N. 402 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 giugno 2008
Ordinanza del 6 giugno 2008 emessa dal Tribunale di Verbania nel procedimento penale a carico di Pugliese Vincenzo ed altra Processo penale - Dibattimento - Assunzione delle prove - Non consentita possibilita' per il giudice di decidere le forme in cui assumere il dichiarante - Violazione del principio di ragionevolezza - Lesione dei principi di terzieta' del giudice, di parita' delle parti e di tutela del diritto dell'imputato di interrogare le persone a sua difesa. - Codice di procedura penale, art. 210. - Costituzione, artt. 3 e 111.(GU n.52 del 17-12-2008 )
IL TRIBUNALE Nel procedimento penale in epigrafe rubricato a carico di: 1) Pugliese Vincenzo, numero il 21 agosto 1972 a Taranto, domiciliato presso Questura del V.C.O., difeso dall'avv. Luca Ruppen del Foro di Verbania, difensore di fiducia; 2) Rossetti Roberta, n. il 21 giugno 1970 a Bussolengo (Verona), domiciliata presso Questura del V.C.O., difesa dall'avv. Luca Ruppen del Foro di Verbania, difensore di fiducia, imputati: a) per il delitto p. e p. dagli artt. 61 n. 9), 110, 582, 583.1 nn. 1) e 2) c.p., perche', in concorso tra loro, il Pugliese sferrando violenti calci - da tergo - a Manyani Mustapha, che gli voltava le spalle, all'altezza degli organi genitali, e colpendolo successivamente con pugni al volto e al torace; quindi, dopo che il Manyani era caduto in terra, la Rossetti sferrando calci all'altezza dei testicoli, cagionavano al Manyani lesioni personali consistite in (cfr. certificato del medico curante dr. Arslanian) «trauma scrotale, contusione angolo mandibolare sinistra, con frattura del terzo molare inferiore sinistro, contusione lacerata labiale inferiore, contusione in sede pretibiale destra», lesioni personali gravi dalle quali derivava allo stesso una malattia nel corpo con prognosi iniziale di gg. 15 s.c. (referto n. 5104 dell'8 maggio 2001 Ospedale Domodossola) e durata sino al luglio 2001 (come da certificati medici in atti), nonche' con indebolimento permanente dell'organo della riproduzione avendo, in seguito alle percosse subite, riportato necrosi del testicolo sinistro, asportato con intervento di orchiectomia in data 8 maggio 2001 presso l'Ospedale San Biagio di Domodossola-, e dell'organo della masticazione. Con l'ulteriore aggravante di aver commesso il fatto con abuso di poteri inerenti a una pubblica funzione ovvero a un pubblico servizio, essendo gli imputati agenti di pubblica sicurezza. In Verbania, il 6 maggio 2001. E' in corso il dibattimento a carico dei due imputati; sono stati escussi i testi dell'accusa e sono stati resi gli esami dagli imputati. Si deve dare ingresso ai testi della difesa colleghi poliziotti della Questura di Verbania. La persona offesa ha ribadito al dibattimento le accuse in ordina alla lesione conseguente a volontarie percosse in Questura, altri due dichiaranti arrestati insieme alla persona offesa e portati in Questura hanno ribadito tali fatti, un medico intervenuto in Questura ha riferito la sussistenza delle lesioni un medico ha certificato la sussistenza della lesione a meno di 48 ore dal fatto subito dopo il rilascio della persona offesa e la dichiarazione della persona offesa sulle percosse subite, altro medico ha riferito che ha operato la persona offesa subito dopo e ha riferito gli esiti di tali riferite percosse; ha confermato che il paziente dichiarava di essere stato percosso in Questura e che la mancata prestazione di immediato soccorso puo' aver cagionato la perdita del testicolo alla persona offesa. Non vi sono state contestazioni di precedenti dichiarazioni rese che possano far ritenere che le originarie dichiarazioni della persona offesa e degli altri dichiaranti fin qui sentiti fossero sostanzialmente difformi da quanto riferito al dibattimento. E' pacifica e confermata dagli stessi imputi in sede di esame la presenza di altri poliziotti nei sotterranei della Questura nel momento in cui, secondo l'imputazione, sarebbero avvenuti i fatti al momento dei fatti. Taluni di questi poliziotti sono stati indotti come testimoni a discarico dalla difesa. Su tali elementi pare indubbio che si sarebbe dovuto procedere ad iscrizione degli altri poliziotti presenti per indagarli in ordine ad ipotesi alternative di concorso morale o materiale, omessa denunzia ex art. 361 c.p., omissione di atto di ufficio, lesione colpose quantomeno per coerenza logica con l'avvenuta iscrizione e richiesta di rinvio a giudizio degli odierni imputati. Gli stessi invece, come dichiarato dalla difesa e confermato dal P.M., non sono stato iscritti in alcun procedimento connesso o collegato e sono ora indotti come testimoni dalla difesa. La questione che si solleva e' pertanto rilevante dovendosi procedere alla loro escussione. La questione e' altresi' non manifestamente infondata. Ed invero: in tale ipotesi, a tenore dell'art. 210 c.p.p. e secondo la giurisprudenza vivente, costante e non smentita sul punto da alcuna pronuncia della suprema Corte regolatrice, sfugge ai poteri del giudice del dibattimento la decisione in ordine alla forma processuale con cui assumere il dichiarante mancando una pregressa iscrizione. Soccorrerebbe invece l'art. 63 primo comma c.p.p. che impone all'interrogante di sospendere le dichiarazioni ove in se' autoindizianti e proseguire nelle forme assistite e comunque la complessiva disciplina dell'art. 63 c.p.p. Tale norma contempla due diverse ipotesi: la prima (comma 1) e' quella di una persona non imputata, ne' indagata, che venga sentita dall'autorita' giudiziaria o dalla polizia giudiziaria come persona informata dei fatti (nella fase delle indagini preliminari), o come teste (nel dibattimento) e dalle cui dichiarazioni emergano indizi di reita' a suo carico; la seconda (comma 2) e' quella di persona non imputata, ne' indagata, venga sentita dall'autorita' giudiziaria o dalla polizia giudiziaria come persona informata dei fatti (nella fase delle indagini preliminari), o come teste (nel dibattimento) dalle cui dichiarazioni emergano indizi di reita' a carico altrui (comma 2). Nel primo caso l'autorita' ignora gli elementi qualificativi del soggetto come indiziato di un reato, venendone a conoscenza solo durante le dichiarazioni e grazie ad esse. Nel secondo caso l'autorita' e' (o dev'essere) consapevole di tali indizi e tuttavia procede egualmente all'incombente, nell'omissione delle garanzie difensive. Il primo comma prevede un regime di inutilizzabilita' contra se per la ipotesi fisiologica di rispetto delle norme di tutela; Il secondo comma prevede l'inutilizzabilita' erga omnes quale deterrente contro la prassi patologica di ignorare preesistenti indizi di reita' a carico dell'escusso per avere dichiarazioni negoziate o compiacenti. La stessa relazione al progetto preliminare del cod. proc. pen. conferma esplicitamente la netta distinzione tra le due ipotesi, riconducendo il primo comma al principio del diritto al silenzio (nemo tenetur se detegere) ed il secondo ad un'incapacita' a testimoniare, concepita, secondo la mens legis, quale tutela nei confronti dei condizionamenti probatori. La lettera del secondo comma con l'adozione del verbo «dovere» se da un lato certamente non prefigura necessariamente un'elusione maliziosa ricomprendendo anche l'omissione dovuta ad erronea interpretazione di fatti, dall'altro sottolinea la doverosita' in ogni caso di una riqualificazione formale della posizione del dichiarante, non corrispondente alla realta' effettuale. Il dibattito giurisprudenziale registra contrasti in ordine alla necessita' o meno che, per la mera sanzione di inutilizzabilita', si debba verificare oltre al dato sostanziale, anche quello formale dell'avvenuta iscrizione del dichiarante (anche posteriormente) ritenendo una parte (da ultimo sez. 2, sentenza n. 38858 del 2007 e sez. 6, sentenza n. 40512 del 2007) che debba salvaguardarsi comunque l'autonomia del p.m., un'altra parte (sez. 2, sentenza n. 26258 del 24 aprile 2007) che il vincolo della iscrizione si risolverebbe in una petizione di principio, e finirebbe col porre come requisito positivo proprio la condotta dell'organo inquirente, la cui omissione antidoverosa - intenzionale o colposa che sia - viene invece fisiologicamente sindacata ai fini dell'eventuale giudizio d'inutilizzabilita' della prova. L'applicazione dell'art. 63 c.p.p. quale norma generale (tale essendo il profilo atteso anche la collocazione sistematica) se, a prescindere da contrasti interpretativi, risolve la problematica rispetto ad ogni fase e grado del giudizio che valuta dichiarazioni gia' precostituite, non e', ad avviso di questo giudice, idonea a superare in modo costituzionalmente corretto la questione che si pone per il giudice del dibattimento al momento in cui sovrintende alla formazione della prova. Infatti la disciplina sanzionatoria di cui all'art. 63 c.p.p. non sopperisce al mancato rispetto dei principi del giusto processo di cui all'art. 111Cost. Ed invero la disciplina sopradelineata, e comunque interpretata, si pone esclusivamente la problematica della utilizzabilita' e quindi la problematica di sanzionare la violazione del principio, ma non investe la problematica della sussistenza di idonei strumenti per garantire comunque il diritto all'assunzione di una prova legalmente idonea, davanti ad un giudice terzo e nel rispetto del principio di parita' delle parti. Tale situazione comporta ad avviso dello scrivente pertanto, una grave e palese violazione di tre principi costituzionali garantiti dall'art. 111 Cost.: 1) principio di terzieta' del giudice; 2) principio di parita' delle parti; 3) principio di tutela del diritto di far sentire le persone in ordine agli elementi a carico o discarico; 4) nonche' dell'art. 3 Cost quale intrinseca irragionevolezza della scelta legislativa. Sub 1) Principio di terzieta' del giudice. La situazione impedisce al giudice una corretta esplicazione della propria terzieta'; infatti, lo stesso e' vincolato nella esplicazione della propria funzione dal comportamento patologico di una parte; nulla rileva il successivo potere sanzionatorio di inutilizzabilita'; nel momento dell'assunzione il giudice e' costretto, contrariamente a quel che ritiene, a violare sia il principio del nemo tenetur se detegere sia il principio della incapacita' a testimoniare; e' costretto a far giurare un dichiarante che, per la sua valutazione, non dovrebbe giurare. Tale situazione e' in palese violazione della sua terzieta' e della sua soggezione solo alla legge. Sub 2) Principio di parita' della parti. La situazione, e' evidente, affida alla parte pubblica nel momento dibattimentale, e quindi nel momento in cui gli strumenti processuali dovrebbero essere di assoluta specularita', uno strumento che non e' dato alla difesa; potere che, anche se patologicamente usato, la difesa non puo', al momento dell'assunzione del teste, in assenza di un riconoscimento del potere del giudice di valutare se il teste doveva essere iscritto nel registro degli indagati, contrastare. Sub 3) Diritto dell'imputato di interrogare le persone a sua difesa. Sotto tale aspetto il vulnus costituzionale appare insanabile ed invero si deve garantire la possibilita' reale e concreta di far sentire la persone; la diversa graduazione di valenza probatoria tra teste e dichiarante ex art. 210 c.p.p. afferisce al criterio di valutazione legale della prova; ma in ogni caso esiste un diritto assoluto di far sentire le persone; diritto che il meccanismo pilatesco di un giudice che sia limitato nella decisione della veste processuale da qualifiche formali derivanti dal il comportamento patologico della parte pubblica, salvo poi dichiarare l'inutilizzabilita' al momento della decisione, viene garantito solo formalmente, ma non in modo sostanzialmente rispettoso del diritto costituzionale di far sentire le persone a discarico. Sub 4) Contrasto con art. 3 Cost. La norma e' irragionevole in quanto mina alla base una corretta amministrazione della giustizia. Partendo da due principi basilari individuati dalla suprema Corte con sez. U. sentenza n. 7208 del 2008: 1) L'ambito di appilcazione del secondo comma dell'art. 384 c.p. ... riguarda le persone che non avrebbero dovuto essere assunte come testimoni. Esse non sono punibili quale che sia la dichiarazione falsa e la ragione che l'ha determinata. 2) Il coimputato che viene sentito come testimone, invece che nelle forme dell'art. 210 c.p.p., non e' punibile indipendentemente della ragione per la quale ha dichiarato il falso, anche cioe' se ha commesso la falsa testimonianza. Discende non solo che, ove il giudice dichiari inutilizzabile la testimonianza, il riconoscimento ex post della qualita' di coimputato comporta la non punibilita' per la falsa testimonianza del dichiarante. ma anche che la qualita' di teste debba essere assunta esclusivamente da chi comunque ha l'obbligo di dire la verita'; ed infatti afferma sempre la suprema Corte nella succitata sentenza SS.UU. Una interpretazione diversa finirebbe col costituire, come si e' efficacemente osservato, «una di sorta di grimaldello capace di scardinare l'obbligo di verita' imposto dalla norma processuale, con il pericolo di una totale deresponsabilizzazione del dichiarante, a totale scapito dell'interesse alla corretta amministrazione della giustizia. Appare pertanto del tutto irragionevole che non sia il giudice che sovrintende alla formazione della prova a decidere, sulla base della sua responsabilita' di direzione del dibattimento, la veste del dichiarante. Cio' e' consono e coerente con un processo accusatorio ove primo compito del giudicante e' dirimere il corretto confronto probatorio delle parti ed evitare che gli esiti dibattimentali siano deviati extra legem; e' evidente che la valutazione ex post, logicamente e giuridicamente, puo' essere diversa da quella ex ante, ma ai fini della corretta esplicazione processuale quella che deve rilevare e' la valutazione ex ante, ponendosi quella ex post (leggi inutilizzabilita') comunque come clausola di salvaguardia tanto da configurarsi mera sanzione relativa alla efficacia nei confronti di qualcuno. Sotto l'aspetto ora in esame e' invece in gioco non la salvaguardia di inefficacia di dichiarazioni contro qualcuno, bensi' la salvaguardia del funzionamento in se' della disputa processuale; salvaguardia che l'art. 210 c.p.p. non garantisce.
P. Q. M. Solleva, nei termini di cui in motivazione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 210 c.p.p. in riferimento agli art. 3 e 111 Cost. Nella parte in cui non consente al giudice del dibattimento di decidere le forme in cui assumere il dichiarante. Sospende il procedimento in corso. Dispone la notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, ai Presidente della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; ordina la trasmissione dell'ordinanza alla Corte costituzionale unitamente agli atti del giudizio ed alla prova delle notificazioni e della comunicazioni prescritte. Si da' atto che alla lettura dell'ordinanza sono presenti gli imputati ed i loro difensori, parte civile e difensore parte civile. Verbania, addi' 6 giugno 2008 Il giudice: Terzi