N. 80 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 28 - 20 ottobre 2008

Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 28 ottobre 2008 (della Regione Piemonte)

Lavoro  e occupazione - Modifiche all'art. 49 del d.lgs. n. 276/2003,
  concernente   la   disciplina  del  contratto  di  apprendistato  -
  Formazione  esclusivamente  aziendale  -  Attribuzione  alla  fonte
  contrattuale della integrale regolamentazione dei profili formativi
  dell'apprendistato  professionalizzante  -  Lamentato esautoramento
  della  Regione  in relazione a materie di sua competenza, creazione
  di   un   assetto   parcellizzato   e  produttivo  di  squilibri  e
  inefficienze  anche  in  relazione  alle  dinamiche del mercato del
  lavoro  e  degli impegni assunti nei confronti dell'Unione europea,
  assenza   di  coinvolgimento  regionale  -  Ricorso  della  Regione
  Piemonte - Denunciata violazione delle attribuzioni regionali nelle
  materie  dell'istruzione  e della formazione professionale, lesione
  del principio di leale collaborazione.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 23, comma 2,
  nella  parte  in  cui  aggiunge all'art. 49 del d.lgs. 10 settembre
  2003, n. 276, il comma 5-ter.
- Costituzione, art. 117, commi terzo e quarto.
Lavoro  e occupazione - Modifiche all'art. 50 del d.lgs. n. 276/2003,
  concernente   la   disciplina  del  contratto  di  apprendistato  -
  Apprendistato  di  alta  formazione  -  Attivazione  in  assenza di
  regolamentazioni   regionali   rimessa   ad   apposite  convenzioni
  stipulate  dai  datori  di  lavoro  con  le  Universita' e le altre
  istituzioni  formative  -  Lamentata  eliminazione  dell'obbligo di
  sottoscrivere  una  intesa  con  le Regioni per poter utilizzare il
  contratto  di alto apprendistato - Ricorso della Regione Piemonte -
  Denunciata  violazione  delle  attribuzioni regionali nelle materie
  dell'istruzione  e  della  formazione  professionale,  lesione  del
  principio di leale collaborazione.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 23, comma 4,
  nella  parte  in cui modifica il comma 3 dell'art. 50 del d.lgs. 10
  settembre 2003, n. 276.
- Costituzione, art. 117, commi terzo e quarto.
(GU n.53 del 24-12-2008 )
   Ricorso  della Regione Piemonte, in persona del suo Presidente pro
tempore, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 25 -
9751 del 6 ottobre 2008, rappresentata e difesa, in virtu' di procura
a  margine  del  presente  atto,  dal  prof. avv. Angelo Pandolfo, ed
elettivamente domiciliata in Roma, via di San Basilio n. 72, presso e
nello  studio  del  prof.  avv. Angelo Pandolfo e dell'avv. Giampiero
Falasca;
   Contro  il  Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale:
     dell'art. 23, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112,
recante   «Disposizioni   urgenti   per  lo  sviluppo  economico,  la
semplificazione,  la competitivita', la stabilizzazione della finanza
pubblica  e  la  perequazione  tributaria»,  come convertito in legge
dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, recante «Conversione in legge, con
modificazioni,  del  decreto-legge  25  giugno  2008, n. 112, recante
disposizioni  urgenti  per lo sviluppo economico, la semplificazione,
la  competitivita',  la  stabilizzazione  della finanza pubblica e la
perequazione  tributaria»  (Gazzetta  Ufficiale  n. 195 del 21 agosto
2008) nella parte in cui aggiunge all'art. 49 del decreto legislativo
10 settembre 2003, n. 276 il comma 5-ter;
     dell'art. 23, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112,
come  convertito  in  legge  dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nella
parte  in  cui  modifica  il  comma  3  dell'articolo  50 del decreto
legislativo 10 settembre 2003, n. 276.
   Le  impugnate  disposizioni sono lesive delle competenze regionali
per i seguenti
                   M o t i v i  d i  d i r i t t o
I)   Illegittimita'   costituzionale   dell'art.  23,  comma  2,  per
violazione  dell'art.  117,  commi  3  e  4, della Costituzione e del
principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni.
   I.1)  L'art.  23, comma 2 del d.l. n. 112/2008, come convertito in
legge  dalla  legge  n. 133/2008,  aggiunge  all'art.  49 del decreto
legislativo  n. 276  del 10 settembre 2003 il comma 5-ter, in base al
quale  «in  caso  di  formazione  esclusivamente  aziendale non opera
quanto  previsto  dal  comma 5. In questa ipotesi i profili formativi
dell'apprendistato  professionalizzante sono rimessi integralmente ai
contratti   collettivi   di  lavoro  stipulati  a  livello  nazionale
territoriale  o  aziendale  da  associazioni  dei  lavoratori  e  dei
prestatori  di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano
nazionale  ovvero  agli enti bilaterali. I contratti collettivi e gli
enti  bilaterali  definiscono  la  nozione  di formazione aziendale e
determinano,  per ciascun profilo formativo, la durata e le modalita'
di  erogazione della formazione, le modalita' di riconoscimento della
qualifica  professionale  ai fini contrattuali e la registrazione nel
libretto formativo».
   La   regione   contesta  la  disciplina  introdotta  dalla  citata
disposizione,  in quanto gravemente lesiva delle competenze regionali
in materia di istruzione e formazione professionale.
   Nel   sostenere  questo,  la  regione  ha  doverosamente  presente
l'elaborazione di codesta ecc.ma Corte - ci si rifa', in primo luogo,
alla   sentenza  n. 50  del  2005  -  laddove  si  e'  chiarito  che,
nell'attuale   assetto   del   mercato   del  lavoro,  la  disciplina
dell'apprendistato  si  colloca  all'incrocio  di  una  pluralita' di
competenze:  esclusive dello Stato (ordinamento civile), residuali e,
quindi,   esclusive   delle   regioni   (formazione   professionale),
concorrenti di Stato e regioni (tutela del lavoro, istruzione).
   Si  e'  ricavato  da cio' che la riserva alla competenza regionale
della formazione professionale non puo' escludere la competenza dello
Stato a disciplinare l'apprendistato per i profili inerenti a materie
di  sua  competenza,  ma  si  e'  anche  precisato  che  l'intervento
legislativo  dello  Stato  -  proprio  perche'  incidente  su plurime
competenze  tra  loro  inestricabilmente  correlate  - deve prevedere
strumenti idonei a garantire una leale collaborazione con le regioni.
   Ebbene,   e'   per  tale  ragione  che  risultano  illegittime  le
disposizioni portate all'attenzione di codesta ecc.ma Corte.
   L'intervento  legislativo  dello  Stato,  anche  quando  si pone a
tutela  di  interessi specificatamente attinenti a materie attribuite
alla sua esclusiva competenza, deve rispettare la sfera di competenza
legislativa spettante alle regioni in via residuale o, eventualmente,
concorrente,  criterio  che risulta clamorosamente disatteso nel caso
in esame.
   Per  rendersene  conto,  basta  mettere a confronto le innovazioni
recate dalle disposizioni in questione con il preesistente assetto di
legislazione  nazionale e con le ragioni che lo hanno fatto giudicare
costituzionalmente congruo dalla Corte.
   Per     quanto    in    particolare    riguarda    l'apprendistato
professionalizzante,  giova ricordare che, in base all'art. 49, comma
5,  del  d.lgs.  n. 276/2003,  compete  alla  regioni e alle province
autonome «la regolamentazione dei profili formativi», le quali a tale
regolamentazione   sono   tenute   a   procedere   «d'intesa  con  le
associazioni    dei    datori   e   prestatori   di   lavoro»;   tale
regolamentazione,  peraltro, deve essere adottata nel rispetto di una
serie  di  criteri  e principi direttivi fissati ugualmente dall'art.
49, comma 5.
   Questo  complesso  sistema  di  regolazione,  che inizialmente era
stato  visto  in  maniera  critica dalle regioni che ipotizzavano una
lesione  della  loro esclusiva competenza in materia di formazione in
qualsiasi  sede svolta, e' stato considerato legittimo dalla sentenza
n. 50/2005 sulla base di considerazioni particolarmente utili ai fini
della trattazione delle questioni qui sollevate.
   Con  la  sentenza n. 50/2005, infatti, non e' stata accolta l'idea
che  al  Legislatore  nazionale  fosse  impedito  di  intervenire sui
profili formativi dell'apprendistato ritenendosi, fra l'altro, che la
formazione   all'interno   delle   aziende   inerisca   al   rapporto
contrattuale  e,  quindi,  la sua disciplina rientri nell'ordinamento
civile.
   Il  riferimento  all'ordinamento  civile  e  alle  altre  connesse
materie  non  e' stato, pero', utilizzato per assicurare un monopolio
nella regolamentazione della materia ad uno dei soggetti in campo, ma
al contrario per giustificare un sistema di regolazione che vede piu'
soggetti  abilitati,  sia pure con diversi ruoli: non esclusivamente,
dunque,  le  regioni  nella  funzione di regolazione della formazione
riguardante  l'apprendistato,  ma certamente anch'esse competenti - e
in  una  posizione  non  secondaria - in virtu' delle competenze loro
spettanti a stregua dell'ordinamento costituzionale.
   La  motivazione  sottostante all'approccio seguito dalla Corte e',
in  particolare,  legata  ad  una  constatazione di notevole rilievo,
anche  ai  fini della valutazione delle disposizioni di cui alla piu'
recente     legislazione     nazionale:     nella    regolamentazione
dell'apprendistato  la formazione interna e la formazione esterna non
«...  appaiono allo stato puro, ossia separate nettamente tra di loro
e  da  altri  aspetti  dell'istituto. Occorre percio' tenere conto di
tali interferenze» (sentenza 50/2005).
   La collaborazione fra Istituzioni e', quindi, individuata come una
soluzione  privilegiata per tenere conto della - e regolamentare la -
concorrenza   di   competenze   diverse,  soluzione  disattesa  dalle
disposizioni qui sospettate di illegittimita'.
   La  disciplina introdotta dall'art. 23, comma 2, del decreto-legge
n. 122//2008, convertito in legge dalla legge n. 133/2008, prescinde,
infatti,  completamente  da qualsiasi salvaguardia delle attribuzioni
regionali.
   La nuova normativa accredita la possibilita' che la formazione sia
«esclusivamente  aziendale»  e,  con  riferimento  all'atteggiarsi in
questo  modo  della  formazione  relativa  all'apprendistato, rimette
«integralmente»  ai  contratti  collettivi  -  siano  essi nazionali,
territoriali  o  solo  aziendali - o agli enti bilaterali - organismi
privati  istituiti  dalla  contrattazione collettiva - la definizione
dei   «profili   formativi»;   la   norma,   inoltre,   assegna  alla
contrattazione  collettiva  il  compito  di  definire  la  nozione di
formazione aziendale e, per ciascun profilo formativo, la durata e le
modalita'   di   erogazione   della   formazione,   le  modalita'  di
riconoscimento  della  qualifica professionale ai fini contrattuali e
la registrazione nel libretto formativo.
   Questi  aspetti  possono  essere  regolati  in maniera completa ed
autonoma,  senza  la  necessita'  di  alcun raccordo con la normativa
regionale.  La  nuova disciplina e' puntigliosa nel ribadire che, nel
caso  formazione  esclusivamente aziendale, non opera quanto previsto
dal  comma  5  dell'art.  49  del  d.lgs.  n. 276/2003. E cio' vale a
ribadire che il ruolo delle regioni e' del tutto negato.
   L'art.  49, comma 5, attribuisce, infatti, alle regioni il compito
di     regolare     i     profili     formativi    dell'apprendistato
professionalizzante,  sia  pure  d'intesa  con le parti sociali e nel
rispetto di principi e criteri direttivi dati con la legge nazionale,
fra  l'altro relativamente al monte ore minimo di formazione formale,
interna  od  esterna all'azienda, per l'acquisizione di competenze di
base  e  tecnico-professionali,  al  riconoscimento  della  qualifica
professionale,  alla  registrazione  della  formazione  nel  libretto
formativo.
   Dato  che  il  citato  art.  23,  comma  2, dichiara espressamente
l'inapplicabilita'  di  tutta  questa normativa, a maggior ragione si
perviene  alla  conclusione  che  le attribuzioni regionali risultano
illegittimamente ignorate dalla normativa piu' recente.
   Questa  -  potrebbe  essere  osservato  -  riguarda  la formazione
aziendale  e,  dunque,  aspetti  rispetto  ai  quali  la legislazione
nazionale fruisce di maggiori spazi di intervento.
   Sennonche', e' innanzitutto da cogliere la portata della normativa
recata  dall'art. 23, comma 2. Essa non prefigura una combinazione di
formazione  interna  e  formazione  esterna,  con  la  contrattazione
collettiva  che  regolamenta la prima e la regione che regolamenta la
seconda  (schema  che,  peraltro, determinerebbe sicuramente problemi
una  volta  fatto  ricorso a fonti di regolamentazione costruite come
separate  e  non  comunicanti  nonostante l'esigenza di salvaguardare
l'unitarieta' del processo formativo dell'apprendista).
   La  formulazione  dell'art.  23, comma 2, legittima, piuttosto, un
processo   formativo   caratterizzato  dall'impiego  esclusivo  della
formazione aziendale.
   Questo  non  e' l'elemento che, da solo, determina l'esautoramento
delle   regioni.  Esso,  pero',  si  combina  con  l'attribuzione  ai
contratti  collettivi della facolta' di regolare in maniera esaustiva
tutti   i   principali   aspetti   del  processo  formativo  centrato
esclusivamente   sulla  formazione  aziendale.  E  tale  combinazione
determina  la  negazione delle competenze regionali, in quanto queste
possono    essere   completamente   accantonato   a   seguito   della
sottoscrizione di un contratto collettivo.
   I.2)  Nel  contratto  di  apprendistato,  la formazione assume una
particolare rilevanza, tanto che ad essa e' legato lo speciale regime
giuridico  applicabile  anche  per  quanto  riguarda  le agevolazioni
contributive. Un processo formativo, dunque, deve sempre accompagnare
l'esecuzione del contratto di apprendistato e, questo e' il punto, la
normativa  legislativa  qui contestata esclude che le regioni possano
fornire il benche' minimo criterio riguardo a tale processo.
   Nel  caso  di  specie,  anche  lo  Stato  si ritrae, rinunciando a
dettare  principi  e  criteri direttivi in merito alla formazione. Di
conseguenza,  ancor  di  piu' risalta la negazione delle attribuzioni
regionali  che,  a  ben  vedere, vengono messe fuori gioco ma non per
lasciare  spazio ad una qualche regolamentazione statale e, quindi, a
competenze statali realmente esercitate.
   La   scelta   di  rinunciare  alla  regolamentazione  e',  quindi,
suscettibile  di  valutazione  critica anche dal punto di vista delle
competenze e, quindi, delle responsabilita' dello Stato. La rinuncia,
comunque, e' definita in modo da paralizzare anche la possibilita' di
intervento  delle  regioni  e questo rileva come causa dell'invasione
delle competenze regionali.
   La  formazione aziendale puo' utilmente concorrere alla formazione
dell'apprendista.  Il  ricorso ad essa non e' di per se' un problema.
E'  il  blocco  delle  prerogative regionali che determina il mancato
rispetto  dei  principi  costituzionali  in  tema  di  riparto  delle
competenze legislative, blocco che evidentemente e' stato considerato
possibile solo perche' la formazione e' in ipotesi tutta aziendale.
   E' facile immaginare, al riguardo, che si tentera' di difendere la
scelta   compiuta  dalla  legge  nazionale  con  l'argomento  che  la
formazione  del  tutto sottratta alla regolamentazione regionale - la
formazione  aziendale - rientra nell'ordinamento civile e ha, quindi,
come fonte di regolamentazione proprio la legge nazionale.
   A  parte quanto osservato circa il fatto che nel caso di specie si
ha  una delega completa ad un'altra fonte, profondamente diversa, non
puo' sfuggire quanto gia' chiarito da codesta ecc.ma Corte; i momenti
formativi,  che  devono  necessariamente accompagnare il contratto di
apprendistato,  risultano  connessi  a  diverse  materie e, pertanto,
sfuggono a rigide ripartizioni di competenza.
   La  Corte  ha  puntualmente  osservato  che,  in  materie  in  cui
l'intreccio  di  competenze  non  si  riesce  a districare in base al
criterio della prevalenza, risulta necessario il ricorso al principio
di  leale collaborazione, in verita' consolidato nella giurisprudenza
costituzionale  gia' a partire dalla fase in cui era ancora in vigore
il vecchio Titolo V.
   Ebbene, anche se si ha a che fare con la formazione aziendale, non
si  puo' prescindere da detto principio. Come affermato piu' volte da
codesta  ecc.ma  Corte,  la  formazione,  che  in quanto aziendale e'
considerata  parte  della  materia  ordinamento  civile,  si  colloca
all'incrocio  con  altre materie di competenza regionale, o esclusiva
nel  caso della formazione professionale o concorrente nei casi della
tutela  del lavoro e dell'istruzione. Per tale motivo, non si ha modo
di  aggirare  il  principio  di  leale collaborazione anche quando si
tratta di formazione aziendale.
   Anche  accettando  l'idea  che  questa  sia  materia  di esclusiva
competenza statale, comunque rimane il fatto che e' connessa ad altre
di  sicura e non discussa competenza regionale. Solo adottando schemi
ispirati  al  principio  di  leale  collaborazione,  si  produce  una
normativa  conforme  a  Costituzione.  Non  a  caso, quindi, si ha un
precedente in cui e' stato sviluppato tale modo di ragionare.
   Con  riferimento  all'art.  49,  comma 5, del d.lgs. n. 276/2003 e
proprio  considerando  la «formazione endo-aziendale», si e' ritenuto
di   avere   a   che   fare   con   una   normativa   equilibrata   e
costituzionalmente   corretta   perche'  la  regione,  per  la  parte
riguardante  materie  attinenti alle competenze regionali, poteva far
valere  «i  propri  punti  vista  e  le  proprie esigenze anche nella
disciplina della formazione endo-aziendale» grazie ad uno strumento -
il  regime  dell'intesa  -  ispirato  proprio  al  principio di leale
collaborazione (cfr. Corte cost. n. 24/2007).
   Che  la  nuova  disciplina  legislativa  contraddica completamente
questo principio e', peraltro, evidente.
   Codesta  ecc.ma  Corte ha valorizzato varie soluzioni in grado far
vivere  il  principio  della  leale  collaborazione,  come  il regime
dell'intesa, l'accordo in sede di Conferenza unificata.
   La  normativa  qui  contestata  e',  invece,  netta nell'escludere
qualsiasi  forma di partecipazione di soggetti istituzionali, come le
regioni,   pur   sicuramente  competenti  in  materia  di  formazione
professionale.
   I.3)  Non  si  puo'  negare che la previgente normativa in tema di
apprendistato  abbia  incontrato  difficolta' in sede applicativa. La
ricerca di miglioramenti della regolazione dell'istituto, in grado di
favorirne  l'utilizzo  in  uno  con la salvaguardia della sua valenza
formativa, e', quindi, da vedere con favore.
   Cio'  che  non e' consentito e' stabilire un drastico ribaltamento
del  sistema  di  regolazione,  che  in  primo  luogo  il Legislatore
nazionale  ha  l'onere di definire in maniera congrua ma comunque con
il  vincolo  del  rispetto  delle  competenze attribuite direttamente
dalla Carta costituzionale.
   Ci si e' fatti prendere da un'ansia semplificatrice del sistema di
regolazione  quando,  per ragioni costituzionali ma anche per ragioni
di  efficienza  della  regolazione,  si puo', in realta', pervenire a
soluzioni  appaganti  solo  con  la  valorizzazione  delle competenze
regionali.
   I.4)  Una  volta  che  si  consente  al  contratto  collettivo  di
disciplinare   tutti   gli   elementi   essenziali  della  formazione
aziendale,  si  determina una sostanziale spaccatura della formazione
in  due  canali, distinti e differenti: un canale regionale, soggetto
alla   normativa   approvata  dalle  regioni  previa  intesa  con  le
Organizzazioni   sindacali;   un   canale  aziendale,  soggetto  alla
disciplina  contenuta  nella  contrattazione  collettiva, senza alcun
raccordo con le normative regionali.
   I  due  canali  risultano regolati in maniera asimmetrica, proprio
dal   punto   di   vista   del   rispetto   del  principio  di  leale
collaborazione.
   Le  regioni,  pur  essendo  titolari  di  una potesta' legislativa
esclusiva,  devono necessariamente raggiungere un'intesa con le parti
sociali, in ragione della necessita' piu' volte richiamata da codesta
suprema  Corte  di  rispettare  il principio di leale collaborazione.
Invece,   per   scelta   della  legge  nazionale,  la  contrattazione
collettiva  puo'  regolare  liberamente  il  momento formativo, senza
dover   ricercare   alcun  momento  di  raccordo  con  la  disciplina
regionale.
   Pensare  che le attribuzioni regionali siano salvaguardate perche'
le  regioni  hanno voce in capitolo su di uno dei due canali sarebbe,
d'altro canto, sicuramente sbagliato. Non solo non si vede perche' un
canale  debba  porsi  come  una  sorta  di  zona  franca, sottratta a
qualsiasi indicazione di fonte regionale, ma e' altresi' evidente che
esso  e' in grado di innescare una concorrenza che potrebbe rivelarsi
sleale nei confronti del canale aperto alle indicazioni regionali.
   La  legge  nazionale,  qui  contestata, consente che la formazione
possa   essere  decisa  anche  da  accordi  aziendali  e  questo,  in
situazioni  di  debolezza  contrattuale a livello aziendale, potrebbe
portare   ad   un  alleggerimento  eccessivo  della  formazione,  con
prevalenza  del  canale  regolato  contrattualmente  solo  perche' il
contenuto formativo e' assottigliato anche oltre misura.
   I.5)  Si  e'  sottolineato  che  la  nuova disciplina mortifica le
prerogative regionali in tema di formazione. Il punto che fa emergere
un'ulteriore  e  grave  contraddizione  di tale normativa riguarda il
profilo, per cosi' dire, funzionale.
   L'apprendistato  realizzato  al  di  fuori  di  qualsiasi, benche'
minimo,  criterio  fissato a livello normativo e' in grado di sortire
gli  stessi  effetti  dell'apprendistato attuato secondo i criteri di
cui all'art. 5 del d.lgs. n. 276/2003.
   Detto  apprendistato,  insomma,  e'  forzosamente  sottratto  alle
discipline  di fonte regionale e, al tempo stesso, rimane abilitato a
produrre effetti nel sistema pubblico di istruzione e di istruzione e
formazione professionale.
   Dall'incastro  di  vecchie  e  nuove disposizioni deriva che anche
l'apprendistato  in questione e' in grado di portare all'acquisizione
di una qualifica professionale; mentre l'art. 49, comma 5, del d.lgs.
n. 276/2003   prevede   solo   come  eventuale  l'acquisizione  della
qualifica   professionale   nel   caso  di  apprendistato  realizzato
conformemente  ai criteri di cui allo stesso comma 5, paradossalmente
la  nuova  normativa  sembra  dare  per  scontato che l'apprendistato
regolato dalla contrattazione collettiva porti all'acquisizione della
qualifica professionale.
   Anche  ad  esso,  pertanto,  si  applica  la regola secondo cui la
qualifica   professionale   conseguita  attraverso  il  contratto  di
apprendistato  costituisce credito formativo per il proseguimento nei
percorsi  di  istruzione  e di istruzione e formazione professionale:
cosi' l'art. 51, comma 1, d.lgs. n. 276/2003.
   Il riconoscimento dei crediti formativi e' sottoposto al filtro di
cui  al comma 2 del citato art. 51, che assoggetta ad una particolare
verifica  il  riconoscimento  dei crediti. Cio' non toglie che ad una
forma  di  apprendistato,  alla  quale  ugualmente  si  riconosce  la
potenzialita'  di  produrre  crediti  con  un  valore  legale ai fini
dell'inserimento  nel sistema della formazione professionale pubblica
di   sicura   competenza   regionale   (o   addirittura  nel  sistema
scolastico),  si  confa'  solo  una  disciplina normativa che, gia' a
monte,  detti  criteri sia pure minimi, disciplina che ovviamente non
puo' vedere escluse le regioni.
   I.6)  Le  considerazioni sviluppate nei punti precedenti sono piu'
che  sufficienti,  nella  valutazione  della  regione  ricorrente,  a
motivare  l'illegittimita' delle disposizioni impugnate. Non si puo',
pero',  rinunciare  ad introdurre ulteriori considerazioni che, anche
da  altri punti di vista, fanno emergere l'illegittimita' delle norme
in questione.
   Nella   disciplina  di  cui  all'art.  49,  comma  5,  del  d.lgs.
n. 276/2003,  la formazione interna all'azienda e' vista come momento
della  formazione  formale  e quest'ultima, che sia interna o esterna
all'azienda,  e'  pur  sempre una formazione che si effettua in luogo
della prestazione lavorativa e ad opera di soggetti specializzati.
   La  nuova  normativa  rimette  ai  contratti  collettivi  anche la
definizione  della  nozione di formazione aziendale. Essa, quindi, e'
compatibile  con applicazioni che, ad esempio, riducano la formazione
al  mero  affiancamento  al lavoratore gia' qualificato, in contrasto
con   riconosciute  esigenze  di  incrementare  anche  attraverso  la
formazione in apprendistato le conoscenze di base e trasversali.
   Nel rinvio ai contratti collettivi, ivi compresi quelli aziendali,
e'   inoltre   insito   il   concreto   rischio   di  una  accentuata
diversificazione  delle  discipline  dell'apprendistato  sul cruciale
aspetto della formazione.
   In  fasi  in cui la mobilita' - territoriale e interaziendale - e'
fenomeno   diffuso,  questo  e'  un  possibile  effetto  della  nuova
disciplina particolarmente pernicioso.
   La  costruzione  di  contenuti  formativi rigidamente basati sulle
esigenze  della  singola  impresa  non  puo' che creare problemi alle
dinamiche del mercato del lavoro, che fisiologicamente comprendono la
mobilita'  fra  posti  di  lavoro,  e,  in  una  visione non di breve
periodo,  puo'  risultare  non utile alla stessa impresa che e' parte
del  contratto di apprendistato. Il cambiamento interno alle imprese,
altrettanto  fisiologico,  richiede  infatti adattabilita', che tanto
piu'  si  acquisisce  quanto piu' la formazione ha un respiro ampio e
non   si   limita   a   cogliere   solo   le   esigenze   contingenti
dell'organizzazione aziendale in un dato momento.
   La  nuova  normativa,  dunque, non introduce piccoli aggiustamenti
alla  regolamentazione  dell'apprendistato.  Anche per questo, non e'
credibile  che un sommovimento del genere possa passare attraverso un
sistema  di  fonti  di regolamentazione sottratto alla indicazione di
criteri  da  parte  delle  istituzioni  - le regioni - che portano la
diretta   responsabilita'  della  regolamentazione  della  formazione
professionale.
   I.7)  Non si ha una pregiudiziale sfiducia verso la contrattazione
collettiva,   che   puo'  svolgere  un  ruolo  positivo  anche  nella
disciplina   dell'apprendistato.   E'   che  ogni  fonte  ha  proprie
caratteristiche   e   naturali   propensioni,  cosicche'  l'esclusiva
prospettata  dalla nuova normativa non puo' che determinare squilibri
ed inefficienze nella regolazione di una materia come la formazione.
   Nel  sostenere  questo, si e' anche incoraggiati da quanto codesta
ecc.ma  Corte  ha  gia'  evidenziato circa la formazione esterna e il
criterio di bilanciamento fra formazione interna e formazione esterna
(sentt. nn. 406/2006; 425/2006; 24/2007).
   I.8)  Non  e',  infine,  poco  rilevante  che  la nuova disciplina
dell'apprendistato, appaia in una luce negativa anche dal punto vista
dell'ordinamento comunitario, sotto un duplice profilo.
   In   primo   luogo,   non   risulta   privo   di  rilievo  che  la
parcellizzazione   dell'apprendistato   proprio   nei   suoi  profili
formativi,  che  costituisce  una  conseguenza della nuova normativa,
metta  in  crisi  l'azione  di  sistema  portata avanti da Ministeri,
regioni  e  parti  sociali  sul  riconoscimento delle competenze, che
rappresenta  un  preciso  impegno negoziale nei confronti dell'Unione
europea  nella programmazione 2007/2013 del FSE, volta ad individuare
entro il 2010, anche sulla base dei repertori regionali, gli standard
formativi,  professionali,  di  certificazione  della  competenze  da
applicare in tutto il territorio nazionale in coerenza con il sistema
europeo di riconoscimento delle qualifiche.
   In  secondo  luogo,  non  va  sottovalutato  il  pericolo  che  un
assottigliamento      eccessivo      dei      contenuti     formativi
dell'apprendistato,  non  tenuto  a  rispettare  contenuti  formativi
minimi  predeterminati a livello normativo, faccia apparire impropria
la   concessione   di   agevolazioni  contributive,  con  le  pesanti
conseguenze   che   gia'   si   sono  dovute  sopportare,  a  seguito
dell'intervento degli Organi comunitari, con riferimento al contratto
di formazione e lavoro dotato di ridotta valenza formativa.
II)   Illegittimita'   costituzionale  dell'art.  23,  comma  4,  per
violazione  dell'art. 117, commi terzo e quarto, della Costituzione e
del principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni.
   2.1) L'art. 23 comma 4 del d.l. n. 112/2008, come convertito dalla
legge  n. 133/2008,  aggiunge al comma 3 dell'articolo 50 del decreto
legislativo  10  settembre  2003,  n. 276  dopo le parole «e le altre
istituzioni   formative»,   i   seguenti   periodi:  «In  assenza  di
regolamentazioni  regionali  l'attivazione dell'apprendistato di alta
formazione e' rimessa ad apposite convenzioni stipulate dai datori di
lavoro  con  le Universita' e le altre istituzioni formative. Trovano
applicazione,   per   quanto   compatibili,   i   principi  stabiliti
all'articolo 49, comma 4, nonche' le disposizioni di cui all'articolo
53».
   Tale  disposizione  incide sulla disciplina dell'apprendistato per
alta  formazione,  contenuta nel predetto art. 50. Il comma 1 di tale
norma,  rimasto  inalterato,  prevede che «Possono essere assunti, in
tutti  i  settori  di  attivita',  con contratto di apprendistato per
conseguimento  di  un  titolo di studio di livello secondario, per il
conseguimento   di   titoli  di  studio  universitari  e  della  alta
formazione,  nonche' per la specializzazione tecnica superiore di cui
all'articolo  69  della  legge  17 maggio 1999, n. 144, i soggetti di
eta' compresa tra i diciotto anni e i ventinove anni».
   Il  medesimo  articolo 50, nella versione originaria, prevedeva al
comma  3  che «la regolamentazione e la durata dell'apprendistato per
l'acquisizione  di  un  diploma  o per percorsi di alta formazione e'
rimessa   alle  regioni,  per  i  soli  profili  che  attengono  alla
formazione, in accordo con le associazioni territoriali dei datori di
lavoro  e  dei  prestatori  di  lavoro,  le  universita'  e  le altre
istituzioni formative».
   L'art.  23,  comma  4,  del  d.l.  n. 112/2008 elimina l'obbligo -
inizialmente  previsto  dal  citato  comma  3  - di sottoscrivere una
intesa  con  le  regioni,  per  poter utilizzare il contratto di alto
apprendistato.
   La   nuova   disciplina   supera,   infatti,  il  principio  della
necessarieta' dell'intesa con la regione ai fini dell'attivazione del
contratto,  prevedendo  che «In assenza di regolamentazioni regionali
l'attivazione  dell'apprendistato  di  alta  formazione e' rimessa ad
apposite   convenzioni   stipulate   dai  datori  di  lavoro  con  le
universita' e le altre istituzioni formative».
   Il  significato di tale scelta e' talmente chiaro che sembra anche
superfluo  soffermarsi  sulla  spiegazione  della norma; questa sta a
significare che non e' necessario raggiungere l'intesa con la regione
per  definire  i  profili formativi del contratto, ben potendo questo
profili essere definiti autonomamente dalle parti sociali.
   L'eliminazione  dell'obbligo  della  preventiva  intesa  determina
l'illegittimita'  costituzionale  della  norma  risultante, in quanto
proprio tale obbligo era stato identificato dalla sentenza n. 50/2005
come strumento di attuazione del principio di leale collaborazione.
   Tale   sentenza,   infatti,   aveva   chiarito  che  lo  strumento
dell'intesa  deve  essere considerato «...lo strumento piu' pregnante
di attuazione del principio di leale collaborazione…».
   L'illegittimita'  costituzionale  della  norma risulta ancora piu'
evidente se si considera che qui, al contrario di quanto disposto per
l'apprendistato  professionalizzante, il legislatore neanche tenta di
giustificare  l'invasione  di  competenza distinguendo tra formazione
aziendale  (che,  nell'illegittima  ricostruzione operata dalla norma
statale,   sarebbe   una   materia  capace  di  respingere  qualsiasi
competenza regionale) e formazione esterna, di competenza regionale.
   Con  riferimento  a  questa  forma  di  apprendistato,  invece, si
stabilisce addirittura il principio che l'intero percorso formativo -
tanto  quello  svolto  in  azienda,  quanto quello svolto all'esterno
dell'azienda  -  puo'  essere  regolato  da fonti diverse dalla norma
regionale.
                              P. Q. M.
   Si  chiede che la Corte costituzionale, in accoglimento dei motivi
indicati    nel    presente    ricorso,   dichiari   l'illegittimita'
costituzionale delle seguenti norme:
     art.  23,  comma  2,  del  decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112,
recante   «Disposizioni   urgenti   per  lo  sviluppo  economico,  la
semplificazione,  la competitivita', la stabilizzazione della finanza
pubblica  e  la  perequazione  tributaria»,  come convertito in legge
dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, recante «Conversione in legge, con
modificazioni,  del  decreto-legge  25  giugno  2008, n. 112, recante
disposizioni  urgenti  per lo sviluppo economico, la semplificazione,
la  competitivita',  la  stabilizzazione  della finanza pubblica e la
perequazione  tributaria»,  nella  parte in cui aggiunge, all'art. 49
del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, il comma 5-ter;
     art. 23, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, come
convertito in legge dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nella parte in
cui  modifica  il comma 3 dell'articolo 50 del decreto legislativo 10
settembre 2003, n. 276.
      Roma, addi' 20 ottobre 2008
                     Prof. avv.: Angelo Pandolfo