N. 384 ORDINANZA 17 - 20 novembre 2008

Reati  e  pene  -  Prescrizione  - Modifiche normative comportanti un
  regime   piu'   favorevole al   reo -   Disciplina   transitoria  -
  Applicabilita'  della  nuova  disciplina  ai processi pendenti alla
  data  di  entrata in vigore della novella, ove sia stato disposto o
  ammesso il giudizio abbreviato - Lamentata violazione del principio
  di  ragionevolezza  -  Sopravvenuta  declaratoria di illegittimita'
  costituzionale parziale della norma censurata - Necessita' di nuovo
  esame  della  rilevanza  e  della  non manifesta infondatezza della
  questione - Restituzione degli atti al rimettente.
- Legge 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10, comma 3.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.49 del 26-11-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giovanni Maria FLICK;
Giudici:  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE  SIERVO,  Alfio  FINOCCHIARO,
   Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI,
   Sabino  CASSESE,  Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria
   NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO;
ha pronunciato la seguente
                              Ordinanza
nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 3,
della  legge  5  dicembre  2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e
alla   legge  26  luglio  1975,  n. 354,  in  materia  di  attenuanti
generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze
di  reato  per  i recidivi, di usura e di prescrizione), promosso con
ordinanza del 31 maggio 2006 dal Giudice dell'udienza preliminare del
Tribunale  di  Trieste  nel  procedimento  penale  a carico di C. G.,
iscritta  al  n. 149  del  registro ordinanze 2007 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 14,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2007.
   Udito  nella  Camera  di  consiglio del 5 novembre 2008 il giudice
relatore Alfonso Quaranta.
   Ritenuto  che il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di
Trieste   ha   sollevato -   in   riferimento  all'articolo  3  della
Costituzione - questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10,
comma  3,  della  legge  5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice
penale  e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti
generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze
di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), «nella parte in
cui non esclude l'applicazione dei termini di prescrizione piu' brevi
ai  processi  pendenti  alla data di entrata in vigore della presente
legge, ove sia stato disposto o ammesso il giudizio abbreviato»;
     che  il  remittente  premette,  in  punto  di  fatto,  di essere
chiamato   a   giudicare  -  in  sede  di  rito  abbreviato,  la  cui
celebrazione  veniva disposta all'udienza del 20 settembre 2005 - una
fattispecie   di  reato  prevista  dagli  artt.  81,  secondo  comma,
609-quater,   609-ter,  numero  5)  (in  riferimento,  quoad  poenam,
all'art.  521),  e  61,  numero  5), del codice penale, asseritamente
posta  in  essere  dall'imputato, in danno della figlia minore, in un
periodo  di  tempo  compreso  tra una data anteriore al 1990 ed il 26
gennaio 1995;
     che,  sempre  in via preliminare, il giudice a quo deduce che in
forza  delle  «nuove  disposizioni  sulla  prescrizione  del  reato»,
introdotte  dall'art.  6  della  legge  n. 251  del  2005, il delitto
oggetto  del  giudizio  principale,  essendo ormai assoggettato ad un
termine  prescrizionale di sei anni ed otto mesi (e non piu' di dieci
anni),   deve   ritenersi  estinto,  con  conseguente  necessita'  di
pronunciare una sentenza di non doversi procedere;
     che  ai  sensi  dell'art.  10,  comma 3, della stessa legge - si
rileva nell'ordinanza di rimessione - «la modificazione in melius per
l'imputato»  della disciplina relativa alla prescrizione del reato e'
priva di effetto soltanto «se al momento dell'entrata in vigore della
legge  n. 251  del  2005  e'  gia'  intervenuta  la  dichiarazione di
apertura  del  dibattimento,  ovvero  se  si  verte in un giudizio di
impugnazione»;
     che,  pertanto,  secondo  il remittente, «le linee che demarcano
l'efficacia  delle nuove norme», attribuendo rilievo all'espletamento
dell'incombente  di  cui all'art. 492 del codice di procedura penale,
ovvero  all'eventuale pendenza delle fasi d'impugnazione del processo
penale,  «non  toccano  il  presente  giudizio  a quo, trattandosi di
giudizio abbreviato»;
     che,   difatti,   «la  lampante  peculiarita'  strutturale»  che
caratterizza  quest'ultimo,  risultando  esso  privo  di «una fase di
istruzione  dibattimentale  in  contraddittorio»  e  basato su di una
«mutazione   funzionale   del   materiale  investigativo»  (materiale
assunto, nonostante «la sua provenienza unilaterale», quale «supporto
per una decisione sulla responsabilita' dell'imputato»), non consente
«di  parlare  correttamente di "apertura del dibattimento" in seno al
giudizio abbreviato»;
     che di conseguenza, per tale tipo di giudizio, troverebbe sicura
applicazione  l'incipit  del  citato  art.  10,  comma 3, della legge
n. 251  del  2005,  secondo  cui,  qualora,  «per effetto delle nuove
disposizioni,  i  termini  di  prescrizione  risultano piu' brevi, le
stesse  si applicano ai procedimenti e ai processi pendenti alla data
di entrata in vigore della presente legge»;
     che  il  remittente -  dopo  avere  motivato,  con gli argomenti
appena   illustrati,   la  rilevanza  della  sollevata  questione  di
costituzionalita'  (diretta, in definitiva, ad estendere l'area della
deroga che il censurato art. 10, comma 3, ha introdotto rispetto alla
regola generale dell'efficacia retroattiva dell'intervento in mitius,
con  richiesta di includervi anche i giudizi abbreviati gia' pendenti
alla data di entrata in vigore della legge n. 251 del 2005) - censura
l'irragionevolezza  della  scelta  del legislatore di dare vita ad un
diritto  intertemporale  che  «accomuna  tutte  le forme di "giudizio
sull'accusa", con l'unica eccezione del giudizio abbreviato»;
     che  egli  muove,  difatti,  dal presupposto che la «ratio della
riserva  all'applicazione  immediata dei nuovi termini prescrizionali
consiste  nel realizzare un equilibrio tra l'interesse degli accusati
ad  avvantaggiarsi immediatamente della nuova disciplina favorevole e
l'interesse   alla   conservazione   dell'attivita'   di  indagine  e
processuale  gia'  espletata  al  momento  di entrata in vigore della
legge»,  e cio' «al fine di salvaguardare la funzione di accertamento
dei  reati  e, in ultima istanza, la tutela dei beni fondamentali che
la repressione penale e' volta a realizzare»;
     che  tale  equilibrio,  tuttavia, non risulterebbe garantito nel
caso  dei  reati  oggetto  di giudizio abbreviato, il cui trattamento
differenziato  non  puo'  ritenersi  giustificato  in  ragione  delle
esigenze  di  economia  processuale  che  connotano tale procedimento
speciale,  atteso  che  le  medesime esigenze hanno un'incidenza «ben
piu'  marcata» -  osserva sempre il remittente - «in altri meccanismi
processuali»,   quali,   in   particolare,   il   rito   direttissimo
(caratterizzato  da  «un'istruzione  rapida  e concludente, giusta la
pregressa  confessione o il fatto di aver colto in flagranza il reo»;
e' citata la sentenza della Corte costituzionale n. 102 del 1991), il
giudizio  immediato  (giacche',  in  questo  caso,  «il  carattere di
"evidenza"  delle prove raccolte ante iudicium lascia preconizzare un
rapido  e  pieno riscontro in dibattimento»), il processo a citazione
diretta  innanzi  al  tribunale in composizione monocratica (ispirato
alla  massima  semplificazione della forme; sentenza n. 175 del 1992)
ed, infine, quello innanzi al giudice di pace;
     che,  d'altra  parte, l'applicazione alle fattispecie oggetto di
giudizio  abbreviato  della  nuova (e piu' favorevole per l'imputato)
disciplina  sulla  prescrizione  del  reato  neppure  potrebbe essere
giustificata - osserva sempre il giudice a quo - «ove si volesse dare
rilevanza alla gravita' dei reati che vengono in considerazione», dal
momento  che  non si comprende «perche' vengano fatti salvi i termini
prescrizionali  rispetto  a  reati  bagatellari (com'e' tipico ove si
proceda  con la citazione diretta davanti al giudice di pace)», e non
invece qualora ricorrano fattispecie criminose - quali possono essere
quelle  oggetto  del procedimento di cui all'art. 438 cod. proc. pen.
(e  quali  sono  quelle  oggetto  del  giudizio  a quo) - che destano
«massimo allarme sociale»;
     che,  cio'  premesso,  il  remittente  -  pur  affermando di non
ignorare che la costante giurisprudenza della Corte costituzionale ha
escluso  che spetti a quest'ultima «far prevalere un proprio punto di
vista,  sovrapponendolo ai criteri di valore assunti dal legislatore»
-  evidenzia  il  «forte  grado  di  irrazionalita'»  che presenta la
scelta,  compiuta  dalla  norma  censurata,  di «sancire che nel rito
abbreviato  valgano  i  termini prescrizionali ridotti» (cioe' quelli
operanti  in forza dell'art. 6 della medesima legge n. 251 del 2005),
sebbene   gli  stessi  siano  stati,  invece,  «banditi  dai  giudizi
direttissimo,  immediato,  e  a  citazione diretta davanti ai giudici
monocratici»;
     che,  pertanto, l'intervento richiesto alla Corte - nella misura
in  cui  «otterrebbe  l'effetto  di  equiparare  le  varie  forme  di
"giudizio   sull'accusa"  previste  dall'attuale  legge  processuale,
scongiurando  l'ipotesi  che  irragionevolmente  una  soltanto  venga
trattata  in modo difforme» - dovrebbe ritenersi consentito, giacche'
esso  «non  involge  la  scelta,  riservata alla discrezionalita' del
legislatore,  di  modulare  diversamente  la  prescrizione del reato,
bensi' la regolamentazione attraverso cui questa scelta e' stata resa
operativa»;
     che,  difatti,  osserva  il  giudice  a quo, se e' vero che ogni
intervento   legislativo   che  regoli  gli  effetti  intertemporali,
derivanti sia dalla creazione di nuovi istituti che dalla modifica di
istituti  preesistenti, presenta un ampio contenuto discrezionale, e'
pur  vero  che  ogni  «disciplina  intertemporale  deve rispondere al
canone  della  ragionevolezza»  (e'  citata  la  sentenza della Corte
costituzionale n. 219 del 2004);
     che,   oltretutto,  nel  caso  di  specie  l'accoglimento  della
sollevata  questione  di  legittimita'  costituzionale  - conclude il
remittente  -  «non  comporta  la  creazione  da  parte  della  Corte
costituzionale di una nuova norma contenente un regime prescrizionale
risultante  da  un'autonoma operazione di bilanciamento», ma soltanto
«l'applicazione all'imputato di termini di prescrizione gia' previsti
dal   precedente  regime  codicistico  e  vigenti  al  momento  della
commissione  del  fatto  di  reato»,  con  la conseguenza che sarebbe
«rispettato  il  principio  di  legalita'  dei  delitti  e delle pene
sancito dall'art. 25 della Costituzione».
   Considerato  che il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale
di  Trieste  ha  sollevato  -  in  riferimento  all'articolo  3 della
Costituzione - questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10,
comma  3,  della  legge  5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice
penale  e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti
generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze
di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), «nella parte in
cui non esclude l'applicazione dei termini di prescrizione piu' brevi
ai  processi  pendenti  alla data di entrata in vigore della presente
legge, ove sia stato disposto o ammesso il giudizio abbreviato»;
     che  l'iniziativa  assunta  dal remittente mira a conseguire una
pronuncia  che  sottragga all'applicazione retroattiva delle nuove (e
piu'  favorevoli per l'imputato) disposizioni in tema di prescrizione
del  reato,  contenute  nell'art.  6  della medesima legge n. 251 del
2005,  anche  le  fattispecie  criminose  oggetto dei procedimenti di
primo   grado   destinati   a  svolgersi  nelle  forme  del  giudizio
abbreviato;
     che  l'incidente  di  costituzionalita' si propone, pertanto, di
estendere  l'area  della  deroga  che  la norma censurata ha disposto
all'applicazione del principio della retroattivita' della lex mitior,
sancito  dall'art.  2,  quarto  comma,  del  codice penale, deroga ab
origine  limitata dalla legge n. 251 del 2005, quanto ai procedimenti
di primo grado, a quelli per i quali fosse gia' stato compiuto, prima
dell'entrata   in  vigore  della  legge  stessa,  l'incombente  della
dichiarazione  di  apertura  del dibattimento (art. 492 del codice di
procedura   penale),   incombente   non   previsto  per  il  giudizio
abbreviato;
     che   questa  Corte,  pero',  con  sentenza  n. 393  del  2006 -
pronunciata   successivamente   all'adozione   della   ordinanza   di
rimessione    qui   in   esame -   ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale  dell'art.  10,  comma 3, della legge n. 251 del 2005,
limitatamente  alle parole «dei processi gia' pendenti in primo grado
ove  vi  sia  stata  la  dichiarazione  di apertura del dibattimento,
nonche'»,   con   l'effetto,   pertanto,   di  estendere  a  tutti  i
procedimenti   di   primo   grado -  indipendentemente  dall'avvenuto
espletamento    dell'adempimento    processuale   consistente   nella
dichiarazione   di   apertura   del   dibattimento -   l'applicazione
retroattiva   delle   nuove   (e   piu'  favorevoli  per  l'imputato)
disposizioni sulla prescrizione del reato;
     che  la  citata  sentenza -  muovendo  dal  presupposto  che «lo
scrutinio  di  costituzionalita'  ex  art.  3  Cost., sulla scelta di
derogare  alla  retroattivita' di una norma penale piu' favorevole al
reo deve superare un vaglio positivo di ragionevolezza, non essendo a
tal  fine sufficiente che la norma derogatoria non sia manifestamente
irragionevole» -  ha escluso la ragionevolezza della scelta, compiuta
dall'art.  10,  comma 3, della legge n. 251 del 2005, «di individuare
il  momento  della  dichiarazione  di  apertura del dibattimento come
discrimine temporale per l'applicazione delle nuove norme sui termini
di  prescrizione  del  reato  nei processi in corso di svolgimento in
primo  grado  alla  data  di entrata in vigore della legge n. 251 del
2005»;
     che  questa  Corte,  nella sentenza n. 393 del 2006, ha rilevato
come  l'apertura  del  dibattimento  non  sia «in alcun modo idonea a
correlarsi  significativamente  ad  un istituto di carattere generale
come   la   prescrizione,   e  al  complesso  delle  ragioni  che  ne
costituiscono  il  fondamento»,  e cioe' al fatto «che il decorso del
tempo da un lato fa diminuire l'allarme sociale» originato dal reato,
e  «dall'altro  rende  piu'  difficile  l'esercizio  del  diritto  di
difesa»;
     che,   infatti,   l'apertura   del   dibattimento  «non  connota
indefettibilmente   tutti  i  processi  penali  di  primo  grado  (in
particolare   i   riti   alternativi -   e,  tra  essi,  il  giudizio
abbreviato -   che   hanno   la   funzione   di   "deflazionare"   il
dibattimento)»,  ne'  tale incombente «e' incluso tra quelli ai quali
il  legislatore  attribuisce  rilevanza ai fini dell'interruzione del
decorso  della  prescrizione ex art. 160 cod. pen., il quale richiama
una  serie  di  atti, tra cui la sentenza di condanna e il decreto di
condanna, oltre altri atti processuali anteriori»;
     che,  pertanto,  la sopravvenuta declaratoria di illegittimita',
seppure  in  parte  qua, della norma censurata impone la restituzione
degli  atti  all'odierno  remittente,  perche'  valuti  la perdurante
rilevanza e non manifesta infondatezza della questione sollevata.
              Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE
   Ordina   la   restituzione  degli  atti  al  Giudice  dell'udienza
preliminare del Tribunale di Trieste.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 novembre 2008.
                        Il Presidente: Flick
                       Il redattore: Quaranta
                      Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 20 novembre 2008.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola