N. 343 ORDINANZA 20 - 23 ottobre 2008

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Reati  e  pene  -  Prescrizione  - Modifiche normative comportanti un
  regime   piu'   favorevole   al  reo  -  Disciplina  transitoria  -
  Inapplicabilita'  ai  processi  gia'  pendenti  in grado di appello
  all'entrata in vigore della novella - Denunciata irragionevolezza -
  Questione  identica  ad altra gia' dichiarata non fondata - Mancata
  prospettazione  di nuovi motivi di censura - Manifesta infondatezza
  della questione.
- Legge 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10, comma 3.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.45 del 29-10-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Franco BILE;
Giudici:  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
   Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso  QUARANTA,  Franco
   GALLO,  Luigi  MAZZELLA,  Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria
   Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente
                              Ordinanza
nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 3,
della  legge  5  dicembre  2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e
alla   legge  26  luglio  1975,  n. 354,  in  materia  di  attenuanti
generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze
di  reato  per  i recidivi, di usura e di prescrizione), promosso con
ordinanza  del  29  giugno  2007  dalla  Corte  d'Appello di Bari nel
procedimento  penale  a carico di Barnaba Vincenzo ed altri, iscritta
al  n. 782  del  registro  ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 47, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  9 luglio 2008 il giudice
relatore Alfio Finocchiaro.
   Ritenuto che, con ordinanza del 29 giugno 2007, la Corte d'Appello
di  Bari  ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 3, della
legge  5  dicembre  2005,  n. 251  (Modifiche al codice penale e alla
legge  26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di
recidiva,  di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per
i  recidivi,  di usura e di prescrizione), nella parte in cui esclude
l'applicabilita'   della  nuova  disciplina  della  prescrizione  nei
processi  pendenti  dinanzi alla corte d'appello alla data di entrata
in vigore della suddetta legge;
     che  la  Corte  rimettente  riferisce  che  gli  imputati  hanno
proposto appello avverso condanne riportate in primo grado;
     che  la  questione  sollevata -  ad  avviso  del rimettente - e'
rilevante  nel  giudizio a quo perche' i reati ascritti agli imputati
risulterebbero   gia'   prescritti,   con   conseguente   obbligo  di
pronunciare  il  proscioglimento  degli stessi ai sensi dell'art. 129
del  codice  di  procedura  penale  per estinzione dei reati, qualora
fossero   applicabili   i  nuovi  termini  di  prescrizione,  fissati
dall'art.  157  del  codice  penale, nel testo sostituito dall'art. 6
della  legge n. 251 del 2005, se non vi ostasse il disposto dell'art.
10,  terzo  comma,  della  stessa  legge,  per  il quale spiegherebbe
ulteriore efficacia la normativa abrogata, in ragione dello stato del
processo all'atto dell'entrata in vigore della modifica dell'art. 157
cod. pen.;
     che,  secondo  la Corte d'appello di Bari, inoltre, la questione
sarebbe  non  manifestamente infondata, in quanto la legge n. 251 del
2005  ha  introdotto  nuovi  termini  di  prescrizione che, per molte
ipotesi  di reato, incluse quelle contestate agli imputati, risultano
piu' brevi di quelli precedentemente previsti dal codice penale;
     che  la  modifica  legislativa  e'  stata  operata allo scopo di
ridurre, in linea generale (e salvo specifiche eccezioni per reati di
particolare gravita), il periodo di tempo durante il quale l'imputato
puo'  restare assoggettato alle possibili conseguenze dell'intervento
penale,  con  l'intento  di  incidere  anche per tal via sulla durata
complessiva dei processi;
     che  la  modifica normativa del regime della prescrizione non e'
stata   motivata  da  finalita'  contingenti,  ne'  appare  mirata  a
correggere  il  regime  giuridico  di  singole  ipotesi  di reato, ma
rappresenta  il  frutto di una generale revisione, per tutti i reati,
dei  termini  di prescrizione degli stessi, ridisegnati sulla base di
parametri  di  calcolo in parte diversi, ed in larga parte piu' brevi
di quelli precedentemente vigenti nel nostro ordinamento penale;
     che l'art. 10 della stessa legge ha introdotto, pero', nel testo
risultante a seguito della sentenza n. 393 del 2006, un discrimine di
natura   temporale,   in   ordine  alla  applicabilita'  della  nuova
disciplina  sostanziale  dell'estinzione  del reato per prescrizione,
restando  i nuovi termini piu' brevi inapplicabili a quei reati per i
quali  il  relativo  giudizio penale fosse, alla data dell'8 dicembre
2005,  gia'  entrato  in  una  fase  di  impugnazione, di merito o di
legittimita';
     che  tale  discrimine  comporta  l'ultrattivita' della normativa
precedente sui termini di prescrizione, in aperta deroga al principio
generale  fissato  dall'art. 2 cod. pen. secondo cui «se la legge del
tempo  in  cui  fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si
applica quella le cui disposizioni sono piu' favorevoli al reo, salvo
che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile»;
     che,  ad  avviso  della  rimettente,  tale  discrimine appare di
dubbia    ragionevolezza,    e,    conseguentemente,    non   risulta
manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
per contrasto con l'art. 3 della Costituzione;
     che - ricorda il Collegio a quo - la Corte costituzionale, nella
sentenza  n. 393  del  2006,  ha riaffermato esplicitamente la natura
sostanziale dell'istituto della prescrizione penale;
     che,  secondo  la  rimettente,  da  cio' discende che l'istituto
della  prescrizione  non  puo'  non  essere  sottoposto  ai  medesimi
principi  generali  che regolano tutti gli altri istituti del diritto
penale  sostanziale  in  occasione  delle  modifiche  normative,  ivi
compreso   il   principio  dell'applicazione  della  disciplina  piu'
favorevole, sancito dall'art. 2 cod. pen.;
     che,   conseguentemente,   non  puo'  non  apparire  incongruo -
prosegue  il  Collegio  a  quo - che il mutamento generalizzato della
rilevanza penale nel tempo dei fatti di reato, voluto dal legislatore
con  un  disegno  unitario  di  rivisitazione  generale  dei  termini
prescrizionali  per  tutti  i reati, sia poi in concreto applicato in
maniera  differenziata in funzione della particolare fase processuale
in  cui  trovasi  il  processo  penale  al momento della introduzione
nell'ordinamento  di  tali nuove valutazioni sostanziali e finisca in
tal  modo  per  condurre  a differenti discipline dell'estinzione del
reato pur per reati identici e commessi nella stessa epoca;
     che  la  scelta  del  legislatore  del  2005  appare  alla Corte
rimettente  a  maggior ragione incongrua ove si pensi che il grado di
avanzamento  del  processo penale non esprime di per se' alcun valore
di  natura  sostanziale,  ma  rappresenta  unicamente  un  mero  dato
temporale, legato a fattori molteplici ed estremamente diversificati,
derivanti  dall'attivita'  o  meno  di molti soggetti, e spesso anche
scaturente da pura casualita';
     che,  inoltre,  la  norma  impugnata -  rileva la stessa Corte -
deroga  all'art.  2 cod. pen., proprio per quei fatti che, quantomeno
sulla  base del momento processuale considerato, sono piu' remoti nel
tempo, e, dunque, piu' affievolite le esigenze di tutela penale;
     che,  infine,  ad  avviso  del  Collegio a quo, non sembra poter
giustificare  il discrimine temporale introdotto dalla legge del 2005
il  rilievo che il passaggio formale di grado del processo incide sul
corso della prescrizione interrompendola;
     che  l'effetto  interruttivo che e' proprio di diverse attivita'
processuali  in  tutti  i  gradi di giudizio comunque non incide - si
osserva  nella  ordinanza  di  rimessione  - sulla durata del termine
massimo di prescrizione, che non muta nel suo limite assoluto, e che,
rappresentando  l'espressione di una valutazione astratta di gravita'
del  reato  e  della  correlata scelta di mantenerne gli effetti, non
puo' che operare egualmente per tutti i fatti oggetto di accertamento
penale,   e  non  puo'  essere  differenziata  in  base  al  concreto
avanzamento del singolo processo;
     che  e' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  la  questione  venga  dichiarata infondata in
quanto,  ferma  restando  la necessita' di rispettare il principio di
retroattivita'   della  legge  penale  piu'  favorevole  al  reo,  il
legislatore   puo'   graduare   nel  tempo  l'applicazione  dei  piu'
favorevoli  termini  di  prescrizione,  senza  per  questo violare il
principio di uguaglianza.
   Considerato che, successivamente all'emanazione della ordinanza di
rimessione  questa  Corte, con sentenza n. 72 del 2008, ha dichiarato
infondata  la  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10,
comma   3,   della  legge  5  dicembre  2005,  n. 251,  sollevata  in
riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui esclude
l'applicabilita'   della  nuova  disciplina  della  prescrizione  nei
processi  pendenti  dinanzi alla corte d'appello alla data di entrata
in  vigore  della  suddetta legge, per la ragionevolezza della scelta
operata,  ulteriormente  comprovata dal rilievo che tale scelta «mira
ad  evitare  la dispersione delle attivita' processuali gia' compiute
all'entrata  in  vigore  della legge n. 251 del 2005, secondo cadenze
calcolate  in  base  ai  tempi  di  prescrizione  piu' lunghi vigenti
all'atto  del  loro  compimento,  e cosi' tutela interessi di rilievo
costituzionale  sottesi  al  processo  (come  la  sua efficienza e la
salvaguardia    dei    diritti   dei   destinatari   della   funzione
giurisdizionale)»;
     che  il  giudice  a  quo  non fornisce alcun argomento diverso o
ulteriore rispetto a quelli gia' esaminati e disattesi;
     che   la   questione   va,   quindi,  dichiarata  manifestamente
infondata.
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, della norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
costituzionale  dell'art.  10,  comma 3, della legge 5 dicembre 2005,
n. 251  (Modifiche  al  codice  penale  e  alla legge 26 luglio 1975,
n. 354,  in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio
di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e
di   prescrizione),   sollevata,  in  riferimento  all'art.  3  della
Costituzione,  dalla  Corte  d'Appello  di  Bari,  con l'ordinanza in
epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 ottobre 2008.
                         Il Presidente: Bile
                      Il redattore: Finocchiaro
                      Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 23 ottobre 2008.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola