N. 108 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 novembre 2008
Ordinanza del 19 novembre 2008 emessa dal G.u.p. del Tribunale di Napoli nel procedimento penale a carico di Landolfi Mario. Parlamento - Intercettazioni «occasionali» di comunicazioni o conversazioni di membri del Parlamento - Utilizzazione in procedimento penale subordinata alla autorizzazione della Camera di appartenenza - Irrazionale trattamento differenziato rispetto alla disciplina prevista per i «terzi», a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 390/2007 - Violazione del principio della parita' di trattamento dinanzi alla giurisdizione - Esorbitanza rispetto alla ratio della garanzia di cui all'art. 68, comma terzo, Cost. - Legge 20 giugno 2003, n. 140, art. 6, commi 2, 3, 4, 5 e 6. - Costituzione, artt. 3, primo comma, 68, comma terzo, 102 e 104, primo comma. In via subordinata: Parlamento - Intercettazioni «occasionali» di comunicazioni o conversazioni di membri del Parlamento - Utilizzazione in procedimento penale subordinata alla autorizzazione della Camera di appartenenza - Procedura per l'autorizzazione - Attivazione subordinata al previo consenso del membro interessato del Parlamento - Mancata previsione - Lesione del diritto di difesa del parlamentare. - Legge 20 giugno 2003, n. 140, art. 6, comma 2. - Costituzione, art. 24, comma secondo.(GU n.16 del 22-4-2009 )
IL TRIBUNALE Esaminata la richiesta del pubblico ministero/sezione D.D.A. sede di inoltro alla Camera dei deputati della richiesta di autorizzazione all'utilizzo delle intercettazioni telefoniche nei confronti del parlamentare, on. Mario Landolfi nato a Mondragone (Caserta) il 6 giugno 1959 ed elett.te dom.to ivi alla via Fiume n. 18 imputato in relazione ai reati di cui agli artt. 110, 319, 321 c.p., 640 cpv., 378 c.p. e 7 legge n. 203/1991; Premesso che in data 5 marzo 2008 veniva esercitata l'azione penale nei confronti del Landolfi Mario e di altri 37 imputati a mezzo del deposito della richiesta di rinvio a giudizio; nell'udienza preliminare il p.m. depositava intercettazioni telefoniche aventi ad oggetto la posizione del Landolfi e ne chiedeva, - previa trascrizione -, l'autorizzazione all'utilizzo a mezzo dell'inoltro dell'apposita autorizzazione ex art. 6 legge n. 140/2003 alla Camera dei deputati; in relazione a tale richiesta l'estensore dava formale incarico peritale per la trascrizione delle intercettazioni e quest'ultima veniva depositata, entro il termine concesso, presso la cancelleria di quest'ag, deposito di cui si dava formale avviso alle Parti; nell'udienza del 24 ottobre 2008, fissata nel rispetto del canone di cui all'art. 6, comma 2, della legge 20 giugno 2003, n. 140 e nelle forme di cui all'art. 127 c.p.p., il p.m. depositava ulteriore documentazione e quest'ag. concedeva termine alla difesa sino al 15 novembre 2008 per controdedurre, riservandosi all'esito la decisione - (In tale udienza il p.m. chiedeva, altresi', di essere autorizzato al deposito presso la cancelleria di quest'ag. di un'ulteriore memoria illustrativa, richiesta che veniva accolta dall'estensore il quale concedeva alla difesa termine per controdedurre sino al 15 novembre 2008 a quest'ultima data il pubblico ministero non depositava la suddetta memoria facultando l'estensore alla decisione qui di seguito esposta). La riserva da ultimo menzionata viene sciolta nei sensi qui appresso indicati nel dettaglio; Rilevanza. In relazione al presupposto di cui alla rubrica, - indispensabile al fine della rimessione della questione di costituzionalita' -, occorre osservare che esso trova in questa sede peculiare coincidenza con il requisito della «necessarieta» previsto dall'art. 6, comma 2, della legge n. 140/2003 («Qualora ... il giudice ... ritenga necessario utilizzare le intercettazioni ...». S'intende con tale constatazione evidenziare che, mentre per una qualsiasi altra disposizione normativa il giudice, prima di sottoporla al vaglio di costituzionalita', deve motivare anche in ordine alla «rilevanza» della questione rispetto alla propria decisione, nel caso di specie tale requisito trova gia' nel presupposto di applicazione della norma in questione una sua ineludibile valutazione in fatto. Il primo comma dell'art. 6 della legge n. 140/2003 prevede, difatti, che il giudice, eventualmente anche d'ufficio, possa soprassedere ad ogni richiesta di inoltro alla Camera di appartenenza delle conversazioni indirette del parlamentare laddove le ritenga «irrilevanti ... ai fini del procedimento». Nel caso di specie, l'utilizzazione delle conversazioni trascritte appare «necessaria» (=rilevante) ai fini dell'approfondimento probatorio in ordine alle condotte contestate al Landolfi in presunto concorso con gli altri coimputati, in quanto le medesime non solo attengono ai fatti in contestazione ma rappresentano anche un elemento concreto dei collegamenti esistenti tra i coimputati. Senza qui poter ovviamente dare alcuna valutazione di merito circa il significato accusatorio ovvero difensivo dei contenuti delle comunicazioni sopra menzionate le stesse, inserite nel piu' ampio contesto degli altri elementi acquisiti in atti, non solo non sono prive di rilevanza ma si contraddistinguono per la loro utilita' probatoria al fine delle adozioni delle pronunce alternative di cui all'art. 424 c.p.p. La lettura delle singole conversazioni rende palese la «necessarieta» che le stesse possano trovare utilizzazione nel processo, attesa la loro pertinenza fattuale rispetto alle singole imputazioni formulate nei confronti del Landolfi, dovendo poi solo successivamente questo giudice valutare, nel merito, il loro significato concludente ovvero escludente in ordine al concorso del medesimo nelle condotte contestate. L'utilizzazione delle intercettazioni sopra descritte riveste allo stesso tempo, ad avviso questo Giudice, carattere di «necessarieta» e «rilevanza» ai fini delle successive valutazioni di merito probatorio, fossero quest'ultime finalizzate all'esito dell'udienza preliminare (ex art. 425 c.p.p. o ex art. 429 c.p.p.) ovvero ad una delle opzioni alternative connesse a tale fase processuale per come attivabili dall'imputato. Legittimazione. Occorre, in primo luogo, sgombrare il campo da eventuali equivoci circa la legittimazione di quest'ag., nelle sue funzioni di giudice dell'udienza preliminare, a sollevare (d'ufficio) la questione di legittimita' costituzionale. Se, invero, il dato letterale di cui all'art. 6 della legge n. 140/2003 - («... Fuori dalle ipotesi previste dall'art. 4, ... qualora, su istanza di una parte processuale, sentite le altre parti, ... ritenga necessario utilizzare le intercettazioni o i tabulati di cui al comma 1, il giudice per le indagini preliminari ... richiede...») - individua precipuamente il «giudice per le indagini preliminari» come il soggetto giurisdizionale legittimato alla richiesta di autorizzazione al Parlamento - e conseguenzialmente a sollevare la questione di costituzionalita' - e' altrettanto vero che lo stesso dato testuale va letto alla luce della sistematica logico - processuale. In altri termini, questo giudicante ritiene che la norma di cui all'art. 6 della legge n. 140 del 2003, se interpretata in maniera razionale, sistematica e analogica, non puo' che trovare applicazione anche nei procedimenti penali pendenti in fase di udienza preliminare. Una diversa lettura esegetica, fondata sul mero tenore letterale della norma, che non ritenga applicabile la stessa in fase di udienza preliminare e attribuisca quindi al g.u.p. il potere di by-passare l'applicazione (=disapplicare) dell'art. 6 della legge n. 140/2003, non puo' trovare spazio in questa sede, in quanto la stessa condurrebbe alla paradossale conclusione che il pubblico ministero, scegliendo il momento del deposito delle intercettazioni e facendolo cadere in un momento successivo a quello dell'esercizio dell'azione penale (come, del resto, e' accaduto nel caso di specie), potrebbe legittimamente aggirare il meccanismo autorizzatorio previsto dalla legge. In altri termini, la possibilita' di utilizzo di una prova gia' legittimamente formatasi all'interno del procedimento penale sarebbe rimessa ad una scelta di tempistica da parte della pubblica accusa. Proprio la lettura sistematica della norma di riferimento, e la ratio posta a presidio della stessa, induce, dunque, a ritenere che la menzione del giudice per le indagini preliminari - affermata nel primo comma e ribadita nel secondo comma dell'art. 6 cit. - vada interpretata in senso non meramente letterale investendo a seconda della fase processuale in cui la domanda del p.m. viene a cadere il «giudice che procede», sia esso - nella fase delle indagini preliminari - il g.i.p. ovvero sia esso - in quella dell'udienza preliminare, com'e' nel caso di specie - il g.u.p. Il principio generale del «giudice che procede» svolge nella sistematica del codice di procedura penale un ruolo rilevante tant'e' che l'art. 279 c.p.p. lo delinea con una netta demarcazione proprio a proposito del passaggio dalla fase (procedimentale) del giudice per le indagini preliminari a quella giurisdizionale. Del resto, alcuna rilevanza le risultanze delle intercettazioni potrebbero piu' svolgere in merito alle competenze funzionali del giudice per le indagini preliminari, le quali sono codicisticamente perimetrate nell'ambito di una fase procedimentale che ha gia' trovato termine con l'esercizio dell'azione penale apparirebbe, quantomeno, incongruo che una valutazione sull'uso di un mezzo di ricerca della prova venga rimessa ad un organo giurisdizionale che ha gia' esaurito la propria competenza, con diretta incidenza su una fase processuale che oramai non gli «appartiene» piu'. Si potrebbe ipoteticamente obiettare, pero', che siffatta interpretazione dell'art. 6 cit., sebbene affetta da evidenti vizi di irrazionalita' ed incoerenza sistematica, consentirebbe al giudice che procede, diverso dal «giudice per le indagini preliminari» (e quindi, anche a questo giudice dell'udienza preliminare), di non applicare una norma che si ritiene essere in forte odore di incostituzionalita'; anzi, il conseguimento di tale risultato, potrebbe non solo consentire ma addirittura imporre la suddetta opzione interpretativa, nell'ottica dell'onere di interpretazione adeguatrice secundum constitutionem incombente sui giudici. Invero, questo giudice rimettente non disconosce l'insegnamento dei Giudici delle leggi secondo cui si impone all'interprete un onere di lettura costituzionalmente orientata delle norme «sospettate» di illegittimita' costituzionale, sicche' l'eventualita' della rimessione della questione alla Consulta debba configurarsi come extrema ratio, ma e' anche consapevole del fatto che tale onere possa e debba spingersi fino al punto dell'impossibilita' di rinvenire, di fronte ad una pluralita' di possibili interpretazioni, almeno una di esse che sia costituzionalmente compatibile, e giammai possa spingersi oltre, fino al punto di ritenere «disapplicabile» (sia pure allorquando la «disapplicazione» sia secundum costitutionem) una norma che, invece, risulta razionalmente e sistematicamente applicabile al caso di specie. Si vuole rappresentare, in altri termini, che l'onere di interpretazione secundum costitutionem sia e debba rimanere tale, vale a dire un canone ermeneutico della norma da applicare al caso di specie, e non gia' un criterio che possa influire, a monte, sulla scelta da parte del giudice della norma da applicare alla fattispecie concreta, fino al punto da indurlo a «disapplicare» una norma che invece, chiaramente, per coerenza logica e sistematica, dovrebbe disciplinare il caso di specie. Non manifesta infondatezza. Va, in primo luogo, evidenziato che le intercettazioni di cui si chiede l'utilizzazione nel presente procedimento attengono al contenuto di conversazioni tra l'imputato Landolfi Mario ed altri coimputati, non quale frutto di captazioni «dirette» delle comunicazioni del citato parlamentare, - nel qual caso avrebbero dovuto essere oggetto di un'autorizzazione preventiva e sarebbero, pertanto, ove acquisite contra legem, inutiliabili tout court -, bensi' come occasionale interloquire di quest'ultimo con i primi, le cui utenze erano sottoposte a legittimo controllo ex artt. 266 e ss. cpp. La richiesta della parte pubblica di utilizzare le intercettazioni sopra menzionate non riguarda, pertanto, i soggetti terzi, - ipotesi, per la quale, alla luce della pronuncia n. 390/2007 non e' piu' necessaria alcuna preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza ed in relazione alla quale questo giudice ha in pieno svolgimento l'udienza preliminare -, bensi' ha ad oggetto proprio il parlamentare, on. Mario Landolfi, imputato dei tre capi sub nn. 13, 14 e 16 sopra riportati - (Il Landolfi risulta essere stato eletto alla Camera dei deputati sia nella precedente legislatura che in quella attualmente in corso ragion per cui alcuna rilevanza svolge la questione di cui alla sentenza n. 389/2007 della Consulta). Nel prospettare la non manifesta infondatezza della incostituzionalita' dell'art. 6 della legge n. 140/2003 occorre prendere le mosse da una domanda incidentale presente nel corpo della fondamentale sentenza n. 390 del 2007 della Corte costituzionale, vale a dire dal quesito sul se, una volta «escluso ...che la disciplina censurata possa considerarsi ''costituzionalmente imposta'' dall'art. 68, terzo comma, Cost., ... la stessa possa ritenersi comunque ''costituzionalmente consentita''. Si tratta di stabilire, cioe', se il legislatore ordinario sia abilitato a prevedere, - in un'ottica di prevenzione di ipotizzabili condizionamenti sullo svolgimento del mandato elettivo -, forme speciali di tutela della riservatezza del parlamentare, rispetto ad un mezzo di ricerca della prova particolarmente invasivo, come le intercettazioni», quesito che e' rimasto, a seguito della pronuncia della Consulta, «impregiudicato» quanto al profilo «della disciplina circa l'utilizzabilita' o meno delle intercettazioni casuali nei confronti dello stesso parlamentare intercettato» (cfr. sent. Corte cost. n. 390 del 2007, punto 5.5 del Considerato in diritto). lA) Alla luce della generale premessa sin qui svolta ed ai fini del primo rilievo di incostituzionalita' da illustrare, giova anzitutto rilevare che la Consulta, al fine di risolvere l'incidente di costituzionalita' sottopostoLe, ha precisato i confini della ratio dell'art. 6 legge n. 140/2003, affermando come non si sia inteso predisporre uno strumento di controllo parlamentare sulle violazioni surrettizie della norma costituzionale, poiche' anche le c.d. intercettazioni «indirette» (intese come «captazioni delle conversazioni del membro del Parlamento effettuate ponendo sotto controllo le utenze dei suoi interlocutori abituali») gia' rientrano nell'alveo di tutela predisposto dall'art. 68, terzo comma, Cost. e dalla relativa disposizione attuativa dell'art. 4 legge n. 140/2003, ma e', diversamente, «uno strumento di controllo sulla divulgazione strumentale dei colloqui accidentalmente captati a tutela della riservatezza dei parlamentari». Pertanto, poiche' tale strumento di controllo si sostanzia in un sindacato parlamentare che non incide sull'«esecuzione» di operazioni di intercettazioni «ancora da disporre», bensi' sull'utilizzabilita' di intercettazioni «gia' legittimamente eseguite» (poiche', appunto, meramente «occasionali» e quindi non bisognevoli dell'autorizzazione «preventiva» di cui all'art. 68, terzo comma, Cost.), la norma di cui all'art. 6, comma 2, legge n. 140/2003 si colloca al di fuori della copertura costituzionale fornita dall'art. 68, terzo comma, Cost. Si e' di fronte, come piu' compiutamente precisato dalla Corte costituzionale, ad una «forma speciale di tutela della riservatezza parlamentare», giacche' si rimette alla volonta' della maggioranza della Camera di appartenenza del Parlamentare l'utilizzazione nei suoi confronti delle intercettazioni c.d. «accidentali», ritenute «rilevanti» (rectius: «necessarie») dall'autorita' giurisdizionale (poiche', se fossero «irrilevanti», sarebbe attivabile il rimedio generico, previsto per tutti i consociati, di cui agli artt. 268, comma 6 a 269, commi 2-3 c.p.p., richiamato dal primo comma dell'art. 6). La questione da porsi e', dunque, se tale disciplina possa definirsi, sebbene «non costituzionalmente imposta» dall'art. 68, terzo comma, Cost., almeno «costituzionalmente consentita» (cfr. sentenza Corte cost. n. 390/2007, punto 5.5 del Considerato in diritto). E' proprio questo, infatti, il profilo che resta, all'esito del precedente vaglio incidentale dei Giudici delle leggi, ancora «impregiudicato». Ebbene, l'esistenza di siffatto dubbio, in capo ai Giudici delle leggi, gia' di per se' solo sembra imporre a questo Giudice di ritenere incerta la legittimita' costituzionale della norma in questione, - (norma che Egli si appresterebbe ad applicare nel caso di specie) -, derivandone la «non manifesta infondatezza» della relativa questione. Con la presente ordinanza, in sostanza, semplicemente, si estende quel petitum che nella precedente citata pronuncia era limitato ad altro aspetto della stessa norma, - (l'inutilizzabilita' erga omnes conseguente al rifiuto di autorizzazione della Camera e la conseguente disparita' di trattamento «tra i terzi» -, consentendo alla Consulta di fornire piena risposta al quesito che Essa stessa aveva, in maniera illuminante, gia' individuato come il reale nodo gordiano della questione rimessaLe (se, cioe', la disparita' di trattamento sia ravvisabile, oltre che «tra i parlamentari terzi», anche «tra i parlamentari e i terzi»). Una risposta che, in verita', sembra a questo rimettente potersi scorgere gia' all'interno della trama argomentativa ordita dai Giudici delle leggi, laddove, nei punti 5.2 e 5.3 del Considerato in diritto, si afferma testualmente che: «5.2 ... giova premettere come, nell'ambito del sistema costituzionale, le disposizioni che sanciscono immunita' e prerogative a tutela della funzione parlamentare, in deroga al principio di parita' di trattamento davanti alla giurisdizione, - principio che si pone «alle origini della formazione dello Stato di diritto» (sentenza n. 24 del 2004) -, debbano essere interpretate nel senso piu' aderente al testo normativo. Tale esigenza risulta accentuata da/passaggio - avutosi con la legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3, di riforma dell'art. 68 Cost. - ad un sistema basato esclusivamente su specifiche autorizzazioni ad acta: un sistema nel quale ogni singola previsione costituzionale attribuisce rilievo ad uno specifico interesse legato alla funzione parlamentare e fissa, in pari tempo, i limiti entro i quali esso merita protezione, stabilendo quali connotazioni debba presentare un determinato atto processuale, affinche' si giustifichi il suo assoggettamento al nulla osta dell'organo politico. Nella specie, dal testo dell'art. 68, terzo comma, Cost. (analoga autorizzazione e' richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza») non puo' ricavarsi alcun riferimento ad un controllo parlamentare a posteriori sulle intercettazioni occasionali. La norma costituzionale ha riguardo, infatti, alla ''sottoposizione'' di un parlamentare ad intercettazione e ad una autorizzazione di tipo preventivo: il nulla osta e' richiesto per eseguire l'atto investigativo, e non per utilizzare nel processo i risultati di un atto precedentemente espletato. Il che e' confermato, ove ve ne fosse bisogno, dal fatto che la norma richiama un'autorizzazione ''analoga'' a quella - indubitabilmente preventiva - prevista dal secondo comma dello stesso art. 68 cost. in rapporto alle perquisizioni personali o domiciliari, all'arresto e alle misure privative della liberta' personale [...]. La ratio della garanzia prevista dall'art. 68, terzo comma, Cost. converge, d'altro canto, con la lettera della norma. L'art. 68 Cost. mira a porre a riparo il parlamentare da illegittime interferenze giudiziarie sull'esercizio del suo mandato rappresentativo; a proteggerlo, cioe', dal rischio che strumenti investigativi di particolare invasivita' o atti coercitivi delle sue liberta' fondamentali possano essere impiegati con scopi persecutori, di condizionamento, o comunque estranei alle effettive esigenze della giurisdizione. La necessita' dell'autorizzazione viene meno, infatti, allorche' la limitazione della liberta' del parlamentare si connetta a titoli o situazioni - come l'esecuzione di una sentenza di condanna irrevocabile o la flagranza di un delitto per cui sia previsto l'arresto obbligatorio - che escludono, di per se', la configurabilita' delle accennate evenienze. Destinatari della tutela, in ogni caso, non sono i parlamentari uti singuli, ma le Assemblee nel loro complesso. Di esse si intende preservare la funzionalita', l'integrita' di composizione (nel caso delle misure de libertate) e la piena autonomia decisionale, rispetto ad indebite invadenze del potere giudiziario (si veda, al riguardo, con riferimento alla perquisizione domiciliare, la sentenza n. 58 del 2004): il che spiega l'irrinunciabilita' della garanzia (sentenza n. 9 del 1970). In tale prospettiva, l'autorizzazione preventiva - contemplata dalla norma costituzionale - postula un controllo sulla legittimita' dell'atto da autorizzare, a prescindere dalla considerazione dei pregiudizi che la sua esecuzione puo' comportare al singolo parlamentare. Il bene protetto si identifica, infatti, con l'esigenza di assicurare il corretto esercizio del potere giurisdizionale nei confronti dei membri del Parlamento, e non con gli interessi sostanziali di questi ultimi (riservatezza, onore, liberta' personale), in ipotesi pregiudicati dal compimento dell'atto; tali interessi trovano salvaguardia nei presidi, anche costituzionali, stabiliti per la generalita' dei consociati. Questo rilievo vale anche in rapporto alle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni. Richiedendo il preventivo assenso della Camera di appartenenza ai fini dell'esecuzione di tale mezzo investigativo, l'art. 68, terzo comma, Cost. non mira a salvaguardare la riservatezza delle comunicazioni del parlamentare in quanto tale. Quest'ultimo diritto trova riconoscimento e tutela, a livello costituzionale, nell'art. 15 Cost., secondo il quale la limitazione della liberta' e segretezza delle comunicazioni puo' avvenire solo per atto motivato dell'autorita' giudiziaria, con le garanzie stabilite dalla legge. L'ulteriore garanzia accordata dall'art. 68, terzo comma, Cost. e' strumentale, per contro, anche in questo caso, alla salvaguardia delle funzioni parlamentari: volendosi impedire che l'ascolto di colloqui riservati da parte dell'autorita' giudiziaria possa essere indebitamente finalizzato ad incidere sullo svolgimento del mandato elettivo, divenendo fonte di condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione dell'attivita'. E cio' analogamente a quanto avviene per l'autorizzazione preventiva alle perquisizioni ed ai sequestri di corrispondenza, il cui oggetto ben puo' consistere anche in documenti a carattere comunicativo. 5.3. - Nel caso delle intercettazioni fortuite, peraltro, l'eventualita' che l'esecuzione dell'atto sia espressione di un atteggiamento persecutorio - o, comunque, di un uso distorto del potere giurisdizionale nei confronti del membro del Parlamento, volto ad inteferire indebitamente sul libero esercizio delle sue funzioni - resta esclusa, di regola, proprio dalla accidentalita' dell'ingresso del parlamentare nell'area di ascolto». Da tali espliciti passaggi motivazionali della sentenza pare evincersi che in rapporto al «principio di eguaglianza» (art. 3, primo comma, Cost.), nella sua declinazione in termini di «parita' di trattamento davanti alla Giurisdizione» - (che si colloca «alle origini della formazione dello Stato di diritto») - il sistema delle immunita' e delle prerogative dei membri del Parlamento possa venire in rilievo solo come «eccezione» e valere unicamente per i casi «espressamente» considerati o, comunque, almeno forniti di «copertura» costituzionale, in quanto ritenuti dal Costituente idonei ad interferire sulla libera esplicazione della funzione parlamentare. E, tra i casi «espressamente» previsti, vi sono le ipotesi descritte nell'art. 68 cost. - (oltre a quelle scolpite negli artt. 90, 96, 98 cost. e nell'art. 3 legge Cost. n. 1 del 1948) - nella portata e nella ratio delucidata dalla Consulta (supra riportata per esteso). In questi termini, peraltro, si e' espressa anche larga parte della dottrina, secondo cui una disciplina differenziata rispetto al «principio della parita' di trattamento dinanzi alla giurisdizione», - principio, lo si ripete, immanente al nostro ordinamento che si pone alle origini dello Stato di diritto (cio' che spiega il motivo per cui il Costituente abbia ritenuto di dover disciplinare analiticamente il sistema delle immunita' e delle prerogative parlamentari, conscio della deroga che a detto principio veniva in tal modo introdotta) -, potrebbe provenire solo da una fonte di rango costituzionale e non gia' da una legge ordinaria. Risulta, in altri termini, fortemente consolidato in letteratura il principio per il quale le guarentigie conosciute dal nostro ordinamento sono solo quelle espressamente sancite da fonti di rango costituzionale, non potendo il «pacchetto costituzionale» essere surrettiziamente ampliato per via ordinaria. Comunque, anche non volendo aderire all'orientamento piu' rigoroso, secondo il quale deroghe al «principio di eguaglianza dinanzi alla giurisdizione» possano essere poste solo da norme di livello costituzionale, pare possibile affermare che in tanto e' consentita, dal nostro sistema di equilibri costituzionali, una eccezione a siffatto principio cardine, in quanto tale eccezione: sia espressamente prevista da norme di rango costituzionale; se prevista da legge ordinaria, sia dotata di «copertura» nell'alveo delle norme costituzionali poiche' riconducibile allo spirito ed alla ratio che le hanno animate o, quanto meno, sia volta a tutelare una situazione «diversa» di valore sovraordinato (o almeno equiordinato) rispetto a quello cristallizzato dall'art. 3, primo comma, della Costituzione (cfr., in particolare, su tale ultima possibilita', un passaggio del punto 6 del Considerato in diritto della sent. della Corte cost. n. 24 del 2004: «... un regime differenziato riguardo all'esercizio della giurisdizione, in particolare di quella penale ... non conduce di per se' all'affermazione del contrasto della norma con l'art. 3 della Costituzione. Il principio di eguaglianza comporta infatti che, se situazioni eguali esigono eguale disciplina, situazioni diverse possono implicare differenti normative. In tale seconda ipotesi, tuttavia, ha decisivo rilievo il livello che l'ordinamento attribuisce ai valori rispetto ai quali la connotazione di diversita' puo' venire in considerazione»). A ben vedere, sulla scorta delle indicazioni fornite dai Giudici delle leggi nella pronuncia n. 390/2007, il caso eccezionale disciplinato dalla norma in questione, che si sostanzia nel subordinare l'utilizzabilita' delle comunicazioni del parlamentare intercettate «occasionalmente» e ritenute «necessarie» dal Giudice all'autorizzazione della Camera di appartenenza, non risulta ne' espressamente previsto dall'art. 68, terzo comma, Cost. (che si riferisce esclusivamente all'autorizzazione «preventiva», a monte, delle intercettazioni c.d. «dirette» e «indirette») ne' tanto meno riconducibile alla sua ratio (fumus persecutionis, a fronte della tutela della «riservatezza» apprestata dall'art. 6 legge n. 140/2003), risultandone assolutamente estraneo ed indifferente (come, acutamente, puntualizzato dalla Consulta nella citata pronuncia). Resta da chiedersi, quindi, sotto il profilo assiologico, come si collochi nella gerarchia dei valori ordinamentali il bene che il legislatore ordinario ha inteso salvaguardare con la disposizione in esame - (e cioe', la «riservatezza» del membro del Parlamento) - rispetto al «principio di eguaglianza davanti alla Giurisdizione»; se, cioe', con la previsione normativa in questione, il legislatore ordinario abbia comunque realizzato, al di la' di quanto «impostogli» dall'art. 68, terzo comma, Cost., un ragionevole (e quindi «consentito») bilanciamento dei valori costituzionali in gioco. In proposito, questo giudice dubita fortemente del fatto che i pericoli, paventati da alcuni, di strumentalizzazione dei contenuti «riservati», ma allo stesso tempo ritenuti «rilevanti» e «necessari» per il procedimento penale, delle comunicazioni intercettate del parlamentare, indebitamente diffusi anche tramite i mass media, possano essere legittimamente esorcizzati attraverso trattamenti differenziati e veti all'esercizio delle prerogative giurisdizionali, ma ritiene che vadano considerati come il portato di un fenomeno patologico (e, in verita', ormai allarmante) da stigmatizzare ed estirpare grazie a strumenti adeguati e proporzionati, affatto diversi da quelli creati dalla legge n. 140/2003. Allo stato della legislazione vigente, se il contenuto della comunicazione del Parlamentare «accidentalmente» captata e' ritenuto «irrilevante», l'ordinamento prevede l'attivazione del generale rimedio di cui agli artt. 268, comma 6 e 269, commi 2 e 3 c.p.p. (richiamato, peraltro, dallo stesso art. 6, comma 1, legge n. 140/2003); se e' invece ritenuto «rilevante» (rectius «necessario»), allora la tutela operativa per il Parlamentare dovrebbe essere quella di cui agli artt. 114 c.p.p. - 326 c.p., alla pari di qualsiasi altra persona. A quest'ultimo riguardo, considerata la predisposizione da parte dell'ordinamento di particolari strumenti di tutela (oltre che dell'efficace svolgimento delle indagini) della «riservatezza» delle persone coinvolte in procedimenti penali, la previsione di un trattamento differenziato per i membri del Parlamento rispetto alla restante parte dei consociati non pare rappresentare una legittima garanzia rafforzativa a tutela delle prerogative di esercizio delle funzioni parlamentari, ma sembra piuttosto risolversi in un vero e proprio «privilegio» irrazionale, sproporzionato ed incontrollabile, - (se si tiene conto anche delle esigenze di utilizzabilita' processuale che, come di qui a poco si avra' modo di esporre, verrebbero ad essere del tutto frustrate anche con riferimento ad eventuali aspettative di difesa dello stesso parlamentare) -, concesso e riservato solo a pochi eletti, nonche' nella conseguente implicita, ma altrettanto chiara, abdicazione da parte dello Stato al dovere di garantire il rispetto delle leggi gia' vigenti, poste a tutela della riservatezza di tutte le persone coinvolte in procedimenti penali (artt. 114 c.p.p. e 326 c.p.). Pertanto, questo giudice dubita seriamente del fatto che il rango del bene della «riservatezza» del parlamentare sia sovraordinato o almeno equiordinato rispetto a quello diverso, (e posto «alle origini della formazione dello Stato di diritto»), della «parita' di trattamento davanti alla Giurisdizione», in maniera tale da poter legittimamente derogare a quest'ultimo. Affinche' tale dubbio venga definitivamente risolto, rimette la presente questione di legittimita' costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale. In conclusione, ritiene questo giudice rimettente che l'eccezione al «principio di parita' di trattamento dinanzi alla Giurisdizione» prevista dall'art. 6 della legge n. 140/2003 non sia consentita dalla Costituzione; in particolare, il contrasto si pone con l'art. 3 Cost., laddove tertium comparationis e' rappresentato dall'art. 68, terzo comma, Cost. (quanto all'apprezzamento di razionalita' della disuguaglianza) e dalla formulazione dell'art. 6 risultante a seguito dell'intervento ortopedico operato dalla Corte con la sentenza n. 390/2007, che prevede ora l'utilizzabilta' delle comunicazioni intercettate occasionalmente nei confronti dei «terzi» (a prescindere dall'autorizzazione del ramo del Parlamento), che risulterebbero ingiustificatamente oggetto di un trattamento differenziato rispetto al Parlamentare coinvolto, le cui comunicazioni intercettate sarebbero invece utilizzabili subordinatamente all'autorizzazione della Camera di appartenenza, senza che tale trattamento differenziato rinvenga giustificazione in una diversita' di posizioni costituzionalmente apprezzabili e meritevoli di rilevanza. 1B) Alcuni passaggi salienti della sentenza della Corte costituzionale n. 390 del 2007 suscitano, altresi', il dubbio che la norma in questione, attribuendo al Parlamento l'esercizio di un potere tipicamente giurisdizionale, al di fuori dei casi espressamente previsti dalla norma di bilanciamento costituzionale di cui all'art. 68 Cost., si ponga in contrasto con il «principio di separazione dei poteri» immanente al nostro assetto costituzionale ed in particolare con gli artt. 102 e 104, primo comma, Cost. Al riguardo, occorre anzitutto chiarire, in via preliminare, i motivi per i quali il rimettente ritiene di utilizzare lo strumento della questione di legittimita' costituzionale anziche' quello della sollevazione del «conflitto di attribuzioni» tra poteri dello Stato. In primo luogo, va evidenziato che la lesione delle prerogative giurisdizionali, condicio sine qua non ai fini dell'integrazione del «conflitto di attribuzioni», non si e' nel caso di specie ancora concretizzata, non essendo stata emanata e tanto meno ancora richiesta alcuna pronuncia al ramo del Parlamento di appartenenza del parlamentare, rimanendo quindi il «conflitto» ancora allo stato potenziale. Basti ricordare, in proposto, che in un passaggio della citata sentenza n. 390/2007 si rilevava l'infondatezza dell'eccezione di inammissibilita' sollevata dalla difesa erariale, «secondo la quale il rimettente avrebbe dovuto censurare il merito del provvedimento di diniego dell'autorizzazione sollevando conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato, posto che le censure del giudice a quo non investono il merito della decisione suddetta »: nel caso che ci occupa, questo rimettente ha addirittura ritenuto opportuno sollevare la questione di legittimita' costituzionale prima della richiesta di autorizzazione alla Camera di appartenenza, ragion per cui non puo' assolutamente venire in rilievo alcun profilo attinente al «merito» di tale decisione che non e' stata neppure allo stato richiesta. Va precisato, inoltre, che lo strumento del conflitto di attribuzioni e' utilizzabile solo nelle ipotesi di sussistenza di un «dubbio» in ordine al riparto delle attribuzioni operato dalle norme costituzionali, allorquando la determinazione della sfera di attribuzioni ad opera della Costituzione manchi di nettezza e di inequivocita'. Tanto si ricava dal tenore letterale dell'art. 38 della legge n. 87 del 1953, a norma del quale «La Corte risolve il conflitto sottoposto al suo esame dichiarando il potere al quale spettano le attribuzioni in contestazione». Nel caso di specie, invece, l'art. 6 della legge n 140 del 2003 avrebbe predisposto il campo per un'invasione da parte del Potere legislativo di un ambito di attribuzioni gia' precisamente ed analiticamente delineato dalla Carta fondamentale, ragion per cui non sussiste «dubbio» alcuno da dirimere attraverso lo strumento del conflitto di attribuzioni e la conseguente pronuncia «dichiarativa» della Consulta. Ad avviso di questo rimettente non si tratta, in altre parole, di attivare la Corte costituzionale affinche' «dichiari» a quale Potere spettino le attribuzioni in contestazione, ma occorre semplicemente chiedere ai Giudici delle leggi, attraverso la sollevazione dell'incidente di legittimita' costituzionale, l'espunzione dall'ordinamento di quella norma che si pone sia in contrasto con la chiara «norma attributiva» della Costituzione - (nel caso di specie, l'art. 102 Cost., in combinata lettura con l'art. 104, primo comma, Cost.) - che attribuisce ai giudici l'esercizio delle funzioni giurisdizionali, tra le quali sicuramente rientra il «sindacato sull'utilizzabilita' di prove gia' legittimamente formatesi», sia al di fuori della lettera e della ratio della norma, eccezionale, di «bilanciamento dei poteri» di cui all'art. 68, commi secondo e terzo, Cost. A quest'ultimo proposito, si rileva che e' la stessa Corte costituzionale, nel precedente intervento piu' volte citato, ad aver precisato che si tratta di un sindacato di carattere squisitamente giurisdizionale, in funzione - non di garanzia delle prerogative di esercizio del mandato parlamentare, come sarebbe previsto e imposto dall'art. 68 Cost. - bensi' di tutela della «riservatezza» del Parlamentare «occasionalmente» intercettato. Si tratta, dunque, di poteri di natura sicuramente giurisdizionale, attribuiti a soggetti alieni rispetto a quelli ai quali il relativo esercizio e' riservato dall'art. 102 Cost., al di fuori cioe' della lettera e della ratio della norma, eccezionale, di «bilanciamento dei poteri» di cui all'art. 68, commi secondo e terzo Cost. Sotto tale profilo, quindi, ripercorrendo l'insegnamento della Consulta, la previsione normativa di cui all'art. 6, comma 3, legge n. 140 del 2003 si risolverebbe nell'attribuzione alle Camere di un'potere di sindacato - non sull'espletamento o meno del mezzo di ricerca della prova - come nella logica generale delle immunita' previste dall'art. 68 Cost., ma sulla gestione processuale di una prova gia' (legittimamente) formata», che consente di incidere sul «risultato probatorio di un'istruttoria gia' effettuata», decidendo della «rilevanza e l'utilizzabilita' di tale risultato rispetto all'oggetto dell'accusa» (cfr. la relazione della Giunta per le autorizzazioni della Camera dei deputati presentata alla Presidenza il 19 marzo 2007, doc. IV, n. 6-A, citata nel punto 5.4 del Considerato in diritto della sent. Corte cost. n. 390/2007). Ebbene, se si considera la ratio dell'art. 68 Cost., norma cruciale di bilanciamento tra i poteri dello Stato, che prevede un'eccezionale e ben delimitata ipotesi di intromissione da parte del potere legislativo nel mancipio proprio di quello giurisdizionale, giustificata unicamente dall'insopprimibile esigenza di mettere al riparo i parlamentari da eventuali «persecuzioni» dei magistrati (cfr., al riguardo, il passaggio incidentale della citata sentenza della Corte costituzionale, nel punto 5.2 del Considerato in diritto: «L'art. 68 Cost. mira a porre al riparo il parlamentare da illegittime inteferenze giudiziarie sull'esercizio del suo mandato rappresentativo; a proteggerlo, cioe', dal rischio che strumenti investigativi di particolare invasivita' o atti coercitivi delle sue liberta' fondamentali possano essere impiegati con scopi persecutori, di condizionamento, o comunque estranei alle effettive esigente della giurisdizione), allora ben si comprende perche' l'Assemblea costituente non abbia incluso, quale autonoma ipotesi di autorizzazione «postuma», quella riguardante il caso di intercettazioni «accidentali» (nel 2003 introdotta, invece, dal Legislatore ordinario), giacche' relativamente a queste ultime il periculum persecutionis che «anima» la disposizione costituzionale non puo' ontologicamente sussistere, stante la natura meramente «episodica» ed «occasionale» della captazione delle comunicazioni del rappresentante del Parlamento. L'estensione dell'ingerenza del Parlamento su prerogative proprie della Giurisdizione - «la gestione processuale di una prova gia' (legittimamente) formata» - in funzione di tutela della «riservatezza» del Parlamentare, operata dal comma 2 dell'art. 6 in questione ben al di la' dei confini delimitati dall'art. 68 Cost., non solo non trova, dunque, alcuna copertura costituzionale, ma si pone addirittura in netto contrasto con gli artt. 102 e 104 primo comma Cost., determinando un'incrinatura dei fondamentali principi posti a presidio della «separazione dei poteri», consentendo ad un ramo del Parlamento un ingiustificato ed inedito potere di sindacato - in funzione di tutela di un bene diverso da quello salvaguardato dall'art. 68 Cost. - sull'utilizzabilita' di prove gia' acquisite, che ha la sua sede naturale ed invulnerabile all'interno delle dinamiche proprie del procedimento penale. Pertanto, in considerazione dei motivi sub lA) e sub 1B), si richiede, in via principale, che la Corte costituzionale voglia risolvere la questione sottopostaLe pronunciando l'illegittimita' costituzionale dell'art. 6, commi 2, 3, 4, 5, 6 della legge n. 140 del 2003, per contrasto con gli artt. 3, primo comma, 68, terzo comma, 102 e 104, primo comma, della Costituzione. 2) Il profilo di lesione del «diritto di difesa», posto gia' implicitamente alla base della succitata sentenza interpretativa di rigetto della Consulta e', ad avviso di questo giudice, non solo ravvisabile con riferimento alla posizione dei «terzi» (come gia' rilevato dai Giudici delle leggi, poiche' a tale ambito era limitato il Loro precedente intervento), ma anche a quella dei titolari del mandato elettivo. Tale profilo di contrasto con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione risulta evidente ove si consideri che il parlamentare, nell'eventualita' di un contenuto utile (o, addirittura, decisamente e risolutivamente utile) di un'intercettazione «occasionale» di sue comunicazioni e, quindi, di una prova «pur gia' legittimamente formatasi», vedrebbe condizionata (e, quindi, potenzialmente frustrata) la possibilita' di utilizzare il contenuto di tale intercettazione ad una decisione della Camera di appartenenza, nella quale non potrebbero a priori escludersi, al momento della delibera sull'autorizzazione, pericolose dinamiche antagonistiche tra le parti politiche avverse, con conseguente rischio che la decisione sull'autorizzazione possa essere strumentalizzata per ritorsioni di carattere politico nei confronti del singolo Parlamentare che avrebbe interesse all'utilizzo delle intercettazioni eventualmente «scagionanti». L'estensione dell'ingerenza del Parlamento su prerogative proprie della Giurisdizione operata dal comma 2 dell'art. 6 in questione, ben al di la' dell'alveo di protezione delle funzioni parlamentari solcato dall'art. 68 Cost., non solo non trova, dunque, alcuna copertura costituzionale, ma si pone addirittura in netto contrasto anche con l'art. 24, secondo comma, Cost., determinando una lesione del «diritto di difesa» del Parlamentare, che vedrebbe il proprio inviolabile diritto di difendersi attraverso le intercettazioni eventualmente «scagionanti» in un'ingiustificata e inammissibile posizione di soggezione alla volonta' della Camera di appartenenza, cui verrebbe rimessa la decisione in ordine all'utilizzabilta' di intercettazioni di sue comunicazioni, i cui contenuti, per ipotesi, ben potrebbero essere a lui stesso (anche decisivamente) favorevoli. Il diritto di difesa dell'imputato (parlamentare) dinanzi ad un diniego dell'autorizzazione all'utilizzazione da parte della Camera di appartenenza assumerebbe connotazioni addirittura «definitive» atteso che a quest'ultimo dovrebbe «automaticamente» conseguire la distruzione della prova, rendendone cosi' impossibile ogni successivo uso processuale anche in forza di nuove acquisizioni che ne renderebbero piu' chiaro l'eventuale portato probatorio. Pertanto, in subordine rispetto alla richiesta riferita ai motivi sub lA) e sub 1B), si richiede che la Corte costituzionale, in considerazione dei motivi sub 2), voglia risolvere la questione sottopostaLe pronunciando l'illegittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003, per contrasto con l'art. 24, comma secondo, della Costituzione, nella parte in cui non prevede che l'attivazione della procedura ivi prevista sia subordinata al previo consenso/nulla osta del Parlamentare interessato.
P. Q. M. Letti gli artt. 23 e ss., legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante, e non manifestamente infondata, nei rispettivi e subordintati sensi di cui in motivazione, la questione di costituzionalita' dell'art. 6, commi 2, 3, 4, 5 e 6 della legge n. 140/2003; Sospende ai sensi dell'art. 159 c.p.p. il procedimento, - previa separazione, con diversa ordinanza, della relativa posizione processuale, - nei confronti del Landolfi Mario e per l'effetto dichiara sospeso il corso della prescrizione; Ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza sia notificata alla pubblica accusa (Ufficio del p.m. D.D.A. sede, dott. Alessandro Milita), alla privata difesa (avv. Emilio Buccico del foro di Matera ed avv. Giulia Buongiorno del foro di Roma) ed all'on. Mario Landolfi, generalizzato come in epigrafe; Dispone che la cancelleria provveda alla notifica della presente ordinanza in forma integrale al Presidente del Consiglio dei ministri; Dispone altresi' che la cancelleria provveda alla comunicazione della presente ordinanza, in forma integrale: 1) al Presidente del Senato della Repubblica; 2) al Presidente della Camera dei deputati; 3) al Presidente del Tribunale di Napoli, a mezzo del Presidente della sezione g.i.p. sede, al fine di informare - in via gerarchica - il Ministro della giustizia; Dispone che la cancelleria - successivamente alla prova delle avvenute notificazioni e comunicazioni sopra disposte - trasmetta alla Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 23, quarto comma, della legge 11 marzo 1953 n. 87, gli atti relativi al procedimento di cui alla presente ordinanza; Manda alla cancelleria per tutti gli adempimenti di competenza. Napoli, addi' 19 novembre 2008 Il giudice distrettuale dell'udienza preliminare: Campoli