N. 293 ORDINANZA 9 - 18 luglio 2008

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Reati  e  pene - Pene accessorie - Differimento, una volta espiata la
  pena  principale,  della  pena  accessoria  della sospensione della
  patente  di  guida  -  Mancata  previsione - Asserita irragionevole
  disparita'   di   trattamento   rispetto  al  regime  previsto  per
  l'esecuzione  della  semidetenzione  e della liberta' controllata -
  Contrasto  con  la  finalita' rieducativa della pena - Richiesta di
  addizione  normativa in materia riservata alla discrezionalita' del
  legislatore  -  Inadeguata  specificazione  del petitum rispetto al
  dubbio  di  costituzionalita' proposto - Manifesta inammissibilita'
  della questione.
- Cod. pen., art. 139.
- Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo.
(GU n.31 del 23-7-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Franco BILE;
Giudici:  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
   Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso  QUARANTA,  Franco
   GALLO,  Luigi  MAZZELLA,  Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria
   Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente
                              Ordinanza
nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'articolo 139 del
codice  penale, promosso con ordinanza del 13 luglio 2006 dalla Corte
d'assise  d'appello  di  Milano  nel  procedimento penale a carico di
Bissoni  Franco,  iscritta  al  n. 563  del registro ordinanze 2006 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, 1ª serie
speciale, dell'anno 2006;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 25 giugno 2008 il giudice
relatore Ugo De Siervo.
   Ritenuto  che la Corte d'assise d'appello di Milano, con ordinanza
in  data 13 luglio 2006, ha sollevato - in riferimento agli artt. 3 e
27,  terzo  comma  della  Costituzione -  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  139  del  codice penale nella parte in cui
«non  consente, una volta espiata la pena principale, il differimento
della pena accessoria della sospensione della patente, gia' differita
sino  al  termine  dell'espiazione della pena principale in quanto di
ostacolo   alla   espiazione   della   pena  detentiva  nelle  misure
alternative della semi liberta' e dell'affidamento in prova»;
     che  il  rimettente  riferisce  di essere chiamato a decidere in
ordine  all'istanza  con  cui  un soggetto, il quale ha riportato due
condanne  definitive  per  il  reato  di cui all'art. 73 del d.P.R. 9
ottobre   1990,  n. 309  (Testo  unico  delle  leggi  in  materia  di
disciplina  degli  stupefacenti  e  sostanze psicotrope, prevenzione,
cura  e  riabilitazione  dei relativi stati di tossicodipendenza), ha
chiesto  la modifica dell'esecuzione della pena accessoria del ritiro
della  patente  di  guida per tre anni irrogata ai sensi dell'art. 85
del citato decreto;
     che,  prosegue  il  rimettente,  il  condannato, detenuto dal 15
febbraio  1993,  con fine pena al 16 agosto 2006, e' stato ammesso al
regime  della  semiliberta'  e  quindi  all'affidamento in prova e, a
partire  dal  21  maggio  1998, svolge attivita' lavorativa presso lo
studio  di un commercialista, attivita' per la quale ha necessita' di
disporre della patente di guida;
     che,  al  fine  di  «non ostacolare lo svolgimento del programma
lavorativo  nel  corso  delle  misure  alternative»,  il  procuratore
generale  competente  per  l'esecuzione,  in  data  5 giugno 2000, ha
disposto  il  differimento  della  pena  accessoria  al termine della
espiazione della pena principale;
     che,  in  prossimita' della cessazione della pena principale, il
condannato  ha  chiesto  di poter usufruire della patente di guida al
fine  di  continuare  a  svolgere  la  propria  attivita' lavorativa,
invocando  l'applicazione  analogica  dell'art.  62  della  legge  24
novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), il quale dispone
che  quando il condannato svolge un lavoro per il quale la patente di
guida   costituisce   indispensabile   requisito,  il  magistrato  di
sorveglianza  puo'  disciplinare  la  sospensione in modo tale da non
ostacolare il lavoro del condannato;
     che  il  competente procuratore generale ha reso parere negativo
sulla richiesta, ritenendo che l'esecuzione della pena accessoria non
possa  essere  sospesa  ne'  che  tale pena possa essere eseguita con
modalita' diverse da quelle tipicamente previste dalla legge;
     che,   tuttavia,   ritiene  il  rimettente  di  dover  sollevare
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 139 cod. pen., dal
momento  che esso non consente, una volta espiata la pena principale,
il   differimento  della  pena  accessoria  della  sospensione  della
patente,  gia'  differita  sino al termine dell'espiazione della pena
principale in quanto di ostacolo alla espiazione della pena detentiva
nelle  misure  alternative  della semi liberta' e dell'affidamento in
prova;
     che  tale  previsione, infatti, contrasterebbe con gli artt. 3 e
27, terzo comma, della Costituzione;
     che,  ad  avviso della Corte d'assise d'appello, l'art. 139 cod.
pen.  deve  essere inteso nel senso che la pena accessoria temporanea
non  puo'  avere  esecuzione  contemporaneamente alla pena principale
detentiva allorche' vi sia assoluta incompatibilita' tra le due pene;
     che,   rileva   ancora  il  giudice  a  quo,  mentre  nel  corso
dell'espiazione della pena principale «una lettura costituzionalmente
orientata  dell'art.  139 c.p.» ha permesso di differire l'espiazione
della  pena  accessoria  al  fine  di  non  impedire al condannato di
partecipare  all'attivita'  lavorativa  utile  al  suo  reinserimento
sociale,  «analoga interpretazione non sembra consentita allorche' la
pena  principale  sia  stata  espiata  e  resti  da  eseguire la pena
accessoria»;
     che,  di conseguenza, si creerebbe una disparita' di trattamento
tra  situazioni  omogenee,  dal  momento che mentre sarebbe possibile
sospendere temporaneamente l'esecuzione della pena accessoria durante
la  pena  alternativa  della semiliberta', cio' non sarebbe possibile
una volta che la pena principale sia stata espiata;
     che  la  rigida  esecuzione  della  pena  accessoria si porrebbe
altresi' in contrasto con le finalita' rieducative della pena stessa;
     che,  con riguardo alla rilevanza della questione, il rimettente
sostiene  che  l'istanza  proposta  dal  condannato  non possa essere
decisa   indipendentemente   dalla  risoluzione  della  questione  di
legittimita'   costituzionale   dal   momento  che  solo  l'eventuale
dichiarazione   di   incostituzionalita'   dell'art.  139  cod.  pen.
consentirebbe  di  valutare la sussistenza delle condizioni per poter
accoglierla;
     che  e'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  il  quale  ha  chiesto  che  la  questione  venga  dichiarata
infondata;
     che non pertinente sarebbe, infatti, il richiamo alla disciplina
di  cui  all'art.  62  della  legge  n. 689  del  1981,  evocato  dal
rimettente   quale   tertium  comparationis,  dal  momento  che  tale
disposizione disciplinerebbe solo l'esecuzione della semidetenzione e
della  liberta'  controllata,  cioe'  di misure alternative alla pena
principale;
     che  neppure  sussisterebbe  un  contrasto  con l'art. 27, terzo
comma, della Costituzione, dal momento che l'ordinamento non potrebbe
consentire  un  differimento  sine  die  dell'esecuzione  della  pena
accessoria,  pena  la  vanificazione  del  contenuto  dissuasivo e di
difesa sociale proprio anche di tale pena.
   Considerato  che  la  Corte  d'assise  di  appello  di  Milano  ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 139 cod.
pen.,  nella  parte in cui tale disposizione «non consente, una volta
espiata  la  pena  principale,  il differimento della pena accessoria
della  sospensione della patente» di guida, in riferimento agli artt.
3 e 27, terzo comma, della Costituzione;
     che  e'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata infondata;
     che   il   giudizio   a   quo   si   origina  da  un'istanza  di
"modificazione"  del  regime  di  esecuzione di tale pena accessoria,
proposta  da  parte di un soggetto che ad essa e' stato condannato in
via  definitiva  ai  sensi  dell'art.  85  del d.P.R. 9 ottobre 1990,
n. 309  (Testo  unico  delle  leggi  in  materia  di disciplina degli
stupefacenti    e    sostanze   psicotrope,   prevenzione,   cura   e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza);
     che  l'istanza  e'  stata presentata al termine della espiazione
della  pena  detentiva  principale,  eseguita,  in parte, nella forma
dell'affidamento in prova ai servizi sociali;
     che,  nel  corso  di  tale  ultima  misura, l'istante ha avviato
un'attivita'  lavorativa,  per  l'esecuzione  della quale si e' valso
della  patente  di  guida,  avendo  il  p.m.  competente  disposto in
quest'occasione    il   differimento   dell'esecuzione   della   pena
accessoria,   al   fine   di   non   compromettere   il  percorso  di
risocializzazione del reo;
     che, a parere del giudice a quo, tale differimento non puo' piu'
essere  concesso,  una  volta interamente espiata la pena principale,
posto   che  la  norma  censurata  imporrebbe  di  eseguire  la  pena
accessoria   incompatibile  con  il  regime  carcerario,  non  appena
scontata quella principale;
     che  tale  rigida  previsione  si  porrebbe  in contrasto con le
finalita'  rieducative  della sanzione penale, vanificando il cammino
di  risocializzazione  gia'  fruttuosamente  intrapreso  dal  reo,  e
violando in tal modo l'art. 27, terzo comma, della Costituzione;
     che  sarebbe  parimenti  leso l'art. 3 della Costituzione, posto
che   la  norma  oggetto  determinerebbe  disparita'  di  trattamento
rispetto  all'ipotesi  normata  dall'art.  62 della legge 24 novembre
1981,  n. 689 (Modifiche al sistema penale), ove invece e' consentito
al magistrato di sorveglianza di disciplinare il regime di esecuzione
della semidetenzione e della liberta' controllata, quanto all'impiego
della  patente  di  guida,  «in  modo da non ostacolare il lavoro del
condannato»;
     che,  per  tali  ragioni, il rimettente chiede a questa Corte di
configurare   in   capo   al  giudice  dell'esecuzione,  mediante  la
declaratoria  di illegittimita' dell'art. 139 cod. pen., un potere di
differimento  della  pena  accessoria  in  questione, alle condizioni
sopra ricordate;
     che  la  norma  censurata stabilisce che «nel computo delle pene
accessorie  temporanee  non  si  tiene  conto  del  tempo  in  cui il
condannato  sconta  la  pena  detentiva,  o e' sottoposto a misura di
sicurezza  detentiva,  ne'  del  tempo  in  cui  egli si e' sottratto
volontariamente   alla  esecuzione  della  pena  o  della  misura  di
sicurezza»;
     che  da  tale  previsione  la  giurisprudenza  ha  tratto la non
implausibile  conseguenza  per  cui  la  pena  accessoria temporanea,
incompatibile  con la detenzione in casa di reclusione, possa e debba
essere   eseguita,   solo  una  volta  scontata  la  pena  principale
detentiva;
     che,  per  effetto  di  cio', la pena accessoria in tali casi si
connota  per  una  tendenziale impermeabilita' rispetto all'esito del
percorso  di  rieducazione  che il reo ha compiuto, proprio nel corso
dell'esecuzione della pena principale;
     che  questa  Corte  ha  gia'  avuto  occasione  di  valutare  la
compatibilita'  di  una pena accessoria di tale natura con l'art. 27,
terzo comma, della Costituzione, concludendo per l'infondatezza della
questione  di  legittimita'  allora  proposta,  «specie  per la breve
durata   della   proibizione»   [...]   «e   tenuto   conto  altresi'
dell'abbastanza  ampio  potere  del  giudice  di adeguare (tale) pena
[...]  alla  particolarita'  del  caso  concreto» (sentenza n. 30 del
1972);
     che,  entro  tale  contesto, la giurisprudenza costituzionale ha
gia'  rimarcato  che  «tutto  il  tema  relativo alle pene accessorie
avrebbe  forse  bisogno  di  precisazioni e chiarimenti legislativi e
dottrinali»;
     che, in questa sede, la Corte intende ribadire la necessita' che
il  legislatore  ponga  mano  ad  una  riforma del sistema delle pene
accessorie, che lo renda pienamente compatibile con i principi appena
espressi,  ed  in  particolare  con  l'art.  27,  terzo  comma, della
Costituzione;
     che,  tuttavia, la questione di legittimita' costituzionale oggi
all'esame della Corte e' manifestamente inammissibile;
     che,  infatti, l'addizione normativa richiesta dal giudice a quo
non  costituisce  una soluzione costituzionalmente obbligata, ed anzi
eccede  i  poteri di intervento di questa Corte, impingendo in scelte
affidate alla discrezionalita' del legislatore;
     che,  in  particolare, il potere di differire l'esecuzione della
pena  accessoria  non  solo  non si profila quale univoca risposta al
dubbio  di  costituzionalita'  proposto,  ma persino denuncia profili
eccentrici   rispetto   ai   principi   ordinamentali  che  governano
l'esecuzione della sanzione penale, giacche' si traduce in un anomala
prerogativa  del  giudice  dell'esecuzione  di  paralizzare  sine die
l'applicazione di una pena definitivamente inflitta;
     che,  invece,  solo  il  legislatore  puo'  determinare  forme e
condizioni,  in  presenza  delle quali incidere sull'esecuzione della
pena  accessoria,  per  adeguarla  al principio di progressivita' del
trattamento sanzionatorio penale;
     che  lo  stesso rimettente manca di specificare le modalita' e i
termini   entro   cui   dovrebbe   essere  esercitato  il  potere  di
differimento di cui chiede il riconoscimento;
     che,  pertanto,  il  petitum  formulato  dal  giudice  a  quo e'
inadeguato   rispetto   al   dubbio  di  costituzionalita'  proposto,
pretendendo  egli  di  operare  nel  testo  dell'art.  139  cod. pen.
un'inserzione  normativa di cui non vengono definiti i contorni e che
non  corrisponde  al  portato di tale disposizione, posto che essa si
limita  a  regolare, nella lettura offertane dalla giurisprudenza, il
coordinamento  cronologico  tra  pena principale e pena accessoria, e
non i poteri del giudice dell'esecuzione quanto a quest'ultima.
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
              Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara   la   manifesta   inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'   costituzionale   dell'art.   139  del  codice  penale,
sollevata,  in  riferimento  agli  artt.  3  e 27, terzo comma, della
Costituzione,  dalla  Corte  di  assise  di  appello  di  Milano  con
l'ordinanza in epigrafe.
     Cosi'  deciso  in  Roma,  nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2008.
                         Il Presidente: Bile
                       Il redattore: De Siervo
                      Il cancelliere: Di Paola
     Depositata in cancelleria il 18 luglio 2008.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola