N. 325 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 maggio - 10 giugno 2008

del  10  giugno  2008 emessa dal Tribunale di sorveglianza di Venezia
sull'istanza proposta da J.G.O.

Esecuzione  penale - Rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena -
  Obbligo  del  differimento  in  caso  di  esecuzione della pena nei
  confronti  di  madre  di  infante  di  eta' inferiore ad anni uno -
  Mancata  previsione  della possibilita' per il giudice di negare il
  differimento quando lo ritenga non adeguato alle finalita' previste
  dall'art.  27,  terzo comma, Cost. e la detenzione non sia idonea a
  prevenire  il  pericolo  di  recidiva - Violazione del principio di
  ragionevolezza  - Lesione del principio della finalita' rieducativa
  della  pena  -  Lesione  dei  principi  a  base  della tutela della
  maternita' e del minore.
- Codice penale, art. 146, comma primo, n. 2.
- Costituzione, artt. 3, 27, comma terzo, e 30.
(GU n.44 del 22-10-2008 )
                            IL TRIBUNALE
   Sentiti  il  procuratore  generale e la difesa, che hanno concluso
come   da   verbale,   ha   pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel
procedimento  sull'istanza  presentata  da  J.G.O. nata in Roma il 12
novembre  1987,  alias  J.S.,  nata a Roma il 12 novembre 1986, alias
J.M. nata in Serbia l'11 dicembre 1986, alias J.D. nata a Belgrado il
27 gennaio 1984, codice univoco identificativo, detenuta p.a.c. nella
Casa   circondariale  di  Roma  Rebibbia,  tendente  ad  ottenere  il
beneficio  del  differimento  dell'esecuzione della pena in relazione
alla pena inflitta con sentenza emessa dal G.i.p. presso il Tribunale
di Padova in data 22 novembre 2007.
                        M o t i v a z i o n e
   La  sedicente  J.G.O. veniva arrestata in Padova in data 13 agosto
2007  nella  flagranza  del  reato  di  tentato  furto  aggravato  in
abitazione,   e  sottoposta  a  custodia  cautelare  in  carcere  con
ordinanza emessa in data 16 agosto 2007 ai sensi dell'art. 275, comma
4  c.p.p.  dal  G.i.p.  presso  il  Tribunale di Padova, che reputava
sussistenti le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza nonostante
il dedotto stato di gravidanza.
   Con  successiva  sentenza  emessa  ex  art.  444 c.p.p. dal G.i.p.
presso  il  Tribunale  di  Padova  in  data  22  novembre 2007 veniva
applicata la pena di anni due di reclusione.
   Non  appena  passata  in  giudicato  la  condanna, il difensore di
fiducia  presentava  istanza  di  differimento provvisorio davanti al
Magistrato  di  sorveglianza  di Venezia (essendo a quella data la J.
ancora  ristretta  presso  la  Casa  reclusione  donne  di  Venezia),
adducendo a sostegno lo stato di gravidanza dell'interessata.
   Acquisita  conferma  dal sanitario dell'istituto del dedotto stato
di gravidanza (la detenuta risultava alla ventisettesima settimana di
gestazione),  il  Magistrato di sorveglianza di Venezia disponeva con
decreto   interinale   in  data  27  dicembre  2007  il  differimento
provvisorio  della pena ex art. 684, comma 2 c.p.p., eseguito in pari
data.
   Al  momento  della scarcerazione, la condannata eleggeva domicilio
presso il difensore di fiducia, dove le veniva ritualmente notificato
in  data  28 gennaio 2008 l'avviso di fissazione della prima udienza.
Alla prima udienza celebrata in data 8 aprile 2008 veniva disposto un
rinvio   del   procedimento   al  fine  di  acquisire  gli  atti  del
procedimento  pendente  presso  la Procura della Repubblica di Roma a
carico  della J., nel frattempo nuovamente arrestata in data 15 marzo
2008  nella  flagranza  del  reato  di  tentato furto con destrezza e
sottoposta  a  custodia  cautelare in carcere con Ordinanza emessa il
Tribunale  di  Roma datata 17 marzo 2008; anche tale ordinanza veniva
per  esigenze cautelari di eccezionale rilevanza ex art. 275, comma 4
c.p.p.,    nonostante    l'ormai   avanzato   stato   di   gravidanza
dell'indagata.
   Venivano,   quindi,   acquisiti  all'odierna  udienza  l'anzidetta
ordinanza di custodia cautelare, nonche' la sentenza del Tribunale di
Roma  emessa  ex  art.  444  c.p.p. in data 25 marzo 2008, oltre alla
relazione  del  sanitario  della Casa circondariale di Roma Rebibbia,
attestante l'avvenuto parto in data 11 aprile 2008.
   All'odierna  udienza  il Procuratore generale ha concluso in senso
contrario  alla  concessione  del  beneficio,  mentre  il  difensore,
nominato  ex  art.  97,  comma  4,  c.p.p.  (non  essendo comparso il
difensore  di  fiducia  nonostante  la  regolarita' delle notifiche e
degli  avvisi),  ha  richiesto  la concessione del differimento della
pena.
   Nell'odierno   procedimento  deve  essere  valutata  l'istanza  di
differimento  dell'esecuzione  ex  art.  146 c.p. in ordine alla pena
inflitta  con  sentenza  del  G.i.p. presso il Tribunale di Padova in
data  22  novembre  2007, il cui residuo alla data odierna e' di anni
uno, mesi sette e giorni quindici di reclusione.
   Per  tale  titolo  la condannata e' in stato di liberta' a seguito
del  decreto  interinale  del  Magistrato  di sorveglianza di Venezia
datato  27  dicembre  2007,  che deve essere sottoposto a ratifica di
questo   tribunale  di  Sorveglianza,  competente  per  la  decisione
definitiva.
   La pena di mesi quattro di reclusione applicata ex art. 444 c.p.p.
con  sentenza  del  Tribunale  di  Roma  in  data  25 marzo 2008, non
rientra,  invece,  nell'oggetto  del  procedimento, posto che, pur in
assenza   di   impugnazione,   non  risulta  dagli  atti  la  formale
attestazione  del  passaggio in giudicato della sentenza (v. cartella
giuridica, fatto n. 1).
   La   presenza   di  un  altro  titolo  non  definitivo  non  rende
inammissibile  l'odierna istanza, non essendo preclusa la concessione
del  differimento della pena in ordine a un titolo definitivo, pur in
presenza  di  una  misura  cautelare.  Non  e'  preclusa  neppure  la
concessione  di una misura alternativa alla detenzione, dovendosi poi
solo  verificare,  in  concreto,  avuto  riguardo  alla  natura delle
limitazioni   connaturali  alla  misura  alternativa  e  alla  misura
cautelare,  l'effettiva  compatibilita'  fra  l'una  e  l'altra,  nel
rispetto,  dalla  legge  ritenuto  preminente, della misura cautelare
(cfr. ex plurimis, Cass., sez. I, sent. n. 877 del 14 aprile 1993), e
salvo  il  principio  secondo cui uno stesso periodo di privazione di
liberta'  personale  non  puo'  essere  autonomamente  imputato a due
diverse pene (Cass., sez. I, sent. n. 1846 del 18 luglio 1990).
   Dagli   atti  acquisiti  risulta  confermata  la  sussistenza  dei
presupposti del differimento obbligatorio dell'esecuzione della pena,
allo  stato  attuale  ai  sensi  dell'art. 146, comma 1, n. 2), c.p.,
risultando  la  condannata  avere  nel frattempo partorito in data 11
aprile 2008.
   Dalla  relazione  del  sanitario  della Casa circondariale di Roma
Rebibbia  risulta che il bambino e' ospite del nido dell'istituto, ed
e'  in  ottima  salute; allattato dalla madre, ha avuto un importante
aumento ponderale (Kg 1,200 in un solo mese) e fruisce della costante
assistenza  pediatrica assicurata in istituto (v. relazione datata 12
maggio 2008).
   L'esame degli atti impone alcune considerazioni.
   La  J.  (le  cui  esatte  generalita'  non  sono  note) nelle note
informative  delle  forze dell'ordine e' descritta coma una nomade di
spiccata  pericolosita'  sociale,  che  ha  fatto del crimine 1'unica
forma  di  sostentamento,  e'  priva  di  fissa  dimora,  e  presenta
attitudine  non  comune  alla  «mobilita» (v. nota Questura di Padova
datata 10 marzo 2008).
   Dai  certificati  acquisiti  e  dal  nutrito  elenco di precedenti
dattiloscopici  si  evince, inoltre, che ha commesso delitti in tutto
il   territorio   nazionale,   nell'ambito   del   quale   si  sposta
frequentemente  da  un capo all'altro della penisola (v. segnalazioni
in  provincia  di  Palermo,  Bari,  Caserta, Verona, Padova, Salerno,
Rimini,   Bologna,   Pordenone,   Vicenza,  Bolzano,  Reggio  Emilia,
Ravenna).
   Solo  per  ripercorrere le vicende piu' salienti degli ultimi anni
(le  segnalazioni degli anni precedenti attengono a periodi di minore
eta),  va  rilevato  che carico della detenuta risulta, tra le altre,
anche  una  condanna  ad  anni  sei  di  reclusione  (a nome di M.D.)
inflitta  con sentenza del Tribunale di Bolzano in data 12 marzo 2007
per rapina impropria in concorso commessa in data 21 gennaio 2006 (v.
sul  punto  ordinanza  di  custodia  cautelare  del Tribunale di Roma
datata 17 marzo 2008).
   Dalla motivazione della predetta sentenza del Tribunale di Bolzano
risulta  che  l'odierna  istante  ed  altre  due  nomadi  rimaste non
identificate, dopo aver forzato la porta di una privata abitazione ed
essersi   impossessate  di  refurtiva  di  ingente  valore  (orologi,
pregiati  monili,  tra  i quali un bracciale del cinquecento, capi di
abbigliamento,   del   valore  complessivo  di  circa  80.000  euro),
adoperavano  violenza  nei  confronti dei malcapitati proprietari che
stavano rientrando a casa, non esitando a farsi scudo con il corpo di
un  bambino  di sei anni; la refurtiva non veniva recuperata, poiche'
le  due  complici erano riuscite a fuggire, mentre l'odierna istante,
dopo  essere  stata  bloccata  fino  all'arrivo della polizia, veniva
rilasciata   in   serata  perche'  gravida,  «e  lasciata  libera  di
raggiungere  certamente  quelle  che erano state le sue complici» (v.
sentenza  pag. 4). Trattasi di circostanza ad avviso del Tribunale di
Bolzano,  che  «fa  riflettere» e che ha suscitato le doglianze delle
persone  offese. Dopo aver ricordato che l'imputata aveva commesso un
furto a Verona nel dicembre 2005 (un mese prima dell'episodio de quo)
per  il  quale  aveva  patteggiato  la pena di anni uno e mesi sei di
reclusione,  e  ancora due furti in abitazione il 4 gennaio 2006 e 16
gennaio 2006 in Bologna e in Padova, infine, il Tribunale altoatesino
evidenzia  trattarsi  di «una vera professionista che grazie al fatto
di  essere  stata all'epoca dei menzionati episodi delittuosi incinta
aveva evitato la custodia cautelare in carcere».
   Anche  in  occasione  del  tentato furto giudicato con la sentenza
emessa  dal  G.i.p. presso il Tribunale di Padova in data 22 novembre
2007  la J. era nuovamente incinta. Nell'occasione, dopo aver forzato
la  porta  di ingresso, si introduceva insieme ad altre due nomadi in
un appartamento di Padova, dove tutte e tre iniziavano a fare incetta
di  argenteria di ingente valore introducendola in alcuni sacchi, non
riuscendo nell'intento per l'intervento delle forze dell'ordine.
   Dall'ordinanza   di   custodia  cautelare  del  G.i.p.  presso  il
Tribunale  di  Padova  datata  16  agosto  2007  si  evince  che dopo
l'arresto  la  J.  produceva  copia dei certificati di nascita di due
figli  nati  nel  2005  e  nel  2006,  deducendo,  inoltre, di essere
nuovamente  incinta;  anche le altre due nomadi allegavano condizioni
personali previste nell'art. 275, comma 4 c.p.p. (una era in avanzato
stato  di  gravidanza,  l'altra  aveva da poco partorito). Il giudice
padovano,   tuttavia,  rilevava  che  «le  condizioni  personali  che
imporrebbero particolare attenzione rivolta alla cura della prole non
avevano  impedito alle indagate di dedicarsi a piu' lucrose attivita'
illecite evidentemente monitorando e scegliendo l'obiettivo e ponendo
in  essere  un  fatto  di particolare gravita', salvo poi invocare le
esigenze  da  loro  stesse non tenute presenti al fine di invocare un
mite trattamento cautelare»; per la J., che aveva collezionato in tre
anni  sei  condanne  definitive e sei pagine di identificazione sotto
falsi  nomi,  oltre che per un'altra delle indagate, il G.i.p. presso
il  Tribunale di Padova riteneva sussistenti le esigenze cautelari di
eccezionale  rilevanza,  reputando  di  poter affermare «con assoluta
certezza»  che  se  rimesse  in liberta' le donne sarebbero tornate a
delinquere,  «e  precisamente  a  commettere furti attraverso i quali
procurano  da  vivere  alle  loro  numerosissime famiglie»; rilevava,
altresi',  il  G.i.p., che il furto «e' la loro professione abituale,
alla  quale  si  dedicano - per usare le parole di attenta dottrina -
"avendo  sempre  sotto mano almeno un figlio infante" per ottenere un
trattamento  cautelare mite e tale da consentire loro di riprendere a
dedicarsi alla loro professione» (v. ordinanza cit. in atti).
   Diventata  definitiva la condanna ed ottenuta la scarcerazione per
effetto   del  provvedimento  interinale  emesso  dal  Magistrato  di
sorveglianza  di  Venezia, come correttamente pronosticato dal G.i.p.
presso  il  Tribunale  di  Padova la J. ritornava a delinquere, senza
tenere  in  alcuna considerazione le esigenze di tutela del nascituro
in   funzione   delle  quali  le  era  stato  concesso  il  beneficio
provvisorio.
   In data 17 febbraio 2008 veniva segnalata all'A.G. per guida senza
patente  e  ricettazione, dopo essere stata sottoposta a controllo in
Bologna  alla  guida di un'automobile che presentava una forzatura al
blocchetto  di  accensione,  pur  non  essendo  in possesso di idoneo
titolo di abilitazione alla guida, ne', verosimilmente delle abilita'
necessarie   per  guidare  un  autoveicolo,  e  il  tutto  nonostante
l'avanzato  stato  di  gravidanza.  Non  appena fermata dalla Polizia
Municipale,  lamentava  dolori  addominali  a suo dire correlati allo
stato di gravidanza per ottenere un benevolo trattamento cautelare, e
veniva  denunciata  a  piede  libero (v. atti trasmessi dalla Polizia
Municipale di Bologna).
   Ancora,  in  data 16 marzo 2008 veniva arrestata in piazza Fontana
di Trevi di Roma a seguito del tentato furto in danno di una turista;
anche   in   tale  occasione  dimostrava  di  non  tenere  in  alcuna
considerazione    il    suo    stato    di   gestazione,   mettendosi
irresponsabilmente  a  correre  per  evitare  l'arresto, poi avvenuto
ugualmente.
   Come   innanzi  esposto,  anche  il  Giudice  romano  ha  ritenuto
sussistenti  a  carico  della  le  esigenze  cautelari di eccezionale
rilevanza,  desunte  dalla personalita' della prevenuta ricostruibile
dai  precedenti penali gravi, numerosi e specifici, dai numerosissimi
e  anche  recenti  precedenti  giudiziari,  anche  sotto  falso nome,
nonche'  dalle precarie condizioni di vita, stante l'assenza di fissa
dimora e di lecita attivita' lavorativa (v. ordinanza cit. in atti).
   Questo   Collegio   non   puo'  che  condividere  il  giudizio  di
spiccatissima  pericolosita'  sociale  gia'  formulato  nei confronti
dell'odierna  istante  da  altre  autorita' giudiziarie, il cui grado
attuale   esigerebbe,  al  fine  di  un  suo  adeguato  contenimento,
l'applicazione di una misura detentiva; parimenti, reputa certo, piu'
che  verosimile, l'abuso del richiesto differimento, ove concesso, al
fine  di  commettere  altri delitti contro il patrimonio, senza alcun
riguardo per le esigenze alla cui tutela il beneficio e' preordinato,
posto che gia' in passato la nascita dei primi due figli avvenuta nel
2005  e  nel  2006  non  ha dissuaso la donna dal commettere delitti,
cosi'   come   nessuna  efficacia  dissuasiva  ha  avuto  la  recente
gravidanza.
   Questo tribunale di sorveglianza, tuttavia, non puo' negare sic et
simpliciter  il  differimento  della pena (con conseguente esecuzione
penale   in   carcere),  potendo  al  piu'  concedere,  quale  misura
sostitutiva  del richiesto differimento, la detenzione domiciliare ex
art.  47-ter,  comma 1-ter o.p., anche in assenza di una richiesta in
tal senso dell'interessata.
   Va,  al  riguardo,  ricordato  che  nella  vigenza della normativa
preesistente  alla  legge  n. 165/1998  parte  della dottrina facendo
riferimento  al  dato  testuale,  che  qualifica come obbligatorio il
rinvio,  lo riteneva prevalente rispetto alla detenzione domiciliare.
Di  diverso  avviso coloro che si soffermavano sugli indubbi vantaggi
che la detenzione domiciliare comporta per il condannato, tra i quali
il  fatto  che  il  tempo  trascorso  in  esecuzione  della misura si
consideri  pena  espiata.  Oggi,  a seguito della novella di cui alla
legge n. 165/1998, la giurisprudenza e' orientata ad affermare che il
legislatore  ha  modificato profondamente l'istituto della detenzione
domiciliare,  facendolo  divenire, con l'introduzione del comma 1-ter
(oltre  che  1-bis), una delle misure alternative piu' duttili e piu'
idonee a soddisfare le contrapposte esigenze del rispetto dei diritti
della  persona e di sicurezza della societa' (v. sentenza Cass., sez.
I,  n. 20480  del  2001). Tale misura «configura la polifunzionalita'
del   regime   detentivo,  mirato,  per  un  verso,  all'esigenza  di
effettivita'  dell'espiazione  della  pena e del necessario controllo
cui vanno sottoposti i soggetti pericolosi e, per altro verso, ad una
sua  esecuzione  mediante  forme compatibili con il senso di umanita»
(v. sentenza Cass., sez. I, n. 6952 del 2000).
   Riguardo   ai   criteri   di   scelta   tra  i  due  benefici,  la
giurisprudenza  della  Corte  di  legittimita'  ha  precisato  che il
tribunale  di  sorveglianza  deve  fare una duplice verifica, dovendo
prima  verificare  la  sussistenza  delle  condizioni richieste dalla
legge  per disporre il differimento e poi disporre, eventualmente, la
detenzione    domiciliare    in    alternativa    alla    sospensione
dell'esecuzione  della  pena  quando  ricorrano  esigenze  di  tutela
collettiva  (sempre  da  tenere  presenti in tema di esecuzione della
pena)  che  rendano  piu'  adeguata  l'esecuzione della pena in forma
alternativa piuttosto che la sospensione dell'esecuzione (Cass., sez.
I,   sentenza  n. 656  del  2000);  piu'  di  recente,  la  Corte  di
legittimita' ha anche rilevato che la detenzione domiciliare, al pari
delle  altre misure alternative alla detenzione, ha come finalita' il
reinserimento  sociale  del  condannato, mentre il differimento della
pena  previsto dall'art. 146 e. e 147 c.p., anteriore all'ordinamento
penitenziario  vigente,  ha finalita' diverse dall'individuazione del
trattamento piu' opportuno nei confronti del condannato, mirando solo
ad evitare che l'esecuzione della pena avvenga in spregio del diritto
alla salute e del senso di umanita'.
   Alla  luce  di tali principi, a fronte di una richiesta il giudice
deve  valutare  se le condizioni del condannato siano compatibili con
le finalita' rieducative della pena e con le possibilita' concrete di
reinserimento   sociale   conseguenti   alla  rieducazione.  Qualora,
all'esito   di  tale  valutazione,  l'espiazione  della  pena  appaia
contraria  al  senso  di umanita' per le eccessive sofferenze da essa
derivanti   ovvero   appaia   priva  di  significato  rieducativo  in
conseguenza  dell'impossibilita'  di proiettare in futuro gli effetti
della  sanzione  sul condannato, deve trovare applicazione l'istituto
del  differimento  (sentenza  Cass., sez. I, n. 45758 del 14 novembre
2007, dep. il 6 dicembre 2007).
   Facendo  applicazione di tali principi, non puo' non rilevarsi che
le  condizioni  di  vita  individuali  e  sociali della condannata, i
plurimi precedenti giudiziari e di polizia, e le conseguenti esigenze
di sicurezza sociale, desumibili dall'abuso del beneficio concesso in
via  interinale  dal  magistrato  di sorveglianza per perseverare nel
crimine,  unitamente  all'entita' della pena inflitta, indurrebbero a
ritenere  piu'  adeguata  al contenimento della pericolosita' sociale
l'esecuzione della pena, quantomeno in forma alternativa.
   Nel caso di specie, pero', difetta il requisito minimo necessario,
ovvero   un  luogo  idoneo  all'esecuzione  della  misura.  Trattasi,
infatti,   di   condannata   senza   fissa   dimora,  che  si  sposta
frequentemente  da un capo all'altro della penisola e che non risulta
aver  soggiornato  per un tempo apprezzabile in un determinato luogo;
neppure  tramite  il difensore di fiducia, peraltro, l'interessata ha
indicato  un  qualsivoglia  riferimento idoneo all'applicazione della
detenzione domiciliare.
   Deve  anche  rilevarsi,  e  per  tale  ragione questo tribunale di
sorveglianza  non  ritiene  di  dover  disporre  un rinvio al fine di
invitare  l'interessata  ad  indicare un eventuale domicilio, che non
appare  in alcun modo formulabile una favorevole prognosi di corretta
gestione  della  misura,  che  e'  misura a contenuto prescrittivo, e
postula,  per  realizzare  la funzione che le e' propria, la volonta'
adesiva  di  chi vi e' sottoposto (in tal senso riguardo agli arresti
domiciliari v. Corte cost., sentenza n. 439/1995).
   Il grado di inaffidabilita' piu' volte dimostrato dalla condannata
(che  anche  da minorenne si e' allontanata dopo soli pochi giorni di
permanenza  dalla  Comunita'  per  minori  «Amicizia» di Padova, alla
quale era stata affidata dopo essere stata arrestata in flagranza del
reato   di   furto   il  27  luglio  2004),  unitamente  all'assoluta
indifferenza  alle norme penali e del vivere sociale evidenziata, non
consentono  in  alcun  modo  di ritenere che la J. si atterrebbe alle
prescrizioni minime tipiche della detenzione domiciliare.
   Pur in assenza di' situazioni personali che precludano l'efficacia
rieducativa  della  pena o che rendano contraria al senso di umanita'
l'esecuzione   penale  in  forma  alternativa,  questo  tribunale  di
sorveglianza non puo', pertanto, che applicare il richiesto beneficio
del differimento.
   Una    diversa    interpretazione   non   appare   ragionevolmente
sostenibile,  senza  inammissibili  forzature  del dato normativo; il
tenore  testuale  dell'art.  146, comma 1 n. 2), c.p., nella parte in
cui   dispone  «l'esecuzione  e'  differita»  anziche'  «puo'  essere
differita», non lascia dubbi interpretativi.
   Ritiene,  tuttavia,  questo  Collegio  che  la disposizione, cosi'
formulata   e   intesa,   attribuisca  al  sistema  una  connotazione
criticabile  sotto il profilo della razionalita' e costituzionalita',
e  che,  pertanto,  debba  essere  sollevata  d'ufficio  questione di
legittimita'  costituzionale della norma, per contrasto con gli artt.
3,  27,  e  30  Cost., ravvisandosene la rilevanza e la non manifesta
infondatezza.  Lo  scrutinio di costituzionalita' non puo' che essere
richiesto  per  la  disposizione di cui al n. 2 del comma 1 dell'art.
146  c.p., applicabile nel caso di specie, ma i dubbi di legittimita'
costituzionale  riguardano anche l'ipotesi prevista dal comma 1 n. 1)
della stessa norma.
   La  questione  e'  rilevante  ai fini della pronuncia sull'odierna
istanza,  essendo  ineliminabile l'applicazione della norma nell'iter
logico-giuridico   che   questo  tribunale  deve  percorrere  per  la
decisione   conclusiva   dell'odierno   procedimento,  in  quanto  il
provvedimento  interinale del magistrato di sorveglianza e' destinato
a  produrre  effetti fino alla decisione di questo organo collegiale,
al  quale  compete  la  decisione  in  via  definitiva  in  ordine al
differimento  della  pena, istituto del quale risultano sussistenti i
presupposti  (in  tal  senso,  per  la rilevanza di analoga questione
nonostante  l'intervenuta  scarcerazione  provvisoria  da  parte  del
magistrato di sorveglianza, v. Corte cost. sentenza n. 70 del 1994).
   In  punto  di  non  manifesta  infondatezza,  va  premesso  che e'
indiscutibile  la scelta del legislatore di tutelare anche nella fase
dell'esecuzione   penale  le  particolari  esigenze  delle  donne  in
gravidanza  o madri di figli in tenera eta'; sicuramente e fortemente
condiviso  da  questo  Collegio  e'  il  principio  secondo  il quale
tendenzialmente  in un paese democratico la detenzione delle donne in
gravidanza  e  delle  madri  che  accudiscono  figli  in  tenera eta'
dovrebbe  essere prevista solo «in ultima istanza» (come raccomandato
agli Stati membri di recente nella risoluzione del Parlamento europeo
del 13 marzo 2008 sulla particolare situazione delle donne detenute e
l'impatto  della  carcerazione  dei  genitori  sulla  vita  sociale e
familiare,  al  punto  14).  Non  sfugge,  inoltre,  al  Collegio che
«l'alternativa  tra  l'immediata  esecuzione  della  pena  o  la  sua
temporanea  inesigibilita'  a  causa  di situazioni soggettive che il
legislatore   ritiene   di  qualificare  come  incompatibili  con  la
carcerazione,    non    comporta   soluzioni   univoche   sul   piano
costituzionale,   dovendosi   necessariamente   ammettere   spazi  di
valutazione  normativa che ben possono contemperare l'obbligatorieta'
della  pena  con  le  specifiche  situazioni  di  chi  vi deve essere
sottoposto»;  conferma  l'assenza  di soluzioni «a rime obbligate» la
circostanza  che nel progetto di riforma al codice penale predisposto
dalla Commissione nominata con d.m. 23 novembvre 2001 il differimento
dell'esecuzione  della  pena  per  gravidanza  e  puerperio  non  sia
previsto,  mentre  e'  prevista  la  concessione  (facoltativa) della
conversione  della  pena  detentiva  con  altra  misura  in  caso  di
condannata  incinta  o madre di prole di eta' inferiore ad anni dieci
(v.   art.  81  n. 6  del  progetto);  il  disegno  di  legge  delega
predisposto  dall'ultima  Commissione  di  riforma  del codice penale
istituita  con  d.m. 31 luglio 2006, invece, nel prevedere nuovamente
l'istituto del differimento, non lo qualifica come obbligatorio.
   Il  legislatore  ordinario,  pero',  nell'esercizio del suo potere
discrezionale   di   dettare   norme   che   incidono   su  interessi
costituzionalmente rilevanti tra loro in rapporto di concorrenza o di
confliggenza, incontra limiti di ordine costituzionale.
   Con   riferimento   alla   normativa   penitenziaria,   la   Corte
costituzionale  ha  precisato  che  «eguaglianza  di fronte alla pena
significa  proporzione  della medesima alle personali responsabilita'
ed  alle  esigenze di risposta che ne conseguono (sentenze n. 349 del
1993  e n. 299 del 1992), e che per l'attuazione di tali principi, ed
in funzione della risocializzazione del reo, e' necessario assicurare
progressivita'  trattamentale  e  flessibilita'  della pena (sentenze
n. 445  del  1997  e  306  del  1993)  e, conseguentemente, un potere
discrezionale alla magistratura di sorveglianza nella concessione dei
benefici penitenziari» (sentenza n. 504 del 1995 e n. 255 del 2006).
   Con  sentenza  n. 306  del  1993, ancora, la Corte ha affermato il
principio   secondo   cui,   nell'ambito   delle   finalita'  che  la
Costituzione  assegna  alla pena (quella di prevenzione generale e di
difesa   sociale,  con  i  connessi  caratteri  di  retributivita'  e
afflittivita',  e  quella  di prevenzione speciale e di rieducazione,
che  tendenzialmente comportano una certa flessibilita' della pena in
funzione dell'obiettivo di risocializzazione del reo), il legislatore
ordinario   puo'   -   nei   limiti   della   ragionevolezza   -  far
tendenzialmente  prevalere,  di  volta  in  volta,  l'una  o  l'altra
finalita', ma a patto che nessuna di esse risulti obliterata.
   Conformemente  a  tali  principi,  ai quali e' improntato tutto il
settore  dell'esecuzione  penale,  la  concessione  di ogni beneficio
penitenziario  deve  essere  preceduta,  oltre  che dall'accertamento
della  sussistenza  dei  requisiti  di legittimita' di volta in volta
prescritti  dalla  legge,  anche  da  una valutazione del Giudice sul
raggiungimento  da  parte  del  condannato di uno stadio del percorso
neducativo  adeguato  al  beneficio  richiesto,  e  sulla conseguente
idoneita'  rieducativa  di  quest'ultimo,  nonche'  sull'idoneita'  a
prevenire  il  pericolo  di  recidiva.  Nelle  proprie  decisioni, il
giudice   di   sorveglianza  deve  aver  riguardo  ai  risultati  del
trattamento  individualizzato,  o, in caso di assenza di trattamento,
al  comportamento  tenuto  in  liberta',  e verificare la sussistenza
delle  condizioni  per  un adeguato reinserimento sociale, al fine di
garantire la proporzionalita' e l'individualizzazione del trattamento
sanzionatorio,  oltre  che  l'ineludibile finalita' rieducativa della
pena.
   Come  innanzi accennato, il differimento secondo la giurisprudenza
non  ha  finalita'  rieducativa,  ma  tende  solo  ad  evitare che in
presenza di determinate situazioni l'esecuzione della pena avvenga in
spregio  del diritto alla salute e del senso di umanita'; la potesta'
punitiva  dello Stato nella fase dell'esecuzione della pena incontra,
per  vero,  un limite invalicabile in quelle situazioni in cui per le
condizioni  personali  del reo l'esecuzione dalla pena contrasterebbe
con  il  senso  di  umanita'  o  non  potrebbe avere alcuna efficacia
rieducativa (cfr. Cass. sentenza 1138 del 26 aprile 1994). In assenza
di  tali  estreme  condizioni,  tuttavia,  non appare giustificata la
compromissione    delle   finalita'   della   pena   previste   dalla
Costituzione,  in  quanto, pur essendo istituto anteriore all'entrata
in   vigore   della   Carta  costituzionale,  l'istituto  del  rinvio
dell'esecuzione  deve essere interpretato alla luce di tali principi.
Pur  non  rientrando,  inoltre,  tra  i  benefici  premiali  in senso
stretto,  trattasi  pur  sempre  di  un beneficio che ha una concreta
incidenza  nella  vicenda  esecutiva, e che pertanto deve soggiacere,
salvi  i  limiti  anzidetti,  ai  principi  in  materia di esecuzione
penale,  in  particolare al principio del finalismo rieducativo della
pena.
   Nel  caso  di specie, il beneficio del differimento provvisorio si
e'  gia'  rivelato non adeguato, sia sotto il profilo rieducativo che
della  prevenzione  speciale,  ma  nonostante  l'abuso  del beneficio
concesso  e  la ricaduta nel crimine questo Tribunale di Sorveglianza
non  puo'  rigettare  l'istanza, salvo optare, come gia' esposto, per
una   misura  che  con  ogni  probabilita'  non  troverebbe  regolare
esecuzione.
   Risulta,  cosi',  violato  il  principio  della proporzionalita' e
individualizzazione   del  trattamento  sanzionatorio,  ma  anche  il
principio  della  progressivita' trattamentale, in base al quale «nel
caso  di  abuso  dei  benefici gia' concessi o di altre irregolarita'
comportamentali   deve   conseguire   una  regressione  nel  percorso
trattamentale»  (cosi'  come,  all'inverso,  il maturarsi di positive
esperienze non potra' non generare un ulteriore passaggio nella scala
degli  istituti  di risocializzazione; v. sul punto Corte cost. sent.
n. 445/1997  con riferimento ai permessi premio). Neppure puo' essere
tenuta  in  alcuna considerazione da questo tribunale di sorveglianza
l'impossibilita'  di  formulare  una prognosi di futura astensione da
comportamenti  di  tipo  deviante, tenuto conto della reiterazione di
condotte  crimine  e  della  dimostrata  adesione  a  modelli di vita
incentrati  Su  attivita'  illecite, in quanto la norma non consente,
sulla  base  di  tale giudizio prognostico, il rigetto del beneficio;
solo  in relazione alle situazioni legittimanti un rinvio facoltativo
dell'esecuzione  il comma 4, dell'art. 147 c.p. (aggiunto dalla legge
n. 40/2001)  dispone che il provvedimento «non puo' essere adottato o
se  e'  adottato  e'  revocato se sussiste il concreto pericolo della
commissione  di delitti». Anche tale disposizione conferma la diversa
scelta  del  legislatore  in  ordine  al  differimento  obbligatorio,
riguardo  al  quale  non  e'  consentito  analogo  apprezzamento  del
giudice.
   Generalmente  si  afferma, riguardo all'istituto del differimento,
che le finalita' della pena possono essere procrastinate e rimodulate
a  seguito  di  una  esecuzione differita; nel caso di specie, pero',
sulla  base degli indici prognostici evidenziati puo' ragionevolmente
affermarsi  che allo scadere del termine del differimento (ovvero tra
circa un anno, nel corso del quale verosimilmente la J. continuera' a
perseverare  nel  crimine) l'esecuzione non potra' agevolmente essere
ripristinata,  tenuto conto dell'abilita' dimostrata dalla condannata
nel   rendersi   irreperibile  e  nel  fare  uso  di  numerose  false
generalita';  tenuto  conto  della giovane eta', e delle abitudini di
vita  dei nomadi, alla data dell'inizio di una nuova esecuzione la J.
potrebbe  essere  nuovamente  incinta  e cosi' via per chissa' quanto
tempo  ancora. Conferma tale assunto la circostanza che la condannata
risulta  avere  ottenuto  il  differimento dell'esecuzione in data 10
ottobre 2005 in ordine alla pena di armi due di reclusione inflittale
con  sentenza  del Tribunale di Pordenone in data 28 ottobre 2004 per
furto in abitazione, e alla data odierna risulta ancora ineseguito il
relativo  ordine  di  carcerazione  della Procura della Repubblica di
Pordenone  (v.  sul  punto atti trasmessi dalla Polizia Municipale di
Bologna).
   Come emerge dall'esame dei dati statistici, la strumentalizzazione
dell'istituto  del  differimento (che da extrema ratio in alcuni casi
diventa  la  regola) ha di fatto creato una sorta di immunita' per le
donne  nomadi in eta' fertile che possono dedicarsi indisturbate alle
loro  attivita'  illecite  potendo confidare sul trattamento previsto
dall'art.  146  c.p.  per  le donne in stato di gravidanza o madri di
figli in tenera eta'; considerato che generalmente si tratta di donne
che  iniziano a procreare precocemente, appena adolescenti, e che per
le abitudini di vita non conoscono il fenomeno delle nascite ridotte,
e' di tutta evidenza l'imponenza del fenomeno e le esigenze di tutela
della  collettivita'  che  ne  conseguono.  Piu'  che  un  temporaneo
differimento (che potrebbe non compromettere le finalita' della pena)
si  finisce  per  avere  un  differimento  a tempo indeterminato, per
giunta  lasciato  alla  libera scelta delle interessate, le quali non
indicando  un  domicilio  o  sottraendosi all'esecuzione delle misure
alternative  concesse possono lucrare, quale alternativa inevitabile,
il differimento della pena.
   Puo'  affermarsi,  pertanto,  che  nel  caso  di  specie  tutte le
finalita' che la Costituzione assegna alla pena risultano obliterate,
con   conseguente   violazione  del  principio  sancito  dalla  Corte
costituzionale con sentenza n. 306 del 1993. Totalmente svilita e' la
finalita'  di prevenzione generale e di difesa sociale - finalita' la
cui  realizzazione dipende, come e' noto, non soltanto dalla minaccia
legale  della  sanzione  penale,  ma  anche  e  soprattutto dalla sua
concreta  esecuzione  -  giacche' la rigida e prevedibile sospensione
del  momento  esecutivo  esclude  che la pena irrogata possa svolgere
alcuna  funzione  di intimidazione e dissuasione rispetto a possibili
futuri  comportamenti  criminosi,  sia  nei  confronti  del  concreto
destinatario  di  essa, sia nei confronti degli altri soggetti che si
trovano  nella  medesima situazione. Del tutto vanificato e' anche il
profilo  retributivo-affittivo  della pena posto che la rinuncia alla
relativa  esecuzione  (di  fatto a tempo indeterminato per le ragioni
esposte) lascia sostanzialmente impunito il reato commesso. Come gia'
evidenziato,  infine,  risultano obliterate del tutto le finalita' di
prevenzione  speciale  e  di  rieducazione  della  pena, che appaiono
riferibili al caso concreto.
   La  magistratura  di  sorveglianza  deve, infatti, in presenza dei
presupposti  previsti  dall'art.  146,  comma  1,  n. 1)  e 2), c.p.,
sospendere  l'esecuzione  della  pena detentiva, in base ad un rigido
automatismo,  che  non puo' essere temperato da alcuna valutazione di
merito  volta  ad  assicurare  il perseguimento delle finalita' della
pena  e  l'individualizzazione e proporzionalita' del trattamento, in
relazione  alle  concrete necessita' specialpreventive, rieducative e
risocializzatrici del caso; alle situazioni regolamentate dalla norma
puo'  essere, di fatto, riconducibile una varieta' e molteplicita' di
situazioni  personologiche  e  criminologiche, tra loro profondamente
differenti,  meritevoli di diverso trattamento, che non puo', invece,
essere assicurato.
   E'   del   tutto  evidente,  pertanto,  che  la  generalizzata  ed
automatica  applicazione  del  trattamento  di  favore previsto dalla
disposizione   censurata,  nell'assegnare  un  identico  beneficio  a
condannati  che  presentino fra loro differenti stadi del percorso di
risocializzazione   e   diversi   gradi   di  pericolosita'  sociale,
compromette,  ad  un tempo, non soltanto il principio di uguaglianza,
finendo  per  omologare  fra  loro,  senza  alcuna  plausibile ratio,
situazioni  diverse,  ma  anche  la stessa funzione rieducativa della
pena,  posto  che  il  riconoscimento di un beneficio che non risulti
correlato   alla  positiva  evoluzione  nel  trattamento  compromette
inevitabilmente    l'essenza   stessa   della   progressivita',   che
costituisce il tratto saliente dell'iter riabilitativo. L'automatismo
che  si  rinviene  nella  norma  denunciata e' poi in contrasto con i
principi  di  proporzionalita'  e individualizzazione della pena come
precisati dalla richiamata giurisprudenza.
   Ne  consegue  il  contrasto  della  norma censurata con l'art. 27,
terzo comma, Cost., oltre che con l'art. 3 Cost.
   La  norma  stessa appare in contrasto con l'art. 3 cost. anche per
lesione del canone della ragionevolezza.
   In  via generale, il bilanciamento degli interessi coinvolti ed il
sacrificio  di  alcuni  di  essi, in favore di altri, soggiacciono al
limite  della  ragionevolezza  della scelta legislativa, nel senso di
una  non  arbitraria  e non ingiustificata composizione dei valori in
giuoco.
   Nel  giudizio  sulla  razionalita'  di  una disciplina non si deve
guardare  solo  alla  posizione  formale di chi ne e' destinatario ma
anche alla funzione e allo scopo cui essa e' preordinata (Corte cost.
sentenza n. 54 del 1968). Sotto tale profilo, sulla base dei principi
affermati dalla giurisprudenza di legittimita' puo' affermarsi che la
ratio  delle  norme  sul differimento obbligatorio e' la tutela della
salute  e  dell'umanita'  della  pena;  sicuramente  finalizzato alla
tutela  della  salute  della  donna  e  del nascituro e' il rinvio in
presenza  dello stato di gravidanza, mentre il differimento nel primo
anno   di   vita  del  bambino  puo'  essere  ricondotto,  oltre  che
all'esigenza  di  assicurare  il  senso di umanita' della pena, anche
alla  tutela  dell'interesse del minore ad un corretto sviluppo della
personalita',  e,  in  funzione  di  tale  interesse, alla tutela del
rapporto  che  in  tale periodo necessariamente si svolge tra madre e
figlio,  non  tanto  e  non solo per cio' che attiene ai bisogni piu'
propriamente  biologici,  ma  anche  in  riferimento alle esigenze di
carattere  relazionale  e  affettivo che sono collegate allo sviluppo
della personalita' del bambino (v. con riferimento ad altre norme che
prevedono  benefici  nel  periodo immediatamente susseguente al parto
sentenza n. 376 del 2000 Corte costituzionale).
   Se  questa  e' la ratio dell'istituto del differimento, che incide
su  altri interessi pure costituzionalmente rilevanti, deve ritenersi
che la norma sia espressiva di un giudizio di valore risultante dalla
ponderazione    di    due    interessi    in    conflitto,   entrambi
costituzionalmente  rilevanti. Caratteristica dei valori (o principi)
costituzionali     soggetti    a    bilanciamento,    e'    la    non
predeterminabilita'  in  assoluto,  una  volta  per  tutte,  dei loro
rapporti reciproci di sovra o sottordinazione. La prevalenza dell'uno
sull'altro,  quando il bilanciamento non sia rimesso caso per caso al
giudice,  ma  sia  operato  dalla  legge  nella  forma  di  una norma
astratta,  deve essere collegata a determinate condizioni tipiche. In
assenza di' tali condizioni l'esito della valutazione comparativa non
puo'  essere  il  medesimo.  Percio',  una  norma di questo tipo, per
essere  costituzionalmente  legittima,  non deve escludere, in ordine
all'interesse     postergato,    la    possibilita'    della    prova
dell'inesistenza, nel caso concreto, delle condizioni che, secondo il
bilanciamento  sotteso  alla norma stessa, giustificano la precedenza
attribuita  all'interesse  antagonistico  (v.  in  tal senso sentenza
Corte cost. 10 aprile 1992, n. 149).
   In applicazione di analogo principio, con riferimento all'istituto
del  differimento  della pena nei confronti dei condannati affetti da
AIDS,  la  Corte  costituzionale  con  sentenza  n. 438  del  1995 ha
ritenuto  non  conforme  al  canone  della ragionevolezza l'art. 146,
primo comma n. 3), c.p., nella parte in cui non consente di accertare
in  concreto  se  ai  fini  dell'esecuzione  della  pena le effettive
condizioni  di  salute  del condannato siano compatibili con lo stato
detentivo,    poiche'    intanto   si   puo'   ritenere   ragionevole
l'allontanamento  dal  carcere in quanto la relativa permanenza negli
istituti  cagioni  un  pregiudizio  alla  salute del soggetto e degli
altri   detenuti,   posto   che   altrimenti   risulterebbero   senza
giustificazione  compromessi  altri  beni  riconosciuti  come primari
dalla Carta fondamentale.
   Nel  caso  di  specie,  la  restrizione  in carcere nel periodo di
gestazione  non  ha  cagionato alcun concreto pregiudizio alla J., la
quale,  come innanzi esposto, e' stata arrestata in flagranza in data
13 agosto 2007, ed e' rimasta in vinculis fino a pochi giorni dopo il
passaggio  in  giudicato  della  condanna, ovvero fino al 27 dicembre
2007, data della concessione del differimento provvisorio della pena.
   Dalla  relazione  del  sanitario  del carcere di Venezia datata 21
dicembre  2007  risulta  che a quella data la detenuta non presentava
alcuna  situazione  di pregiudizio conseguente alla carcerazione. Nel
carcere   femminile   di   Venezia,   inoltre,   la  detenuta  godeva
dell'assistenza sanitaria assicurata in istituto.
   Parimenti,  l'attuale  situazione detentiva (dopo l'ultimo arresto
avvenuto  il  16  marzo  2008)  non  risulta  creare al momento alcun
pregiudizio  al neonato, che e' nato nel presidio ospedaliero «Sandro
Pertini»  (verosimilmente  previo  trasferimento  esterno in luogo di
cura ex art. 11 o.p.) in stato di ottima salute, come evidenziato dal
cosiddetto  «indice  di  Apgar», indicativo dello stato di salute dei
neonati; egli, inoltre, ha avuto un significativo aumento ponderale e
fruisce della costante assistenza pediatrica assicurata in istituto.
   Per   converso,   come   evidenziato,   nel  periodo  di  liberta'
conseguente  al  differimento  provvisorio concesso dal Magistrato di
sorveglianza   di   Venezia,   la   J.  ha  tenuto  un  atteggiamento
irresponsabile  e  potenzialmente  idoneo  a  compromettere la salute
propria  e  del  nascituro,  oltre che l'evoluzione della gravidanza,
spostandosi   (quantomeno)  da  Venezia  a  Bologna  e  poi  a  Roma,
perseverando nel proprio stile di vita antinormativo e inadatto a una
gestante,  ponendosi  anche  alla  guida  di  un'autovettura  con  il
blocchetto  di  accensione  manomesso e senza possedere idoneo titolo
abilitativo,  dandosi  alla  fuga  alla vista delle forze dell'ordine
dopo l'ultimo tentato furto.
   Come   ricordato   dalla  Corte  costituzionale  nella  menzionata
sentenza  n. 438  del  1995,  «il  rinvio  dell'esecuzione della pena
detentiva  si e' sempre saldamente attestato intorno a un presupposto
unificante,  vale  a  dire  le  particolari  condizioni di salute del
condannato   e   la   ritenuta  inconciliabilita'  delle  stesse  con
l'altrettanto  peculiare  regime  carcerario.  Illuminanti,  a questo
proposito,  sono  alcuni  passaggi  della  relazione ministeriale sul
progetto  del  codice  penale  ove,  appunto, si giustifica il rinvio
obbligatorio  dell'esecuzione della pena nel caso della donna incinta
che  abbia  partorito da meno di sei mesi, proprio con le difficolta'
di  assistenza  negli  stabilimenti  carcerari  che quelle condizioni
personali necessariamente richiedono».
   La  concreta  realta'  delle  istituzioni carcerarie e', tuttavia,
profondamente  mutata  rispetto  all'epoca  di  entrata in vigore del
codice   penale,  sulla  scia  dei  principi  affermati  dalla  Carta
costituzionale  in  materia  di  esecuzione penale, e dell'incessante
processo di riforma dell'ordinamento penitenziario che ne e' seguito.
L'assistenza  alla  detenuta  in  stato di gestazione non rappresenta
piu', generalmente, un problema nella realta' degli istituti di pena,
tenuto  anche  conto della possibilita' di ricorrere al trasferimento
esterno  ex  art.  11 o.p., e inoltre la carcerazione puo' comportare
rischi  per la gestazione di gran lunga inferiori rispetto allo stato
di  liberta'  nei  casi  in cui, come in quello in esame, lo stato di
liberta'  non  si  accompagni  ad  uno  stile di vita, anche sotto il
profilo  igienico-sanitario,  oltre  che  delle abitudini quotidiane,
adeguato  alla  particolare  situazione.  A  cio' si aggiunga che nel
concedere  il beneficio del differimento il tribunale di sorveglianza
non   puo'   imporre  alcuna  prescrizione  finalizzata  alla  tutela
dell'interesse  del  nascituro,  posto  che  secondo  la  consolidata
giurisprudenza  l'imposizione  di obblighi accessori e' incompatibile
con  la  concessione  del  beneficio (Cass., sez. I, 2 dicembre 1992,
n. 4591).
   Anche  sotto  il  profilo  della salute psico-flsica dei minori la
situazione  degli  istituti  di  pena  e'  difforme  da quella tenuta
presente   nel  codice  penale;  l'amministrazione  penitenziaria  ha
autorizzato  nel  corso  degli anni l'istituzione di asili nido preso
alcune  strutture  penitenziarie  destinate esclusivamente alle donne
(Pozzuoli,  Roma  Rebibbia, Trani, Perugia e Venezia) e, su richiesta
delle  direzioni,  presso  le  sezioni  femminili  presenti in alcuni
istituti di pena destinati agli uomini, in attuazione del disposto di
cui  all'art.  19  d.P.R.  n. 230/2000.  La stessa amministrazione ha
invitato  le  direzioni  ad  assicurare almeno un asilo nido per ogni
regione  e  inoltre  la  presenza  di  operatori specializzati, quali
puericultrici,  in tre istituti penitenziari (Roma, Venezia, Milano).
In  qualche  istituto sono presenti un servizio di ludoteca e qualche
servizio  di ausilio, quali, ad esempio, l'accompagnamento del minore
da  parte  di  volontari  all'asilo  nido  comunale presso l'istituto
penitenziario  di Venezia Giudecca e Roma Rebibbia, la colonia estiva
in localita' Lido - Alberoni per i piccoli ospiti del nido di Venezia
Giudecca  (v.  sul punto i dati riportati nella risoluzione approvata
dal  C.S.M.  nella  seduta  del  27  luglio  2006  sulla tutela della
maternita'  e  dei  figli  minori  dei  detenuti).  In  alcuni  casi,
pertanto,  non  puo'  a  priori  escludersi  che in alcuni nidi degli
istituti  di  pena  siano  assicurati  al  minore  un'assistenza piu'
adeguata  da  punto di vista sanitario, e inoltre forme di assistenza
finalizzate  ad  un  corretto  sviluppo  della personalita' (quali la
frequenza  del  nido  comunale,  l'assistenza della puericultrice, la
colonia   estiva,   le   attivita'   ricreative   organizzate   dalle
associazioni   di  volontariato)  non  assicurate  in  alcuni  gruppi
familiari   inseriti   in   culture  di  microcriminalita'  prive  di
riferimenti abitativi stabili.
   Nel  caso  di  specie,  la  J.  non ha fatto buon uso dei benefici
ottenuti  dedicandosi  alla  cura  dei  figli in tenera eta', ma piu'
volte  (anche  in  occasione  delle  precedenti  gravidanze) e' stata
denunciata  e  arrestata  in  flagranza  mentre  era dedita al furto,
lontana dagli accampamenti dove i figli erano verosimilmente affidati
a  parenti  o  altri  componenti  del gruppo. Come emerge dagli studi
sociologici  in  materia,  spesso  le  donne  nomadi  sono  indotte o
addirittura  costrette  al delitto dai loro uomini, e per dedicarsi a
tale  attivita'  lasciano  i  minori  nell'accampamento affidandoli a
parenti  o  a  terzi,  salvo portarli con se' in alcune delle imprese
criminose.
   La verifica in ordine alla sussistenza di un effettivo pregiudizio
allo  sviluppo  psico-fisico del minore conseguente alla carcerazione
della  madre,  nonche'  in  ordine  alla  possibilita' di affidare il
bambino  a  terzi,  nel  caso  di  specie  non e' consentita a questo
tribunale di sorveglianza, nonostante le pregnanti esigenze di tutela
della collettivita' sicuramente sussistenti.
   E'  proprio  la  rigida  presunzione  stabilita dal legislatore ad
apparire  priva  di  adeguato  fondamento e tale da rendere dubbia la
razionalita'  di  una  norma  dalla cui concreta applicazione possono
generarsi  ingiustificate  compromissioni di altri interessi tutelati
dall'ordinamento.  Le  ipotesi  del  differimento obbligatorio per la
donna incinta o madre di figlio di eta' inferiore ad anni uno sono le
sole,  tra quelle previste dall'art. 146 c.p., a non ammettere alcuna
verifica in concreto sulla sussistenza di una effettiva situazione di
pregiudizio  agli  interessi  che  la  norma  tende  a  tutelare o di
contrarieta'  dell'esecuzione  penale  al senso di umanita' (verifica
prevista,  invece,  nelle  ipotesi  dei  condannati affetti da AIDS o
altra  malattia  particolarmente  grave),  e  inoltre  che  hanno una
difforme  regolamentazione  in sede cautelare e in sede esecutiva. La
possibilita' di verificare la sussistenza di una effettiva situazione
di  pregiudizio  o di contrarieta' dell'esecuzione penale al senso di
umanita' (verifica che andrebbe effettuata caso per caso in relazione
alle  strutture  disponibili,  alla  personalita'  del minore e della
madre  e  alle  condizioni  di  vita  della  famiglia) consentirebbe,
invece,  un'adeguata  composizione  degli  interessi configgenti e la
salvaguardia  della  ratio  dell'istituto  del  differimento,  le cui
finalita', invece, vengono in casi come quello in esame completamente
snaturate.
   La  disposizione  impugnata  deve ritenersi non conforme al canone
della ragionevolezza nella parte in cui non consente, quando vi siano
significative   esigenze   di   sicurezza  sociale  e  la  detenzione
domiciliare  non sia adeguata a prevenire il pericolo di recidiva, di
accertare  in  concreto  se  ai  fini  dell'esecuzione  della pena la
carcerazione  della  madre comporti un effettivo pregiudizio, tale da
rendere  contraria  al senso di umanita' l'esecuzione penale, e se la
scarcerazione  «secca»  sia  effettivamente  idonea  ad assicurare la
tutela  degli  interessi ai quali il beneficio e' preordinato. Da qui
il  contrasto  della norma denunciata con l'art. 3 Cost., ravvisabile
non   solo  sotto  il  profilo  della  violazione  del  canone  della
ragionevolezza, per le ragioni evidenziate, ma anche sotto il profilo
della  razionale  uniformita' del trattamento normativo, in quanto in
presenza delle medesime condizioni (stato di gestazione e presenza di
un figlio di eta' inferiore ad un anno) e' consentito solo nella fase
cautelare  disporre la carcerazione, sia pure ove sussistano esigenze
di  eccezionale  rilevanza.  Non e' senza rilievo il fatto che l'art.
275 c.p.p. sia stato rimaneggiato con la legge 26 marzo 2001, n. 128,
una  legge  dunque  posteriore  alla legge 8 marzo 2001, n. 40 che ha
modificato  l'art.  146  c.p. estendendo il differimento obbligatorio
fino  ad  un  anno  di  vita del bambino. Sino a prova del contrario,
pertanto, l'interprete e' portato a ritenere che il legislatore abbia
consapevolmente    tenuto   distinta   la   disciplina   del   rinvio
dell'esecuzione   della   pena   rispetto  a  quella  della  custodia
cautelare.
   E'  pacifico che le misure cautelari si distinguano dalla pena per
natura  e  finalita',  si da non apparire irragionevole, in astratto,
una  difforme  disciplina  (v.  in  tal  senso  Corte  cost. sentenza
n. 25/1979);  come affermato dalla giurisprudenza di legittimita' (v.
sentenza  Cass.  n. 43014  del  2001) scopo della misura cautelare e'
quello  di  assicurare  una o piu' delle esigenze di cui alle lettere
a),  b) e c) del primo comma dell'art. 274 c.p. Si tratta, dunque, di
una  finalita'  da un lato contingente in quanto legata all'evolversi
di una fase procedimentale, dall'altro strumentale, in quanto posta a
garanzia delle indagini e del processo, oltre che della collettivita'
quando sussista il pericolo della commissione di altri reati. In tale
ottica,  il  legislatore  si e' posto il problema di un bilanciamento
tra  le esigenze di cautela e le esigenze di tutela della salute o di
altre situazioni personali dell'indagato, contemperando tali esigenze
con la previsione dei limiti alla custodia cautelare in carcere nelle
ipotesi previste dall'art. 275, comma 4, c.p.p.
   Nel  caso  di  specie,  pero'  (come  in  altri casi analoghi), le
esigenze  cautelari di eccezionale rilevanza ritenute sussistenti sia
dal  G.i.p. presso il Tribunale di Padova sia dal Tribunale di Roma a
carico   della   J.   nelle   menzionate  ordinanze  custodiali  sono
rappresentate  dalle esigenze di tutela della collettivita', previste
dall'art.  274, comma 1, lett. c); non si tratta, quindi, di esigenze
poste  a  garanzia  delle indagini e del processo, tipiche solo delle
misure  cautelari  e  non della pena (che potrebbero giustificare una
difforme disciplina), ma delle esigenze di tutela della collettivita'
alla  cui salvaguardia e' finalizzata anche la pena, la cui composita
funzione comprende anche le esigenze di prevenzione e di tutela della
collettivita'.  In  presenza  delle  medesime  esigenze  di sicurezza
sociale e delle medesime situazioni personali, l'ordinamento consente
solo  al Giudice della cautela la salvaguardia delle prime, ove siano
di  eccezionale  rilevanza,  mentre dopo il passaggio in giudicato le
stesse  esigenze  sono postergate e nessuna verifica e' consentita al
Giudice  di  sorveglianza  in  merito all'eccezionalita' delle stesse
esigenze  e  all'esistenza effettiva di pregiudizio per la madre e il
minore.  Come  emerge dall'esposizione dei fatti, la J. e' rimasta in
carcere   sottoposta  a  custodia  cautelare  fino  al  passaggio  in
giudicato  della  condanna,  e  fino  a tale momento l'ordinamento ha
consentito al Giudice della cautela la salvaguardia delle esigenze di
sicurezza  sociale, mentre dopo l'irrevocabilita' della sentenza tali
esigenze  non  possono  avere alcuna rilevanza, se non ai fini' della
concessione  della  detenzione  domiciliare,  nel  caso di specie non
concedibile per la certa inaffidabilita' della condannata; in caso di
concessione   della   misura,  ne  conseguirebbe  verosimilmente  una
inarrestabile  sequenza  di sottrazioni alla detenzione domiciliare e
di  ripristino  della  stessa,  che  da  un lato svilirebbe l'essenza
stessa  della  misura  e dall'altra lascerebbe di fatto integralmente
sguarnite   le   esigenze   che  la  misura  e'  invece  destinata  a
salvaguardare (in tal senso, con riferimento agli arresti domiciliari
per  i  malati  di  AIDS,  v.  Corte  cost.  n. 439 del 1995). Appare
irragionevole  che  in  presenza  delle  medesime  condizioni e delle
medesime  esigenze  da salvaguardare il difforme trattamento previsto
dalla  legge  sia  determinato  da  un  dato  solo  formale  quale il
passaggio   in   giudicato   della   sentenza   (che  determinata  la
trasformazione   giuridica   della  condanna  in  titolo  esecutivo),
indipendente  dal  comportamento  del  reo.  Con riferimento ad altra
ipotesi  di  differimento  obbligatorio  (per i condannati affetti da
AIDS) la Corte costituzionale ha, invece, reso omogenea la disciplina
in sede cautelare ed esecutiva con le sentenze n. 438 e 439 del 1995.
   Ancora,   sotto   il   profilo  della  razionale  uniformita'  del
trattamento normativo, va rilevato che in altri settori l'ordinamento
nel  prevedere  particolari  forme  di  tutela della maternita' e del
minore  nella fase immediatamente successiva al parto non oblitera la
salvaguardia  delle  esigenze  di sicurezza sociale: basti pensare al
divieto  di  espulsione  della donna in stato di gravidanza o nei sei
mesi  successivi al parto previsto dall'art. 19, d.lgs.vo n. 286/1998
(divieto  esteso  all'espulsione  del marito convivente della donna a
seguito  della sentenza della Corte cost. n. 376 del 27 luglio 2000),
che trova un limite nelle esigenze di tutela e sicurezza dello Stato.
   Deve, infine, rilevarsi che la particolare normativa di favore per
le  donne in stato di gravidanza e puerperio puo' indurre, come nella
pratica  avviene,  ad  una  strumentalizzazione a fini illeciti della
maternita'  e del rapporto di filiazione con conseguente scelta della
procreazione  al  solo  fine  di  ottenere  l'impunita'  di fatto dai
delitti   commessi;   ne  consegue  lo  snaturamento  della  funzione
dell'istituto, con lesione dell'art. 30 Cost.
   Per  le  esposte ragioni, ritiene questo tribunale di sorveglianza
che  si imponga la sospensione del procedimento e la rimessione degli
atti   alla   Corte   costituzionale,   risultando  rilevante  e  non
manifestamente  infondata la questione di costituzionalita' dell'art.
146,  comma 1, n. 2), c.p., nella parte in cui in cui non consente al
tribunale di sorveglianza di accertare in concreto se la tutela delle
esigenze  del minore sia incompatibile con l'esecuzione della pena in
carcere,    e,    conseguentemente,   di   negare   il   differimento
dell'esecuzione  della  pena  quando  il  beneficio  non sia ritenuto
adeguato  alle  finalita'  previste  dall'art. 27, terzo comma, della
Costituzione  e  la detenzione domiciliare non sia idonea a prevenire
il pericolo di recidiva.
                              P. Q. M.
   Visti  ed  applicati  gli  artt.  1, legge n. 1/1948, 23, legge 11
marzo 1953, n. 87, 146 c.p., 678, 684 c.p.p.
   Dichiara  rilevante  ai  fini  del  giudizio  e non manifestamente
infondata,  nei  termini  esposti  in  motivazione,  la  questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 146, primo comma, n. 2), c.p.,
in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 30 Cost., nella parte
in cui non prevede che il giudice possa negare il differimento quando
lo  ritenga  non adeguato alle finalita' previste dall'art. 27, terzo
comma,  della Costituzione e la detenzione domiciliare non sia idonea
a  prevenire  il  pericolo di recidiva, sempre che l'espiazione della
pena  possa avvenire senza pregiudizio per le esigenze tutelate dalla
norma.
   Sospende  il procedimento e dispone l'immediata trasmissione degli
atti   alla  Corte  costituzionale,  riservando  la  definizione  del
procedimento all'esito della decisione della Corte adita.
   Ordina  che,  a  cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia
comunicata  al  Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti
delle due Camere del Parlamento
   Manda per le notifiche e comunicazioni prescritte alla condannata,
al  difensore,  al  Procuratore  generale  della Repubblica presso la
Corte d'appello di Venezia.
     Cosi' deciso in Venezia, in data 13 maggio 2008
                      Il Presidente: Tamburino
                                           Il giudice estensore: Vono