N. 405 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 agosto 2008

Ordinanza dell'11 agosto 2008 emessa dal Tribunale di sorveglianza di
Venezia nel procedimento relativo a N.A.

Esecuzione  penale - Rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena -
  Obbligo  del  differimento  in  caso  di  esecuzione della pena nei
  confronti  di  madre  di  infante  di  eta' inferiore ad anni uno -
  Mancata  previsione  della possibilita' per il giudice di negare il
  differimento quando lo ritenga non adeguato alle finalita' previste
  dall'art.   27,   comma  terzo,  Cost.,  sussista  il  pericolo  di
  eccezionale   rilevanza  di  commissione  di  altri  delitti  e  la
  detenzione  domiciliare  non  sia idonea a prevenire il pericolo di
  recidiva - Violazione del principio di ragionevolezza - Lesione del
  principio  della  finalita'  rieducativa  della  pena - Lesione dei
  principi a base della tutela della maternita' e del minore.
- Codice penale, art. 146, primo comma, n. 2.
- Costituzione, artt. 3, 27, comma terzo, e 30.
(GU n.52 del 17-12-2008 )
                    IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
   Sentiti  il  Procuratore  generale e la difesa, che hanno concluso
come   da   verbale,   ha   pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel
procedimento  nei  confronti  di n. A., nata in Croazia il 22 ottobre
1986,  alias  N.A.,  nata a Vimercate il 22 ottobre 1986, alias D.M.,
nata a Zagabria il 22 ottobre 1986, alias M.V., nata in Croazia il 20
aprile  1987,  e  altri  alias, codice univoco identificativo 0395ULA
(altri   CUI   per  correlazioni  dattiloscopiche  01WMD2N,  02S5900,
02TKY25,  0324Q8P,  O2SBPJT),  elettivamente  domiciliata  al momento
della  scarcerazione  in  Collegno, strada della Berlia, presso J. M.
detto  I.,  di  fatto  irreperibile,  tendente  alla  concessione del
beneficio  del  differimento  dell'esecuzione della pena in relazione
alla  pena inflitta con sentenza del Tribunale di Verona composizione
monocratica  in  data 9 novembre 2007, e con sentenza del 27 novembre
2006 del Tribunale di Verona.
                        M o t i v a z i o n e
   La  sedicente  N.A.,  ristretta  nella  Casa  reclusione  donne di
Venezia,  presentava  a  questo  Tribunale di Sorveglianza istanza di
differimento  dell'esecuzione  della  pena  adducendo  a  sostegno di
essere  madre  di  una  minore  nata  il  4  settembre  2007, di eta'
inferiore  ad  anni  uno.  Acquisite  le necessarie informazioni, che
confermavano  il  rapporto  genitoriale  dedotto, questo tribunale di
sorveglianza  con ordinanza del 13 maggio 2008 rigettava l'istanza di
differimento   in   ragione   della  spiccata  pericolosita'  sociale
desumibile  dai  numerosi precedenti e segnalazioni di polizia, anche
sotto   false   generalita';  in  presenza  dei  presupposti  per  il
differimento  obbligatorio  della  pena,  concedeva, tuttavia, con la
predetta  ordinanza  la  misura  della detenzione domiciliare ex art.
47-ter  comma  1-ter o.p. fino al compimento di un anno di eta' della
minore,  reputando  la  misura  maggiormente  idonea  a consentire il
contemperamento  delle esigenze familiari della condannata con quelle
di  difesa sociale, garantendo, nel contempo, l'esecuzione della pena
legalmente inflitta.
   La  misura  avrebbe dovuto trovare esecuzione in Collegno, secondo
le indicazioni del difensore di fiducia, e in tale luogo la n. veniva
autorizzata a recarsi senza scorta, con l'obbligo di raggiungerlo nel
piu' breve tempo possibile senza soste intermedie.
   La  condannata, tuttavia, non si recava nel luogo prescritto, e si
rendeva  da  subito  irreperibile,  sottraendosi all'esecuzione della
pena;   il   Magistrato  di  sorveglianza  disponeva  la  sospensione
interinale  della  misura  con decreto datato 19 maggio 2008, tuttora
non eseguito a causa dell'irreperibilita' dell'interessata.
   All'udienza  del 4 giugno 2008 veniva disposto un rinvio per vizio
di  notifica,  e all'odierna udienza, fissata sia per il differimento
della  pena  che  per  la  revoca  della  misura  gia'  concessa,  il
Procuratore   generale  ha  concluso  chiedendo  la  sospensione  del
procedimento  in  attesa  della  decisione della Corte costituzionale
sulla  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 146, comma
1, n. 2) c.p. sollevata d'ufficio da questo tribunale di sorveglianza
con   ordinanza   n. 715/2008   datata   13   maggio  2008  in  altro
procedimento,  mentre  il  difensore,  nominato  ex art. 97, comma 4,
c.p.p.  (non  essendo  comparso il difensore di fiducia nonostante la
regolarita'   delle  notifiche  e  degli  avvisi),  ha  richiesto  la
concessione   del   differimento   della   pena,  rimettendosi  sulla
sospensione del procedimento.
   Con  separata ordinanza emessa in data odierna questo tribunale di
sorveglianza  ha  disposto la revoca della detenzione domiciliare nei
confronti  della  condannata,  reputando  il  comportamento da questa
tenuto  incompatibile con la prosecuzione del beneficio. Nell'odierno
procedimento,  la  cui  trattazione separata si impone per le ragioni
che di seguito si esporranno, deve essere valutata la concessione del
differimento  dell'esecuzione  ex  art.  146 c.p. in ordine alla pena
residua di anni uno, mesi nove e giorni ventidue di reclusione.
   Dagli   atti  acquisiti  risulta  confermata  la  sussistenza  dei
presupposti  del differimento obbligatorio dell'esecuzione della pena
ai   sensi  dell'art.  146,  comma  1,  n. 2),  c.p.,  risultando  la
condannata  madre di infante di eta' inferiore ad anni uno, che aveva
con  se'  allorquando  si  e'  allontanata  per  ignota  destinazione
all'atto  della  scarcerazione. Tale circostanza, unitamente al breve
tempo  trascorso  dalla  scarcerazione,  fanno ritenere perdurante la
convivenza tra la madre e la neonata.
   L'esame  delle  vicende  cautelari  ed esecutive relative alle due
condanne  del  Tribunale  di  Verona  della cui esecuzione si discute
impone alcune considerazioni.
   La  n. (le  cui esatte generalita' non sono note) veniva arrestata
in  Verona  in  data  26 novembre 2006 nella flagranza del delitto di
tentato  furto aggravato in abitazione e veniva sottoposta a custodia
cautelare in carcere per esigenze cauteri di eccezionale rilevanza ex
art. 275, comma 4, c.p.p. Con sentenza datata 27 novembre 2006 emessa
dal  Tribunale  di  Verona  veniva condannata alla pena di anni uno e
mesi  sei  di reclusione con le generalita' di n. V., nata in Croazia
il 1° gennaio 1988; non appena passata in giudicato la condanna, la N
richiedeva  al  Magistrato  di sorveglianza di Verona il differimento
provvisorio  deducendo  di  essere  in  stato di gravidanza. Due mesi
prima  del  delitto  commesso  in  Verona,  era  stata scarcerata per
effetto  del  provvedimento  di  differimento provvisorio ex art. 146
c.p. emesso dal Magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia in data 4
settembre  2006  con  le  generalita'  di M. C. in quanto in stato di
gravidanza  (v.  cartella  giuridica, fatto n. 2; la relativa pena di
anni  quattro  e  mesi  due  di reclusione di cui al provvedimento di
cumulo  della  Procura  della  Repubblica di Padova in data 26 maggio
2006 risulta tuttora non eseguita).
   Il  Magistrato  di  sorveglianza  di  Verona con decreto datato 31
gennaio  2007  concedeva  il differimento provvisorio dell'esecuzione
della pena.
   In data 8 novembre 2007, la N veniva nuovamente arrestata in Zevio
(Verona)  nella  flagranza  del  reato di tentato furto continuato in
abitazione,  pur  risultando aver partorito da breve tempo (in data 4
settembre 2007); nell'occasione, in compagnia di una minorenne si era
recata  «in  trasferta»  da  Vicenza  a  Zevio,  e  aveva  tentato di
introdursi,  forzando  la porta di ingresso, in tre appartamenti, non
riuscendo  nell'intento  per  l'intervento  delle  forze dell'ordine.
Dall'esame  degli  atti  risulta che nel periodo tra la scarcerazione
disposta  dal  Magistrato  di sorveglianza di Verona in ragione dello
stato  di  gravidanza  e  l'arresto in questione la n. risulta essere
stata segnalata o arrestata altre undici volte in varie localita' del
territorio  nazionale  per  reati  contro  il patrimonio e violazione
delle  norme  sull'immigrazione,  sempre  con generalita' diverse (v.
elenco  precedenti  dattiloscopici trasmesso dalla Questura di Modena
in  data  18  marzo 2008). Trattasi di episodi delittuosi (per alcuni
dei  quali  e'  anche  intervenuta  condanna,  v.  ad es. sentenza di
condanna  del Tribunale di Milano in data 14 novembre 2007), commessi
in  stato  di  gravidanza  o  subito  dopo  il parto, circostanza che
evidenzia   l'assenza   di   qualsivoglia   considerazione  da  parte
dell'interessata  per  le  esigenze  di  tutela  del  nascituro o del
neonato in ragione delle quali le era stato concesso il differimento;
la  particolare  condizione soggettiva le ha consentito, peraltro, di
lucrare  un  benevolo trattamento cautelare nella quasi totalita' dei
casi.
   Il  giorno  dopo l'arresto in Zevio, con sentenza del Tribunale di
Verona  in  data  9  novembre  2007 veniva applicata su accordo delle
parti  la  pena  di  anni  uno e mesi uno di reclusione, riconosciuta
l'aggravante della recidiva reiterata specifica infraquinquennale, ma
la  n. rimaneva in vinculis in quanto sottoposta a custodia cautelare
in carcere per esigenze di eccezionale rilevanza ex art. 275, comma 4
c.p.p.   (v.  ordinanza  del  Tribunale  di  Verona  in  composizione
monocratica   datata  9  novembre  2008).  A  sostegno  della  misura
cautelare,  il  giudice  veronese,  tenuto  conto  dei  numerosissimi
precedenti  giudiziari  e dattiloscopici prevalentemente per furti in
abitazione  commessi in tutto il nord Italia, formulava «una prognosi
di  concreto  ed elevatissimo pericolo di reiterazione di reati della
stessa  specie e di notevole allarme sociale, dai quali la condannata
trae   i  mezzi  di  sussistenza»;  nella  stessa  ordinanza,  veniva
evidenziata  la  ritenuta  inefficacia  a  scopi  preventivi di altra
misura cautelare, compresi gli arresti domiciliari, incompatibili con
le condizioni di nomadismo dell'indagata.
   Diventata  definitiva  la  condanna,  la  detenuta  richiedeva  al
Magistrato  di  sorveglianza  di  Venezia il differimento provvisorio
dell'esecuzione  della  pena, deducendo di avere con se' in istituto,
ospite del nido del carcere veneziano, la figlia di eta' inferiore ad
anni  uno.  Il  magistrato  di  sorveglianza  rigettava l'istanza per
difetto  del  periculum  in  mora, risultando dagli atti altro titolo
custodiale,  costituito  dall'ordinanza custodia cautelare in carcere
emessa  in data 23 novembre 2007 dal Tribunale di Milano per esigenze
cautelari  di  eccezionale  rilevanza  di  cui all'art. 275, comma 4,
c.p.p.  in ordine al reato di tentato furto in abitazione commesso in
data  15  ottobre  2007  (per  il quale con sentenza del Tribunale di
Milano datata in data 14 novembre 2007 la n. e' stata condannata alla
pena di anni uno e mesi due di reclusione).
   Nella predetta ordinanza il Tribunale di Milano, pur rilevando che
la  condannata  risultava  madre di infante di eta' inferiore ad anni
uno,   evidenziava  che  la  n. aveva  violato  la  misura  cautelare
dell'obbligo   di  dimora  impostole  in  ragione  della  particolare
situazione  familiare,  e inoltre reputava sussistente l'elevatissimo
pericolo  di  reiterazione di reati della stessa indole, tenuto conto
degli  «oltre  trenta  precedenti  giudiziari  per  furto  e possesso
ingiustificato  di  arnesi  atti  allo scasso, commessi pressoche' su
tutto  il  territorio  nazionale  e  in  ordine ai quali risulta aver
fornito  generalita'  diverse»  (v. ordinanza del Tribunale di Milano
del 23 novembre 2007).
   Venuto meno il titolo cautelare (avendo il Tribunale di Milano con
ordinanza del 27 marzo 2008 disposto nuovamente la sostituzione della
custodia  cautelare  in carcere con il divieto di dimora a seguito di
offerta   reale   in  favore  della  vittima),  questo  tribunale  di
sorveglianza  concedeva  in  data  13  maggio  2008  la  misura della
detenzione domiciliare, verso la quale la condannata dimostrava, come
gia' esposto, assoluto spregio.
   Deve,  altresi',  rilevarsi che nelle note informative delle forze
dell'ordine  trasmesse  a  questo  tribunale di sorveglianza in vista
dell'udienza  del  13 maggio 2008, la n. e' descritta come una nomade
di  elevatissima  pericolosita'  sociale,  che  ha  fatto del crimine
l'unica forma di sostentamento, che «nelle sue scorribande delittuose
si  sposta  da  anni  su  tutto  il territorio nazionale in regime di
clandestinita'»,  e  inoltre  e'  stata  piu'  volte  destinataria di
provvedimenti amministrativi di espulsione. A cio' si aggiunga che la
n. ha  iniziato  a  delinquere  da  minorenne,  non  si  fa  scrupoli
nell'impiegare  per  la  commissione  dei delitti congiunti in tenera
eta'  e  ha  fatto  uso di numerosi alias (v. note Questure di Udine,
Treviso,  Trento,  Vicenza, Padova, Modena, Rovigo, Brescia, Ferrara,
che   sconsigliano   la   concessione   di   qualsivoglia   beneficio
evidenziando l'elevatissimo pericolo di fuga).
   Dai  certificati  acquisiti  e  dal  nutrito  elenco di precedenti
dattiloscopici  (che  si  compone  di  ben  nove  pagine)  si evince,
inoltre,  che la prevenuta ha commesso delitti in tutto il territorio
nazionale,  nell'ambito del quale si sposta frequentemente da un capo
all'altro della penisola, ed ha plurimi precedenti e segnalazioni per
furti aggravati plurimi in abitazione, porto ingiustificato di arnesi
atti  allo  scasso, porto di oggetti atti all'offesa alla persona, in
osservanza  di  provvedimenti  dell'autorita',  evasione,  violazione
delle  norme  sull'immigrazione,  false  dichiarazioni sull'identita'
personale;  a  fronte  dei numerosi precedenti e segnalazioni (queste
ultime risultano circa cinquantacinque, anche in stato di arresto), i
periodi   di   carcerazione   che   risultano  dall'archivio  storico
dell'amministrazione penitenziaria sono esigui, e risultano seguiti a
breve  (tranne  nell'ultimo  caso,  in  cui  la  carcerazione  si  e'
protratta  per  qualche  mese)  dalla scarcerazione dell'indagata con
l'imposizione  di misure cautelari non detentive quali l'obbligo o il
divieto  di  dimora,  oppure  dal differimento della pena ex art. 146
c.p.  (v.  ordinanze del Tribunale per i minorenni di Venezia in data
27  maggio  2005,  ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Reggio
Emilia  in  data  4  settembre  2006  e  ordinanza  del Magistrato di
sorveglianza di Verona del 31 gennaio 2007 in atti).
   Esaminati  gli  atti  acquisiti,  questo  Collegio  non  puo'  che
condividere  il  giudizio di spiccatissima pericolosita' sociale gia'
formulato  nei  confronti  dell'odierna  istante  da  altre autorita'
giudiziarie,  il  cui  grado  attuale  esigerebbe,  al fine di un suo
adeguato   contenimento,  l'applicazione  di  una  misura  detentiva;
parimenti,  reputa  certo, piu' che verosimile, l'abuso del richiesto
differimento,  ove  concesso,  al  fine  di  commettere altri delitti
contro  il  patrimonio, senza alcun riguardo per le esigenze alla cui
tutela  il  beneficio  e'  preordinato,  posto che gia' in passato la
nascita   degli   altri  figli  (a  dire  della  condannata  avvenuta
allorquando  aveva  quindici  e  diciannove  anni) non ha dissuaso la
donna dal commettere delitti, cosi' come nessuna efficacia dissuasiva
ha avuto la recente gravidanza e la nascita dell'ultima figlia.
   Questo tribunale di sorveglianza, tuttavia, non puo' negare sic et
simpliciter  il  differimento  della pena (con conseguente esecuzione
penale   in   carcere),  potendo  al  piu'  concedere,  quale  misura
sostitutiva  del richiesto differimento, la detenzione domiciliare ex
art. 47-ter, comma 1-ter c.p., misura gia' concessa in data 13 maggio
2008  (con  la  stessa  ordinanza  con  la  quale  e' stata rigettata
l'istanza di differimento) e rivelatasi del tutto inadeguata.
   Non    appare    superfluo    rammentare    l'orientamento   della
giurisprudenza  della  dottrina  e  della giurisprudenza in ordine ai
rapporti tra il differimento e la detenzione domiciliare.
   Nella  vigenza della normativa preesistente alla legge n. 165/1998
parte  della  dottrina  facendo  riferimento  al  dato  testuale, che
qualifica  come  obbligatorio  il rinvio dell'esecuzione, lo riteneva
prevalente  rispetto  alla  detenzione domiciliare. Di diverso avviso
coloro  che  si soffermavano sugli indubbi vantaggi che la detenzione
domiciliare  comporta  per il condannato, tra i quali il fatto che il
tempo trascorso in esecuzione della misura si consideri pena espiata.
Oggi,  a  seguito  della  novella  di  cui alla legge n. 165/1998, la
giurisprudenza  e'  orientata  ad  affermare  che  il  legislatore ha
modificato  profondamente  l'istituto  della  detenzione domiciliare,
facendolo  divenire,  con  l'introduzione  del comma 1-ter (oltre che
1-bis),  una  delle  misure  alternative piu' duttili e piu' idonee a
soddisfare  le  contrapposte  esigenze del rispetto dei diritti della
persona  e  di  sicurezza  della societa' (v. sentenza Cass., sez. I,
n. 20480   del   2001).   Tale  misura,  si  afferma,  «configura  la
polifunzionalita'   del  regime  detentivo,  mirato,  per  un  verso,
all'esigenza   di  effettivita'  dell'espiazione  della  pena  e  del
necessario  controllo  cui  vanno sottoposti i soggetti pericolosi e,
per altro verso, ad una sua esecuzione mediante forme compatibili con
il senso di umanita'» (v. sentenza Cass., sez. I, n. 6952 del 2000).
   Riguardo   ai   criteri   di   scelta   tra  i  due  benefici,  la
giurisprudenza  della Corte di legittimita' ha anche precisato che il
tribunale  di  sorveglianza  deve  fare una duplice verifica, dovendo
prima  verificare  la  sussistenza  delle  condizioni richieste dalla
legge   per   il  differimento  e  poi  disporre,  eventualmente,  la
detenzione    domiciliare    in    alternativa    alla    sospensione
dell'esecuzione  della  pena  quando  ricorrano  esigenze  di  tutela
collettiva  (sempre  da  tenere presenti in terna di esecuzione della
pena)  che  rendano  piu'  adeguata  l'esecuzione della pena in forma
alternativa piuttosto che la sospensione dell'esecuzione (Cass., sez.
I,   sentenza  n. 656  del  2000);  piu'  di  recente,  la  Corte  di
legittimita' ha anche rilevato che la detenzione domiciliare, al pari
delle  altre misure alternative alla detenzione, ha come finalita' il
reinserimento  sociale  del  condannato, mentre il differimento della
pena  previsto  dall'art.  146  e 147 c.p., anteriore all'ordinamento
penitenziario  vigente,  ha finalita' diverse dall'individuazione del
trattamento piu' opportuno nei confronti del condannato, mirando solo
ad evitare che l'esecuzione della pena avvenga in spregio del diritto
alla  salute  e  del senso di umanita'. Alla luce di tali principi, a
fronte di una richiesta il giudice deve valutare se le condizioni del
condannato  siano compatibili con le finalita' rieducative della pena
e  con  le possibilita' concrete di reinserimento sociale conseguenti
alla   rieducazione.   Qualora,   all'esito   di   tale  valutazione,
l'espiazione  della pena appaia contraria al senso di umanita' per le
eccessive  sofferenze  da  essa  derivanti  ovvero  appaia  priva  di
significato   rieducativo   in   conseguenza  dell'impossibilita'  di
proiettare  in futuro gli effetti della sanzione sul condannato, deve
trovare  applicazione  l'istituto  del  differimento (sentenza Cass.,
sez. I, n. 45758 del 14 novembre 2007, dep. il 6 dicembre 2007).
   Facendo  applicazione di tali principi, non puo' non rilevarsi che
le  condizioni  di  vita  individuali  e  sociali della condannata, i
plurimi precedenti giudiziari e di polizia, e le conseguenti esigenze
di  sicurezza  sociale,  nonche' il reiterato abuso dei benefici gia'
ottenuti  (da  ultimo  il  differimento provvisorio del Magistrato di
sorveglianza  di  Verona) per perseverare nel crimine, indurrebbero a
ritenere  piu'  adeguata  al contenimento della pericolosita' sociale
l'esecuzione della pena, quantomeno in forma alternativa.
   Nel  caso  di specie, pero', e' certa l'assoluta impossibilita' di
esecuzione  della  detenzione  domiciliare (che e' misura a contenuto
prescrittivo,  e  postula,  per  realizzare  la  funzione  che  le e'
propria,  la  volonta'  adesiva di chi vi e' sottoposto; in tal senso
riguardo   agli   arresti   domiciliari   v.  Corte  cost.,  sentenza
n. 439/1995) per causa imputabile alla condannata.
   Il grado di inaffidabilita' piu' volte dimostrato dalla condannata
(che  anche in passato, dopo aver ottenuto gli arresti domiciliari in
data  14  luglio  2005  in una comunita' di Rovigo, si e' resa subito
irreperibile,  e inoltre e' fuggita dalla Comunita' per minori Azimut
gestita  dalla  Cooperativa  sociale GEA in data 13 maggio 2006, dove
era  stata  collocata  dalla  Procura  minorile  di  Venezia  con  le
generalita'  di  R.  D.  nata  a  Milano  il giorno 1° gennaio 1991),
unitamente  all'assoluta  indifferenza alle norme penali e del vivere
sociale   evidenziata,   non   consentono  l'applicazione  dell'unica
alternativa al differimento prevista dall'ordinamento vigente.
   Pur  in assenza di situazioni personali che precludano l'efficacia
rieducativa  della  pena o che rendano contraria al senso di umanita'
l'esecuzione   penale  in  forma  alternativa,  questo  tribunale  di
sorveglianza non puo', pertanto, che applicare il richiesto beneficio
del differimento.
   Una    diversa    interpretazione   non   appare   ragionevolmente
sostenibile,  senza  inammissibili  forzature  del dato normativo; il
tenore  testuale  dell'art. 146, comma 1, n. 2), c.p., nella parte in
cui   dispone  «l'esecuzione  e'  differita»  anziche'  «puo'  essere
differita»,  non lascia dubbi interpretativi. Puo', al piu' rilevarsi
che  con  la  previsione  contenuta  nel comma 1-ter dell'art. 47-ter
o.p.,  che  introduce  una disciplina differenziata rispetto a quella
generale,  anche  in  relazione  ai  limiti  edittali, il legislatore
sembra voler richiamare l'attenzione sulla necessita' di contemperare
le  esigenze  di tutela delle condizioni del condannato con quelle di
tutela  della  collettivita', rimettendo al tribunale di sorveglianza
la   scelta   dello   strumento   piu'   idoneo   a  perseguire  tale
contemperamento,   si'   da   far   ipotizzare   che  l'istituto  del
differimento  obbligatorio  abbia  perso  tale  carattere, risultando
rimessa  la sua adozione alla valutazione discrezionale del tribunale
di sorveglianza. Tuttavia, tale argomento, a fronte del dato testuale
inequivocabile  e  dell'assenza  di  una normativa di raccordo tra la
previsione  del  codice  penale  e la normativa penitenziaria, appare
insufficiente   a   reputare   consentito   il  diniego  «secco»  del
differimento, nell'ipotesi disciplinata dall'art. 146, comma 1, n. 2)
c.p.
   Ritiene,  pertanto,  questo  Collegio  che  la disposizione, cosi'
formulata   e   intesa,   attribuisca  al  sistema  una  connotazione
criticabile  sotto il profilo della razionalita' e costituzionalita',
e  che,  pertanto,  debba  essere  sollevata  d'ufficio  questione di
legittimita'  costituzionale della norma, per contrasto con gli artt.
3,  27, terzo comma, e 30 Cost., ravvisandosene la rilevanza e la non
manifesta  infondatezza.  Lo  scrutinio  di  costituzionalita'  della
stessa   norma  e'  gia'  stato  richiesto  da  questo  tribunale  di
sorveglianza   con  ordinanza  n. 715/2008  datata  13  maggio  2008,
tuttavia  appare opportuna la riproposizione di analoga questione, in
luogo  della  mera  sospensione  del  procedimento  in  attesa  della
decisioni  della  Corte adita, in quanto la particolare situazione di
fatto  (avvenuta  recentissima evasione dalla detenzione domiciliare)
consente altre censure.
   La  questione  e'  rilevante  ai fini della pronuncia sull'odierna
istanza,  essendo  ineliminabile l'applicazione della norma nell'iter
logico-giuridico   che   questo  tribunale  deve  percorrere  per  la
decisione  conclusiva  dell'odierno procedimento, in quanto risultano
sussistenti  i  presupposti del differimento obbligatorio della pena,
la cui applicazione e' stata richiesta dal difensore, e con ordinanza
emessa  in  data odierna e' stata revocata l'unica misura concedibile
in alternativa al differimento.
   In  punto  di  non  manifesta  infondatezza,  va  premesso  che e'
indiscutibile  la scelta del legislatore di tutelare anche nella fase
dell'esecuzione   penale  le  particolari  esigenze  delle  donne  in
gravidanza  o madri di figli in tenera eta'; sicuramente e fortemente
condiviso  da  questo  Collegio  e'  il  principio  secondo  il quale
tendenzialmente  in un paese democratico la detenzione delle donne in
gravidanza  e  delle  madri  che  accudiscono  figli  in  tenera eta'
dovrebbe  essere prevista solo «in ultima istanza» (come raccomandato
agli Stati membri di recente nella risoluzione del Parlamento europeo
del 13 marzo 2008 sulla particolare situazione delle donne detenute e
l'impatto  della  carcerazione  dei  genitori  sulla  vita  sociale e
familiare,  al  punto  14).  Non  sfrigge, inoltre, al Collegio, come
ricordato   dalla   Corte   costituzionale,  che  «l'alternativa  tra
l'immediata  esecuzione della pena o la sua temporanea inesigibilita'
a  causa  di  situazioni  soggettive  che  il  legislatore ritiene di
qualificare  come  incompatibili  con  la  carcerazione, non comporta
soluzioni    univoche    sul    piano    costituzionale,    dovendosi
necessariamente  ammettere  spazi  di  valutazione  normativa che ben
possono  contemperare  l'obbligatorieta' della pena con le specifiche
situazioni  di  chi vi deve essere sottoposto». Conferma l'assenza di
soluzioni  «a  rime  obbligate»  la  circostanza  che nel progetto di
riforma  al  codice penale predisposto dalla commissione nominata con
d.m.  23 novembre 2001 il differimento dell'esecuzione della pena per
gravidanza  e  puerperio  non  sia  previsto,  mentre  e' prevista la
concessione  (facoltativa) della conversione della pena detentiva con
altra  misura  in caso di condannata incinta o madre di prole di eta'
inferiore ad anni dieci (v. art. 81 n. 6 del progetto); il disegno di
legge  delega  predisposto  dall'ultima  Commissione  di  riforma del
codice  penale  istituita  con  d.m.  31  luglio  2006,  invece,  nel
prevedere  nuovamente  l'istituto  del differimento, non lo qualifica
come obbligatorio.
   Il  legislatore  ordinario,  pero',  nell'esercizio del suo potere
discrezionale   di   dettare   norme   che   incidono   su  interessi
costituzionalmente rilevanti tra loro in rapporto di concorrenza o di
confliggenza, incontra limiti di ordine costituzionale.
   Con   riferimento   alla   normativa   penitenziaria,   la   Corte
costituzionale  ha  precisato  che  «eguaglianza  di fronte alla pena
significa  proporzione  della medesima alle personali responsabilita'
ed  alle  esigenze di risposta che ne conseguono (sentenze n. 349 del
1993  e n. 299 del 1992), e che per l'attuazione di tali principi, ed
in funzione della risocializzazione del reo, e' necessario assicurare
progressivita'  trattamentale  e  flessibilita'  della pena (sentenze
n. 445  del  1997  e  306  del  1993)  e, conseguentemente, un potere
discrezionale alla magistratura di sorveglianza nella concessione dei
benefici penitenziari» (sentenza n. 504 del 1995 e n. 255 del 2006).
   Con  sentenza  n. 306  del  1993, ancora, la Corte ha affermato il
principio   secondo   cui,   nell'ambito   delle   finalita'  che  la
Costituzione  assegna  alla pena (quella di prevenzione generale e di
difesa   sociale,  con  i  connessi  caratteri  di  retributivita'  e
afflittivita',  e  quella  di prevenzione speciale e di rieducazione,
che  tendenzialmente comportano una certa flessibilita' della pena in
funzione dell'obiettivo di risocializzazione del reo), il legislatore
ordinario   puo'   -   nei   limiti   della   ragionevolezza   -  far
tendenzialmente  prevalere,  di  volta  in  volta,  l'una  o  l'altra
finalita', ma a patto che nessuna di esse risulti obliterata.
   Conformemente  a  tali  principi,  ai quali e' improntato tutto il
settore  dell'esecuzione  penale,  la  concessione  di ogni beneficio
penitenziario  deve  essere  preceduta,  oltre  che dall'accertamento
della  sussistenza  dei  requisiti  di legittimita' di volta in volta
prescritti  dalla  legge,  anche  da  una valutazione del giudice sul
raggiungimento  da  parte  del  condannato di uno stadio del percorso
rieducativo  adeguato  al  beneficio  richiesto,  e sulla conseguente
idoneita'  rieducativa  di  quest'ultimo,  nonche'  sull'idoneita'  a
prevenire  il  pericolo  di  recidiva.  Nelle  proprie  decisioni, il
giudice   di   sorveglianza  deve  aver  riguardo  ai  risultati  del
trattamento  individualizzato,  o, in caso di assenza di trattamento,
al  comportamento  tenuto  in  liberta',  e verificare la sussistenza
delle  condizioni  per  un adeguato reinserimento sociale, al fine di
garantire la proporzionalita' e l'individualizzazione del trattamento
sanzionatorio,  oltre  che  1'ineludibile finalita' rieducativa della
pena.
   Come  innanzi accennato, il differimento secondo la giurisprudenza
non  ha  finalita'  rieducativa,  ma  tende  solo  ad  evitare che in
presenza di determinate situazioni l'esecuzione della pena avvenga in
spregio  del diritto alla salute e del senso di umanita'; la potesta'
punitiva  dello Stato nella fase dell'esecuzione della pena incontra,
per  vero,  un limite invalicabile in quelle situazioni in cui per le
condizioni  personali  del reo l'esecuzione dalla pena contrasterebbe
con  il  senso  di  umanita'  o  non  potrebbe avere alcuna efficacia
rieducativa  (cfr.  Cass.,  sentenza  1138  del  26  aprile 1994). In
assenza di tali estreme condizioni, tuttavia, non appare giustificata
la   compromissione   delle   finalita'  della  pena  previste  dalla
Costituzione,  in  quanto, pur essendo istituto anteriore all'entrata
in   vigore   della   Carta  costituzionale,  l'istituto  del  rinvio
dell'esecuzione  deve essere interpretato alla luce di tali principi.
Pur  non  rientrando, inoltre, tra i benefici premiali, difettando la
natura  premiale,  trattasi  pur  sempre  di  un beneficio che pur se
previsto  dal  codice  penale, all'interno di un capo (il secondo) di
contenuto  assai vario ed eterogeneo, ha una concreta incidenza nella
vicenda  esecutiva  e penitenziaria, e' demandato alla competenza del
giudice  di  sorveglianza  e pertanto deve soggiacere, salvi i limiti
anzidetti,   ai   principi   vigenti  in  materia  penitenziaria,  in
particolare  al  principio  del finalismo rieducativo della pena. Nel
caso  di specie, il beneficio del differimento provvisorio si e' gia'
rivelato non adeguato, sia sotto il profilo rieducativo sia sul piano
della  prevenzione  speciale, e cosi' pure la detenzione domiciliare,
apertamente violata, ma nonostante l'abuso dei benefici gia' concessi
questo  tribunale  di  sorveglianza  non puo' negare il differimento,
salvo optare per una nuova concessione di una misura che con certezza
non troverebbe regolare esecuzione.
   Risulta,  cosi',  violato  il  principio  della proporzionalita' e
individualizzazione   del  trattamento  sanzionatorio,  ma  anche  il
principio  della  progressivita' trattamentale, in base al quale «nel
caso  di  abuso  dei  benefici gia' concessi o di altre irregolarita'
comportamentali   deve   conseguire   una  regressione  nel  percorso
trattamentale»  (cosi'  come,  all'inverso, «il maturarsi di positive
esperienze non potra' non generare un ulteriore passaggio nella scala
degli  istituti di risocializzazione»; v. sul punto Corte cost. sent.
n. 445/1997  con  riferimento ai permessi premio). L'importanza della
progressivita' trattamentale e' stata piu' volte ribadita dalla Corte
costituzionale,  che  ha  affermato che tale principio rappresenta il
«fulcro  attorno  al  quale si e' dipanata la propria giurisprudenza,
doverosamente  attenta a rimarcare l'esigenza che ciascun istituto si
modelli  e  viva  nel  concreto come strumento dinamicamente volto ad
assecondare   la   funzione   rieducativa  della  pena»;  espressione
normativa  della  biunivoca  correlazione  che  deve  necessariamente
stabilirsi  tra  la  progressione  (o  regressione)  nel  trattamento
rieducativo  e  la  risposta  conseguente sul piano dell'accesso agli
istituti di risocializzazione e' la norma di cui al comma 2 dell'art.
58-quater  c.p.,  che  prevede,  in  caso  di  revoca  di  una misura
alternativa  alla  detenzione, il divieto di concessione dei benefici
previsti  dal  comma  1  della norma per un periodo di tre anni dalla
data  del  provvedimento  di  revoca.  Nel caso in esame, alla revoca
della detenzione domiciliare non puo', pero' conseguire il diniego di
concessione del differimento, non compreso nella previsione del comma
1 dell'art. 58-quater c.p., ma puo' solo conseguire la concessione di
un  beneficio  ben  piu' ampio di quello rivelatosi inadeguato, senza
che  possa essere tenuta in alcuna considerazione l'impossibilita' di
formulare  una prognosi di futura astensione da comportamenti di tipo
deviante,  tenuto  conto  della  reiterazione di condotte criminose e
della  dimostrata  adesione a modelli di vita incentrati su attivita'
illecite,  in  quanto  la  norma  non  consente,  sulla  base di tale
giudizio  prognostico,  il  rigetto  del beneficio; solo in relazione
alle situazioni legittimanti un rinvio facoltativo dell'esecuzione il
comma  4 dell'art. 147 c.p. (aggiunto dalla legge n. 40/2001) dispone
che  il  provvedimento  «non puo' essere adottato o se e' adottato e'
revocato  se  sussiste  il  concreto  pericolo  della  commissione di
delitti».  Anche  tale  disposizione  conferma  la diversa scelta del
legislatore in ordine al differimento obbligatorio, riguardo al quale
non e' consentito analogo apprezzamento del giudice.
   Generalmente  si  afferma, riguardo all'istituto del differimento,
che le finalita' della pena possono essere procrastinate e rimodulate
a  seguito  di  una  esecuzione differita; nel caso di specie, pero',
puo'  ragionevolmente  affermarsi  che  allo  scadere del termine del
differimento  (nel corso del quale verosimilmente la n. continuera' a
perseverare  nel  crimine) l'esecuzione non potra' agevolmente essere
ripristinata,  considerata l'abilita' dimostrata dalla condannata nel
rendersi  irreperibile  e nel fare uso di numerose false generalita'.
Tenuto  conto, inoltre, della giovane eta', e delle abitudini di vita
dei  nomadi,  alla  data  dell'inizio  di  una  nuova  esecuzione  la
n. potrebbe  essere nuovamente incinta e cosi' via per chissa' quanto
tempo  ancora. Conferma tale assunto la circostanza che la condannata
risulta  avere ottenuto il differimento dell'esecuzione con ordinanza
del  Magistrato  di sorveglianza di Reggio Emilia in data 4 settembre
2006  in  ordine alla pena di anni tre, mesi dieci e giorni ventinove
di  reclusione  determinata  con  il  provvedimento  di  cumulo della
Procura  della  Repubblica  presso  il Tribunale di Padova in data 26
maggio  2006,  e  alla  data  odierna  risulta  ancora  ineseguita la
relativa  pena  (v.  sul  punto  stato  di esecuzione trasmesso dalla
Procura  della  Repubblica presso il Tribunale di Padova), cosi' come
non  risulta  eseguita la pena di anni uno di reclusione inflitta con
sentenza  del Tribunale per i minorenni di Trento in data 27 novembre
2003,  in ordine alla quale ha ottenuto il differimento con ordinanza
del  Tribunale  per  i  minorenni  di Venezia in data 27 maggio 2005.
Dalla  documentazione  acquisita,  inoltre,  non risultano espiate le
pene  inflitte  con  le  altre condanne risultanti dal casellario (v.
cartelle giuridiche storiche).
   Come   emerge  dall'esame  dei  dati  statistici,  e  come  questo
tribunale  di  sorveglianza  ha avuto modo di verificare direttamente
nel  corso  dei  numerosi  procedimenti  iscritti  sulle  istanze  di
differimento avanzate da donne nomadi ristrette nella Casa reclusione
donne  di  Venezia  (istituto dotato di nido), la strumentalizzazione
dell'istituto  del  differimento (che da extrema ratio in alcuni casi
diventa  la  regola) ha di fatto creato una sorta di immunita' per le
donne  nomadi in eta' fertile che possono dedicarsi indisturbate alle
loro  attivita'  illecite  potendo confidare sul trattamento previsto
dall'art.  146  c.p.  per  le donne in stato di gravidanza o madri di
figli in tenera eta'; considerato che generalmente si tratta di donne
che  iniziano a procreare precocemente, appena adolescenti, e che per
le  abitudini  di  vita non conoscono il fenomeno del controllo delle
nascite, e' di tutta evidenza l'imponenza del fenomeno e le pressanti
esigenze di tutela della collettivita' che ne conseguono. Piu' che un
temporaneo  differimento (che potrebbe non compromettere le finalita'
della pena) si finisce per avere in moltissimi casi un differimento a
tempo  indeterminato,  per  giunta  lasciato alla libera scelta delle
interessate,  le quali non indicando intenzionalmente un domicilio, o
dimostrando   una   sicura   inaffidabilita'   incompatibile  con  la
detenzione   domiciliare,   o   sottraendosi   all'esecuzione   della
detenzione  domiciliare  gia' concessa (ipotesi tutte sussistenti nel
caso  in  esame)  possono  lucrare, quale alternativa inevitabile, il
differimento  della  pena.  A  cio' si aggiunga che il legislatore ha
inasprito  con  l'introduzione  dell'art. 624-bis c.p. ad opera della
legge 26 marzo 2001, n. 128 il trattamento sanzionatorio dei furti in
abitazione,   reati   diventati  di  grave  allarme  sociale  poiche'
comportano  un  serio turbamento della vita che si svolge tra le mura
domestiche,  oltre  ad  arrecare  un  danno  patrimoniale;  con  tale
inasprimento  il legislatore ha riconosciuto la particolare rilevanza
degli  interessi  lesi dal delitto, e pertanto l'ordinamento non puo'
poi  lasciare  di  fatto  impunite  le  «professioniste» dei furti in
abitazione, come l'odierna istante.
   Puo'  affermarsi,  pertanto,  che  nel  caso  di  specie  tutte le
finalita' che la Costituzione assegna alla pena risultano obliterate,
con   conseguente   violazione  del  principio  sancito  dalla  Corte
costituzionale con sentenza n. 306 del 1993. Totalmente svilita e' la
finalita'  di prevenzione generale e di difesa sociale - finalita' la
cui  realizzazione dipende, come e' noto, non soltanto dalla minaccia
legale  della  sanzione  penale,  ma  anche  e  soprattutto dalla sua
concreta  esecuzione  -  giacche' la rigida e prevedibile sospensione
del  momento  esecutivo  esclude  che la pena irrogata possa svolgere
alcuna  funzione  di intimidazione e dissuasione rispetto a possibili
futuri  comportamenti  criminosi,  sia  nei  confronti  del  concreto
destinatario  di  essa, sia nei confronti degli altri soggetti che si
trovano  nella  medesima situazione. Del tutto vanificato e' anche il
profilo  retributivo-affittivo della pena, posto che la rinuncia alla
relativa  esecuzione  (di  fatto a tempo indeterminato per le ragioni
esposte) lascia sostanzialmente impunito il reato commesso. Come gia'
evidenziato,  infine,  risultano obliterate del tutto le finalita' di
prevenzione  speciale  e  di  rieducazione  della  pena, che appaiono
riferibili al caso concreto.
   La  magistratura  di  sorveglianza  deve, infatti, in presenza dei
presupposti  previsti  dall'art.  146,  comma 1, n. 1) e n. 2), c.p.,
sospendere  l'esecuzione  della  pena detentiva, in base ad un rigido
automatismo,  che  non puo' essere temperato da alcuna valutazione di
merito  volta  ad  assicurare  il perseguimento delle finalita' della
pena  e  l'individualizzazione e proporzionalita' del trattamento, in
relazione  alle  concrete necessita' specialpreventive, rieducative e
risocializzatrici del caso; alle situazioni regolamentate dalla norma
puo'  essere, di fatto, riconducibile una varieta' e molteplicita' di
situazioni  personologiche  e  criminologiche, tra loro profondamente
differenti,  meritevoli di diverso trattamento, che non puo', invece,
essere assicurato.
   E'   del   tutto  evidente,  pertanto,  che  la  generalizzata  ed
automatica  applicazione  del  trattamento  di  favore previsto dalla
disposizione   censurata,  nell'assegnare  un  identico  beneficio  a
condannati  che  presentino fra loro differenti stadi del percorso di
risocializzazione   e   diversi   gradi   di  pericolosita'  sociale,
compromette,  ad  un tempo, non soltanto il principio di uguaglianza,
finendo  per  omologare  fra  loro,  senza  alcuna  plausibile ratio,
situazioni  diverse,  ma  anche  la stessa funzione rieducativa della
pena,  posto  che  il  riconoscimento di un beneficio che non risulti
correlato   alla  positiva  evoluzione  nel  trattamento  compromette
inevitabilmente    l'essenza   stessa   della   progressivita',   che
costituisce il tratto saliente dell'iter riabilitativo. L'automatismo
che  si  rinviene  nella  norma  denunciata e' poi in contrasto con i
principi  di  proporzionalita'  e individualizzazione della pena come
precisati dalla richiamata giurisprudenza.
   Ne  consegue  il  contrasto  della  norma censurata con l'art. 27,
terzo comma, Cost., oltre che con l'art. 3 Cost.
   La  norma  stessa appare in contrasto con l'art. 3 Cost. anche per
lesione del canone della ragionevolezza.
   In  via generale, il bilanciamento degli interessi coinvolti ed il
sacrificio  di  alcuni  di  essi, in favore di altri, soggiacciono al
limite  della  ragionevolezza  della scelta legislativa, nel senso di
una  non  arbitraria  e non ingiustificata composizione dei valori in
giuoco.
   Nel  giudizio  sulla  razionalita'  di  una disciplina non si deve
guardare  solo  alla  posizione  formale di chi ne e' destinatario ma
anche alla funzione e allo scopo cui essa e' preordinata (Corte cost.
sentenza n. 54 del 1968). Sotto tale profilo, sulla base dei principi
affermati dalla giurisprudenza di legittimita' puo' affermarsi che la
ratio  delle  norme  sul differimento obbligatorio e' la tutela della
salute  e  dell'umanita'  della  pena;  sicuramente  finalizzato alla
tutela  della  salute  della  donna  e  del nascituro e' il rinvio in
presenza  dello stato di gravidanza, mentre il differimento nel primo
anno   di   vita  del  bambino  puo'  essere  ricondotto,  oltre  che
all'esigenza  di  assicurare  il  senso di umanita' della pena, anche
alla  tutela  dell'interesse del minore ad un corretto sviluppo della
personalita',  e,  in  funzione  di  tale  interesse, alla tutela del
rapporto  che  in  tale periodo necessariamente si svolge tra madre e
figlio,  non  tanto  e  non solo per cio' che attiene ai bisogni piu'
propriamente  biologici,  ma  anche  in  riferimento alle esigenze di
carattere  relazionale  e  affettivo che sono collegate allo sviluppo
della personalita' del bambino (v. con riferimento ad altre norme che
prevedono benefici nel periodo immediatamente susseguente al parto v.
sentenza n. 376 del 2000 Corte costituzionale).
   Se  questa  e' la ratio dell'istituto del differimento, che incide
su  altri interessi pure costituzionalmente rilevanti, deve ritenersi
che la norma sia espressiva di un giudizio di valore risultante dalla
ponderazione    di    due    interessi    in    conflitto,   entrambi
costituzionalmente  rilevanti. Caratteristica dei valori (o principi)
costituzionali     soggetti    a    bilanciamento,    e'    la    non
predeterminabilita'  in  assoluto,  una  volta  per  tutte,  dei loro
rapporti reciproci di sovra o sottordinazione. La prevalenza dell'uno
sull'altro,  quando il bilanciamento non sia rimesso caso per caso al
giudice,  ma  sia  operato  dalla  legge  nella  forma  di  una norma
astratta,  deve essere collegata a determinate condizioni tipiche. In
assenza  di tali condizioni l'esito della valutazione comparativa non
puo'  essere  il  medesimo.  Percio',  una  norma di questo tipo, per
essere  costituzionalmente  legittima,  non deve escludere, in ordine
all'interesse     postergato,    la    possibilita'    della    prova
dell'inesistenza, nel caso concreto, delle condizioni che, secondo il
bilanciamento  sotteso  alla norma stessa, giustificano la precedenza
attribuita  all'interesse  antagonistico  (v.  in  tal senso sentenza
Corte cost. 1° aprile 1992, n. 149).
   In applicazione di analogo principio, con riferimento all'istituto
del  differimento  della pena nei confronti dei condannati affetti da
AIDS,  la  Corte  costituzionale  con  sentenza  n. 438  del  1995 ha
ritenuto  non  conforme  al  canone  della ragionevolezza l'art. 146,
primo comma n. 3), c.p., nella parte in cui non consente di accertare
in  concreto  se  ai  fini  dell'esecuzione  della  pena le effettive
condizioni  di  salute  del condannato siano compatibili con lo stato
detentivo,    poiche'    intanto   si   puo'   ritenere   ragionevole
l'allontanamento  dal  carcere in quanto la relativa permanenza negli
istituti  cagioni  un  pregiudizio  alla  salute del soggetto e degli
altri   detenuti,   posto   che   altrimenti   risulterebbero   senza
giustificazione  compromessi  altri  beni  riconosciuti  come primari
dalla Carta fondamentale.
   Nel  caso  di  specie,  la  restrizione  in carcere nel periodo di
gestazione  non  ha cagionato alcun concreto pregiudizio alla n. e al
minore,  come  risulta  dalla  relazione del sanitario del carcere di
Venezia.  Nel carcere femminile di Venezia, inoltre, il minore fruiva
dell'assistenza   sanitaria  e  della  presenza  della  puericultrice
assicurate in istituto.
   Per   converso,   come   evidenziato,   nei  periodi  di  liberta'
conseguenti  ai  benefici ottenuti, la n. non ne ha fatto uso al fine
di dedicarsi alla cura dei figli in tenera eta', ma piu' volte (anche
in  occasione  delle  precedenti  gravidanze)  e'  stata denunciata e
arrestata  in  flagranza  mentre  era  dedita al furto, lontana dagli
accampamenti  dove  i figli erano verosimilmente affidati a parenti o
altri   componenti   del   gruppo,   e  ha  tenuto  un  atteggiamento
irresponsabile,  perseverando nel proprio stile di vita antinormativo
e  inadatto  sia ad una gestante che ad una madre di figlio in tenera
eta'. Come emerge dagli studi sociologici in materia, spesso le donne
nomadi  sono  indotte  o  addirittura  costrette  al delitto dai loro
uomini,   e   per  dedicarsi  a  tale  attivita'  lasciano  i  minori
nell'accampamento affidandoli a parenti o a terzi, salvo portarli con
se'  in  alcune delle imprese criminose, al fine di ottenere, in caso
di arresto, un benevolo trattamento cautelare.
   Come   ricordato   dalla  Corte  costituzionale  nella  menzionata
sentenza  n. 438  del  1995,  «il  rinvio  dell'esecuzione della pena
detentiva  si e' sempre saldamente attestato intorno a un presupposto
unificante,  vale  a  dire  le  particolari  condizioni di salute del
condannato   e   la   ritenuta  inconciliabilita'  delle  stesse  con
l'altrettanto  peculiare  regime  carcerario.  Illuminanti,  a questo
proposito,  sono  alcuni  passaggi  della  Relazione ministeriale sul
progetto  del  codice  penale  ove,  appunto, si giustifica il rinvio
obbligatorio  dell'esecuzione della pena nel caso della donna incinta
che  abbia  partorito da meno di sei mesi, proprio con le difficolta'
di  assistenza  negli  stabilimenti  carcerari  che quelle condizioni
personali necessariamente richiedono».
   La  concreta  realta'  delle  istituzioni carcerarie e', tuttavia,
profondamente  mutata  rispetto  all'epoca  di  entrata in vigore del
codice   penale,  sulla  scia  dei  principi  affermati  dalla  Carta
costituzionale  in  materia  di  esecuzione penale, e dell'incessante
processo di riforma dell'ordinamento penitenziario che ne e' seguito.
L'assistenza  alla  detenuta  in  stato di gestazione non rappresenta
piu', generalmente, un problema nella realta' degli istituti di pena,
tenuto  anche  conto della possibilita' di ricorrere al trasferimento
esterno  ex  art.  11 o.p., e inoltre la carcerazione puo' comportare
rischi  per la gestazione di gran lunga inferiori rispetto allo stato
di  liberta'  nei  casi  in cui, come in quello in esame, lo stato di
liberta'  non  si  accompagni  ad  uno  stile di vita, anche sotto il
profilo  igienico-sanitario,  oltre  che  delle abitudini quotidiane,
adeguato  alla  particolare  situazione.  A  cio' si aggiunga che nel
concedere  il beneficio del differimento il Tribunale di Sorveglianza
non   puo'   imporre  alcuna  prescrizione  finalizzata  alla  tutela
dell'interesse  del  nascituro,  posto  che  secondo  la  consolidata
giurisprudenza  l'imposizione  di obblighi accessori e' incompatibile
con  la  concessione  del  beneficio (Cass., sez. I, 2 dicembre 1992,
n. 4591). Anche sotto il profilo della salute psico-fisica dei minori
la  situazione  degli  istituti  di pena e' difforme da quella tenuta
presente   nel  codice  penale;  l'amministrazione  penitenziaria  ha
autorizzato  nel  corso degli anni l'istituzione di asili nido presso
alcune  strutture  penitenziarie  destinate esclusivamente alle donne
(Pozzuoli,  Roma  Rebibbia, Trani, Perugia e Venezia) e, su richiesta
delle  direzioni,  presso  le  sezioni  femminili  presenti in alcuni
istituti di pena destinati agli uomini, in attuazione del disposto di
cui  all'art.  19,  d.P.R.  n. 230/2000. La stessa amministrazione ha
invitato  le  direzioni  ad  assicurare almeno un asilo nido per ogni
regione  e  inoltre  la  presenza  di  operatori specializzati, quali
puericultrici,  in tre istituti penitenziari (Roma, Venezia, Milano).
In  qualche  istituto sono presenti un servizio di ludoteca e qualche
servizio  di ausilio, quali, ad esempio, 1'accompagnamento del minore
da  parte  di  volontari  all'asilo  nido  comunale presso l'istituto
penitenziario  di Venezia Giudecca e Roma Rebibbia, la colonia estiva
in localita' Lido - Alberoni per i piccoli ospiti del nido di Venezia
Giudecca  (v.  sul punto i dati riportati nella risoluzione approvata
dal  C.S.M.  nella  seduta  del  27  luglio  2006  sulla tutela della
maternita'  e  dei  figli  minori  dei  detenuti).  In  alcuni  casi,
pertanto,  non  puo'  a  priori  escludersi  che in alcuni nidi degli
istituti  di  pena  siano  assicurati  al  minore  un'assistenza piu'
adeguata  da  punto di vista sanitario, e inoltre forme di assistenza
finalizzate  ad  un  corretto  sviluppo  della personalita' (quali la
frequenza  del  nido  comunale,  l'assistenza della puericultrice, la
colonia   estiva,   le   attivita'   ricreative   organizzate   dalle
associazioni   di  volontariato)  non  assicurate  in  alcuni  gruppi
familiari   inseriti   in   culture  di  microcriminalita'  prive  di
riferimenti abitativi stabili.
   E'  proprio  la  rigida  presunzione  stabilita dal legislatore ad
apparire  priva  di  adeguato  fondamento e tale da rendere dubbia la
razionalita'  di  una  norma  dalla cui concreta applicazione possono
generarsi  ingiustificate  compromissioni di altri interessi tutelati
dall'ordinamento.  Le  ipotesi  del  differimento obbligatorio per la
donna incinta o madre di figlio di eta' inferiore ad anni uno sono le
sole,  tra quelle previste dall'art. 146 c.p., a non ammettere alcuna
verifica in concreto sulla sussistenza di una effettiva situazione di
pregiudizio  agli  interessi  che  la  norma  tende  a  tutelare o di
contrarieta'  dell'esecuzione  penale  al senso di umanita' (verifica
prevista,  invece,  nelle  ipotesi  dei  condannati affetti da AIDS o
altra  malattia  particolarmente  grave),  ed  inoltre  che hanno una
difforme  regolamentazione  in sede cautelare e in sede esecutiva. La
possibilita' di verificare la sussistenza di una effettiva situazione
di pregiudizio allo sviluppo psico-fisico del minore conseguente alla
carcerazione  della madre o di contrarieta' dell'esecuzione penale al
senso  di umanita' (verifica che andrebbe effettuata caso per caso in
relazione  alle strutture disponibili, alla personalita' del minore e
della  madre e alle condizioni di vita della famiglia) consentirebbe,
invece,  un'adeguata  composizione  degli  interessi configgenti e la
salvaguardia  della  ratio  dell'istituto  del  differimento,  le cui
finalita', invece, vengono in casi come quello in esame completamente
snaturate.
   La  disposizione  impugnata  deve ritenersi non conforme al canone
della ragionevolezza nella parte in cui non consente, quando vi siano
significative   esigenze   di   sicurezza  sociale  e  la  detenzione
domiciliare  non  sia  adeguata  a prevenire il pericolo di recidiva,
bensi'   venga   revocata,  di  accertare  in  concreto  se  ai  fini
dell'esecuzione  della  pena  la carcerazione della madre comporti un
effettivo pregiudizio, tale da rendere contraria al senso di umanita'
l'esecuzione penale, e se la scarcerazione «secca» sia effettivamente
idonea  ad assicurare la tutela degli interessi ai quali il beneficio
e' preordinato. Da qui il contrasto della norma denunciata con l'art.
3  Cost.,  ravvisabile non solo sotto il profilo della violazione del
canone  della  ragionevolezza,  per  le ragioni evidenziate, ma anche
sotto   il   profilo  della  razionale  uniformita'  del  trattamento
normativo,  in quanto in presenza delle medesime condizioni (stato di
gestazione  e  presenza di un figlio di eta' inferiore ad un anno) e'
consentito  solo  nella  fase cautelare disporre la carcerazione, sia
pure  ove  sussistano esigenze di eccezionale rilevanza. Non e' senza
rilievo  il fatto che l'art. 275 c.p.p. sia stato rimaneggiato con la
legge 26 marzo 2001, n. 128, una legge dunque posteriore alla legge 8
marzo  2001,  n. 40  che  ha modificato l'art. 146 c.p. estendendo il
differimento obbligatorio fino ad un anno di vita del bambino. Sino a
prova del contrario, pertanto, l'interprete e' portato a ritenere che
il  legislatore  abbia  consapevolmente tenuto distinta la disciplina
del  rinvio  dell'esecuzione  della  pena  rispetto  a  quella  della
custodia cautelare.
   E'  pacifico che le misure cautelari si distinguano dalla pena per
natura  e  finalita', si' da non apparire irragionevole, in astratto,
una  difforme  disciplina  (v.  in  tal  senso  Corte  cost. sentenza
n. 25/1979);  come affermato dalla giurisprudenza di legittimita' (v.
sentenza  Cass.  n. 43014  del  2001) scopo della misura cautelare e'
quello  di  assicurare  una o piu' delle esigenze di cui alle lettere
a),  b) e c) del primo comma dell'art. 274 c.p. Si tratta, dunque, di
una  finalita'  da un lato contingente in quanto legata all'evolversi
di una fase procedimentale, dall'altro strumentale, in quanto posta a
garanzia delle indagini e del processo, oltre che della collettivita'
quando sussista il pericolo della commissione di altri reati. In tale
ottica,  il  legislatore si' e' posto il problema di un bilanciamento
tra  le esigenze di cautela e le esigenze di tutela della salute o di
altre situazioni personali dell'indagato, contemperando tali esigenze
con la previsione dei limiti alla custodia cautelare in carcere nelle
ipotesi previste dall'art. 275, comma 4 c.p.p.
   Nel  caso  di  specie,  pero'  (come  in  altri casi analoghi), le
esigenze  cautelari  di  eccezionale rilevanza ritenute sussistenti a
carico  della  n. nelle menzionate ordinanze custodiali del Tribunale
di Verona e del Tribunale di Milano sono rappresentate dalle esigenze
di tutela della collettivita', previste dall'art. 274, comma 1, lett.
e)  c.p.p.; non si tratta, quindi, di esigenze poste a garanzia delle
indagini  e  del  processo, tipiche solo delle misure cautelari e non
della   pena  (esigenze  che  potrebbero  giustificare  una  difforme
disciplina), ma delle esigenze di tutela della collettivita' alla cui
salvaguardia  e' finalizzata anche la pena, la cui composita funzione
comprende  anche  le  esigenze  di  prevenzione  e  di  tutela  della
collettivita'.  In  presenza  delle  medesime  esigenze  di sicurezza
sociale e delle medesime situazioni personali, l'ordinamento consente
solo  al giudice della cautela la salvaguardia delle prime, ove siano
di  eccezionale  rilevanza,  mentre dopo il passaggio in giudicato le
stesse  esigenze  sono postergate e nessuna verifica e' consentita al
giudice  di  sorveglianza  in  merito all'eccezionalita' delle stesse
esigenze  e  all'esistenza effettiva di pregiudizio per la madre e il
minore.  Come  emerge dall'esposizione dei fatti, la n. e' rimasta in
carcere   sottoposta  a  custodia  cautelare  fino  al  passaggio  in
giudicato  delle due condanne della cui esecuzione si discute, e fino
a  tale  momento l'ordinamento ha consentito al giudice della cautela
la  salvaguardia  delle  esigenze  di  sicurezza sociale, mentre dopo
l'irrevocabilita'  delle  sentenze  tali  esigenze  non possono avere
alcuna  rilevanza,  se non ai fini della concessione della detenzione
domiciliare,  nel  caso  di  specie  revocata  in  data odierna e non
concedibile per la certa inaffidabilita' della condannata; in caso di
ulteriore    (e   irragionevole)   concessione   della   misura,   ne
conseguirebbe    verosimilmente   una   inarrestabile   sequenza   di
sottrazioni alla detenzione domiciliare e di ripristino della stessa,
che  da un lato svilirebbe l'essenza stessa della misura e dall'altra
lascerebbe di fatto integralmente sguarnite le esigenze che la misura
e'  invece  destinata  a salvaguardare (in tal senso, con riferimento
agli  arresti domiciliari per i malati di AIDS, v. Corte cost. n. 439
del  1995).  Appare  irragionevole  che  in  presenza  delle medesime
condizioni  e  delle  medesime  esigenze da salvaguardare il difforme
trattamento  previsto  dalla  legge  sia  determinato da un dato solo
formale   quale   il  passaggio  in  giudicato  della  sentenza  (che
determinata  la  trasformazione  giuridica  della  condanna in titolo
esecutivo),  indipendente  dal comportamento del reo. Con riferimento
ad  altra  ipotesi  di  differimento  obbligatorio  (per i condannati
affetti da AIDS) la Corte costituzionale ha, invece, reso omogenea la
disciplina  in  sede  cautelare ed esecutiva con le sentenze n. 438 e
439 de1 1995.
   Ancora,   sotto   il   profilo  della  razionale  uniformita'  del
trattamento   normativo,   va   rilevato   che   in   altri   settori
l'ordinamento,  nel  prevedere  particolari  forme  di  tutela  della
maternita'  e  del  minore  nella  fase  immediatamente successiva al
parto,  non  trascura  la  salvaguardia  delle  esigenze di sicurezza
sociale:  basti pensare al divieto di espulsione della donna in stato
di  gravidanza  o nei sei mesi successivi al parto previsto dall'art.
19,  d.lgs.  n. 286/1998  (divieto  esteso  all'espulsione del marito
convivente  della  donna  a  seguito della sentenza della Corte cost.
n. 376  del  27  luglio  2000), che trova un limite nelle esigenze di
tutela e sicurezza dello Stato.
   Deve, infine, rilevarsi che la particolare normativa di favore per
le  donne in stato di gravidanza e puerperio puo' indurre, come nella
pratica  gia'  avviene,  ad  una  strumentalizzazione a fini illeciti
della maternita' e del rapporto di filiazione, con conseguente scelta
della  procreazione al solo fine di ottenere l'impunita' di fatto dai
delitti   commessi;   ne  consegue  lo  snaturamento  della  funzione
dell'istituto, con lesione dell'art. 30 Cost.
   Per  le  esposte ragioni, ritiene questo tribunale di sorveglianza
che  si imponga la sospensione del procedimento e la rimessione degli
atti   alla   Corte   costituzionale,   risultando  rilevante  e  non
manifestamente  infondata la questione di costituzionalita' dell'art.
146,  comma 1, n. 2), c.p., nella parte in cui in cui non consente al
tribunale  di  sorveglianza, nel caso in cui disponga la revoca della
detenzione  domiciliare,  di accertare in concreto se la tutela delle
esigenze  del minore sia incompatibile con l'esecuzione della pena in
carcere,    e,    conseguentemente,   di   negare   il   differimento
dell'esecuzione  della  pena  quando  il  beneficio  non sia ritenuto
adeguato  alle  finalita'  previste  dall'alt. 27, terzo comma, della
Costituzione.
                              P. Q. M.
   Visti ed applicati gli artt. 1, legge n. 1/1948, 23 legge 11 marzo
1953, n. 87, 146 c.p., 678, 684 c.p.p.;
   Dichiara  rilevante  ai  fini  del  giudizio  e non manifestamente
infondata,  nei  termini  esposti  in  motivazione,  la  questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 146, primo comma, n. 2), c.p.,
in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 30 Cost., nella parte
in cui non prevede che il giudice possa negare il differimento quando
lo  ritenga  non adeguato alle finalita' previste dall'art. 27, terzo
comma,  della  Costituzione  e  sussista  il  pericolo di eccezionale
rilevanza  di commissione di altri delitti, la detenzione domiciliare
non  sia  idonea  a  prevenire  il  pericolo  di  recidiva, e inoltre
l'espiazione  della  pena  possa  avvenire  senza  pregiudizio per le
esigenze tutelate dalla norma;
   Sospende  il procedimento e dispone l'immediata trasmissione degli
atti   alla  Corte  costituzionale,  riservando  la  definizione  del
procedimento all'esito della decisione della Corte adita;
   Ordina  che,  a  cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
comunicata  al  Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti
delle due Camere del Parlamento;
   Manda per le notifiche e comunicazioni prescritte alla condannata,
al  difensore,  al  Procuratore  generale  della Repubblica presso la
Corte d'appello di Venezia.
     Cosi' deciso in Venezia, in data 15 luglio 2008.
                      Il Presidente: Tamburino
                                           Il giudice estensore: Vono