N. 325 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 maggio - 10 giugno 2008
del 10 giugno 2008 emessa dal Tribunale di sorveglianza di Venezia sull'istanza proposta da J.G.O. Esecuzione penale - Rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena - Obbligo del differimento in caso di esecuzione della pena nei confronti di madre di infante di eta' inferiore ad anni uno - Mancata previsione della possibilita' per il giudice di negare il differimento quando lo ritenga non adeguato alle finalita' previste dall'art. 27, terzo comma, Cost. e la detenzione non sia idonea a prevenire il pericolo di recidiva - Violazione del principio di ragionevolezza - Lesione del principio della finalita' rieducativa della pena - Lesione dei principi a base della tutela della maternita' e del minore. - Codice penale, art. 146, comma primo, n. 2. - Costituzione, artt. 3, 27, comma terzo, e 30.(GU n.44 del 22-10-2008 )
IL TRIBUNALE Sentiti il procuratore generale e la difesa, che hanno concluso come da verbale, ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento sull'istanza presentata da J.G.O. nata in Roma il 12 novembre 1987, alias J.S., nata a Roma il 12 novembre 1986, alias J.M. nata in Serbia l'11 dicembre 1986, alias J.D. nata a Belgrado il 27 gennaio 1984, codice univoco identificativo, detenuta p.a.c. nella Casa circondariale di Roma Rebibbia, tendente ad ottenere il beneficio del differimento dell'esecuzione della pena in relazione alla pena inflitta con sentenza emessa dal G.i.p. presso il Tribunale di Padova in data 22 novembre 2007. M o t i v a z i o n e La sedicente J.G.O. veniva arrestata in Padova in data 13 agosto 2007 nella flagranza del reato di tentato furto aggravato in abitazione, e sottoposta a custodia cautelare in carcere con ordinanza emessa in data 16 agosto 2007 ai sensi dell'art. 275, comma 4 c.p.p. dal G.i.p. presso il Tribunale di Padova, che reputava sussistenti le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza nonostante il dedotto stato di gravidanza. Con successiva sentenza emessa ex art. 444 c.p.p. dal G.i.p. presso il Tribunale di Padova in data 22 novembre 2007 veniva applicata la pena di anni due di reclusione. Non appena passata in giudicato la condanna, il difensore di fiducia presentava istanza di differimento provvisorio davanti al Magistrato di sorveglianza di Venezia (essendo a quella data la J. ancora ristretta presso la Casa reclusione donne di Venezia), adducendo a sostegno lo stato di gravidanza dell'interessata. Acquisita conferma dal sanitario dell'istituto del dedotto stato di gravidanza (la detenuta risultava alla ventisettesima settimana di gestazione), il Magistrato di sorveglianza di Venezia disponeva con decreto interinale in data 27 dicembre 2007 il differimento provvisorio della pena ex art. 684, comma 2 c.p.p., eseguito in pari data. Al momento della scarcerazione, la condannata eleggeva domicilio presso il difensore di fiducia, dove le veniva ritualmente notificato in data 28 gennaio 2008 l'avviso di fissazione della prima udienza. Alla prima udienza celebrata in data 8 aprile 2008 veniva disposto un rinvio del procedimento al fine di acquisire gli atti del procedimento pendente presso la Procura della Repubblica di Roma a carico della J., nel frattempo nuovamente arrestata in data 15 marzo 2008 nella flagranza del reato di tentato furto con destrezza e sottoposta a custodia cautelare in carcere con Ordinanza emessa il Tribunale di Roma datata 17 marzo 2008; anche tale ordinanza veniva per esigenze cautelari di eccezionale rilevanza ex art. 275, comma 4 c.p.p., nonostante l'ormai avanzato stato di gravidanza dell'indagata. Venivano, quindi, acquisiti all'odierna udienza l'anzidetta ordinanza di custodia cautelare, nonche' la sentenza del Tribunale di Roma emessa ex art. 444 c.p.p. in data 25 marzo 2008, oltre alla relazione del sanitario della Casa circondariale di Roma Rebibbia, attestante l'avvenuto parto in data 11 aprile 2008. All'odierna udienza il Procuratore generale ha concluso in senso contrario alla concessione del beneficio, mentre il difensore, nominato ex art. 97, comma 4, c.p.p. (non essendo comparso il difensore di fiducia nonostante la regolarita' delle notifiche e degli avvisi), ha richiesto la concessione del differimento della pena. Nell'odierno procedimento deve essere valutata l'istanza di differimento dell'esecuzione ex art. 146 c.p. in ordine alla pena inflitta con sentenza del G.i.p. presso il Tribunale di Padova in data 22 novembre 2007, il cui residuo alla data odierna e' di anni uno, mesi sette e giorni quindici di reclusione. Per tale titolo la condannata e' in stato di liberta' a seguito del decreto interinale del Magistrato di sorveglianza di Venezia datato 27 dicembre 2007, che deve essere sottoposto a ratifica di questo tribunale di Sorveglianza, competente per la decisione definitiva. La pena di mesi quattro di reclusione applicata ex art. 444 c.p.p. con sentenza del Tribunale di Roma in data 25 marzo 2008, non rientra, invece, nell'oggetto del procedimento, posto che, pur in assenza di impugnazione, non risulta dagli atti la formale attestazione del passaggio in giudicato della sentenza (v. cartella giuridica, fatto n. 1). La presenza di un altro titolo non definitivo non rende inammissibile l'odierna istanza, non essendo preclusa la concessione del differimento della pena in ordine a un titolo definitivo, pur in presenza di una misura cautelare. Non e' preclusa neppure la concessione di una misura alternativa alla detenzione, dovendosi poi solo verificare, in concreto, avuto riguardo alla natura delle limitazioni connaturali alla misura alternativa e alla misura cautelare, l'effettiva compatibilita' fra l'una e l'altra, nel rispetto, dalla legge ritenuto preminente, della misura cautelare (cfr. ex plurimis, Cass., sez. I, sent. n. 877 del 14 aprile 1993), e salvo il principio secondo cui uno stesso periodo di privazione di liberta' personale non puo' essere autonomamente imputato a due diverse pene (Cass., sez. I, sent. n. 1846 del 18 luglio 1990). Dagli atti acquisiti risulta confermata la sussistenza dei presupposti del differimento obbligatorio dell'esecuzione della pena, allo stato attuale ai sensi dell'art. 146, comma 1, n. 2), c.p., risultando la condannata avere nel frattempo partorito in data 11 aprile 2008. Dalla relazione del sanitario della Casa circondariale di Roma Rebibbia risulta che il bambino e' ospite del nido dell'istituto, ed e' in ottima salute; allattato dalla madre, ha avuto un importante aumento ponderale (Kg 1,200 in un solo mese) e fruisce della costante assistenza pediatrica assicurata in istituto (v. relazione datata 12 maggio 2008). L'esame degli atti impone alcune considerazioni. La J. (le cui esatte generalita' non sono note) nelle note informative delle forze dell'ordine e' descritta coma una nomade di spiccata pericolosita' sociale, che ha fatto del crimine 1'unica forma di sostentamento, e' priva di fissa dimora, e presenta attitudine non comune alla «mobilita» (v. nota Questura di Padova datata 10 marzo 2008). Dai certificati acquisiti e dal nutrito elenco di precedenti dattiloscopici si evince, inoltre, che ha commesso delitti in tutto il territorio nazionale, nell'ambito del quale si sposta frequentemente da un capo all'altro della penisola (v. segnalazioni in provincia di Palermo, Bari, Caserta, Verona, Padova, Salerno, Rimini, Bologna, Pordenone, Vicenza, Bolzano, Reggio Emilia, Ravenna). Solo per ripercorrere le vicende piu' salienti degli ultimi anni (le segnalazioni degli anni precedenti attengono a periodi di minore eta), va rilevato che carico della detenuta risulta, tra le altre, anche una condanna ad anni sei di reclusione (a nome di M.D.) inflitta con sentenza del Tribunale di Bolzano in data 12 marzo 2007 per rapina impropria in concorso commessa in data 21 gennaio 2006 (v. sul punto ordinanza di custodia cautelare del Tribunale di Roma datata 17 marzo 2008). Dalla motivazione della predetta sentenza del Tribunale di Bolzano risulta che l'odierna istante ed altre due nomadi rimaste non identificate, dopo aver forzato la porta di una privata abitazione ed essersi impossessate di refurtiva di ingente valore (orologi, pregiati monili, tra i quali un bracciale del cinquecento, capi di abbigliamento, del valore complessivo di circa 80.000 euro), adoperavano violenza nei confronti dei malcapitati proprietari che stavano rientrando a casa, non esitando a farsi scudo con il corpo di un bambino di sei anni; la refurtiva non veniva recuperata, poiche' le due complici erano riuscite a fuggire, mentre l'odierna istante, dopo essere stata bloccata fino all'arrivo della polizia, veniva rilasciata in serata perche' gravida, «e lasciata libera di raggiungere certamente quelle che erano state le sue complici» (v. sentenza pag. 4). Trattasi di circostanza ad avviso del Tribunale di Bolzano, che «fa riflettere» e che ha suscitato le doglianze delle persone offese. Dopo aver ricordato che l'imputata aveva commesso un furto a Verona nel dicembre 2005 (un mese prima dell'episodio de quo) per il quale aveva patteggiato la pena di anni uno e mesi sei di reclusione, e ancora due furti in abitazione il 4 gennaio 2006 e 16 gennaio 2006 in Bologna e in Padova, infine, il Tribunale altoatesino evidenzia trattarsi di «una vera professionista che grazie al fatto di essere stata all'epoca dei menzionati episodi delittuosi incinta aveva evitato la custodia cautelare in carcere». Anche in occasione del tentato furto giudicato con la sentenza emessa dal G.i.p. presso il Tribunale di Padova in data 22 novembre 2007 la J. era nuovamente incinta. Nell'occasione, dopo aver forzato la porta di ingresso, si introduceva insieme ad altre due nomadi in un appartamento di Padova, dove tutte e tre iniziavano a fare incetta di argenteria di ingente valore introducendola in alcuni sacchi, non riuscendo nell'intento per l'intervento delle forze dell'ordine. Dall'ordinanza di custodia cautelare del G.i.p. presso il Tribunale di Padova datata 16 agosto 2007 si evince che dopo l'arresto la J. produceva copia dei certificati di nascita di due figli nati nel 2005 e nel 2006, deducendo, inoltre, di essere nuovamente incinta; anche le altre due nomadi allegavano condizioni personali previste nell'art. 275, comma 4 c.p.p. (una era in avanzato stato di gravidanza, l'altra aveva da poco partorito). Il giudice padovano, tuttavia, rilevava che «le condizioni personali che imporrebbero particolare attenzione rivolta alla cura della prole non avevano impedito alle indagate di dedicarsi a piu' lucrose attivita' illecite evidentemente monitorando e scegliendo l'obiettivo e ponendo in essere un fatto di particolare gravita', salvo poi invocare le esigenze da loro stesse non tenute presenti al fine di invocare un mite trattamento cautelare»; per la J., che aveva collezionato in tre anni sei condanne definitive e sei pagine di identificazione sotto falsi nomi, oltre che per un'altra delle indagate, il G.i.p. presso il Tribunale di Padova riteneva sussistenti le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, reputando di poter affermare «con assoluta certezza» che se rimesse in liberta' le donne sarebbero tornate a delinquere, «e precisamente a commettere furti attraverso i quali procurano da vivere alle loro numerosissime famiglie»; rilevava, altresi', il G.i.p., che il furto «e' la loro professione abituale, alla quale si dedicano - per usare le parole di attenta dottrina - "avendo sempre sotto mano almeno un figlio infante" per ottenere un trattamento cautelare mite e tale da consentire loro di riprendere a dedicarsi alla loro professione» (v. ordinanza cit. in atti). Diventata definitiva la condanna ed ottenuta la scarcerazione per effetto del provvedimento interinale emesso dal Magistrato di sorveglianza di Venezia, come correttamente pronosticato dal G.i.p. presso il Tribunale di Padova la J. ritornava a delinquere, senza tenere in alcuna considerazione le esigenze di tutela del nascituro in funzione delle quali le era stato concesso il beneficio provvisorio. In data 17 febbraio 2008 veniva segnalata all'A.G. per guida senza patente e ricettazione, dopo essere stata sottoposta a controllo in Bologna alla guida di un'automobile che presentava una forzatura al blocchetto di accensione, pur non essendo in possesso di idoneo titolo di abilitazione alla guida, ne', verosimilmente delle abilita' necessarie per guidare un autoveicolo, e il tutto nonostante l'avanzato stato di gravidanza. Non appena fermata dalla Polizia Municipale, lamentava dolori addominali a suo dire correlati allo stato di gravidanza per ottenere un benevolo trattamento cautelare, e veniva denunciata a piede libero (v. atti trasmessi dalla Polizia Municipale di Bologna). Ancora, in data 16 marzo 2008 veniva arrestata in piazza Fontana di Trevi di Roma a seguito del tentato furto in danno di una turista; anche in tale occasione dimostrava di non tenere in alcuna considerazione il suo stato di gestazione, mettendosi irresponsabilmente a correre per evitare l'arresto, poi avvenuto ugualmente. Come innanzi esposto, anche il Giudice romano ha ritenuto sussistenti a carico della le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, desunte dalla personalita' della prevenuta ricostruibile dai precedenti penali gravi, numerosi e specifici, dai numerosissimi e anche recenti precedenti giudiziari, anche sotto falso nome, nonche' dalle precarie condizioni di vita, stante l'assenza di fissa dimora e di lecita attivita' lavorativa (v. ordinanza cit. in atti). Questo Collegio non puo' che condividere il giudizio di spiccatissima pericolosita' sociale gia' formulato nei confronti dell'odierna istante da altre autorita' giudiziarie, il cui grado attuale esigerebbe, al fine di un suo adeguato contenimento, l'applicazione di una misura detentiva; parimenti, reputa certo, piu' che verosimile, l'abuso del richiesto differimento, ove concesso, al fine di commettere altri delitti contro il patrimonio, senza alcun riguardo per le esigenze alla cui tutela il beneficio e' preordinato, posto che gia' in passato la nascita dei primi due figli avvenuta nel 2005 e nel 2006 non ha dissuaso la donna dal commettere delitti, cosi' come nessuna efficacia dissuasiva ha avuto la recente gravidanza. Questo tribunale di sorveglianza, tuttavia, non puo' negare sic et simpliciter il differimento della pena (con conseguente esecuzione penale in carcere), potendo al piu' concedere, quale misura sostitutiva del richiesto differimento, la detenzione domiciliare ex art. 47-ter, comma 1-ter o.p., anche in assenza di una richiesta in tal senso dell'interessata. Va, al riguardo, ricordato che nella vigenza della normativa preesistente alla legge n. 165/1998 parte della dottrina facendo riferimento al dato testuale, che qualifica come obbligatorio il rinvio, lo riteneva prevalente rispetto alla detenzione domiciliare. Di diverso avviso coloro che si soffermavano sugli indubbi vantaggi che la detenzione domiciliare comporta per il condannato, tra i quali il fatto che il tempo trascorso in esecuzione della misura si consideri pena espiata. Oggi, a seguito della novella di cui alla legge n. 165/1998, la giurisprudenza e' orientata ad affermare che il legislatore ha modificato profondamente l'istituto della detenzione domiciliare, facendolo divenire, con l'introduzione del comma 1-ter (oltre che 1-bis), una delle misure alternative piu' duttili e piu' idonee a soddisfare le contrapposte esigenze del rispetto dei diritti della persona e di sicurezza della societa' (v. sentenza Cass., sez. I, n. 20480 del 2001). Tale misura «configura la polifunzionalita' del regime detentivo, mirato, per un verso, all'esigenza di effettivita' dell'espiazione della pena e del necessario controllo cui vanno sottoposti i soggetti pericolosi e, per altro verso, ad una sua esecuzione mediante forme compatibili con il senso di umanita» (v. sentenza Cass., sez. I, n. 6952 del 2000). Riguardo ai criteri di scelta tra i due benefici, la giurisprudenza della Corte di legittimita' ha precisato che il tribunale di sorveglianza deve fare una duplice verifica, dovendo prima verificare la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per disporre il differimento e poi disporre, eventualmente, la detenzione domiciliare in alternativa alla sospensione dell'esecuzione della pena quando ricorrano esigenze di tutela collettiva (sempre da tenere presenti in tema di esecuzione della pena) che rendano piu' adeguata l'esecuzione della pena in forma alternativa piuttosto che la sospensione dell'esecuzione (Cass., sez. I, sentenza n. 656 del 2000); piu' di recente, la Corte di legittimita' ha anche rilevato che la detenzione domiciliare, al pari delle altre misure alternative alla detenzione, ha come finalita' il reinserimento sociale del condannato, mentre il differimento della pena previsto dall'art. 146 e. e 147 c.p., anteriore all'ordinamento penitenziario vigente, ha finalita' diverse dall'individuazione del trattamento piu' opportuno nei confronti del condannato, mirando solo ad evitare che l'esecuzione della pena avvenga in spregio del diritto alla salute e del senso di umanita'. Alla luce di tali principi, a fronte di una richiesta il giudice deve valutare se le condizioni del condannato siano compatibili con le finalita' rieducative della pena e con le possibilita' concrete di reinserimento sociale conseguenti alla rieducazione. Qualora, all'esito di tale valutazione, l'espiazione della pena appaia contraria al senso di umanita' per le eccessive sofferenze da essa derivanti ovvero appaia priva di significato rieducativo in conseguenza dell'impossibilita' di proiettare in futuro gli effetti della sanzione sul condannato, deve trovare applicazione l'istituto del differimento (sentenza Cass., sez. I, n. 45758 del 14 novembre 2007, dep. il 6 dicembre 2007). Facendo applicazione di tali principi, non puo' non rilevarsi che le condizioni di vita individuali e sociali della condannata, i plurimi precedenti giudiziari e di polizia, e le conseguenti esigenze di sicurezza sociale, desumibili dall'abuso del beneficio concesso in via interinale dal magistrato di sorveglianza per perseverare nel crimine, unitamente all'entita' della pena inflitta, indurrebbero a ritenere piu' adeguata al contenimento della pericolosita' sociale l'esecuzione della pena, quantomeno in forma alternativa. Nel caso di specie, pero', difetta il requisito minimo necessario, ovvero un luogo idoneo all'esecuzione della misura. Trattasi, infatti, di condannata senza fissa dimora, che si sposta frequentemente da un capo all'altro della penisola e che non risulta aver soggiornato per un tempo apprezzabile in un determinato luogo; neppure tramite il difensore di fiducia, peraltro, l'interessata ha indicato un qualsivoglia riferimento idoneo all'applicazione della detenzione domiciliare. Deve anche rilevarsi, e per tale ragione questo tribunale di sorveglianza non ritiene di dover disporre un rinvio al fine di invitare l'interessata ad indicare un eventuale domicilio, che non appare in alcun modo formulabile una favorevole prognosi di corretta gestione della misura, che e' misura a contenuto prescrittivo, e postula, per realizzare la funzione che le e' propria, la volonta' adesiva di chi vi e' sottoposto (in tal senso riguardo agli arresti domiciliari v. Corte cost., sentenza n. 439/1995). Il grado di inaffidabilita' piu' volte dimostrato dalla condannata (che anche da minorenne si e' allontanata dopo soli pochi giorni di permanenza dalla Comunita' per minori «Amicizia» di Padova, alla quale era stata affidata dopo essere stata arrestata in flagranza del reato di furto il 27 luglio 2004), unitamente all'assoluta indifferenza alle norme penali e del vivere sociale evidenziata, non consentono in alcun modo di ritenere che la J. si atterrebbe alle prescrizioni minime tipiche della detenzione domiciliare. Pur in assenza di' situazioni personali che precludano l'efficacia rieducativa della pena o che rendano contraria al senso di umanita' l'esecuzione penale in forma alternativa, questo tribunale di sorveglianza non puo', pertanto, che applicare il richiesto beneficio del differimento. Una diversa interpretazione non appare ragionevolmente sostenibile, senza inammissibili forzature del dato normativo; il tenore testuale dell'art. 146, comma 1 n. 2), c.p., nella parte in cui dispone «l'esecuzione e' differita» anziche' «puo' essere differita», non lascia dubbi interpretativi. Ritiene, tuttavia, questo Collegio che la disposizione, cosi' formulata e intesa, attribuisca al sistema una connotazione criticabile sotto il profilo della razionalita' e costituzionalita', e che, pertanto, debba essere sollevata d'ufficio questione di legittimita' costituzionale della norma, per contrasto con gli artt. 3, 27, e 30 Cost., ravvisandosene la rilevanza e la non manifesta infondatezza. Lo scrutinio di costituzionalita' non puo' che essere richiesto per la disposizione di cui al n. 2 del comma 1 dell'art. 146 c.p., applicabile nel caso di specie, ma i dubbi di legittimita' costituzionale riguardano anche l'ipotesi prevista dal comma 1 n. 1) della stessa norma. La questione e' rilevante ai fini della pronuncia sull'odierna istanza, essendo ineliminabile l'applicazione della norma nell'iter logico-giuridico che questo tribunale deve percorrere per la decisione conclusiva dell'odierno procedimento, in quanto il provvedimento interinale del magistrato di sorveglianza e' destinato a produrre effetti fino alla decisione di questo organo collegiale, al quale compete la decisione in via definitiva in ordine al differimento della pena, istituto del quale risultano sussistenti i presupposti (in tal senso, per la rilevanza di analoga questione nonostante l'intervenuta scarcerazione provvisoria da parte del magistrato di sorveglianza, v. Corte cost. sentenza n. 70 del 1994). In punto di non manifesta infondatezza, va premesso che e' indiscutibile la scelta del legislatore di tutelare anche nella fase dell'esecuzione penale le particolari esigenze delle donne in gravidanza o madri di figli in tenera eta'; sicuramente e fortemente condiviso da questo Collegio e' il principio secondo il quale tendenzialmente in un paese democratico la detenzione delle donne in gravidanza e delle madri che accudiscono figli in tenera eta' dovrebbe essere prevista solo «in ultima istanza» (come raccomandato agli Stati membri di recente nella risoluzione del Parlamento europeo del 13 marzo 2008 sulla particolare situazione delle donne detenute e l'impatto della carcerazione dei genitori sulla vita sociale e familiare, al punto 14). Non sfugge, inoltre, al Collegio che «l'alternativa tra l'immediata esecuzione della pena o la sua temporanea inesigibilita' a causa di situazioni soggettive che il legislatore ritiene di qualificare come incompatibili con la carcerazione, non comporta soluzioni univoche sul piano costituzionale, dovendosi necessariamente ammettere spazi di valutazione normativa che ben possono contemperare l'obbligatorieta' della pena con le specifiche situazioni di chi vi deve essere sottoposto»; conferma l'assenza di soluzioni «a rime obbligate» la circostanza che nel progetto di riforma al codice penale predisposto dalla Commissione nominata con d.m. 23 novembvre 2001 il differimento dell'esecuzione della pena per gravidanza e puerperio non sia previsto, mentre e' prevista la concessione (facoltativa) della conversione della pena detentiva con altra misura in caso di condannata incinta o madre di prole di eta' inferiore ad anni dieci (v. art. 81 n. 6 del progetto); il disegno di legge delega predisposto dall'ultima Commissione di riforma del codice penale istituita con d.m. 31 luglio 2006, invece, nel prevedere nuovamente l'istituto del differimento, non lo qualifica come obbligatorio. Il legislatore ordinario, pero', nell'esercizio del suo potere discrezionale di dettare norme che incidono su interessi costituzionalmente rilevanti tra loro in rapporto di concorrenza o di confliggenza, incontra limiti di ordine costituzionale. Con riferimento alla normativa penitenziaria, la Corte costituzionale ha precisato che «eguaglianza di fronte alla pena significa proporzione della medesima alle personali responsabilita' ed alle esigenze di risposta che ne conseguono (sentenze n. 349 del 1993 e n. 299 del 1992), e che per l'attuazione di tali principi, ed in funzione della risocializzazione del reo, e' necessario assicurare progressivita' trattamentale e flessibilita' della pena (sentenze n. 445 del 1997 e 306 del 1993) e, conseguentemente, un potere discrezionale alla magistratura di sorveglianza nella concessione dei benefici penitenziari» (sentenza n. 504 del 1995 e n. 255 del 2006). Con sentenza n. 306 del 1993, ancora, la Corte ha affermato il principio secondo cui, nell'ambito delle finalita' che la Costituzione assegna alla pena (quella di prevenzione generale e di difesa sociale, con i connessi caratteri di retributivita' e afflittivita', e quella di prevenzione speciale e di rieducazione, che tendenzialmente comportano una certa flessibilita' della pena in funzione dell'obiettivo di risocializzazione del reo), il legislatore ordinario puo' - nei limiti della ragionevolezza - far tendenzialmente prevalere, di volta in volta, l'una o l'altra finalita', ma a patto che nessuna di esse risulti obliterata. Conformemente a tali principi, ai quali e' improntato tutto il settore dell'esecuzione penale, la concessione di ogni beneficio penitenziario deve essere preceduta, oltre che dall'accertamento della sussistenza dei requisiti di legittimita' di volta in volta prescritti dalla legge, anche da una valutazione del Giudice sul raggiungimento da parte del condannato di uno stadio del percorso neducativo adeguato al beneficio richiesto, e sulla conseguente idoneita' rieducativa di quest'ultimo, nonche' sull'idoneita' a prevenire il pericolo di recidiva. Nelle proprie decisioni, il giudice di sorveglianza deve aver riguardo ai risultati del trattamento individualizzato, o, in caso di assenza di trattamento, al comportamento tenuto in liberta', e verificare la sussistenza delle condizioni per un adeguato reinserimento sociale, al fine di garantire la proporzionalita' e l'individualizzazione del trattamento sanzionatorio, oltre che l'ineludibile finalita' rieducativa della pena. Come innanzi accennato, il differimento secondo la giurisprudenza non ha finalita' rieducativa, ma tende solo ad evitare che in presenza di determinate situazioni l'esecuzione della pena avvenga in spregio del diritto alla salute e del senso di umanita'; la potesta' punitiva dello Stato nella fase dell'esecuzione della pena incontra, per vero, un limite invalicabile in quelle situazioni in cui per le condizioni personali del reo l'esecuzione dalla pena contrasterebbe con il senso di umanita' o non potrebbe avere alcuna efficacia rieducativa (cfr. Cass. sentenza 1138 del 26 aprile 1994). In assenza di tali estreme condizioni, tuttavia, non appare giustificata la compromissione delle finalita' della pena previste dalla Costituzione, in quanto, pur essendo istituto anteriore all'entrata in vigore della Carta costituzionale, l'istituto del rinvio dell'esecuzione deve essere interpretato alla luce di tali principi. Pur non rientrando, inoltre, tra i benefici premiali in senso stretto, trattasi pur sempre di un beneficio che ha una concreta incidenza nella vicenda esecutiva, e che pertanto deve soggiacere, salvi i limiti anzidetti, ai principi in materia di esecuzione penale, in particolare al principio del finalismo rieducativo della pena. Nel caso di specie, il beneficio del differimento provvisorio si e' gia' rivelato non adeguato, sia sotto il profilo rieducativo che della prevenzione speciale, ma nonostante l'abuso del beneficio concesso e la ricaduta nel crimine questo Tribunale di Sorveglianza non puo' rigettare l'istanza, salvo optare, come gia' esposto, per una misura che con ogni probabilita' non troverebbe regolare esecuzione. Risulta, cosi', violato il principio della proporzionalita' e individualizzazione del trattamento sanzionatorio, ma anche il principio della progressivita' trattamentale, in base al quale «nel caso di abuso dei benefici gia' concessi o di altre irregolarita' comportamentali deve conseguire una regressione nel percorso trattamentale» (cosi' come, all'inverso, il maturarsi di positive esperienze non potra' non generare un ulteriore passaggio nella scala degli istituti di risocializzazione; v. sul punto Corte cost. sent. n. 445/1997 con riferimento ai permessi premio). Neppure puo' essere tenuta in alcuna considerazione da questo tribunale di sorveglianza l'impossibilita' di formulare una prognosi di futura astensione da comportamenti di tipo deviante, tenuto conto della reiterazione di condotte crimine e della dimostrata adesione a modelli di vita incentrati Su attivita' illecite, in quanto la norma non consente, sulla base di tale giudizio prognostico, il rigetto del beneficio; solo in relazione alle situazioni legittimanti un rinvio facoltativo dell'esecuzione il comma 4, dell'art. 147 c.p. (aggiunto dalla legge n. 40/2001) dispone che il provvedimento «non puo' essere adottato o se e' adottato e' revocato se sussiste il concreto pericolo della commissione di delitti». Anche tale disposizione conferma la diversa scelta del legislatore in ordine al differimento obbligatorio, riguardo al quale non e' consentito analogo apprezzamento del giudice. Generalmente si afferma, riguardo all'istituto del differimento, che le finalita' della pena possono essere procrastinate e rimodulate a seguito di una esecuzione differita; nel caso di specie, pero', sulla base degli indici prognostici evidenziati puo' ragionevolmente affermarsi che allo scadere del termine del differimento (ovvero tra circa un anno, nel corso del quale verosimilmente la J. continuera' a perseverare nel crimine) l'esecuzione non potra' agevolmente essere ripristinata, tenuto conto dell'abilita' dimostrata dalla condannata nel rendersi irreperibile e nel fare uso di numerose false generalita'; tenuto conto della giovane eta', e delle abitudini di vita dei nomadi, alla data dell'inizio di una nuova esecuzione la J. potrebbe essere nuovamente incinta e cosi' via per chissa' quanto tempo ancora. Conferma tale assunto la circostanza che la condannata risulta avere ottenuto il differimento dell'esecuzione in data 10 ottobre 2005 in ordine alla pena di armi due di reclusione inflittale con sentenza del Tribunale di Pordenone in data 28 ottobre 2004 per furto in abitazione, e alla data odierna risulta ancora ineseguito il relativo ordine di carcerazione della Procura della Repubblica di Pordenone (v. sul punto atti trasmessi dalla Polizia Municipale di Bologna). Come emerge dall'esame dei dati statistici, la strumentalizzazione dell'istituto del differimento (che da extrema ratio in alcuni casi diventa la regola) ha di fatto creato una sorta di immunita' per le donne nomadi in eta' fertile che possono dedicarsi indisturbate alle loro attivita' illecite potendo confidare sul trattamento previsto dall'art. 146 c.p. per le donne in stato di gravidanza o madri di figli in tenera eta'; considerato che generalmente si tratta di donne che iniziano a procreare precocemente, appena adolescenti, e che per le abitudini di vita non conoscono il fenomeno delle nascite ridotte, e' di tutta evidenza l'imponenza del fenomeno e le esigenze di tutela della collettivita' che ne conseguono. Piu' che un temporaneo differimento (che potrebbe non compromettere le finalita' della pena) si finisce per avere un differimento a tempo indeterminato, per giunta lasciato alla libera scelta delle interessate, le quali non indicando un domicilio o sottraendosi all'esecuzione delle misure alternative concesse possono lucrare, quale alternativa inevitabile, il differimento della pena. Puo' affermarsi, pertanto, che nel caso di specie tutte le finalita' che la Costituzione assegna alla pena risultano obliterate, con conseguente violazione del principio sancito dalla Corte costituzionale con sentenza n. 306 del 1993. Totalmente svilita e' la finalita' di prevenzione generale e di difesa sociale - finalita' la cui realizzazione dipende, come e' noto, non soltanto dalla minaccia legale della sanzione penale, ma anche e soprattutto dalla sua concreta esecuzione - giacche' la rigida e prevedibile sospensione del momento esecutivo esclude che la pena irrogata possa svolgere alcuna funzione di intimidazione e dissuasione rispetto a possibili futuri comportamenti criminosi, sia nei confronti del concreto destinatario di essa, sia nei confronti degli altri soggetti che si trovano nella medesima situazione. Del tutto vanificato e' anche il profilo retributivo-affittivo della pena posto che la rinuncia alla relativa esecuzione (di fatto a tempo indeterminato per le ragioni esposte) lascia sostanzialmente impunito il reato commesso. Come gia' evidenziato, infine, risultano obliterate del tutto le finalita' di prevenzione speciale e di rieducazione della pena, che appaiono riferibili al caso concreto. La magistratura di sorveglianza deve, infatti, in presenza dei presupposti previsti dall'art. 146, comma 1, n. 1) e 2), c.p., sospendere l'esecuzione della pena detentiva, in base ad un rigido automatismo, che non puo' essere temperato da alcuna valutazione di merito volta ad assicurare il perseguimento delle finalita' della pena e l'individualizzazione e proporzionalita' del trattamento, in relazione alle concrete necessita' specialpreventive, rieducative e risocializzatrici del caso; alle situazioni regolamentate dalla norma puo' essere, di fatto, riconducibile una varieta' e molteplicita' di situazioni personologiche e criminologiche, tra loro profondamente differenti, meritevoli di diverso trattamento, che non puo', invece, essere assicurato. E' del tutto evidente, pertanto, che la generalizzata ed automatica applicazione del trattamento di favore previsto dalla disposizione censurata, nell'assegnare un identico beneficio a condannati che presentino fra loro differenti stadi del percorso di risocializzazione e diversi gradi di pericolosita' sociale, compromette, ad un tempo, non soltanto il principio di uguaglianza, finendo per omologare fra loro, senza alcuna plausibile ratio, situazioni diverse, ma anche la stessa funzione rieducativa della pena, posto che il riconoscimento di un beneficio che non risulti correlato alla positiva evoluzione nel trattamento compromette inevitabilmente l'essenza stessa della progressivita', che costituisce il tratto saliente dell'iter riabilitativo. L'automatismo che si rinviene nella norma denunciata e' poi in contrasto con i principi di proporzionalita' e individualizzazione della pena come precisati dalla richiamata giurisprudenza. Ne consegue il contrasto della norma censurata con l'art. 27, terzo comma, Cost., oltre che con l'art. 3 Cost. La norma stessa appare in contrasto con l'art. 3 cost. anche per lesione del canone della ragionevolezza. In via generale, il bilanciamento degli interessi coinvolti ed il sacrificio di alcuni di essi, in favore di altri, soggiacciono al limite della ragionevolezza della scelta legislativa, nel senso di una non arbitraria e non ingiustificata composizione dei valori in giuoco. Nel giudizio sulla razionalita' di una disciplina non si deve guardare solo alla posizione formale di chi ne e' destinatario ma anche alla funzione e allo scopo cui essa e' preordinata (Corte cost. sentenza n. 54 del 1968). Sotto tale profilo, sulla base dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita' puo' affermarsi che la ratio delle norme sul differimento obbligatorio e' la tutela della salute e dell'umanita' della pena; sicuramente finalizzato alla tutela della salute della donna e del nascituro e' il rinvio in presenza dello stato di gravidanza, mentre il differimento nel primo anno di vita del bambino puo' essere ricondotto, oltre che all'esigenza di assicurare il senso di umanita' della pena, anche alla tutela dell'interesse del minore ad un corretto sviluppo della personalita', e, in funzione di tale interesse, alla tutela del rapporto che in tale periodo necessariamente si svolge tra madre e figlio, non tanto e non solo per cio' che attiene ai bisogni piu' propriamente biologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale e affettivo che sono collegate allo sviluppo della personalita' del bambino (v. con riferimento ad altre norme che prevedono benefici nel periodo immediatamente susseguente al parto sentenza n. 376 del 2000 Corte costituzionale). Se questa e' la ratio dell'istituto del differimento, che incide su altri interessi pure costituzionalmente rilevanti, deve ritenersi che la norma sia espressiva di un giudizio di valore risultante dalla ponderazione di due interessi in conflitto, entrambi costituzionalmente rilevanti. Caratteristica dei valori (o principi) costituzionali soggetti a bilanciamento, e' la non predeterminabilita' in assoluto, una volta per tutte, dei loro rapporti reciproci di sovra o sottordinazione. La prevalenza dell'uno sull'altro, quando il bilanciamento non sia rimesso caso per caso al giudice, ma sia operato dalla legge nella forma di una norma astratta, deve essere collegata a determinate condizioni tipiche. In assenza di' tali condizioni l'esito della valutazione comparativa non puo' essere il medesimo. Percio', una norma di questo tipo, per essere costituzionalmente legittima, non deve escludere, in ordine all'interesse postergato, la possibilita' della prova dell'inesistenza, nel caso concreto, delle condizioni che, secondo il bilanciamento sotteso alla norma stessa, giustificano la precedenza attribuita all'interesse antagonistico (v. in tal senso sentenza Corte cost. 10 aprile 1992, n. 149). In applicazione di analogo principio, con riferimento all'istituto del differimento della pena nei confronti dei condannati affetti da AIDS, la Corte costituzionale con sentenza n. 438 del 1995 ha ritenuto non conforme al canone della ragionevolezza l'art. 146, primo comma n. 3), c.p., nella parte in cui non consente di accertare in concreto se ai fini dell'esecuzione della pena le effettive condizioni di salute del condannato siano compatibili con lo stato detentivo, poiche' intanto si puo' ritenere ragionevole l'allontanamento dal carcere in quanto la relativa permanenza negli istituti cagioni un pregiudizio alla salute del soggetto e degli altri detenuti, posto che altrimenti risulterebbero senza giustificazione compromessi altri beni riconosciuti come primari dalla Carta fondamentale. Nel caso di specie, la restrizione in carcere nel periodo di gestazione non ha cagionato alcun concreto pregiudizio alla J., la quale, come innanzi esposto, e' stata arrestata in flagranza in data 13 agosto 2007, ed e' rimasta in vinculis fino a pochi giorni dopo il passaggio in giudicato della condanna, ovvero fino al 27 dicembre 2007, data della concessione del differimento provvisorio della pena. Dalla relazione del sanitario del carcere di Venezia datata 21 dicembre 2007 risulta che a quella data la detenuta non presentava alcuna situazione di pregiudizio conseguente alla carcerazione. Nel carcere femminile di Venezia, inoltre, la detenuta godeva dell'assistenza sanitaria assicurata in istituto. Parimenti, l'attuale situazione detentiva (dopo l'ultimo arresto avvenuto il 16 marzo 2008) non risulta creare al momento alcun pregiudizio al neonato, che e' nato nel presidio ospedaliero «Sandro Pertini» (verosimilmente previo trasferimento esterno in luogo di cura ex art. 11 o.p.) in stato di ottima salute, come evidenziato dal cosiddetto «indice di Apgar», indicativo dello stato di salute dei neonati; egli, inoltre, ha avuto un significativo aumento ponderale e fruisce della costante assistenza pediatrica assicurata in istituto. Per converso, come evidenziato, nel periodo di liberta' conseguente al differimento provvisorio concesso dal Magistrato di sorveglianza di Venezia, la J. ha tenuto un atteggiamento irresponsabile e potenzialmente idoneo a compromettere la salute propria e del nascituro, oltre che l'evoluzione della gravidanza, spostandosi (quantomeno) da Venezia a Bologna e poi a Roma, perseverando nel proprio stile di vita antinormativo e inadatto a una gestante, ponendosi anche alla guida di un'autovettura con il blocchetto di accensione manomesso e senza possedere idoneo titolo abilitativo, dandosi alla fuga alla vista delle forze dell'ordine dopo l'ultimo tentato furto. Come ricordato dalla Corte costituzionale nella menzionata sentenza n. 438 del 1995, «il rinvio dell'esecuzione della pena detentiva si e' sempre saldamente attestato intorno a un presupposto unificante, vale a dire le particolari condizioni di salute del condannato e la ritenuta inconciliabilita' delle stesse con l'altrettanto peculiare regime carcerario. Illuminanti, a questo proposito, sono alcuni passaggi della relazione ministeriale sul progetto del codice penale ove, appunto, si giustifica il rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena nel caso della donna incinta che abbia partorito da meno di sei mesi, proprio con le difficolta' di assistenza negli stabilimenti carcerari che quelle condizioni personali necessariamente richiedono». La concreta realta' delle istituzioni carcerarie e', tuttavia, profondamente mutata rispetto all'epoca di entrata in vigore del codice penale, sulla scia dei principi affermati dalla Carta costituzionale in materia di esecuzione penale, e dell'incessante processo di riforma dell'ordinamento penitenziario che ne e' seguito. L'assistenza alla detenuta in stato di gestazione non rappresenta piu', generalmente, un problema nella realta' degli istituti di pena, tenuto anche conto della possibilita' di ricorrere al trasferimento esterno ex art. 11 o.p., e inoltre la carcerazione puo' comportare rischi per la gestazione di gran lunga inferiori rispetto allo stato di liberta' nei casi in cui, come in quello in esame, lo stato di liberta' non si accompagni ad uno stile di vita, anche sotto il profilo igienico-sanitario, oltre che delle abitudini quotidiane, adeguato alla particolare situazione. A cio' si aggiunga che nel concedere il beneficio del differimento il tribunale di sorveglianza non puo' imporre alcuna prescrizione finalizzata alla tutela dell'interesse del nascituro, posto che secondo la consolidata giurisprudenza l'imposizione di obblighi accessori e' incompatibile con la concessione del beneficio (Cass., sez. I, 2 dicembre 1992, n. 4591). Anche sotto il profilo della salute psico-flsica dei minori la situazione degli istituti di pena e' difforme da quella tenuta presente nel codice penale; l'amministrazione penitenziaria ha autorizzato nel corso degli anni l'istituzione di asili nido preso alcune strutture penitenziarie destinate esclusivamente alle donne (Pozzuoli, Roma Rebibbia, Trani, Perugia e Venezia) e, su richiesta delle direzioni, presso le sezioni femminili presenti in alcuni istituti di pena destinati agli uomini, in attuazione del disposto di cui all'art. 19 d.P.R. n. 230/2000. La stessa amministrazione ha invitato le direzioni ad assicurare almeno un asilo nido per ogni regione e inoltre la presenza di operatori specializzati, quali puericultrici, in tre istituti penitenziari (Roma, Venezia, Milano). In qualche istituto sono presenti un servizio di ludoteca e qualche servizio di ausilio, quali, ad esempio, l'accompagnamento del minore da parte di volontari all'asilo nido comunale presso l'istituto penitenziario di Venezia Giudecca e Roma Rebibbia, la colonia estiva in localita' Lido - Alberoni per i piccoli ospiti del nido di Venezia Giudecca (v. sul punto i dati riportati nella risoluzione approvata dal C.S.M. nella seduta del 27 luglio 2006 sulla tutela della maternita' e dei figli minori dei detenuti). In alcuni casi, pertanto, non puo' a priori escludersi che in alcuni nidi degli istituti di pena siano assicurati al minore un'assistenza piu' adeguata da punto di vista sanitario, e inoltre forme di assistenza finalizzate ad un corretto sviluppo della personalita' (quali la frequenza del nido comunale, l'assistenza della puericultrice, la colonia estiva, le attivita' ricreative organizzate dalle associazioni di volontariato) non assicurate in alcuni gruppi familiari inseriti in culture di microcriminalita' prive di riferimenti abitativi stabili. Nel caso di specie, la J. non ha fatto buon uso dei benefici ottenuti dedicandosi alla cura dei figli in tenera eta', ma piu' volte (anche in occasione delle precedenti gravidanze) e' stata denunciata e arrestata in flagranza mentre era dedita al furto, lontana dagli accampamenti dove i figli erano verosimilmente affidati a parenti o altri componenti del gruppo. Come emerge dagli studi sociologici in materia, spesso le donne nomadi sono indotte o addirittura costrette al delitto dai loro uomini, e per dedicarsi a tale attivita' lasciano i minori nell'accampamento affidandoli a parenti o a terzi, salvo portarli con se' in alcune delle imprese criminose. La verifica in ordine alla sussistenza di un effettivo pregiudizio allo sviluppo psico-fisico del minore conseguente alla carcerazione della madre, nonche' in ordine alla possibilita' di affidare il bambino a terzi, nel caso di specie non e' consentita a questo tribunale di sorveglianza, nonostante le pregnanti esigenze di tutela della collettivita' sicuramente sussistenti. E' proprio la rigida presunzione stabilita dal legislatore ad apparire priva di adeguato fondamento e tale da rendere dubbia la razionalita' di una norma dalla cui concreta applicazione possono generarsi ingiustificate compromissioni di altri interessi tutelati dall'ordinamento. Le ipotesi del differimento obbligatorio per la donna incinta o madre di figlio di eta' inferiore ad anni uno sono le sole, tra quelle previste dall'art. 146 c.p., a non ammettere alcuna verifica in concreto sulla sussistenza di una effettiva situazione di pregiudizio agli interessi che la norma tende a tutelare o di contrarieta' dell'esecuzione penale al senso di umanita' (verifica prevista, invece, nelle ipotesi dei condannati affetti da AIDS o altra malattia particolarmente grave), e inoltre che hanno una difforme regolamentazione in sede cautelare e in sede esecutiva. La possibilita' di verificare la sussistenza di una effettiva situazione di pregiudizio o di contrarieta' dell'esecuzione penale al senso di umanita' (verifica che andrebbe effettuata caso per caso in relazione alle strutture disponibili, alla personalita' del minore e della madre e alle condizioni di vita della famiglia) consentirebbe, invece, un'adeguata composizione degli interessi configgenti e la salvaguardia della ratio dell'istituto del differimento, le cui finalita', invece, vengono in casi come quello in esame completamente snaturate. La disposizione impugnata deve ritenersi non conforme al canone della ragionevolezza nella parte in cui non consente, quando vi siano significative esigenze di sicurezza sociale e la detenzione domiciliare non sia adeguata a prevenire il pericolo di recidiva, di accertare in concreto se ai fini dell'esecuzione della pena la carcerazione della madre comporti un effettivo pregiudizio, tale da rendere contraria al senso di umanita' l'esecuzione penale, e se la scarcerazione «secca» sia effettivamente idonea ad assicurare la tutela degli interessi ai quali il beneficio e' preordinato. Da qui il contrasto della norma denunciata con l'art. 3 Cost., ravvisabile non solo sotto il profilo della violazione del canone della ragionevolezza, per le ragioni evidenziate, ma anche sotto il profilo della razionale uniformita' del trattamento normativo, in quanto in presenza delle medesime condizioni (stato di gestazione e presenza di un figlio di eta' inferiore ad un anno) e' consentito solo nella fase cautelare disporre la carcerazione, sia pure ove sussistano esigenze di eccezionale rilevanza. Non e' senza rilievo il fatto che l'art. 275 c.p.p. sia stato rimaneggiato con la legge 26 marzo 2001, n. 128, una legge dunque posteriore alla legge 8 marzo 2001, n. 40 che ha modificato l'art. 146 c.p. estendendo il differimento obbligatorio fino ad un anno di vita del bambino. Sino a prova del contrario, pertanto, l'interprete e' portato a ritenere che il legislatore abbia consapevolmente tenuto distinta la disciplina del rinvio dell'esecuzione della pena rispetto a quella della custodia cautelare. E' pacifico che le misure cautelari si distinguano dalla pena per natura e finalita', si da non apparire irragionevole, in astratto, una difforme disciplina (v. in tal senso Corte cost. sentenza n. 25/1979); come affermato dalla giurisprudenza di legittimita' (v. sentenza Cass. n. 43014 del 2001) scopo della misura cautelare e' quello di assicurare una o piu' delle esigenze di cui alle lettere a), b) e c) del primo comma dell'art. 274 c.p. Si tratta, dunque, di una finalita' da un lato contingente in quanto legata all'evolversi di una fase procedimentale, dall'altro strumentale, in quanto posta a garanzia delle indagini e del processo, oltre che della collettivita' quando sussista il pericolo della commissione di altri reati. In tale ottica, il legislatore si e' posto il problema di un bilanciamento tra le esigenze di cautela e le esigenze di tutela della salute o di altre situazioni personali dell'indagato, contemperando tali esigenze con la previsione dei limiti alla custodia cautelare in carcere nelle ipotesi previste dall'art. 275, comma 4, c.p.p. Nel caso di specie, pero' (come in altri casi analoghi), le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza ritenute sussistenti sia dal G.i.p. presso il Tribunale di Padova sia dal Tribunale di Roma a carico della J. nelle menzionate ordinanze custodiali sono rappresentate dalle esigenze di tutela della collettivita', previste dall'art. 274, comma 1, lett. c); non si tratta, quindi, di esigenze poste a garanzia delle indagini e del processo, tipiche solo delle misure cautelari e non della pena (che potrebbero giustificare una difforme disciplina), ma delle esigenze di tutela della collettivita' alla cui salvaguardia e' finalizzata anche la pena, la cui composita funzione comprende anche le esigenze di prevenzione e di tutela della collettivita'. In presenza delle medesime esigenze di sicurezza sociale e delle medesime situazioni personali, l'ordinamento consente solo al Giudice della cautela la salvaguardia delle prime, ove siano di eccezionale rilevanza, mentre dopo il passaggio in giudicato le stesse esigenze sono postergate e nessuna verifica e' consentita al Giudice di sorveglianza in merito all'eccezionalita' delle stesse esigenze e all'esistenza effettiva di pregiudizio per la madre e il minore. Come emerge dall'esposizione dei fatti, la J. e' rimasta in carcere sottoposta a custodia cautelare fino al passaggio in giudicato della condanna, e fino a tale momento l'ordinamento ha consentito al Giudice della cautela la salvaguardia delle esigenze di sicurezza sociale, mentre dopo l'irrevocabilita' della sentenza tali esigenze non possono avere alcuna rilevanza, se non ai fini' della concessione della detenzione domiciliare, nel caso di specie non concedibile per la certa inaffidabilita' della condannata; in caso di concessione della misura, ne conseguirebbe verosimilmente una inarrestabile sequenza di sottrazioni alla detenzione domiciliare e di ripristino della stessa, che da un lato svilirebbe l'essenza stessa della misura e dall'altra lascerebbe di fatto integralmente sguarnite le esigenze che la misura e' invece destinata a salvaguardare (in tal senso, con riferimento agli arresti domiciliari per i malati di AIDS, v. Corte cost. n. 439 del 1995). Appare irragionevole che in presenza delle medesime condizioni e delle medesime esigenze da salvaguardare il difforme trattamento previsto dalla legge sia determinato da un dato solo formale quale il passaggio in giudicato della sentenza (che determinata la trasformazione giuridica della condanna in titolo esecutivo), indipendente dal comportamento del reo. Con riferimento ad altra ipotesi di differimento obbligatorio (per i condannati affetti da AIDS) la Corte costituzionale ha, invece, reso omogenea la disciplina in sede cautelare ed esecutiva con le sentenze n. 438 e 439 del 1995. Ancora, sotto il profilo della razionale uniformita' del trattamento normativo, va rilevato che in altri settori l'ordinamento nel prevedere particolari forme di tutela della maternita' e del minore nella fase immediatamente successiva al parto non oblitera la salvaguardia delle esigenze di sicurezza sociale: basti pensare al divieto di espulsione della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi al parto previsto dall'art. 19, d.lgs.vo n. 286/1998 (divieto esteso all'espulsione del marito convivente della donna a seguito della sentenza della Corte cost. n. 376 del 27 luglio 2000), che trova un limite nelle esigenze di tutela e sicurezza dello Stato. Deve, infine, rilevarsi che la particolare normativa di favore per le donne in stato di gravidanza e puerperio puo' indurre, come nella pratica avviene, ad una strumentalizzazione a fini illeciti della maternita' e del rapporto di filiazione con conseguente scelta della procreazione al solo fine di ottenere l'impunita' di fatto dai delitti commessi; ne consegue lo snaturamento della funzione dell'istituto, con lesione dell'art. 30 Cost. Per le esposte ragioni, ritiene questo tribunale di sorveglianza che si imponga la sospensione del procedimento e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale, risultando rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 146, comma 1, n. 2), c.p., nella parte in cui in cui non consente al tribunale di sorveglianza di accertare in concreto se la tutela delle esigenze del minore sia incompatibile con l'esecuzione della pena in carcere, e, conseguentemente, di negare il differimento dell'esecuzione della pena quando il beneficio non sia ritenuto adeguato alle finalita' previste dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione e la detenzione domiciliare non sia idonea a prevenire il pericolo di recidiva.
P. Q. M. Visti ed applicati gli artt. 1, legge n. 1/1948, 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, 146 c.p., 678, 684 c.p.p. Dichiara rilevante ai fini del giudizio e non manifestamente infondata, nei termini esposti in motivazione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 146, primo comma, n. 2), c.p., in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 30 Cost., nella parte in cui non prevede che il giudice possa negare il differimento quando lo ritenga non adeguato alle finalita' previste dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione e la detenzione domiciliare non sia idonea a prevenire il pericolo di recidiva, sempre che l'espiazione della pena possa avvenire senza pregiudizio per le esigenze tutelate dalla norma. Sospende il procedimento e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, riservando la definizione del procedimento all'esito della decisione della Corte adita. Ordina che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia comunicata al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti delle due Camere del Parlamento Manda per le notifiche e comunicazioni prescritte alla condannata, al difensore, al Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Venezia. Cosi' deciso in Venezia, in data 13 maggio 2008 Il Presidente: Tamburino Il giudice estensore: Vono