N. 293 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 agosto 2009
Ordinanza del 28 agosto 2009 emessa dal Tribunale di Vicenza nel procedimento civile promosso dal Cazzanello Rita contro Gemma s.r.l. ed altri 2. Procedimento civile - Interruzione del processo per intervenuta dichiarazione di fallimento di parte costituita - Termine di sei mesi per la prosecuzione o la riassunzione del processo interrotto - Decorrenza dalla data dell'interruzione determinata, ai sensi dell'art. 43, comma terzo, della legge fallimentare, dall'apertura del fallimento - Eccepita estinzione del giudizio per intempestivita' della riassunzione effettuata dalla parte interessata - Decorrenza del termine per la riassunzione del processo, ad opera di parte diversa da quella fallita, dalla data dell'interruzione per intervenuta dichiarazione di apertura del fallimento ex art. 43, comma terzo, della legge fallimentare, anziche' dalla data dell'effettiva conoscenza dell'evento interruttivo - Incidenza sul diritto di difesa della parte interessata alla prosecuzione del giudizio ed estranea all'evento interruttivo - Asserita violazione dei principi del contradditorio e della parita' delle parti processuali. - Codice di procedura civile, art. 305, nel testo anteriore alla modifica apportata dall'art. 46, comma 14, della legge 18 giugno 2009, n. 69. - Costituzione, artt. 24, comma secondo, e 111, comma secondo.(GU n.49 del 9-12-2009 )
IL TRIBUNALE A scioglimento della riserva 24 giugno 2009, osserva quanto segue. Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 18 aprile 2006 Cazzanello Rita proponeva opposizione al decreto ingiuntivo n. 407/2006 emesso a suo carico il 14 febbraio 2006 da questo tribunale e notificato all'ingiunta il 9 marzo 2006. Conveniva pertanto l'ingiungente Gemma s.r.l. La convenuta si costituiva con comparsa depositata il 2 febbraio 2007. All'udienza del 2 febbraio 2007 il giudice concedeva la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo e ordinava la chiamata in causa di Gebo Pellami s.n.c. La terza chiamata Gebo Pellami s.n.c. si costituiva con comparsa datata 20 luglio 2007 e depositata in pari data. All'udienza del 20 luglio 2007 il giudice concedeva alle parti i termini previsti dall'art. 183, sesto comma c.p.c. e rinviava al 19 giugno 2008 per l'ammissione delle prove. Con atto depositato il 20 gennaio 2008 interveniva in causa Rap s.r.l. societa' unipersonale, assumendo di essere cessionaria del credito di Gemma s.r.l. oggetto del decreto ingiuntivo opposto. L'udienza del 19 giugno 2008 era rinviata d'ufficio al 1° ottobre 2008. A tale udienza comparivano i soli difensori di parte attrice, della terza chiamata Gebo Pellami s.n.c. e della terza intervenuta Rap s.r.l. L'attrice opponente dimetteva visura camerale dalla quale risultava che la convenuta opposta Gemma s.r.l. era stata dichiarata fallita dal Tribunale di Verona in data 11 marzo 2008. Il giudice, visto l'art. 43, legge fallimentare, dichiarava il processo interrotto. Con ricorso depositato il 19 marzo 2009 l'attrice Cazzanello Rita riassumeva il processo e chiedeva fosse fissata l'udienza per la prosecuzione. Il giudice fissava udienza al 24 giugno 2009. Con atto depositato il 3 giugno 2009 si costituiva il fallimento Gemma s.r.l. chiedendo, in via preliminare, che fosse dichiarata l'avvenuta estinzione del processo per omessa tempestiva riassunzione nel termine di sei mesi dalla data di dichiarazione del fallimento. All'udienza del 24 giugno 2009 parte attrice contestava che fosse decorso il termine di sei mesi previsto dall'art. 305 c.p.c., giacche' riteneva che tale termine decorresse, anche dopo la modifica dell'art. 43 l.f., dalla data di dichiarazione in udienza dell'intervenuto fallimento e non dalla data della sentenza di fallimento. Chiedeva, in subordine, che fosse sollevata questione di legittimita' costituzionale con riguardo all'art. 305 c.p.c. Il fallimento Gemma s.r.l. insisteva nella propria eccezione di estinzione del processo. Il giudice si riservava. Rilevanza della questione. Questo giudice intende sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 305 c.p.c. nella parte in cui, per l'ipotesi di sopravvenuto fallimento di una delle parti costituite e di conseguente interruzione del processo, fa decorrere il termine per la riassunzione del processo dalla data dell'interruzione e non dalla data in cui le parti hanno avuto di fatto conoscenza dell'evento interruttivo. Sono applicabili al processo, ratione temporis, l'art. 305 c.p.c. nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla legge 18 giugno 2009, n. 69 e l'art. 43 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 nel testo risultante dalle modifiche apportate con il d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. L'articolo 305 c.p.c. riformato si applica infatti solo ai processi iniziati dopo la data di entrata in vigore della legge n. 69/09 e quindi non trova applicazione nel presente giudizio. La questione appare peraltro rilevante anche con riguardo al testo modificato dell'art. 305 c.p.c., ove e' previsto un termine piu' breve per la riassunzione del processo estinto. L'art. 43 l.f. come integrato dal d.lgs 9 gennaio 2006, n. 5 e' applicabile alla fattispecie in esame, a norma degli artt. 150 e 153 del medesimo decreto legislativo, perche' il fallimento di Gemma s.r.l. e' stato dichiarato dopo l'entrata in vigore della riforma, cioe' dopo il 16 luglio 2006 (e peraltro la norma di cui all'art. 41 del d.lgs. n. 5/06 e' applicabile anche ai processi pendenti trattandosi di norma processuale). Fino alla modifica della legge fallimentare operata nel 2006, nel caso di fallimento della parte costituita, l'interruzione del processo a norma dell'art. 300, commi primo e secondo c.p.c., conseguiva alla dichiarazione in giudizio o alla notificazione dell'evento da parte del procuratore costituito per la fallita. Il d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 con l'art. 41, ha aggiunto all'art. 43 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 il seguente comma: «L'apertura del fallimento determina l'interruzione del processo». La modifica e' stata interpretata nel senso che il fallimento della parte determina automaticamente l'interruzione del processo, senza necessita' di dichiarazione in giudizio o di notificazione alle parti dell'evento. In tal senso si e' espressa anche la Corte di cassazione nella sentenza delle sezioni unite 20 marzo 2008 n. 7443. Ne' d'altronde pare possa esservi spazio per una diversa interpretazione della norma, la quale, ove non le fosse attribuito il detto significato, verrebbe ad essere del tutto pleonastica giacche' comunque, l'interruzione del processo come conseguenza della perdita della capacita' della parte fallita di stare in giudizio, sarebbe gia' prevista dall'art. 300 c.p.c. Nel processo in oggetto la questione e' rilevante perche' il deposito del ricorso in riassunzione (19 marzo 2009) e' avvenuto dopo che era gia' decorso il termine di sei mesi dalla data del fallimento (11 marzo 2008) e pertanto l'applicazione dei citati articoli 43 l.f. e 305 c.p.c. porterebbe all'accoglimento dell'eccezione di estinzione del processo. Per di piu' nel caso di specie l'estinzione del processo avrebbe conseguenze particolarmente gravi per l'attrice perche' determinerebbe la definitiva esecutivita' del decreto ingiuntivo opposto, a norma dell'art. 653 c.p.c. Va precisato che al momento della dichiarazione di interruzione del processo (l'udienza 1º ottobre 2008, nel corso della quale lo stesso procuratore di Cazzanello Rita dichiaro' a verbale di avere preso conoscenza del fallimento della convenuta) il termine semestrale, tenuto conto della sospensione feriale, non era ancora spirato. Esso e' spirato infatti il 27 ottobre 2008. Il fatto che prima del decorso del termine perentorio di cui all'art. 305 c.p.c. la parte avesse conoscenza dell'evento interruttivo non appare tuttavia decisivo per affermare che non vi sia stata nel caso in esame la violazione del diritto alla difesa e del diritto all'eguaglianza delle parti nel processo: violazione nella quale, secondo quanto si andra' a dire, si concreta l'illegittimita' della norma impugnata. Non e' noto il momento in cui l'attrice venne a conoscenza del fallimento e non vi e' quindi la prova che ella ne fosse al corrente prima dell'udienza del 1° ottobre 2008. Risulta, percio', che nel caso in esame la parte attrice avrebbe avuto a disposizione un termine assai breve (meno di un mese), e del tutto insufficiente - anche avuto riguardo al termine fissato come regola dal codice di rito - per valutare l'opportunita' di proseguire nell'attivita' processuale oppure di lasciare che il processo di estinguesse. Non manifesta infondatezza della questione. Norme costituzionali violate. Ritiene questo giudice che la questione sollevata dalla parte attrice non sia manifestamente infondata. La modifica della legge fallimentare fa si' che il fallimento della parte costituita produca l'effetto automatico dell'interruzione del processo cosi' come gia' previsto dagli articoli 299, 300, comma terzo e 301 c.p.c. per le ipotesi, rispettivamente, della morte o perdita della capacita' di stare in giudizio della parte non ancora costituita; della medesima evenienza con riguardo alla parte costituita personalmente; della morte, radiazione o sospensione del procuratore della parte costituita. In tutte queste ipotesi la Corte costituzionale e' intervenuta per dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 305 c.p.c., nella parte in cui fa decorrere il termine per la riassunzione dall'interruzione del processo, anziche' dal momento in cui le parti hanno avuto conoscenza dell'evento (Corte cost. 15 dicembre 1967 n. 139 con riguardo all'art. 301 c.p.c.; Corte cost. 6 luglio 1971, n. 159 con riguardo all'art. 299 ed al terzo comma dell'art. 301 c.p.c.). Anche con riferimento all'analogo problema della decorrenza del termine per la prosecuzione del processo sospeso dalla cessazione della causa della sospensione anziche' dalla conoscenza che ne abbiano le parti la Corte costituzionale, con sentenza 4 marzo 1970 n. 34, ha dichiarato l'illegittimita' dell'art. 297 comma primo c.p.c. richiamando argomenti simili a quelli sviluppati con riferimento alle ipotesi di interruzione del processo. L'art. 305 c.p.c. dispone che il processo debba essere proseguito o riassunto entro il termine perentorio di sei mesi (ora tre mesi) dall'interruzione, pena l'estinzione del processo. La chiara formulazione della norma non pare consentire interpretazioni diverse da quella riferita, o costituzionalmente orientate. Il dies a quo per il decorso del termine perentorio indicato dall'articolo 305 e' la data dell'interruzione del processo: nei casi in cui l'interruzione si produce automaticamente al verificarsi dell'evento, senza necessita' che esso sia dichiarato in giudizio o notificato alle parti, il termine decorre direttamente dall'evento, a prescindere dalla conoscenza o meno che le parti abbiano dell'evento. Una differente interpretazione, che distingua il momento dell'interruzione del processo dal momento in cui inizia a decorrere il termine per la riassunzione, sembra in effetti preclusa dalla lettera della norma. Ed infatti la Corte costituzionale ha sentito l'esigenza di intervenire con pronunce di illegittimita' dell'art. 305 c.p.c. in tutti gli altri casi in cui il codice prevede il prodursi automatico dell'effetto interruttivo al verificarsi dell'evento. E' tutt'altro che improbabile, anche considerati i normali tempi di svolgimento di un processo civile e la durata dei rinvii da un'udienza all'altra, che la parte diversa da quella che fallisce resti ignara del fallimento della controparte anche per lungo tempo. Puo' quindi accadere che la parte non venga a conoscenza del fallimento se non dopo l'avvenuto decorso del termine di legge per la riassunzione o comunque, come nel caso di specie, a ridosso della scadenza del detto termine. Gli articoli 16 e 17 della legge fallimentare prevedono in verita' forme di pubblicita' volte a rendere noto ai terzi il fallimento e solo dalla data di iscrizione della sentenza nel registro delle imprese la pronuncia produce effetto riguardo ai terzi. Tuttavia appare incongruo imporre alla parte di operare continue verifiche nei registri per controllare se la controparte e' fallita e se quindi ha cominciato a correre il termine perentorio previsto da considerare per evitare l'estinzione del processo. La parte in bonis e' posta, dal meccanismo che si configura a seguito della modifica dell'art. 43 l.f., in una posizione di svantaggio rispetto alla parte fallita perche' ad essa e' imposto l'onere di svolgere indagini onerose onde evitare che l'ignoranza del fallimento dell'avversario possa far maturare preclusioni a suo danno, con esiti anche assai gravosi, come nel caso dei giudizi di impugnazione. Viceversa un comportamento malizioso, o anche solo negligente, della curatela, consistente nel mero astenersi dal dare notizia all'altra parte del fallimento, puo' trasformare un istituto come quello dell'interruzione, volto di per se' a garantire la parte interessata dall'evento dal rischio che il processo prosegua in un momento nel quale essa non puo' svolgere attivita' difensiva, in uno strumento per danneggiare, anche in modo irreparabile, la controparte ignara. Cio' appare incompatibile con quanto dispone l'art. 111 secondo comma della Costituzione perche' altera il regolare svolgimento del contraddittorio e contrasta con il principio di eguaglianza tra le parti in lite. La norma impugnata risulta in contrasto anche con l'art. 24, secondo comma della Costituzione, che riconosce il diritto inviolabile alla difesa. La parte interessata alla prosecuzione del giudizio ed estranea all'evento interruttivo non ha assicurato il diritto di difesa in modo effettivo ed adeguato perche' e' messa nella condizione di subire il rischio che un evento a lei ignoto, e non conoscibile secondo canoni di ordinaria diligenza, vada a pregiudicare la possibilita' di difendere le proprie ragioni nel processo, patendo anche conseguenze assai gravi derivanti dall'estinzione del giudizio. Per ricondurre ad equita' il sistema, come modificato a seguito della riforma del 2006 della legge fallimentare, appare necessario prevedere, come gia' fatto mediante le citate pronunce della Corte costituzionale relative agli articoli 299, 300 e 301 c.p.c., che, anche per il caso del fallimento della parte costituita e di conseguente interruzione del processo ex art. 43 l.f., il termine di cui all'art. 305 c.p.c. decorra non dal momento dell'interruzione ma dal momento in cui le parti ne hanno conoscenza effettiva, e non meramente presunta ai sensi degli articoli 16 e 17 della legge fallimentare.La presente questione e' gia' stata sollevata dal Tribunale di Biella con ordinanza di rimessione 6 marzo 2009, annotata come n. 165 del 2009 nel Reg. Ord. e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 17 giugno 2009, n. 24.
P. Q. M. Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 24, secondo comma e 111, secondo comma della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale relativa all'art. 305 c.p.c. nella parte in cui prevede, nel caso di fallimento della parte costituita, che il termine perentorio per la riassunzione del processo decorra, per le parti diverse da quella fallita, dalla data dell'interruzione anziche' dalla data in cui tali parti ne abbiano avuta effettiva conoscenza; Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospende il processo; Ordina che la presente ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; Dispone che, assieme agli atti del processo, sia trasmessa alla Corte costituzionale anche l'attestazione del perfezionamento delle notificazioni e comunicazioni previste dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Vicenza, 19 agosto 2009 Il giudice: Morsiani