N. 236 SENTENZA 23 - 27 giugno 2008

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Straniero   e   apolide   -  Espulsione  amministrativa  -  Reato  di
  trattenimento,  senza  giustificato  motivo,  nel  territorio dello
  Stato  in  violazione  dell'ordine  di allontanamento impartito dal
  questore - Arresto obbligatorio - Dedotta disparita' di trattamento
  rispetto a fattispecie piu' gravi e supposta elusione di precedente
  giudicato  costituzionale  -  Lamentato  contrasto con le norme del
  diritto  internazionale  generalmente riconosciute nonche' asserita
  lesione  dei  principi di inviolabilita' della liberta' personale e
  di  colpevolezza  -  Difetto  di rilevanza - Inammissibilita' delle
  questioni.
- D.Lgs.  25 luglio 1998, n. 286, art. 14, commi 5-ter e 5-quinquies,
  come sostituiti dall'art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271.
- Costituzione, artt. 3, 10, 13, 27 e 136.
Straniero   e   apolide   -  Espulsione  amministrativa  -  Reato  di
  trattenimento,  senza  giustificato  motivo,  nel  territorio dello
  Stato  in  violazione  dell'ordine  di allontanamento impartito dal
  questore - Arresto obbligatorio - Lamentata violazione dei principi
  di  ragionevolezza  e  di  inviolabilita' della liberta' personale,
  nonche'  dedotta  disparita'  di trattamento rispetto a fattispecie
  analoghe  o  piu' gravi - Esclusione - Scelta di politica criminale
  di spettanza del legislatore non manifestamente irragionevole - Non
  fondatezza della questione.
- D.Lgs.  25  luglio  1998,  n. 286, art. 14, comma 5-quinquies, come
  sostituito dall'art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271.
- Costituzione, artt. 3 e 13.
(GU n.28 del 2-7-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Franco BILE;
Giudici:  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
   Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso  QUARANTA,  Franco
   GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe
   TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente
                              Sentenza
nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 14, commi 5-ter
e  5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo
unico  delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione
e norme sulla condizione dello straniero) - come sostituiti dall'art.
1  della  legge  12  novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con
modificazioni,  del  decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante
disposizioni  urgenti  in  materia  di  immigrazione) -, promossi con
ordinanze  del  10  aprile  2006  dal Tribunale di Agrigento, sezione
distaccata  di  Canicatti',  del  6 maggio e del 5 settembre 2006 dal
Tribunale  di  Agrigento, sezione distaccata di Licata, del 13 luglio
(nn.  2 ordinanze) 2007 dal Tribunale di Paola, sezione distaccata di
Scalea,  rispettivamente  iscritte  ai  nn.  413  e  578 del registro
ordinanze  2006  e ai nn. 540, 781 e 783 del registro ordinanze 2007,
pubblicate  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 42 e 51, 1ª
serie  speciale,  dell'anno  2006  e  nn. 32 e 47, 1ª serie speciale,
dell'anno 2007.
   Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 21 maggio 2008 il giudice
relatore Gaetano Silvestri.
                          Ritenuto in fatto
   1. -  Con  tre  ordinanze  di  analogo  tenore,  il  Tribunale  di
Agrigento,  sezioni distaccate di Canicatti' (r.o. n. 413 del 2006) e
di  Licata (r.o. n. 578 del 2006 e n. 540 del 2007), ha sollevato, in
riferimento  agli  artt.  3,  10,  13,  27  e 136 della Costituzione,
questioni  di legittimita' costituzionale dell'art. 14, commi 5-ter e
5-quinquies,  del  decreto  legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo
unico  delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione
e norme sulla condizione dello straniero) - come sostituiti dall'art.
1  della  legge  12  novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con
modificazioni,  del  decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante
disposizioni  urgenti  in  materia di immigrazione) -, nella parte in
cui,   rispettivamente,   configurano   la   fattispecie   delittuosa
dell'indebito   trattenimento   del  cittadino  extracomunitario  nel
territorio  dello  Stato  (comma  5-ter) e l'arresto obbligatorio del
soggetto responsabile di tale delitto (comma 5-quinquies).
   I  rimettenti,  chiamati  a  provvedere  in  merito alla convalida
dell'arresto  di  cittadini extracomunitari inottemperanti all'ordine
di  allontanarsi  dal  territorio  nazionale,  emesso dal questore ai
sensi  dell'art.  14,  comma 5-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, hanno
disposto  la  scarcerazione  degli  arrestati con motivazione fondata
sulla  carenza  dei  gravi  indizi  di  colpevolezza  in  ordine alla
sussistenza del delitto contestato, e successivamente hanno sospeso i
giudizi di convalida.
   Le  censure  prospettate  concernono  in  primo  luogo  l'asserito
contrasto  della  previsione dell'arresto obbligatorio con i principi
sanciti  dagli  artt.  27  e  13  Cost.  A  parere dei rimettenti, il
legislatore  ha  imposto l'applicazione della «misura eccezionale» di
limitazione  provvisoria  della  liberta' nei confronti di soggetti i
quali  «non  si  trova[no] generalmente nelle condizioni materiali di
adempiere  spontaneamente  l'ordine  di  espulsione», per mancanza di
documenti,  mezzi  finanziari  e  capacita' di procurarsi un regolare
mezzo  di  trasporto per fare ritorno in patria, e dunque a fronte di
situazioni  nelle  quali  l'ottemperanza all'ordine di allontanamento
puo' risultare inesigibile.
   I  giudici  a  quibus  si soffermano su tale aspetto del fenomeno,
osservando   come,   in  mancanza  del  trasferimento  del  cittadino
extracomunitario   fuori   dal   territorio   dello  Stato  ad  opera
dell'autorita',  e  stante  «l'impossibilita'  pratica da parte dello
straniero  di  fare  utilmente  rientro  da  solo nel suo paese», non
potrebbe «oggettivamente pretendersi che questi esegua spontaneamente
un  provvedimento  a  lui  pregiudizievole».  I rimettenti aggiungono
l'ulteriore  considerazione  secondo cui l'ottemperanza all'ordine di
espulsione   potrebbe   esporre   il   cittadino  extracomunitario  a
conseguenze  personali  e  giuridiche  «perfino  piu' gravi di quelle
derivanti  dalla  sua permanenza illegale in Italia», ogni qual volta
lo  stesso, non potendo raggiungere il Paese d'origine, sia costretto
a   fare   ingresso  in  altro  Stato,  con  il  rischio  «certamente
inesigibile» di subire ulteriori limitazioni della liberta'.
   In  un  solo  caso  (r.o. n. 540 del 2007) e' prospettato anche il
contrasto   della  normativa  censurata  con  l'art.  10  Cost.,  per
violazione  degli  obblighi  di  tutela  delle  vittime  del traffico
internazionale di esseri umani.
   Le  norme  censurate,  secondo  i giudici a quibus, risulterebbero
inoltre  elusive  della  pronuncia  della Corte costituzionale con la
quale   e'   stata  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  del
previgente  art.  14,  comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998,
che   stabiliva  «identico  congegno  normativo».  Al  solo  fine  di
ripristinare  l'arresto obbligatorio, infatti, il legislatore avrebbe
«surrettiziamente»     trasformato    la    precedente    fattispecie
contravvenzionale   in  una  previsione  delittuosa,  il  cui  rigore
sanzionatorio  non  troverebbe  giustificazione nel bilanciamento tra
interesse protetto e inviolabilita' della liberta' personale.
   I   rimettenti  segnalano  quindi  il  contrasto  della  normativa
censurata  con  il  principio  di  uguaglianza,  rilevando  come tale
normativa   realizzi   «una   indebita  e  arbitraria  disparita'  di
trattamento  tra  la  condotta incriminata e altri fatti per i quali,
invece,  malgrado  la  loro obiettiva maggiore gravita', l'arresto e'
reso  solamente  facoltativo in base ai principi generali dettati dal
Codice di procedura penale».
   Con riferimento alla rilevanza delle questioni, i giudici a quibus
ne affermano la sussistenza, in quanto dall'accoglimento delle stesse
discenderebbero effetti favorevoli in capo agli indagati.
   1.1. -  Con  atti  di  identico  tenore,  in  tutti  i  giudizi e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso in
via  principale  per  la  declaratoria  di manifesta inammissibilita'
delle questioni e, in subordine, di non fondatezza.
   Quanto  al  profilo  preliminare,  la difesa erariale evidenzia la
carenza  di  motivazione  in  ordine  alla rilevanza delle questioni,
affermata  dai  rimettenti  con il generico riferimento agli «effetti
favorevoli che deriverebbero, in capo all'indagato, dall'accoglimento
delle questioni».
   Nel  merito,  l'Avvocatura  generale  osserva  come  la  peculiare
gravita' della condotta del soggetto il quale, espulso dal territorio
dello Stato, continui deliberatamente a soggiornarvi, rappresenti una
costante  della  disciplina in materia di immigrazione, essendo stato
l'arresto  obbligatorio  previsto  gia'  per l'originaria fattispecie
contravvenzionale  introdotta  dalla  legge  30  luglio  2002, n. 189
(Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo).
   Con  la novella recata dalla legge n. 271 del 2004, di conversione
del  decreto-legge n. 241 del 2004, il legislatore e' intervenuto per
rimodulare  il  sistema  sanzionatorio,  diversificando  le possibili
condotte  offensive  e  attribuendo  natura  delittuosa a quelle piu'
gravi.
   All'esito  di  tale  opera  di  risistemazione  risultano  infatti
diversamente   disciplinate   l'ipotesi   di  ingresso  illegale  nel
territorio  dello  Stato (equiparata all'omessa richiesta di permesso
di  soggiorno  nel  termine  prescritto  in assenza di cause di forza
maggiore,  nonche' ai casi di revoca o di annullamento del permesso),
e  quella  di  espulsione  disposta  per  scadenza  del  permesso  di
soggiorno  superiore  ai  sessanta giorni in mancanza di richiesta di
rinnovo. Alla prima ipotesi, ictu oculi piu' grave, il legislatore ha
riservato  il  trattamento  piu'  severo,  stabilendo  la  pena della
reclusione  da  uno  a  quattro  anni,  mentre  ha confermato, per la
seconda  e  meno  grave fattispecie, la natura contravvenzionale e la
sanzione dell'arresto da sei mesi ad un anno.
   Ritiene,  pertanto,  la  difesa erariale che le scelte operate dal
legislatore  sotto  il  profilo della dosimetria della pena risultino
rispettose del limite della ragionevolezza.
   Quanto,  infine, alla «inesigibilita» dell'ottemperanza all'ordine
di  espulsione,  prospettata  dai  rimettenti  come conseguenza delle
difficolta'  che il cittadino extracomunitario incontrerebbe nel fare
ritorno  al  Paese  d'origine,  l'Avvocatura  generale  si  limita ad
osservare  che  l'assunto  non e' comprensibile, e che, in ogni caso,
«proverebbe troppo».
   2. -  Con  due  ordinanze di identico tenore (r.o. n. 781 e n. 783
del  2007)  il  Tribunale  di Paola, sezione distaccata di Scalea, ha
sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3  e 13 della Costituzione,
questione   di   legittimita'   costituzionale  dell'art.  14,  comma
5-quinquies,  del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dalla legge
n. 271  del  2004, nella parte in cui prevede l'arresto obbligatorio,
anziche'  meramente  facoltativo,  per il delitto di cui all'art. 14,
comma 5-ter, del medesimo decreto.
   Entrambi i giudizi principali riguardano la convalida dell'arresto
di    cittadini    extracomunitari   inottemperanti   all'ordine   di
allontanarsi  dal  territorio nazionale, emesso dal questore ai sensi
dell'art.   14,   comma   5-bis,   del  testo  unico  in  materia  di
immigrazione.  Il  giudice  a  quo  riferisce  che  gli interessati -
all'esito  degli  accertamenti  dattiloscopici -  risultano  privi di
precedenti penali e giudiziali, e mai segnalati alla polizia.
   Il  rimettente,  che  ha  sospeso  i giudizi prima di pronunciarsi
sulla  convalida, censura la previsione dell'arresto obbligatorio per
il reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998,
evidenziando  in  premessa  il  carattere doppiamente eccezionale dei
casi  in  cui la privazione della liberta' personale avviene non solo
al  di  fuori  della  riserva  di giurisdizione, ma anche precludendo
«ogni  valutazione  in ordine alla opportunita' o necessita' nel caso
concreto di privare l'individuo della liberta' personale». In tema di
tutela della liberta' personale, infatti, l'art. 13 Cost. consente la
previsione  della  misura  dell'arresto  obbligatorio  solo  «in casi
eccezionali  di  necessita'  ed  urgenza»,  tra  i  quali non sarebbe
annoverabile  l'ipotesi  delittuosa  di cui all'art. 14, comma 5-ter,
del testo unico in materia di immigrazione.
   La   scelta  legislativa  di  rendere  obbligatorio  l'arresto  in
flagranza  per  una  fattispecie, come quella in esame, punita con la
reclusione   da   uno   a   quattro   anni,   e   che   si  sostanzia
nell'inottemperanza    ad    un   ordine   impartito   dall'autorita'
amministrativa, risulterebbe priva di ragionevolezza (sono richiamate
le  sentenze  della  Corte costituzionale n. 394 del 1994, n. 409 del
1989,  n. 103  del  1982  e  n. 26  del  1979), come dimostrerebbe il
raffronto  con  analoghe  fattispecie previste dall'ordinamento, alla
luce  dei  criteri generali stabiliti nell'art. 380, commi 1 e 2, del
codice di procedura penale, nei quali trovano positiva specificazione
i  limiti  configurati dalla Costituzione ai fini dell'adozione della
eccezionale misura privativa della liberta'.
   L'arresto obbligatorio e' infatti previsto dall'art. 380, comma 1,
cod.  proc.  pen.,  per  delitti  puniti  con  l'ergastolo  o  con la
reclusione  non  inferiore  nel  massimo  a venti anni e nel minimo a
cinque  anni,  e,  al  comma  2  del  medesimo  art.  380, per reati,
tassativamente  indicati,  le  cui  pene  edittali  sono in ogni caso
significativamente  superiori,  nel massimo, a quella prevista per il
delitto di cui all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998.
   L'irragionevolezza  della  scelta  legislativa,  e  la conseguente
ingiustificata   disparita'  di  trattamento,  deriverebbero  proprio
dall'avere  il  legislatore  accomunato, ai fini della adozione della
misura  dell'arresto  obbligatorio,  fattispecie  non comparabili sia
avuto  riguardo  al  trattamento  sanzionatorio, sia sotto il diverso
profilo  dell'allarme  sociale  destato.  A  parere  del  rimettente,
infatti,  l'inottemperanza  all'ordine  del  questore  di lasciare il
territorio  nazionale  non produce alcuna offesa diretta ad interessi
costituzionalmente  rilevanti  per  la collettivita' (si tratta di un
«reato  ostacolo»),  e, per altro verso, nemmeno si puo' ritenere che
il  cittadino  extracomunitario sia socialmente pericoloso in ragione
dello  stato  di  clandestinita'  o perche' illegalmente presente nel
territorio nazionale.
   Il  giudice  a quo istituisce quindi un ulteriore raffronto tra il
reato  in  esame  e  altre  fattispecie  che,  a  suo  dire, non solo
presentano   struttura   analoga   al   primo,   ma  anche  risultano
direttamente  o  potenzialmente lesive di interessi collettivi, e per
le quali, invece, l'arresto in flagranza e' soltanto facoltativo.
   Il riferimento immediato e' al reato di evasione, che si sostanzia
nella   violazione   di   un   provvedimento   emesso  dall'autorita'
giudiziaria,  e «non di un semplice provvedimento amministrativo», da
parte  di  un soggetto il quale, per il solo fatto di essere detenuto
per altra causa, deve presumersi socialmente pericoloso.
   Il  raffronto prosegue con il richiamo al reato previsto dall'art.
9,  comma  2,  della  legge  27  dicembre  1956,  n. 1423  (Misure di
prevenzione),   che  punisce  l'inosservanza  agli  obblighi  e  alle
prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con la reclusione da
uno  a  cinque  anni,  e  per  il  quale  il  comma  3  della  stessa
disposizione  prevede l'arresto soltanto facoltativo. Anche in questa
ipotesi,  evidenzia  il  rimettente,  come  nel  reato  di  evasione,
l'inosservanza riguarda un provvedimento dell'autorita' giudiziaria e
l'agente  e'  soggetto  la cui elevata pericolosita' sociale e' stata
gia' accertata.
   Allo  stesso  modo, l'art. 8, comma 1-bis, della legge 13 dicembre
1989,  n. 401  (Interventi  nel  settore del giuoco e delle scommesse
clandestini  e  tutela  della  correttezza  nello  svolgimento  delle
manifestazioni  sportive), prevede l'arresto facoltativo dei soggetti
gia'   resisi   responsabili  di  fatti  di  violenza  nel  corso  di
manifestazioni sportive, e dunque sicuramente pericolosi.
   Quanto,  infine,  al  trattamento  riservato  dal legislatore alle
altre  ipotesi  di violazione o trasgressione di provvedimenti emessi
dalla  pubblica  autorita'  (amministrativa  o  giurisdizionale),  il
rimettente  richiama  in  via esemplificativa le fattispecie previste
dagli artt. 388 e 650 del codice penale, nonche' dagli artt. 9, comma
1,  della  legge  n. 1423  del  1956  e  51 del decreto legislativo 5
febbraio  1997,  n. 22  (Attuazione  della  direttiva  91/156/CEE sui
rifiuti,  della  direttiva  91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della
direttiva  94/62/CE  sugli  imballaggi e sui rifiuti di imballaggio),
per  sottolineare  come, in tali ipotesi, l'arresto non sia previsto,
neppure in forma facoltativa.
   La  disamina che precede renderebbe evidente, a parere del giudice
a  quo,  che  il  legislatore ha trattato allo stesso modo situazioni
affatto  difformi,  violando il principio di uguaglianza che, benche'
riferito  testualmente  ai  «cittadini»,  deve  ritenersi esteso agli
stranieri,   in   quanto   norma  diretta  alla  tutela  dei  diritti
inviolabili   dell'uomo   (e'  richiamata  la  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 104 del 1969).
   La  dedotta  lesione  del  principio  sancito  dall'art. 13, terzo
comma,  Cost., e' argomentata previo richiamo ai rilievi gia' svolti,
secondo  cui  il  legislatore  puo' stabilire restrizioni provvisorie
alla  liberta'  personale, al di fuori dell'intervento dell'autorita'
giudiziaria,  solo  «in  casi  eccezionali di necessita' ed urgenza»,
laddove  l'art.  14,  comma  5-ter  del  d.lgs.  n. 286 del 1998, che
concerne la mancata osservanza dell'ordine di allontanamento disposto
dal  questore,  configurerebbe un reato la cui struttura «non prevede
ne'  la  lesione  ne'  la messa in pericolo diretta e immediata di un
bene costituzionalmente protetto».
   Secondo  il  rimettente,  la  ratio della previsione risiederebbe,
infatti,  «unicamente  nella  scelta  del  legislatore di assicurare,
mediante  la  minaccia  di  sanzioni  penali,  l'ottemperanza  ad  un
provvedimento  amministrativo,  e  quindi di garantire l'effettivita'
dei meccanismi di espulsione degli stranieri "indesiderati"».
   Il  giudice  a  quo  si  sofferma  ancora  sul  profilo soggettivo
dell'assenza   di   una   condizione   di   pericolosita'   specifica
dell'agente,  evidenziando  ulteriormente  come, a fronte di soggetti
mai  condannati  ne'  giudicati  per  altri  reati, non sia possibile
formulare  un  giudizio  di pericolosita' sociale (sono richiamate le
sentenze  della  Corte  costituzionale  n. 64  del  1977 e n. 126 del
1972).  La  permanenza  clandestina  dello  straniero  in  Italia non
costituisce  di  per  se'  reato  -  essendo  invece  condizione  che
legittima  l'espulsione  -,  ne'  la  formale  assenza  di  un titolo
legittimante  l'ingresso  nel  territorio  dello  Stato  puo'  essere
considerata in se' indice di specifica pericolosita' del soggetto.
   Il   rimettente   esamina  quindi  le  conseguenze  del  censurato
automatismo  osservando  come,  in  molti casi, gli organi di polizia
siano   costretti   a  procedere  all'arresto  di  soggetti  che  non
presentano  alcun profilo di pericolosita' sociale, e che sono talora
perfino  inseriti nel contesto locale di riferimento. In questi casi,
rileva  ancora  il  rimettente,  l'adozione della misura precautelare
prescinde  dalla  sua utilita' (non apprezzabile ne' dalla polizia in
fase  di  esecuzione,  ne'  dall'autorita'  giudiziaria  in  sede  di
convalida),  senza  trovare  giustificazione nella gravita' oggettiva
del fatto ovvero nella pericolosita' del soggetto agente.
   Sarebbe  da escludere, infine, secondo il giudice a quo, qualsiasi
strumentalita'  tra  l'obbligatorieta'  dell'arresto  e l'esigenza di
garantire   l'ottemperanza   al   provvedimento   di  allontanamento:
l'effetto  di  deterrenza, attraverso il quale il legislatore intende
assicurare   l'efficacia   del   procedimento   di  espulsione,  puo'
legittimamente  essere  rappresentata  dalla sanzione penale inflitta
dall'autorita' giudiziaria all'esito di un giusto processo, non anche
da   una   misura  precautelare  alla  quale  la  Costituzione  e  la
legislazione  penale  assegnano  altra  funzione  (e'  richiamata  la
sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2004).
   Quanto  alla rilevanza della questione, il rimettente evidenzia la
maggiore   ampiezza   del   controllo   sull'operato   della  polizia
giudiziaria  che il giudice della convalida e' chiamato ad effettuare
nei  casi  di arresto facoltativo, come affermato costantemente dalla
giurisprudenza  di  legittimita', secondo cui il controllo giudiziale
si  estende alla valutazione dei presupposti sostanziali della misura
limitativa   della   liberta'   (gravita'  del  fatto,  pericolosita'
dell'agente),  avuto  riguardo agli elementi conosciuti o conoscibili
al momento del fatto.
   Pertanto,   in  caso  di  accoglimento  della  questione,  sarebbe
restituita  al  giudice  della convalida la possibilita' di sindacare
l'adozione  della  misura  precautelare  sotto  tutti i profili sopra
indicati e, in definitiva, di non convalidare l'arresto in ipotesi di
carenza di detti presupposti.
   Ancora  a  proposito della rilevanza della questione, il giudice a
quo  ribadisce  l'autonomia  del  giudizio  di  convalida rispetto al
successivo giudizio direttissimo (obbligatorio nei casi di specie), e
richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 54 del 1993, nella
quale  si  e'  affermato  che nel giudizio di convalida «la rilevanza
della  questione  permane, trattandosi di stabilire se la liberazione
dell'arrestato   debba   considerarsi   conseguente  all'applicazione
dell'art.   391,   settimo  comma,  ovvero  piu'  radicalmente,  alla
caducazione  con  effetto retroattivo della disposizione in base alla
quale gli arresti furono eseguiti».
   2.1. -  Nel  giudizio  introdotto  con l'ordinanza r.o. n. 783 del
2007  e'  intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.
   Nell'atto di intervento la difesa erariale ripropone gli argomenti
gia' prospettati negli omologhi atti riguardanti i giudizi introdotti
con le ordinanze emesse dal Tribunale di Agrigento, gia' sintetizzati
al paragrafo 1.1.
                       Considerato in diritto
   1. -  Con  tre distinte ordinanze di analogo tenore (r.o. n. 413 e
n. 578 del 2006, n. 540 del 2007), il Tribunale di Agrigento, sezioni
distaccate  di  Canicatti'  e di Licata, ha sollevato, in riferimento
agli  artt.  3,  10,  13,  27  e 136 della Costituzione, questioni di
legittimita'  costituzionale dell'art. 14, commi 5-ter e 5-quinquies,
del  decreto  legislativo  25  luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle
disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e norme
sulla  condizione dello straniero), come sostituiti dall'art. 1 della
legge   12   novembre   2004,   n. 271  (Conversione  in  legge,  con
modificazioni,  del  decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante
disposizioni urgenti in materia di immigrazione), nella parte in cui,
rispettivamente,  configurano la fattispecie delittuosa dell'indebito
trattenimento  del  cittadino  extracomunitario  nel territorio dello
Stato   (comma   5-ter)   e   l'arresto   obbligatorio  del  soggetto
responsabile di tale delitto (comma 5-quinquies).
   Il  Tribunale  di  Paola,  sezione  distaccata  di  Scalea, con le
rimanenti  ordinanze,  di  identico tenore (r.o. numeri 781 e 783 del
2007),  ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  13 Cost.,
questione   di   legittimita'   costituzionale  dell'art.  14,  comma
5-quinquies,  del  d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui prevede
l'arresto   obbligatorio,  anziche'  meramente  facoltativo,  per  il
delitto  di  cui all'art. 14, comma 5-ter, del medesimo d.lgs. n. 286
del 1998.
   2. -  I  giudizi  possono  essere  riuniti  e  decisi con un'unica
sentenza  per  la  parziale  coincidenza  dell'oggetto  delle singole
questioni e dei parametri evocati.
   3. -  Preliminarmente  deve  essere  dichiarata l'inammissibilita'
delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale  sollevate  con le
ordinanze  r.o.  n. 413  del 2006 del Tribunale di Agrigento, sezione
distaccata di Canicatti', e con le ordinanze r.o. numeri 578 del 2006
e   540  del  2007  dello  stesso  Tribunale  di  Agrigento,  sezione
distaccata di Licata.
   Dai  suddetti  atti  introduttivi  emerge che i giudici rimettenti
hanno  ordinato  l'immediata  liberazione degli arrestati per carenza
del  presupposto  dei  gravi  indizi  di  colpevolezza in ordine alla
consumazione  del  reato  loro contestato. Poiche' i giudici a quibus
hanno  gia'  escluso  la  possibilita'  di  convalidare  gli  arresti
eseguiti,  l'esito  del presente giudizio incidentale di legittimita'
costituzionale   non   puo'   spiegare   alcun  effetto  nei  giudizi
principali.  Da  cio'  discende  la  manifesta inammissibilita' delle
questioni sollevate, per difetto di rilevanza.
   3.1. -  La  questione di legittimita' costituzionale sollevata con
le  ordinanze  r.o. numeri 781 e 783 del 2007 del Tribunale di Paola,
sezione distaccata di Scalea, non e' fondata.
   3.2. -  La  previsione  legislativa  dell'arresto  obbligatorio in
flagranza di reato obbedisce all'intento del legislatore di contenere
la  discrezionalita' della polizia giudiziaria in tutti i casi in cui
lo  stesso  ritiene che sussistano indilazionabili esigenze di tutela
della  collettivita'.  L'impianto  del  vigente  codice  di procedura
penale  e'  retto,  nella materia de qua, da due criteri enunciati in
modo distinto dalla legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa
al  Governo  della  Repubblica  per  l'emanazione del nuovo codice di
procedura  penale).  Il  primo ha natura quantitativa e si basa sulla
gravita'  del  reato,  quale  risulta  dalle  pene edittali, minima e
massima,  previste.  Il  secondo  ha  natura qualitativa e si basa su
«speciali esigenze di tutela della collettivita».
   Al  primo  criterio  si informa l'art. 380, comma 1, del codice di
procedura penale, che prevede l'arresto obbligatorio in flagranza per
reati puniti con la reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni
e nel massimo a venti anni. Al secondo criterio si informa il comma 2
dello  stesso  articolo,  che  contempla, accanto ai reati consumati,
anche  quelli  tentati, per i quali, ai sensi dell'art. 56 del codice
penale,  la  pena  e'  diminuita  da  un  terzo  a  due  terzi.  Tale
diminuzione  di  pena  porta  il  minimo  e il massimo applicabile ai
suddetti  reati a valori molto vicini a quelli previsti dall'art. 14,
comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998.
   3.3. -  Dal  dato sopra esposto si desume che rilevano, per questa
seconda  fascia  di  reati,  non i valori della pena in se' e per se'
considerati,   ma   le   particolari   esigenze   di   tutela   della
collettivita',  che vengono apprezzate dal legislatore in rapporto ad
una  serie  molteplice di elementi, storicamente mutevoli e frutto di
scelte  di politica criminale non censurabili in sede di controllo di
legittimita'  costituzionale delle leggi, a meno che non si tratti di
opzioni manifestamente irragionevoli.
   La  manifesta irragionevolezza puo' essere rilevata o a seguito di
confronto   con   tertia  comparationis  omogenei  o  in  esito  alla
constatazione di una contraddizione intrinseca della norma censurata.
   Nella  fattispecie oggetto del presente giudizio non ricorrono ne'
la prima ne' la seconda ipotesi.
   3.4. -   Non   la   prima,   poiche',  come  gia'  s'e'  rilevato,
l'ordinamento conosce previsioni di arresto obbligatorio in flagranza
per  reati,  consumati o tentati, le cui pene, minime e massime, sono
fissate  dal  legislatore  su  valori  analoghi a quelli del reato di
ingiustificato  trattenimento  dello  straniero  nel territorio dello
Stato.
   A  puro titolo esemplificativo, in aggiunta a quanto detto sopra a
proposito del reato tentato, si puo' citare l'art.
   624-bis  cod.  pen., che prevede, per il furto in abitazione e per
il  furto  con  strappo,  la  reclusione  da  uno  a  sei  anni. Tale
fattispecie  e'  stata inserita dall'art. 10, comma 2, della legge 26
marzo 2001, n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela della
sicurezza  dei  cittadini),  tra  i  casi  di arresto obbligatorio in
flagranza  contemplati  dall'art.  380, comma 2, cod. proc. pen. Come
nel   caso  oggetto  del  presente  giudizio,  si  tratta  di  azioni
delittuose  che  hanno  provocato, in tempi successivi all'entrata in
vigore  del codice di procedura penale, un aumentato allarme sociale,
cui  il  legislatore  ha  ritenuto di rispondere, tra l'altro, con la
previsione dell'arresto obbligatorio in flagranza.
   Quanto   al   rilievo   concernente   il  rapporto  tra  l'arresto
obbligatorio  e  la  tenuita'  della  pena  edittale, questa Corte ha
precisato,  per  un  caso  analogo,  che  «si tratta di una scelta di
politica   criminale   di   prevenzione   sociale  di  spettanza  del
legislatore,  il  quale  ha  ritenuto di dover prescindere, nelle sue
discrezionali  determinazioni,  dall'entita'  obiettiva  del  reato e
della  pena  edittale»  (sentenza  n. 588  del  1989,  conforme  alla
sentenza  n. 211  del  1975;  lo stesso principio esprime la sentenza
n. 305 del 1996).
   Piu' in generale, questa Corte ha messo in rilievo l'insufficienza
delle   censure   di   legittimita'  costituzionale  basate  su  «una
comparazione  tra  norme  concernenti  misure cautelari, condotta sul
solo  piano  dell'offensivita'  piuttosto  che su quello, piu' ampio,
delle  complessive  esigenze che possono essere assicurate attraverso
le misure in questione» (sentenza n. 22 del 2007).
   La  scelta  dell'arresto  obbligatorio  in  flagranza per il reato
oggetto  dei  giudizi  a quibus e' collegata ad una risposta politica
che  il  Parlamento  ha  ritenuto di attuare, in questo come in altri
casi,  a fronte dell'aumentata percezione sociale della pericolosita'
di   un   fenomeno  (nella  specie,  l'inottemperanza  all'ordine  di
allontanamento  conseguente ad un provvedimento di espulsione), ferma
restando  la  garanzia  del  controllo del giudice sull'esistenza dei
presupposti  per l'applicazione della misura. Questa Corte infatti ha
richiamato  l'attenzione  sul rilievo che «l'art. 385 cod. proc. pen.
esclude   in  via  generale  l'arresto  quando,  tenuto  conto  delle
circostanze, il fatto appare compiuto nell'adempimento di un dovere o
nell'esercizio  di  una facolta' legittima, ovvero in presenza di una
causa  di  non punibilita': e la stessa regola non puo' non valere, a
fortiori,  quando  si tratti, come nella specie, di elemento negativo
interno allo stesso fatto tipico» (sentenza n. 5 del 2004).
   Non  spetta  a  questa  Corte esprimere valutazioni sull'efficacia
della   risposta   repressiva   penale   rispetto   a   comportamenti
antigiuridici  che  si manifestino nell'ambito del fenomeno imponente
dei  flussi migratori dell'epoca presente, che pone gravi problemi di
natura  sociale,  umanitaria  e  di sicurezza. Al giudice delle leggi
appartiene  il  compito  di  verificare  che il legislatore non abbia
introdotto ingiustificate disparita' di trattamento all'interno di un
quadro normativo storicamente dato.
   Per   i  motivi  esposti,  si  deve  ritenere  che  la  previsione
dell'arresto  obbligatorio  si  collochi  sulla  stessa  linea che ha
indotto il legislatore a previsioni simili in altri casi.
   3.5. -  Non  e'  riscontrabile neppure, nella norma censurata, una
contraddizione    intrinseca,    che    ne    riveli   la   manifesta
irragionevolezza. Non vale in proposito richiamare la sentenza n. 223
del  2004  di questa Corte, giacche' tale pronuncia di illegittimita'
costituzionale  si  e'  fondata sulla contraddizione palese insita in
una  misura  precautelare che non avrebbe mai potuto avere uno sbocco
processuale,  attesa  la  natura contravvenzionale del reato previsto
dalla  legge allora vigente, e la connessa inapplicabilita' di misure
cautelari  da  parte  del  giudice,  rimanendo  pertanto  «fine  a se
stessa».   Dopo  la  modifica  legislativa,  che  ha  trasformato  la
fattispecie   di   «indebito  trattenimento»  da  contravvenzione  in
delitto, punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni (e
dunque   suscettibile   dell'applicazione  di  una  misura  cautelare
personale),  la  contraddizione  riscontrata dalla Corte nella citata
pronuncia  e'  venuta meno, fermi restando i rilievi sugli squilibri,
le sproporzioni e le disarmonie del complessivo sistema sanzionatorio
gia'  segnalati dalla sentenza n. 22 del 2007, rimediabili solo da un
intervento organico del legislatore.
              Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi,
   Dichiara  non  fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art.  14,  comma  5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio
1998,   n. 286   (Testo   unico  delle  disposizioni  concernenti  la
disciplina   dell'immigrazione   e   norme   sulla  condizione  dello
straniero), come sostituito dall'art. 1 della legge 12 novembre 2004,
n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14
settembre  2004,  n. 241,  recante disposizioni urgenti in materia di
immigrazione),  sollevata  in  riferimento  agli  artt.  3 e 13 della
Costituzione,  dal  Tribunale di Paola, sezione distaccata di Scalea,
con le ordinanze indicate in epigrafe;
   Dichiara inammissibili le questioni di legittimita' costituzionale
dell'art.  14, commi 5-ter e 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998,
sollevate,  in  riferimento agli artt. 3, 10, 13, 27 e 136 Cost., dal
Tribunale di Agrigento, sezioni distaccate di Canicatti' e di Licata,
con le ordinanze indicate in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2008.
                         Il Presidente: Bile
                       Il redattore: Silvestri
                      Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 27 giugno 2008.
                      Il cancelliere: Fruscella