N. 318 ORDINANZA 29 - 30 luglio 2008

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale  - Dibattimento - Mutamento della persona fisica del
  giudice  -  Dichiarazioni  gia' assunte nella precedente istruzione
  dibattimentale  -  Utilizzabilita'  per  la decisione - Necessita',
  secondo  l'interpretazione  della  Cassazione  a  Sezioni unite, di
  rinnovare  l'esame, quando sia richiesto da una delle parti e possa
  avere  luogo  - Denunciata irragionevolezza, nonche' violazione dei
  principi di uguaglianza, di non dispersione dei mezzi di prova e di
  ragionevole  durata del processo - Questione identica ad altra gia'
  dichiarata  manifestamente  infondata  - Assenza di censure nuove o
  diverse - Manifesta infondatezza della questione.
- Cod.  proc.  pen.,  artt.  511,  514  e  525,  comma  2  (combinato
  disposto).
- Costituzione, artt. 3, 25, 101 e 111.
(GU n.33 del 6-8-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Franco BILE;
Giudici:  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
   Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso  QUARANTA,  Franco
   GALLO,  Luigi  MAZZELLA,  Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria
   Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente
                              Ordinanza
nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale del combinato disposto
degli  artt. 511, 514 e 525, comma 2, del codice di procedura penale,
promossi con quattro ordinanze del 12 gennaio 2006, tre ordinanze del
26  gennaio 2006 e due ordinanze del 9 febbraio 2006 dal Tribunale di
Genova,  iscritte  ai  nn.  da  4  a 12 del registro ordinanze 2008 e
pubblicate  nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, 1ª serie
speciale, dell'anno 2008.
   Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  9 luglio 2008 il giudice
relatore Paolo Maria Napolitano.
   Ritenuto  che  il  Tribunale  di  Genova,  con  nove  ordinanze di
identico tenore (r.o. nn. 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12 del 2008), ha
sollevato  questione  di  legittimita' costituzionale, in riferimento
agli  artt.  3,  25,  101  e  111  della  Costituzione, del combinato
disposto degli artt. 511, 514 e 525, comma 2, del codice di procedura
penale  -  come  interpretati  dalle  sezioni  unite  della  Corte di
cassazione  con  sentenza  del 15 gennaio 1999, n. 2 - nella parte in
cui  «non  prevedono che, nel caso di mutamento totale o parziale del
giudicante,  le  dichiarazioni  assunte  nella  precedente istruzione
dibattimentale, quando l'esame del dichiarante possa aver luogo e sia
stato  richiesto  da  una  delle  parti,  siano  utilizzabili  per la
decisione  mediante semplice lettura, dopo l'applicazione degli artt.
190 e 190-bis cod. proc. pen.»;
     che  il  rimettente,  in  punto  di  non manifesta infondatezza,
premette che le sezioni unite della Corte di cassazione hanno, con la
sentenza  15 gennaio 1999, n. 2, affermato il principio che, nel caso
di  rinnovazione del dibattimento a causa del mutamento della persona
del  giudice monocratico o della composizione del giudice collegiale,
la   testimonianza  raccolta  dal  giudicante  nella  sua  originaria
composizione,  sebbene ritualmente trasfusa nei verbali agli atti del
fascicolo  per  il dibattimento, non e' utilizzabile per la decisione
mediante  semplice lettura, quando l'esame del dichiarante possa aver
luogo e sia stato (anche solo genericamente) richiesto da una parte;
     che,  secondo  il  giudice  a  quo, l'interpretazione data dalla
Cassazione  non  appare  affatto  imposta  dalla lettera della norma,
poiche' la dizione «a meno che l'esame non abbia luogo», con la quale
si  conclude  il  comma  2  dell'art. 525 (recte art. 511) cod. proc.
pen.,  puo'  riferirsi anche all'ipotesi in cui, per qualsiasi motivo
(tra  cui  l'esercizio  dei poteri/doveri stabiliti dagli artt. 190 e
190-bis cod. proc. pen.), esso non abbia effettivamente luogo;
     che  tale  interpretazione,  prosegue  il rimettente, si risolve
nell'esaltazione  dell'oralita'  quale  apodittico  canone e fonte di
legittimita'  della  prova,  in  un  contesto sistematico in cui, per
contro,   non   solo   manca  alcuna  norma  che  consenta  una  tale
conclusione,   ma,  addirittura,  vi  sono  «plurime,  inequivoche  e
insuperabili indicazioni del carattere solo tendenziale del principio
dell'oralita',   quali  l'incidente  probatorio  e,  soprattutto,  il
giudizio di appello»;
     che,  a  suo  dire, una conferma della possibile diversa lettura
dell'art.  511,  comma  2,  cod.  proc. pen. si ricaverebbe dal nuovo
testo  dell'art.  190-bis,  comma 1, cod. proc. pen., come sostituito
dall'art.  3  della legge n. 63 del 2001, in base al quale, quando le
precedenti  dichiarazioni siano state assunte nel contraddittorio con
la  parte  nei  cui  confronti  le dichiarazioni stesse devono essere
utilizzate,  «l'esame e' ammesso solo se riguarda fatti o circostanze
diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il
giudice  o  taluna  delle parti lo ritengono necessario sulla base di
specifiche esigenze»;
     che,   in   definitiva,   il   rimettente  ritiene  che  vi  sia
un'indicazione   univoca  e  reiterata  dell'oggettiva  volonta'  del
legislatore  che  siano  pienamente  utilizzati gli atti acquisiti al
processo,   nel   rispetto   delle   norme  e,  in  particolare,  del
contraddittorio, anche nel caso di mutamento della persona fisica del
giudicante, in assenza di una precedente norma contraria;
     che,  pertanto,  la  norma  censurata,  imponendo il riesame del
teste  gia'  sentito  nel  pieno  rispetto del contraddittorio, senza
l'indicazione  specifica  di ragioni da sottoporre al vaglio previsto
dagli  artt.  190  e  190-bis cod. proc. pen., determina una evidente
disparita'  di  trattamento, in contrasto con l'art. 3 Cost., laddove
tale obbligo di riesame e' escluso per situazioni di maggiore rischio
per «la genuinita' e terzieta» dell'acquisizione della prova;
     che,  a  parere del Tribunale di Genova, l'integrale ripetizione
di  tutte  le  prove  orali  gia'  assunte nella massima pienezza del
contraddittorio,   senza  altra  ragione  che  quella  del  garantire
l'oralita'   quale   mezzo  necessario  di  conoscenza  del  giudice,
concretizza  una  violazione  anche  degli  artt.  25  e  101  Cost.,
parametri  costituzionali  che  regolano  l'esercizio  della funzione
giurisdizionale,   consentendo   di   incidere   negativamente  anche
sull'efficienza  del processo (intesa quale necessaria attitudine del
sistema  processuale  a  conseguire,  attraverso meccanismi normativi
idonei  allo  scopo, l'accertamento dei fatti e delle responsabilita)
costituente bene costituzionalmente tutelato;
     che,  infine,  risulterebbe  violato  anche  l'art. 111, secondo
comma,  Cost.,  poiche'  si  determina un evidente allungamento della
durata  del  processo,  senza  che alcuna ragione di tutela di beni e
interessi,  individuali  o  collettivi, tutelati costituzionalmente o
anche solo da legge ordinaria, lo giustifichi;
     che,  quanto alla rilevanza della questione, in base all'attuale
sistema  si  dovrebbe  procedere  alla  rinnovazione dell'istruttoria
dibattimentale  con relativa ingiustificata dilatazione dei tempi del
processo;
     che  e'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  la questione venga dichiarata inammissibile o
infondata;
     che  l'Avvocatura dello Stato evidenzia come identiche questioni
di  costituzionalita'  siano  state  gia' ampiamente affrontate dalla
Corte  costituzionale  e dichiarate manifestamente infondate (vengono
citate  le  ordinanze  n. 67  del  2007,  n. 418 del 2004 e n. 59 del
2002);
     che,     inoltre,    il    principio    del    buon    andamento
dell'amministrazione  della  giustizia  e' applicabile esclusivamente
agli  aspetti  organizzativi  del  servizio e non alla disciplina del
processo;
     che,  quanto  al  secondo  profilo  di  illegittimita', a parere
dell'Avvocatura dello Stato, non puo' essere condiviso il presupposto
interpretativo  da  cui parte il rimettente, che porta a svalutare il
principio del contraddittorio, inteso in termini oggettivi, nel senso
cioe'  di metodo attraverso il quale il giudice, terzo ed imparziale,
forma il proprio convincimento.
   Considerato  che  il  Tribunale  di  Genova, con nove ordinanze di
identico tenore (r.o. nn. 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12 del 2008), ha
sollevato  questione  di  legittimita' costituzionale, in riferimento
agli  artt.  3,  25,  101  e  111  della  Costituzione, del combinato
disposto degli artt. 511, 514 e 525, comma 2, del codice di procedura
penale  -  come  interpretati  dalle  sezioni  unite  della  Corte di
cassazione  con  sentenza  del 15 gennaio 1999, n. 2 - nella parte in
cui  «non  prevedono che, nel caso di mutamento totale o parziale del
giudicante,  le  dichiarazioni  assunte  nella  precedente istruzione
dibattimentale, quando l'esame del dichiarante possa aver luogo e sia
stato  richiesto  da  una  delle  parti,  siano  utilizzabili  per la
decisione  mediante semplice lettura, dopo l'applicazione degli artt.
190 e 190-bis cod. proc. pen.»;
     che  le  ordinanze di rimessione sollevano la medesima questione
di costituzionalita' onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere
definiti con unica decisione;
     che  una  questione  identica  a  quella  odierna  e' gia' stata
sottoposta dal medesimo Tribunale all'esame di questa Corte, che l'ha
dichiarata manifestamente infondata con l'ordinanza n. 67 del 2007;
     che,  in quell'occasione, la Corte ha avuto modo di ribadire che
il  legislatore,  nel  definire  la  disciplina  del  processo  e  la
conformazione  dei relativi istituti, gode di ampia discrezionalita',
il  cui  esercizio  e'  censurabile,  sul  piano  della  legittimita'
costituzionale, solo ove le scelte operate trasmodino nella manifesta
irragionevolezza  e  nell'arbitrio  (ex plurimis, sentenze n. 379 del
2005  e  n. 180  del 2004; ordinanze n. 389 e n. 215 del 2005, n. 265
del 2004);
     che  la  disciplina  ricavabile  dalle disposizioni sottoposte a
scrutinio viene a correlarsi al principio di immediatezza, che ispira
l'impianto  del  codice  di  rito  e  di  cui  la tradizionale regola
dell'immutabilita'   del  giudice  rappresenta  strumento  attuativo;
principio  il quale postula - salve le deroghe espressamente previste
dalla  legge  -  l'identita' tra il giudice che acquisisce le prove e
quello che decide (ordinanze n. 431 e n. 399 del 2001);
     che,  inoltre,  la norma censurata non puo' qualificarsi, di per
se',  come manifestamente irrazionale ed arbitraria e che l'eventuale
individuazione  di  presidi normativi volti a prevenirne il possibile
uso strumentale e dilatorio e' affidata alle scelte discrezionali del
legislatore;
     che  non  si  concretizza  alcuna  lesione del principio di «non
dispersione   dei   mezzi   di   prova»,   quale   aspetto  del  bene
dell'«efficienza  del  processo»,  riconducibile  all'area  di tutela
degli  artt.  25  e  101  Cost.,  giacche'  in  nessun  caso la prova
dichiarativa  precedentemente  assunta  va "dispersa", essendo sempre
possibile  acquisirla  tramite  lettura  del  relativo  verbale:  con
l'unica  differenza  che,  nel caso in cui il riesame del dichiarante
sia  possibile e la parte ne abbia fatto richiesta, la lettura dovra'
seguire  tale  riesame;  mentre,  in  caso contrario, la prova verra'
recuperata a mezzo della sola lettura;
     che  il  principio di ragionevole durata del processo (art. 111,
secondo comma, Cost.) deve essere contemperato con il complesso delle
altre   garanzie   costituzionali,  rilevanti  nel  processo  penale:
garanzie  la  cui  attuazione  positiva  - che il legislatore avrebbe
inteso  operare,  nella  specie,  tramite  la previsione di un regime
allineato  al  principio  di  immediatezza  -  non e' sindacabile sul
terreno  costituzionale, ove frutto di scelte non prive di una valida
ratio giustificativa (ordinanze n. 418 del 2004 e n. 399 del 2001);
     che  non  e'  ravvisabile neanche la violazione del principio di
eguaglianza, avuto riguardo al diverso trattamento che - a parere dei
rimettenti   -   la  legge  processuale  riserverebbe  a  fattispecie
identiche o similari, perche' l'art. 190-bis cod. proc. pen. non puo'
essere  utilmente  evocato quale tertium comparationis, stante il suo
carattere  di  eccezionalita'  (ordinanze n. 418 del 2004 e n. 73 del
2003);
     che le presenti ordinanze di rimessione non aggiungono, rispetto
alla precedente, profili nuovi o diversi di censura;
     che,  pertanto,  la  presente questione deve parimenti ritenersi
manifestamente infondata.
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi,
   Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
costituzionale  degli  articoli 511, 514, 525, comma 2, del codice di
procedura  penale,  sollevata, in riferimento agli artt. 3, 25, 101 e
111  della  Costituzione,  dal  Tribunale di Genova, con le ordinanze
indicate in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 29 luglio 2008.
                         Il Presidente: Bile
                      Il redattore: Napolitano
                      Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 30 luglio 2008.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola