N. 425 ORDINANZA 17 dicembre 2008

Segreto  di Stato - Procedimento penale per favoreggiamento personale
  e  sequestro  di persona in danno di Abu Omar - Note del Presidente
  del Consiglio dei ministri di conferma del segreto di Stato opposto
  dai  testimoni  -  Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
  sollevato  dal  Tribunale  di  Milano, Sez. IV penale - Delibazione
  sommaria   sull'ammissibilita'  del  conflitto  -  Sussistenza  dei
  requisiti  soggettivo  ed  oggettivo - Ammissibilita' del ricorso -
  Comunicazioni e notificazioni conseguenti.
- Lettere  del  Presidente del Consiglio dei ministri del 15 novembre
  2008, prot. n. USG/2.SP/556/50/347 e n. USG/2.SP/557/50/347 e del 6
  ottobre 2008 prot. n. 6000.1/42025/GAB.
- Costituzione art. 101; legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 37, terzo e
  quarto comma.
(GU n.53 del 24-12-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giovanni Maria FLICK;
Giudici:  Francesco  AMIRANTE,  Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio
   FINOCCHIARO,  Alfonso  QUARANTA,  Franco  GALLO,  Luigi  MAZZELLA,
   Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria Rita SAULLE, Giuseppe
   TESAURO,   Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Alessandro
   CRISCUOLO;
ha pronunciato la seguente
                              Ordinanza
nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
proposto  dal  Tribunale  di Milano, Sezione IV penale, nei confronti
del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri in relazione alle note
protocolli USG/2.SP/556/50/347 e USG/2.SP/557/50/347, entrambe del 15
novembre  2008,  ed  alla  nota  protocollo  N.6000.1/42025/GAB del 6
ottobre   2008,   conflitto   proposto   con  ricorso  depositato  in
cancelleria  il  3  dicembre  2008  ed iscritto al n. 20 del registro
conflitti tra poteri dello Stato 2008, fase di ammissibilita';
   Udito  nella  Camera  di consiglio del 17 dicembre 2008 il giudice
relatore Alfonso Quaranta;
   Ritenuto  che il Tribunale ordinario di Milano, Sezione IV penale,
in composizione monocratica ha proposto conflitto di attribuzione tra
poteri  dello Stato «in relazione alle due lettere del Presidente del
Consiglio  dei  ministri  del 15 novembre 2008 (USG/2.SP/556/50/347 e
USG/2.SP/557/50/347), con cui e' stato confermato il segreto di Stato
opposto dai testimoni sig. ri Giuseppe Scandone e Lorenzo Murgolo nel
corso  delle  udienze  dibattimentali rispettivamente del 15 e del 29
ottobre 2008, relative al processo a carico di Adler Monica Courteney
ed  altri  pendente  dinanzi  la  IV  Sezione penale del Tribunale di
Milano  con  n. R.G.  5335/07, nonche', ove occorra, alla lettera del
Presidente    del    Consiglio    datata    6    ottobre   2008   (N.
6000.1/42025/GAB)»;
     che  il  ricorrente  premette,  in  punto  di  fatto,  di essere
«titolare  del  processo  a carico di Adler Monica Courteney ed altri
relativo   ai   reati   di   sequestro  di  persona  aggravato  e  di
favoreggiamento   personale,   meglio  conosciuto  come  relativo  al
sequestro “Abu Omar”»;
     che   egli   rammenta,   inoltre,  come  in  relazione  a  detto
procedimento  risultino  pendenti  innanzi  alla Corte costituzionale
gia'  «cinque  ricorsi  per  conflitto di attribuzione», l'ultimo dei
quali,  in  ordine  di  tempo,  e'  stato promosso dal Presidente del
Consiglio dei ministri proprio nei confronti dell'odierno ricorrente,
in   relazione  alla  sua  decisione  «di  riaprire  il  processo»  -
precedentemente sospeso, ai sensi 479 del codice di procedura penale,
in  attesa  di  una  decisione  della  Corte  in  ordine  ai  quattro
precedenti ricorsi - nonche' «di ammettere le testimonianze di alcuni
appartenenti   o   ex  appartenenti  ai  Servizi  di  informazione  e
sicurezza», come da richiesta formulata dal pubblico ministero;
     che   il  ricorrente,  nel  promuovere  il  presente  conflitto,
evidenzia,  in  via  preliminare, che proprio l'ulteriore svolgimento
del  processo  -  in  relazione  al quale e' insorta la necessita' di
adire  nuovamente la Corte costituzionale, a norma dell'art. 37 della
legge  11  marzo  1953,  n. 87 - avrebbe confermato che «l'ammissione
delle suddette testimonianze non poteva, di per se' stessa, cagionare
un  disvelamento  di  notizie secretate, restando fermo il dovere dei
testimoni,  penalmente  sanzionato  (art. 261 c.p.), di astenersi dal
rivelare   tali  informazioni  e  di  attivare,  ove  necessario,  il
meccanismo   legale   di   tutela   del  segreto  di  Stato,  fondato
sull'opposizione  e  sulla  successiva  conferma  del  Presidente del
Consiglio (art. 202 c.p.p.)»;
     che  risulterebbe, cosi', «definitivamente provato» - a dire del
ricorrente - «che la mera ammissione dei testimoni non avrebbe potuto
cagionare   alcun   pregiudizio   all'interesse   alla   segretezza»,
diversamente  da  quanto  ipotizzato dal Presidente del Consiglio dei
ministri  nel  ricorso iscritto al n. 14 del registro per i conflitti
di attribuzione tra poteri dello Stato dell'anno 2008;
     che,  cio'  premesso,  il ricorrente - passando ad illustrare il
contenuto  dell'odierno  conflitto  - evidenzia come la difesa di uno
degli imputati, all'udienza del 15 ottobre 2008, abbia depositato una
lettera  del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 ottobre 2008
(N.  6000.1/42025/GAB),  «inoltrata  a  tutti  gli  appartenenti o ex
appartenenti  ai  Servizi  chiamati  a  testimoniare»  nel  giudizio,
documento  con  il  quale  -  si  legge  ancora nel ricorso - «veniva
ricordato  che sul fatto del sequestro Abu Omar non esiste segreto di
Stato,  mentre  rimane  coperto  da  segreto  “ogni e qualsiasi
rapporto  fra  Servizi  italiani e Servizi stranieri nel quadro della
tutela  delle relazioni internazionali”, con conseguente dovere
per  i suddetti testimoni di opporre il segreto di Stato in relazione
a  “qualsiasi  rapporto  fra  i  Servizi  italiani  e stranieri
ancorche'  in  qualche  modo  collegato  o  collegabile  con il fatto
storico meglio noto come sequestro Abu Omar”»;
     che  -  riferisce  ancora  il  ricorrente  - sempre nel corso di
quella  stessa  udienza  del  15  ottobre il teste Giuseppe Scandone,
«richiamandosi alla citata lettera/direttiva», opponeva il segreto di
Stato  nel  rispondere  ad una domanda relativa ad eventuali ordini o
direttive,  impartiti  da  uno  degli  imputati,  volti «a vietare ai
propri  sottoposti  il  ricorso  a  mezzi  illeciti  di contrasto del
terrorismo  internazionale  e,  in particolare, le c.d. extraordinary
renditions»;
     che  richiesto,  pertanto, dalla difesa del predetto imputato di
«attivare  la  procedura d'interpello» di cui all'art. 202 del codice
di  procedura  penale,  l'odierno ricorrente, disattendendo l'istanza
del pubblico ministero di dichiarare la «eversivita' dell'ordinamento
costituzionale»  dei reati contestati (decisione adottata dal giudice
sul  presupposto che, anche per esplicita affermazione del Presidente
del  Consiglio dei ministri, «sulla vicenda relativa al sequestro Abu
Omar  non  risulta  essere  stato apposto ed opposto alcun segreto di
Stato»,    sicche'    «l'eventuale    declaratoria   di   eversivita'
dell'ordinamento   costituzionale   del   reato   contestato»   nulla
«toglierebbe  o  aggiungerebbe alla possibilita' di perseguimento del
reato  in  questione»),  si rivolgeva al Presidente del Consiglio dei
ministri  perche' confermasse l'esistenza del segreto «su direttive e
ordini  impartiti dal Generale Nicolo' Pollari» del tipo sopra meglio
individuato;
     che,  analogamente,  avendo  anche il teste Lorenzo Murgolo, nel
corso  dell'udienza  dibattimentale  del  6  ottobre 2008, opposto il
segreto  - anch'egli richiamandosi alla gia' citata lettera/direttiva
del  6  ottobre  2008  -  in  relazione  alla  richiesta del pubblico
ministero  «di ripetere quanto gia' riferito nel corso delle indagini
preliminari  in  ordine  ad alcuni suoi colloqui con l'imputato dott.
Mancini  e relativi al coinvolgimento di quest'ultimo nel sequestro e
alla    sua   partecipazione   ad   una   riunione   con   “gli
americani” a Bologna», l'odierno ricorrente attivava, del pari,
la procedura di interpello di cui all'art. 202 cod. proc. pen.;
     che,   inoltre,   il   ricorrente   deduce   -   nel  concludere
l'esposizione in fatto del ricorso - che con due note del 15 novembre
2008  il  Presidente  del  Consiglio  dei ministri «rispondeva ai due
interpelli,  confermando  il segreto opposto dai testi e precisando i
limiti  entro  i quali - ad avviso dell'Esecutivo - dovrebbe muoversi
l'Autorita' giudiziaria»;
     che,  da  un  lato,  la  conferma  del segreto opposto dai testi
veniva  motivata  con  l'esigenza  di «preservare la credibilita' del
Servizio   nell'ambito  dei  suoi  rapporti  internazionali  con  gli
organismi  collegati»,  e  cio' in quanto «la divulgazione di notizie
rivelatrici,  anche  di parti soltanto di tali rapporti, esporrebbe i
nostri  Servizi  al  rischio concreto di un ostracismo informativo da
parte di omologhi stranieri, con evidenti negativi contraccolpi nello
svolgimento di attivita' informativa presente e futura»;
     che, dall'altro - e con specifico riferimento al segreto opposto
dal  teste  Scandone  - la conferma del segreto era motivata anche in
ragione  della  «esigenza  di  riserbo  che deve tutelare gli interna
corporis  di ogni Servizio, ponendo al riparo da indebita pubblicita'
le sue modalita' organizzative ed operative»;
     che,  inoltre,  in  quella stessa occasione l'odierno ricorrente
chiedeva   un   chiarimento  circa  il  significato  dell'espressione
«circostanze  relative  a qualsiasi rapporto fra i Servizi italiani e
stranieri collegate o collegabili» al «fatto storico meglio noto come
“sequestro  Abu  Omar”»  (circostanze  che,  nella citata
lettera/direttiva del 6 ottobre 2008 del Presidente del Consiglio dei
ministri,  si  affermavano  coperte da segreto), chiedendosi come sia
possibile  per  l'autorita'  giudiziaria  «accertare l'esistenza e la
commissione, da parte di persone individuate come imputati, del reato
in  questione se nessuna domanda puo' essere posta ai testi in merito
alla   collegabilita'  del  fatto  con  le  condotte  degli  imputati
medesimi»,   e   dunque   evidenziando   la   contraddittorieta'  tra
l'affermazione  di  principio  «che  su  un  fatto-reato  non  esiste
segreto»  e  la decisione di «non consentire l'accertamento del fatto
medesimo in tutte le sue componenti, oggettive e soggettive»;
     che,  infine,  in merito ai chiarimenti sollecitati dall'odierno
ricorrente,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  escludeva
l'esistenza di qualsiasi contraddizione nell'affermare, nel contempo,
l'insussistenza  del  segreto  sul  fatto-reato  e  la segretezza del
rapporto  tra  Servizi italiani e stranieri, sebbene quest'ultimo sia
«in  qualche modo collegato o collegabile con il fatto storico meglio
noto  come  sequestro Abu Omar», giacche' «l'Autorita' giudiziaria e'
libera  di indagare, accertare e giudicare il fatto-reato de quo, non
coperto  da  segreto,  con tutti i mezzi di prova consentiti», con la
sola  esclusione,  pero',  proprio  perche'  «coperti da segreto», di
«quelli   che  hanno  tratto  ai  rapporti  fra  Servizi  italiani  e
stranieri»;
     che,   tanto  premesso,  il  ricorrente,  nel  rilevare  che  le
affermazioni  del  Presidente  del Consiglio dei ministri «rendono di
fatto   assai   arduo  il  concreto  e  pieno  esercizio  dei  poteri
giurisdizionali»,   ha  ritenuto  di  dover  promuovere  il  presente
conflitto,  ritenendo  «pacifica»  -  alla  stregua  di  una costante
giurisprudenza  costituzionale - tanto la legittimazione «dei singoli
organi  giurisdizionali  a  essere  parte  di  un  conflitto», quanto
«quella  del  Presidente  del  Consiglio a resistere», richiamando in
proposito,  in  particolare,  l'ordinanza n. 230 del 2008 della Corte
costituzionale;
     che sotto il profilo oggettivo, poi, il ricorrente deduce che la
propria  iniziativa tende a far accertare «l'illegittima compressione
delle  attribuzioni e dei poteri propri dell'autorita' giudiziaria di
cui  agli artt. 101 e ss. Cost.» derivante, nel caso di specie, tanto
«dall'affermazione,   da   parte   del   Presidente   del  Consiglio,
dell'esistenza   di   una   preclusione,   nel   giudizio   de   quo,
all'utilizzazione  di  tutti i mezzi di prova “che hanno tratto
ai  rapporti  fra  Servizi italiani e stranieri”», quanto dalla
conferma  del segreto opposto dai testi Scandone e Murgolo in ordine,
rispettivamente,  «all'esistenza e al contenuto di direttive o ordini
impartiti  dal  Generale  Pollari  relativi  alle  c.d. renditions» e
all'eventuale coinvolgimento dell'imputato Mancini «nel sequestro» di
Abu  Omar,  nonche'  «alla  sua  partecipazione  ad  una riunione con
“gli americani” a Bologna»;
     che il ricorrente - nel premettere che la disciplina del segreto
di  Stato  si  fonda sulla «ricerca di un punto di equilibrio tra due
interessi parimenti essenziali e insopprimibili della collettivita'»,
ovvero,  «da  un  lato,  la  tutela  giurisdizionale dei diritti e la
perseguibilita'  dei reati e, dall'altro, la sicurezza dello Stato» -
evidenzia come l'opposizione e la conferma del segreto, determinando,
obiettivamente,  «un  importante  limite  alla “naturale”
potesta'  del giudice di acquisire e utilizzare fonti di prova su cui
fondare il proprio libero convincimento», si debbano compiere, non in
assenza  di  «qualsiasi  vincolo»,  bensi'  nel  rispetto  di «alcuni
fondamentali   principi  e,  in  particolare,  quelli  di  legalita',
correttezza   e  di  lealta',  nonche'  proporzionalita'  (recte:  di
“ragionevole  rapporto di mezzo a fine”)» (e' richiamata,
sul punto, la sentenza n. 86 del 1977 della Corte costituzionale);
     che l'osservanza di tali principi non si riscontrerebbe, invece,
nell'ipotesi in esame;
     che,  difatti,  se  nel  caso de quo - evidenzia il ricorrente -
sembra  «potersi  affermare che Presidente del Consiglio ed autorita'
giudiziaria  concordano» sia «sul fatto che il sequestro Abu Omar, in
quanto  fatto-reato,  non  e'  coperto da segreto di Stato», sia «sul
rilievo  che vi sono tuttavia notizie liminari a tale fatto di reato,
di cui deve essere garantita la segretezza», nondimeno, esiste tra di
essi  discordanza  di  vedute  circa la concreta individuazione della
«linea  di  confine  tra  cio'  che e' segreto e cio' che non lo e'»,
nonche'     in     ordine     al     «significato    dell'espressione
“fatto-reato” non secretato»;
     che,  infatti,  nella  lettera/direttiva  del 6 ottobre 2008, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha affermato la sussistenza del
segreto  su  «qualsiasi  rapporto  fra i Servizi italiani e stranieri
ancorche'  in  qualche  modo  collegato  o  collegabile  con il fatto
storico meglio noto come sequestro Abu Omar», specificando, altresi',
che  l'autorita'  giudiziaria  «e'  libera  di  indagare, accertare e
giudicare  il fatto-reato de quo, non coperto da segreto, con tutti i
mezzi  di  prova  consentiti», con la sola esclusione, pero', proprio
perche' «coperti da segreto», di «quelli che hanno tratto ai rapporti
fra Servizi italiani e stranieri»;
     che,  tuttavia, alla stregua di tali premesse, il Presidente del
Consiglio  dei  ministri,  reputando che l'ambito di operativita' del
segreto comprenda - si legge nel ricorso - «anche i comportamenti dei
singoli agenti, oggi imputati, ancorche' preordinati alla commissione
del  delitto  de  quo», ha ritenuto di confermare «il segreto opposto
dal  teste  Scandone  in  ordine  all'esistenza  e  al  contenuto  di
direttive  o ordini impartiti dal Generale Pollari relativi alle c.d.
renditions, nonche' il segreto opposto dal teste Murgolo in ordine ad
alcuni   suoi  colloqui  con  l'imputato  dott.  Mancini  e  relativi
all'eventuale coinvolgimento di quest'ultimo nel sequestro e alla sua
partecipazione  ad  una  riunione  con  “gli americani” a
Bologna  (colloqui,  peraltro,  gia' riferiti al P.M. nel corso delle
indagini preliminari)»;
     che  cosi'  facendo,  pero',  il  Presidente  del  Consiglio dei
ministri  -  tale  e'  la  doglianza  del  ricorrente - «sembra voler
precludere  al  giudice anche l'accertamento sulla sussistenza o meno
degli  elementi  costitutivi del fatto-reato», essendo quelle domande
rivolte  ad  accertare l'eventuale ruolo nella vicenda degli imputati
Pollari e Mancini;
     che    il    ricorrente,    inoltre,    denuncia    l'intrinseca
contraddittorieta'  delle  suindicate  affermazioni,  giacche', se il
fatto-reato  non e' coperto da segreto, allora non dovrebbero esserlo
- si sottolinea nel ricorso - «neanche le condotte degli imputati che
ne  costituiscono  gli  elementi costitutivi», per l'accertamento dei
quali non si potrebbe, dunque, precludere al giudice l'acquisizione e
l'utilizzazione  anche  di  quei mezzi di prova «che hanno tratto» ai
rapporti  tra  agenti (o ex agenti) dei Servizi italiani e americani,
ancorche'  «collegati  o  collegabili»  alla  commissione  del reato,
giacche'   cio'   significa,   in   definitiva,  proprio  «precludere
all'Autorita'  giudiziaria  di  accertare  la  responsabilita'  degli
agenti/imputati,        inibendole       di       conoscere       del
“fatto-reato”, che pure si afferma non essere secretato»;
     che  simili  conclusioni,  pertanto, finiscono con il risolversi
«in  una sostanziale vanificazione» del potere-dovere del giudice «di
accertare   e   valutare   le  condotte  degli  imputati  e  le  loro
responsabilita'»,  in  contrasto,  innanzitutto, con il «principio di
legalita'»;
     che  la  Corte costituzionale, gia' sotto la vigenza della legge
24 ottobre 1977, n. 801 (Istituzione e ordinamento dei servizi per le
informazioni  e  la  sicurezza e disciplina del segreto di Stato), ha
evidenziato  - espone il ricorrente - che la disciplina in esame «non
delinea(va)   alcuna   ipotesi  di  immunita'  sostanziale  collegata
all'attivita'  dei servizi informativi» (e' citata la sentenza n. 110
del 1998);
     che,  per  contro, se la legge 3 agosto 2007, n. 124 (Sistema di
informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del
segreto) ha previsto un'esimente speciale per gli agenti dei Servizi,
essa,  nel  contempo, non opera - si legge ancora nel ricorso - per i
«delitti   diretti  a  mettere  in  pericolo  o  a  ledere  la  vita,
l'integrita'   fisica,   la  personalita'  individuale,  la  liberta'
personale,  la  liberta'  morale,  la salute o l'incolumita' di una o
piu' persone» (art. 17);
     che,  inoltre,  l'art.  40, comma 3, della medesima legge n. 124
del  2007  ha  stabilito  che  non  possono essere oggetto di segreto
«fatti,  notizie  o documenti concernenti le condotte poste in essere
da  appartenenti  ai  Servizi  di  informazione  per  la sicurezza in
violazione   della   disciplina  concernente  la  speciale  causa  di
giustificazione  prevista  per attivita' del personale dei Servizi di
informazione per la sicurezza»;
     che,   pertanto,   tutto   cio'  evidenzia  l'impossibilita'  di
concepire  «che  un'attivita'  a  tutela  dello  Stato sia svolta con
metodi che contrastino con gli stessi principi su cui esso si fonda»,
e  segnatamente  «con il riconoscimento dei diritti inviolabili della
persona»;
     che  ne  consegue,  dunque,  che  gli  agenti  dei  Servizi «che
commettano  un delitto contro “la vita, l'integrita' fisica, la
personalita'  individuale, la liberta' personale, la liberta' morale,
la   salute   o   l'incolumita”   devono   risponderne  innanzi
all'autorita'  giudiziaria e il loro operato non puo' essere in alcun
caso “coperto” da segreto di Stato»;
     che  tale principio e' stato solo riaffermato dalla legge n. 124
del 2007, nella quale, pero', «non puo' non leggersi tra le righe una
chiara presa di posizione del Parlamento anche sul caso Abu Omar»;
     che   in   contrasto   con   detto   principio  appare,  quindi,
«l'inibizione  -  derivante  dagli atti di conferma del 15 novembre -
del  potere  dell'autorita' giudiziaria di accertare la sussistenza o
meno  degli elementi costitutivi del reato de quo», ed in particolare
«di  conoscere  fatti  che  proverebbero  l'attiva  partecipazione al
delitto  di un imputato (testimonianza Murgolo), ovvero l'estraneita'
di un altro (testimonianza Scandone)»;
     che  in  questo  modo, dunque, si realizzerebbe «una sostanziale
vanificazione» del potere-dovere del giudice «di accertare e valutare
le  condotte degli imputati e le loro responsabilita'», in contrasto,
innanzitutto, con il «principio di legalita'»;
     che,  inoltre,  la conferma del segreto si porrebbe in contrasto
con il principio di proporzionalita';
     che   essa,  infatti,  e'  stata  motivata  dal  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  in  relazione,  da un lato, all'esigenza di
«preservare   la  credibilita'  del  Servizio  nell'ambito  dei  suoi
rapporti  internazionali  con  gli  organismi  collegati»  (e cio' in
quanto  «la  divulgazione  di  notizie  rivelatrici,  anche  di parti
soltanto  di  tali  rapporti,  esporrebbe i nostri Servizi al rischio
concreto di un ostracismo informativo da parte di omologhi stranieri,
con  evidenti  negativi  contraccolpi  nello svolgimento di attivita'
informativa   presente  e  futura»),  nonche',  dall'altro  -  e  con
specifico  riferimento  al  segreto  opposto  dal teste Scandone - in
ragione  della  «esigenza  di  riserbo  che deve tutelare gli interna
corporis  di ogni Servizio, ponendo al riparo da indebita pubblicita'
le sue modalita' organizzative ed operative»;
     che   sebbene   quelle   indicate  -  osserva  il  ricorrente  -
costituiscano «finalita' pienamente legittime», nondimeno per il loro
perseguimento  «non  appare affatto necessario sacrificare, con tanta
incisivita', i poteri dell'autorita' giudiziaria»;
     che  il  rispetto,  infatti,  del  principio di proporzionalita'
sembrerebbe   imporre  una  distinzione  tra  «informazioni  inerenti
modalita'  organizzative ed operative dei Servizi, ovvero rapporti di
carattere  generale e istituzionale con i Servizi stranieri, comprese
eventuali  intese  che  definiscano  linee  di  condotta  condivise»,
destinati  a  rimanere  segreti,  e,  invece, «condotte concretamente
poste  in  essere  dai  singoli  agenti/imputati  e che abbiano avuto
incidenza  causale  sul  fatto criminoso, liberamente conoscibili dal
giudice»,  giacche',  «proprio  per  il  loro carattere eventualmente
illegale,  si pongono al di fuori di quella cornice istituzionale che
puo' essere - deve essere - destinataria di tutela»;
     che  i  due  atti  di  conferma del segreto non rispetterebbero,
pero',   tale   criterio   distintivo,   e  dunque  il  principio  di
«ragionevole  rapporto  di  mezzo  a fine», cio' che, in particolare,
vale - secondo il ricorrente - per quello relativo alla testimonianza
dello Scandone, giacche' essa, mirando a far accertare l'esistenza di
eventuali  ordini  o  direttive,  impartiti  dal  Generale Pollari ai
propri  sottoposti  e diretti «ad impedire l'uso di mezzi o modalita'
illecite da parte dei medesimi nell'opera di contrasto del terrorismo
internazionale  e,  in  particolare,  nell'attivita' cosiddetta delle
renditions»,  non  si  vede  proprio - sempre secondo il ricorrente -
«quale    grave    compromissione   della   “credibilita'   del
Servizio”,  ne'  quale  “indebita pubblicita” delle
sue   “modalita'  organizzative  ed  operative”»  avrebbe
potuto recare;
     che  poi,  in  particolare,  la conferma del segreto opposto dal
teste   Murgolo  violerebbe  il  «principio  dell'anteriorita'  della
secretazione»,  investendo  quanto dal teste «gia' riferito nel corso
delle  indagini preliminari» e, dunque, una notizia gia' divulgata (e
come tale non piu' secretabile);
     che,  invero,  tale secretazione successiva contravverrebbe alla
ratio  sottesa  al  principio «per cui la secretazione di una notizia
deve essere antecedente alla sua acquisizione da parte dell'autorita'
giudiziaria»,   ratio  da  individuare  -  alla  stregua  dei  lavori
preparatori  della  legge  n. 801  del  1977  -  nella necessita' «di
evitare  che  l'Esecutivo opportunamente ed arbitrariamente copra del
segreto  ex post cio' che adesso e' scomodo o dannoso in relazione ad
un processo determinato»;
     che  tale  principio,  gia' previsto dalla disciplina originaria
sul  segreto di Stato, e' stato ribadito dalla legge n. 124 del 2007,
che richiede, inoltre, quale corollario «l'obbligo di annotazione del
segreto  (ove  possibile)  sugli  atti  documenti  o cose che ne sono
oggetto»;
     che,  infine,  il  ricorrente  ipotizza  anche la violazione del
principio   di  correttezza  e  lealta',  atteso  che  il  potere  di
secretazione  non sarebbe stato esercitato, come invece doveroso, «in
modo  chiaro,  esplicito  ed  univoco»,  cio' che sarebbe confermato,
innanzitutto,  dalla  circostanza  che  «tutti  i giudici che si sono
occupati  del  “caso  Abu Omar” hanno avuto seri problemi
nell'individuare  i  contorni del segreto di Stato ed i confini delle
proprie attribuzioni»;
     che, d'altra parte, tali incertezze neppure potrebbero ritenersi
superate  per  effetto dell'affermazione del Presidente del Consiglio
dei  ministri  secondo  cui  il fatto-reato non e' segreto, mentre lo
sono  «i  mezzi  di prova (…) che hanno tratto ai rapporti fra
Servizi italiani e stranieri», giacche' essa «si risolve in una sorta
di  artificio  retorico  volto a mascherare, nella forma, l'effettiva
portata della segretazione», la quale, «nella sostanza, diviene tanto
ampia  da  comportare il rischio di uno svuotamento del potere/dovere
del  giudice  di  conoscere  il  reato  nelle  componenti oggettive e
soggettive»;
     che,  difatti,  l'affermazione  del Presidente del Consiglio dei
ministri  equivarrebbe,  secondo il ricorrente, a riconoscere che «di
un  reato  e' conoscibile e accertabile solo il mero fatto storico ma
non  le  sue cause, non le condotte che lo hanno posto in essere, non
le  sue  eventuali cause di giustificazione», lasciando cosi' «ancora
una  volta  il  giudice  in  balia  di  interpretazioni  soggettive e
mutevoli,   esponendolo  al  rischio  di  gravi  responsabilita',  in
evidente contrasto con il principio di correttezza e lealta'»;
     che  con  specifico  riferimento,  da  ultimo, alla conferma del
segreto   opposto   dal   teste   Murgolo   il  ricorrente  evidenzia
«un'ulteriore anomalia»;
     che,  infatti,  a  fronte di un interpello concernente «il ruolo
eventualmente  rivestito  dall'imputato  Mancini  nel  sequestro  Abu
Omar»,  il  Presidente  del  Consiglio dei ministri, «muovendo da una
“reinterpretazione”» dello stesso, ne avrebbe individuato
l'oggetto  - come conferma la motivazione incentrata sulla necessita'
di  «preservare  la  credibilita'  del  Servizio nell'ambito dei suoi
rapporti   internazionali   con   gli   organismi  collegati»  -  «in
informazioni specificamente secretate (i rapporti CIA/SISMi)», con il
che  si  sarebbe  in  sostanza  elusa  «la  richiesta di conferma, in
contrasto con il principio di correttezza e lealta'»;
     che  il  ricorrente  ha anche formulato la richiesta istruttoria
(ai  sensi dell'art. 13 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e dell'art.
12   delle  norme  integrative  per  i  giudizi  davanti  alla  Corte
costituzionale)  di  acquisizione  delle  comunicazioni  inviate  dal
Presidente del Consiglio dei ministri al Comitato parlamentare per la
sicurezza  della  Repubblica («in assenza delle quali», si sottolinea
sempre   nel   ricorso,   «sarebbero   sicuramente   illegittime  sia
l'apposizione,  sia la conferma del segreto»), nonche' degli atti che
appongono  il  segreto  sia «sulle circolari e sugli ordini impartiti
dal  Generale  Pollari tesi a vietare ai suoi sottoposti il ricorso a
mezzi  illeciti  di  contrasto  del  terrorismo  internazionale e, in
particolare, le extraordinary renditions», sia «sui comportamenti del
dott. Mancini collegati al sequestro Abu Omar»;
     che,  in conclusione, il ricorrente ha chiesto a questa Corte di
dichiarare  «che  non spetta al Presidente del Consiglio dei ministri
secretare   “qualsiasi   rapporto  fra  i  Servizi  italiani  e
stranieri  ancorche'  in  qualche modo collegato o collegabile con il
fatto  storico  meglio  noto  come  sequestro  Abu  Omar”», ne'
«precludere  all'autorita'  giudiziaria  ricorrente  l'acquisizione e
l'utilizzazione  di tutti i mezzi di prova che “hanno tratto ai
rapporti  fra  Servizi  italiani  e  stranieri”»,  ne', infine,
«confermare  il  segreto  di Stato su notizie gia' rivelate nel corso
delle  indagini  preliminari», annullando, per l'effetto, gli atti di
conferma,  ai sensi dell'art. 202 cod. proc. pen., datati 15 novembre
2008 (USG/2.SP/556/50/347 e USG/2.SP/557/50/347) e, «ove occorra», la
lettera  del  Presidente  del Consiglio dei ministri datata 6 ottobre
2008 (N. 6000.1/42025/GAB).
   Considerato  che  in  questa  fase  la  Corte e' chiamata, a norma
dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87,
a  delibare,  senza contraddittorio, se il ricorso sia ammissibile in
quanto  esista  «la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti
alla   sua  competenza»,  sussistendone  i  requisiti  soggettivo  ed
oggettivo,  fermo  restando  il  potere  della  Corte,  a seguito del
giudizio, di pronunciarsi su ogni aspetto del conflitto, ivi compresa
la sua ammissibilita';
     che   il   Tribunale   ordinario   di   Milano  in  composizione
monocratica,   investito   del  dibattimento  relativo  alla  vicenda
giudiziaria  sopra  riassunta,  e' legittimato a proporre il presente
conflitto;
     che  la giurisprudenza di questa Corte e', infatti, costante nel
riconoscere  ai  singoli  organi giurisdizionali la legittimazione ad
essere  parti di conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, in
quanto   in   posizione   di   piena   indipendenza  garantita  dalla
Costituzione    e    competenti    a    dichiarare   definitivamente,
nell'esercizio  delle  relative  funzioni, la volonta' del potere cui
appartengono  (in  questo  senso  e  con  specifico  riferimento alla
materia  del  segreto  di  Stato,  da ultimo, le ordinanze n. 230 del
2008, n. 337, n. 125 e n. 124 del 2007);
     che  deve  essere  riconosciuta,  altresi',  la legittimazione a
resistere nel conflitto del Presidente del Consiglio dei ministri, in
quanto organo competente a dichiarare definitivamente la volonta' del
potere cui appartiene in ordine alla tutela, apposizione, opposizione
e  conferma del segreto di Stato, non solo in base a quanto previsto,
dapprima,   dalla  legge  24  ottobre  1977,  n. 801  (Istituzione  e
ordinamento  dei  servizi  per  le  informazioni  e  la  sicurezza  e
disciplina  del  segreto di Stato) e, poi, dalla legge 3 agosto 2007,
n. 124  (Sistema  di informazione per la sicurezza della Repubblica e
nuova  disciplina  del  segreto),  ma  anche alla stregua delle norme
costituzionali  che  ne definiscono le attribuzioni (in questo senso,
da  ultimo,  le  citate  ordinanze  n. 230 del 2008, n. 337, n. 125 e
n. 124 del 2007);
     che,  quanto  al profilo oggettivo del conflitto, deve rilevarsi
che  il ricorso e' indirizzato a garanzia della sfera di attribuzioni
determinata  da  norme  costituzionali,  lamentando  il ricorrente la
lesione  di  funzioni  riconducibili  agli artt. 101 e seguenti della
Costituzione  (cosi',  da  ultimo,  e  con  riferimento  alla  stessa
vicenda, l'ordinanza n. 337 del 2007);
     che  pertanto  il  conflitto  promosso col presente ricorso deve
ritenersi  ammissibile,  ai  sensi  dell'art. 37, quarto comma, della
legge n. 87 del 1953.
              Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riservato ogni definitivo giudizio,
   Dichiara  ammissibile,  ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo
1953,  n. 87,  il  ricorso  per  conflitto di attribuzione tra poteri
dello  Stato  promosso  dal Tribunale ordinario di Milano, Sezione IV
penale, in composizione monocratica, nei confronti del Presidente del
Consiglio dei ministri, con l'atto indicato in epigrafe;
   Dispone:
     a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione al
ricorrente  Tribunale  ordinario  di  Milano,  Sezione  IV penale, in
composizione monocratica, della presente ordinanza;
     b)  che,  a  cura  del  ricorrente,  il  ricorso  e  la presente
ordinanza  siano  notificati al Presidente del Consiglio dei ministri
entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione di cui al punto
a), per essere successivamente depositati, con la prova dell'avvenuta
notifica, presso la cancelleria della Corte entro il termine di venti
giorni   fissato  dall'art.  26,  comma  3,  del  testo  delle  norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale anteriore
alla  deliberazione  del  Presidente della Corte costituzionale del 7
ottobre  2008,  testo  applicabile,  ratione  temporis,  al  presente
giudizio.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 dicembre 2008.
                        Il Presidente: Flick
                       Il redattore: Quaranta
                      Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 17 dicembre 2008.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola