 n. 215 e 24 novembre 1982 n. 196.
   In particolare, nella sentenza n. 287/1974 il Giudice delle leggi,
mutando  d'avviso  rispetto  al  proprio precedente indirizzo (di cui
alla  sentenza  10  febbraio  1969  n. 10),  specifico' che «la nuova
disciplina  delle  commissioni  tributarie,  introdotta con d.P.R. 26
ottobre  1972  n. 636,  [si  risolve]  nell'esercizio  del  potere di
revisione  previsto  dalla  VI  disp.  trans. cost. per gli organi di
giurisdizione speciale esistenti anteriormente»
   La  sentenza  n. 214/1976  ribadi'  che  la riforma tributaria del
1972-1973  (cfr.  il  decreto  delegato  n. 636/1972,  che  attuo' la
«revisione  della  disciplina  del  contenzioso  tributario», secondo
quanto   disposto  dalla  legge  delega  n. 825/1971)  permetteva  di
affermare  «con  certezza  che per revisione [attuata con le suddette
norme]  non  puo' esser stata indicata che l'operazione prevista, con
quel  nome,  dalla disposizione VI transitoria; e cio' tanto piu' che
quella  operazione  di  revisione  e'  riferita  come da compiersi in
ordine  alle  "Commissioni  tributarie", le quali non potevano essere
che quelle anteriori, le sole allora esistenti».
   Fu  cosi'  escluso  che  il riordino delle commissioni tributarie,
disposto   dal  legislatore  nel  1971-1972,  comportasse  violazione
dell'art. 102, comma 2, cost. L'indirizzo fu poi ribadito anche dalla
sentenza della Corte cost. 24 novembre 1982 n. 196.
   Dunque,   secondo   la   Corte   costituzionale,   la  commissioni
tributarie,  cosi'  come  riordinate con il d.P.R. n. 636/1972 (e poi
col  d.  lgs.  n. 546/1992),  in  tanto  non  violano  il  divieto di
istituzione    di    giudici    speciali    e   sono   da   ritenersi
costituzionalmente  legittime, in  quanto furono fatte salve dalla VI
disp.  trans.  cost.;  ed  in forza di tale ultima norma furono fatte
oggetto della «revisione» attuata nel 1971-1972.
   22.2.  -  A cio' si aggiunse l'ordinanza 23 aprile 1998 n. 144, in
cui  la  Corte  costituzionale  affermo'  che  «per  le  preesistenti
giurisdizioni speciali, una volta che siano assoggettate a revisione,
non si crea una sorta di immodificabilita' nella configurazione e nel
funzionamento,  ne'  si  consumano  le  potesta'  di  intervento  del
legislatore  ordinario;  che  questi  conserva  il  normale potere di
sopprimere  ovvero  di trasformare, di riordinare i giudici speciali,
conservati   ai   sensi  della  VI  disposizione  transitoria,  o  di
ristrutturarli  nuovamente anche nel funzionamento e nella procedura,
con  il  duplice  limite di non snaturare (come elemento essenziale e
caratterizzante la giurisdizione speciale) le materie attribuite alla
loro   rispettiva   competenza  e  di  assicurare  la  conformita'  a
Costituzione, fermo permanendo il principio che il divieto di giudici
speciali  non riguarda quelli preesistenti a Costituzione e mantenuti
a seguito della loro revisione».
   Applicando detti principi alla specie, occorre allora accertare se
l'attribuzione  della  giurisdizione alle commissioni tibutarie sulle
controversie  relative  alle  sanzioni  per lavoro irregolare (per il
solo  fatto  che esse sono irrogate da uffici finanziari) finisca con
lo   «snaturare   (come  elemento  essenziale  e  caratterizzante  la
giurisdizione  speciale)  le  materie attribuite alla loro rispettiva
competenza»; e dunque si ponga in contrasto con la Carta.
   2.2.3.  -  Per  completare  il quadro di riferimento normativo. va
infine  ricordato  che  alla cognizione delle commissioni tributarie,
nell'ordinamento  preesistente  alla Costituzione e vigente sino alla
loro revisione del 1971-1972, era attribuito esclusivamente il potere
di  conoscere  questioni  tributarie,  e cio' in base alle loro leggi
istitutive   o   di   riordino   (si  vedano,  tipicamente,  il  r.d.
n. 1516/1937  sulle  commissioni  per le imposte dirette ed indirette
sugli affari o, per i tributi degli enti locali, gli art. 278 e segg.
del t.u. fin. loc. del 1931).
   Prima  della  Costituzione  della  Repubblica e comunque prima del
1972,  ad  esse  non  fu  mai  conferito  alcun  potere  di conoscere
controversie aventi ad oggetto altre materie, certamente non rapporti
di lavoro irregolare.
   2.3. - Alla luce di quanto precede, si chiede allora la sezione se
non  violi  l'art. 102 e l'art. IV disp. trans. cost. il complesso di
norme  sopra  enunciato  (art. 3, comma 3, del d.l. n. 12/2002, nella
parte  in cui richiama l'art. 18 del d.lgs. n. 472/1997), nonche' - e
soprattutto  -  l'art. 2 novellato del d.lgs. n. 546/1992 nella parte
in  cui  attribuisce  al  giudice  tributario  la giurisdizione sulle
sanzioni per lavoro irregolare, secondo quanto ritenuto dalle sezioni
unite.
   Un  primo  rilievo. Attraverso l'escamotage dell'attribuzione agli
uffici  finanziari  di poteri sanzionatori in materia non tributaria,
il legislatore allargo' la giurisdizione delle commissioni tributarie
ad  ambiti  e  materie  che  non  appartenevano  alla  sua cognizione
originaria, sottraendoli al giudice ordinario.
   Le commissioni tributarie sono ritenute dalla Corte costituzionale
giudici   speciali,   salvati   dalla   disposizione   transitoria  e
revisionati  in  forza  della  stessa.  Ma  l'estensione  della  loro
giurisdizione  a  materie sicuramente non tributarie (e cosi' diverse
da quelle, sia pure genericamente intese, per cui furono fatte salve)
pone  il  dubbio  se  non  si  sia  violato  l'art.  102 cost., ed il
principio  (tendenziale)  dell'unicita'  della giurisdizione che esso
sancisce,   sia   pur  con  ampie  eccezioni  (pero'  previste  dalla
Costituzione  e  nei limiti della stessa); nonche' di quello, ad esso
correlato,  di  divieto  di istituzione di giudici speciali. In altri
termini,  se  non  si' sia operato quello snaturamento degli elementi
essenziali  e  caratterizzanti  la giurisdizione speciale tributaria,
che   la   Corte   costituzionale  indico'  come  limite  del  potere
legislativo.
   Il  dubbio  puo'  essere  sollevato anche sub specie dell'art. 103
cost.,  nella  misura in cui si e' in presenza, nella materia de quo,
di interessi legittimi.
   In   conclusione  la  sezione  dubita  che  nel  caso,  attraverso
l'attribuzione  all'Agenzia  delle  entrate  di poteri in materie non
tributarie,  si  sia  indebitamente  allargata la giurisdizione di un
giudice speciale a materie diverse da quelle ad esso attribuite dalla
legge  nel  momento  in  cui  entro'  in vigore la Costituzione della
Repubblica  e  per  le  quali  furono  «fatti  salvi»;  e  che questo
allargamento  snaturi  gli  elementi caratterizzanti la giurisdizione
speciale,  assumendo  sostanziale  natura  di  istituzione di giudice
speciale  in  violazione  (sia pure in modo mascherato) dell'art. 102
cost. (ovvero, per gli interessi legittimi, dell'art. 103).
   2.4.  -  Rafforza  il  dubbio in questione la sentenza della Corte
costituzionale  6  luglio  2004  n. 204,  che  dichiaro' parzialmente
incostituzionale    la   nuova   determinazione   dell'ambito   della
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, di cui alla legge
n. 205/2000.
   A  tale  conclusione il Giudice delle leggi giunse perche' ritenne
che  il potere del legislatore di ampliare l'area della giurisdizione
esclusiva,  pur  attibuitogli  dall'art.  103  cost.,  fosse comunque
limitato    a    materie    nelle    quali    «opera    la   pubblica
amministrazione-autorita».  A  tal  fine  non era sufficiente la mera
partecipazione  al  giudizio  della  p.a.;  e  il criterio discretivo
costituzionalmente  corretto  fu  individuato  dalla  Corte non tanto
nella partecipazione della p.a. ad un'azione contro di essa o da essa
proposta,  quanto  piuttosto  nel  fatto che le materie che rientrano
nella  giurisdizione  esclusiva debbono essere «particolari», e cioe'
devono  essere «contrassegnat[e] dalla circostanza che la p.a. agisce
come  autorita'  nei  confronti  della  quale  e' accordata tutela al
cittadino  davanti  la  giudice  amministrativo».  In questo modo, la
Corte   costituzionale   ritenne   che  non  potesse  il  legislatore
prescindere dalla storica ripartizione tra giurisdizione ordinaria ed
amministrativa (quale esistente all'atto dell'entrata in vigore della
Costituzione),  perche'  questi  erano  i limiti di fondo del riparto
delle  giurisdizioni  ordinaria  ed  amministrativa  stabiliti  nella
Carta;  e  che  la sua discrezionalita' fosse nella sostanza limitata
dalla predetta connessione.
   Pone  allora  la  sezione  remittente  il  dubbio  se  la medesima
impostazione  debba  essere seguita anche nell'individuare il riparto
della  giurisdizione  tra il giudice speciale tributario (fatto salvo
dalla VI disp. trans.) ed il giudice ordinario e/o amministrativo.
   3.  - La Sezione terza della Commissione tributaria provinciale di
Venezia, quindi, ritiene non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 3, del d.l. n. 12/2002
(convertito  nella  legge  n. 73/2002),  nella  parte in cui richiama
l'art.  18  del  d.  lgs.  n. 472/1997,  nonche'  l'art.2  del d.lgs.
n. 546/1992, cosi' come modificato dall'art. 3-bis, comma 1, lett. a)
del  d.l.  n. 203/2005,  convertito  nella  legge. n. 248/2005, nella
parte in cui attribuisce alle commissioni tributarie la giurisdizione
sulle  controversie  derivanti  dagli atti di irrogazione di sanzioni
per lavoro irregolare emanati dall'Agenzia delle entrate.
   La   Sezione  sospende  il  giudizio  sottopostole  e  rimette  la
questione suddetta alla Corte costituzionale.
C)   Sull'inammissibilita'   della  prova  per  testimoni  (questione
subordinata a quella che precede).
   1. - La Corte costituzionale con la sentenza 21 gennaio 2000 n. 18
affermo'  la  legittimita'  costituzionale  dell'art. 7, comma 4, del
d.lgs.   n. 546/1992   sul   rilievo  che  «il  divieto  della  prova
testimoniale nel processo tributario trova giustificazione, sia nella
spiccata  specificita'  dello  stesso  rispetto  a  quello  civile ed
amministrativo, correlata alla configurazione dell'organo decidente e
al  rapporto  sostanziale oggetto del giudizio, sia nella circostanza
che  esso  e'  ancora, specie sul piano istruttorio, in massima parte
scritto e documentale; sia, infine, nella stessa natura della pretesa
fatta   valere   dall'Amministrazione   finanziaria   attraverso   un
procedimento di accertamento dell'obbligo del contribuente che mal si
concilia con la prova testimoniale».
   Tale sentenza del Giudice delle leggi, unita all'assolutezza delle
parole   usate  nella  norma  in  questione  («non  sono  ammessi  il
giuramento  e  la  prova testimoniale.»), impedisce qualsiasi lettura
costituzionalmente  conforme  dell'art. 7, comma 4, del d.lgs n. 546/
1992,  almeno  se  risultera'  fondato  il  dubbio infra espresso. ll
divieto  c'e';  ed  e'  apodittico,  senza  possibilita'  di  diverse
letture.
   2.  - Si chiede la sezione remittente se le ragioni adottate dalla
Corte  costituzionale  per  affermare  la legittimita' del divieto di
prova  per  testimoni  nel  procedimento  tributario  reggano ancora,
almeno  la'  ove,  avanti il giudice tributario, non piu' di rapporti
tributari  si  discuta,  ma  di  rapporti  di tutt'altra natura quali
quelli  dell'esistenza  (o meno) di un rapporto di lavoro, regolare o
irregolare che sia e per i quali avanti il giudice ordinario sussiste
un potere istruttorio ufficioso.
   Infatti,   l'art.  421  c.p.c.,  richiamato  per  le  controversie
previdenziali  dall'art.  442  c.p.c.,  nell'ammettere  la  prova per
testi,  stabilisce che, avanti il Giudice ordinario, nella materia in
esame massimi devono essere i poteri istruttori del giudice, non piu'
vincolato  ne'  dal principio dispositivo di cui all'art. 115 c.p.c.,
ne' dai limiti stabiliti dal codice civile; norma questa presente nel
processo  del  lavoro  quanto meno dalla entrata in vigore, nel 1942,
del  codice  di rito civile (cfr. l'abrogato an. 439 c.p.c., identico
all'art.  421  vigente);  e  (si  aggiunge  obiter,  data  la  natura
collegiale delle commissioni) oggi (in parte) estesa anche al giudice
monocratico  nelle  ordinarie  controversie  civili dall'art. 281 ter
c.p.c..
   3.  -  Ritiene  la  sezione  che  la  controversia  sulle sanzioni
irrogate per lavoro irregolare sulla base delle norme supra piu volte
richiamate  abbia  di certo natura non tributaria, ma sostanzialmente
giuslavoristica    o   previdenziale,   come   del   resto   ritenuto
dall'ordinanza delle sezioni unite piu' volte richiamata.
   Sorge quindi il dubbio che piu' non sussista (o si sia attenuata),
quanto  meno  per questo tipo di controversie, la giustificazione che
fece  ritenere  alla Corte costituzionale che il divieto in esame non
ledesse  ne'  il  principio  di  eguaglianza  ex art. 3 Cost., ne' il
diritto di difesa ex art. 24 Cost.
   Quanto   all'art.  3  Cost.,  macroscopica  sarebbe,  infatti,  la
differenza di trattamento tra il normale processo del lavoro avanti i
tribunali  ordinari  e  quello  che  si  svolge avanti le commissioni
tributarie.  Basti  pensare  alla  diversita' di situazione sul piano
istruttorio tra la causa per il recupero dei contributi previdenziali
omessi  in  caso  di  lavoro irregolare e quella avente ad oggetto le
sanzioni irrogate per il medesimo fatto. Avanti il giudice del lavoro
la prova e' libera e addirittura svincolata dal principio dispositivo
e  dai  limiti  stabiliti  dal  codice  civile; avanti le commissioni
tributarie  la  prova testimoniale non e' invece ammessa, anche se il
fatto da provare e' lo stesso.
   Anche  il  diritto di difesa, costituzionalmente protetto, sarebbe
in tale ipotesi irragionevolmente compresso, in una situazione in cui
l'esistenza  del rapporto di lavoro, soprattutto se irregolare, viene
in  principalita'  provato  per  testimoni.  Togliere  a  chi subisce
l'irrogazione  della  sanzione  (che puo' anche essere assai pesante,
soprattutto  se  di  riflette  che sono le piccole imprese quelle che
ricorrono  per  lo  piu'  al lavoro inegolare), o alla stessa Agenzia
delle  entrate,  o  al  giudice  la  possibilita'  di  acquisire  per
testimoni la prova dell'esistenza (o dell'inesistenza) di un rapporto
di  lavoro  che  si  assume  irregolare significa privare il rapporto
contenzioso  dello strumento principe per dimostrare la fondatezza (o
l'infondatezza)  della  pretesa  sanzionatoria dell'Agenzia. E non va
dimenticato  che  potrebbe  essere  proprio  l'ente  irrogatore delle
sanzioni  per  lavoro  irregolare  il  soggetto  interessato  a dover
provare  per  testi l'esistenza di un rapporto di lavoro, dato che su
di  lui grava l'onere della prova; e cio' soprattutto la', come nella
specie,  dove il verbale degli ispettori dell'Inps lascia elementi di
dubbio e richieda integrazioni istruttorie.
   In   altri   termini   sorge   il  dubbio  se  l'estensione  della
giurisdizione  tributaria (sempreche' sia ritenuta costituzionalmente
legittima)  alle  controversie  sulla legittimita' delle sanzioni per
lavoro irregolare abbia fatto venir meno la specificita' del processo
tributario che giustifica il divieto in esame, dato che lo stesso non
ha  (nel  caso)  piu'  ad  oggetto rapporti tributari, ma rapporti di
tutt'altra   natura,  in  particolare  rapporti  giuslavoristici  e/o
previdenziali.
   Nella   specie,   infatti,   non   si  discute  «dell'accertamento
dell'obbligo  del  contribuente»,  ma  dell'esistenza,  o meno, di un
rapporto  di  lavoro  e,  di  riflesso,  di  un obbligo di natura non
tributaria.
   4.  -  La  sezione  quindi,  ma  solo  nell'ipotesi  che  la Corte
dichiarasse  infondata  la  questione  di legittimita' costituzionale
sulla  giurisdizione  sopra  sollevata,  ritiene  non  manifestamente
infondata  la  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 7,
comma 4, del d.lgs. n. 546/1992.
                              P. Q. M.
   Sospende il presente giudizio;
   Rimette  gli  atti  del  ricorso proposto dalla Patrizia s.a.s. di
Consalvi  Patrizia  &  C.  contro l'Agenzia delle entrate, Ufficio di
Venezia  1  (n.  115/2005  rg.),  alla  Corte  costituzionale  per il
giudizio di legittimita' costituzionale delle seguenti norme:
     a)  in  principalita', dell'art. 3, comma 3, del d.l. n. 12/2002
(convertito  nella  legge  n. 73/2002),  nella  parte in cui richiama
l'art.  18  del  d.lgs.  n. 472/1997,  nonche'  l'art.  2  del d.lgs.
n. 546/1992, cosi' come modificato dall'art. 3-bis, comma 1, lett. a)
del  d.l. n. 203/2005, convertito nella legge n. 248/2005 nella parte
in cui attribuisce alle commissioni tributarie la giurisdizione sulle
controversie  derivanti  dagli  atti  di  irrogazione di sanzioni per
lavoro  irregolare  emanati  dagli  uffici  finanziari in materie non
tributarie,  per  contrasto  con  gli artt. 102, 103 cost. e IV disp.
trans. cost.;
     b)  in  subordine  e  per l'ipotesi che le norme ora dette sulla
giurisdizione  vengano ritenute conformi alla Costituzione, l'art. 7,
comma  4,  del  d.lgs  n. 546/1992  per contrasto con gli art. 3 e 24
Cost.
   Ordina  che  la  presente ordinanza venga, a cura della segreteria
della commissione, notificata alle parti in causa e al Presidente del
Consiglio  dei  ministri  e comunicata ai Presidenti delle due Camere
del Parlamento, ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87/1953.
     Venezia, addi' 8 luglio 2006
                  Il Presidente e relatore: Forlati