N. 26 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 dicembre 2009
Ordinanza . Responsabilita' amministrativa e contabile - Esercizio dell'azione per danno all'immagine da parte della Procura della Corte dei conti limitato ai casi e modi previsti dall'art. 7 della legge n. 97/2001 (rilevanza penale dell'illecito amministrativo) - Prevista sospensione del termine di prescrizione fino alla conclusione del procedimento penale - Prevista nullita' di qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere, in violazione delle predette disposizioni, subordinata all'azione di chiunque vi abbia interesse - Lesione del principio di uguaglianza, del diritto di azione e del principio del giudice naturale - Violazione dei principi di copertura finanziaria, di buon andamento della pubblica amministrazione e di riserva alla Corte dei conti delle questioni relative alla responsabilita' contabile ed amministrativa - Violazione del principio di tutela giurisdizionale. - Decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78, art. 17, comma 30-ter, inserito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, modificato dall'art. 1, comma 1, lett. c), n. 1, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141. - Costituzione, artt. 2, primo comma, 3, primo comma, 24, primo comma, 25, primo comma, 81, comma quarto, 97, primo comma, 103, comma secondo, e 113, primo comma.(GU n.7 del 17-2-2010 )
LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio di responsabilita' promosso dal Procuratore Regionale nei confronti di Annamaria Cavalli e Liliana Manzillo Visto l'atto introduttivo del giudizio iscritto al n. 58610 del registro di segreteria. Visti gli altri atti e documenti di causa. Udito nella pubblica udienza del 13 ottobre 2009, il Consigliere Relatore prof. Michael Sciascia. Uditi altresi' nella medesima udienza l'avv. Alessandro Biamonte per la convenuta Annamaria Cavalli e l'avv. Attilio Davide per la convenuta Liliana Manzillo, nonche' il sostituto procuratore generale dott. Aurelio Laino . Ritenuto in fatto Con citazione depositata in data 29 settembre 2008 a firma del vice procuratore generale dott. Filippo Esposito, il procuratore regionale presso questa sezione giurisdizionale ha chiamato a giudizio Annamaria Cavalli e Liliana Manzillo, dipendenti del Ministero delle Finanze (ora dell'Economia e delle Finanze), per il risarcimento di danni subiti dallo Stato. Infatti, nella prospettazione di parte attrice, le due convenute, dipendenti di tale dicastero ed assegnate al 2° Ufficio II. DD. di Napoli, avrebbero con ruoli diversi collaborato nella procedura di esame delle domande di rimborso di quote inesigibili presentate dalla Finert S.p.a., quale gestore delle ex esattorie dei comuni di Marano e Villaricca (Napoli), con ammissione di esse a rimborso, nonostante falsificazioni documentali. Le due convenute sono state sottoposte a procedimento penale, unitamente ad altri concorrenti nel disegno criminoso, per reati di falsita' materiale ed ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici (articoli 476 e 479 c.p.), di truffa (art. 640 c.p.) e di corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio (art. 319 c.p.). A conclusione di una lunga vicenda giudiziaria la Cavalli e' stata condannata con giudicato per il reato di falso ideologico con contestuale assoluzione per prescrizione relativamente ai restanti capi d'imputazione, mentre la Manzillo e' stata assolta con formula piena da tutti i capi d'imputazione. Nella pubblica udienza del 13 ottobre 2009 sono intervenuti nel dibattimento ove hanno formulato le seguenti conclusioni: l'avv. Alessandro Biamonte, per la convenuta Annamaria Cavalli, nel chiedere l'assoluzione della sua assistita, ha in via subordinata segnalato l'opportunita' di integrare il contraddittorio con esponenti dell'Intendenza di Finanza e della Ragioneria Provinciale dello Stato di Napoli; l'avv. Attilio Davide ha insistito per l'assoluzione della convenuta Liliana Manzillo, in ragione della piena assoluzione in sede penale; il sostituto procuratore generale dott. Aurelio Laino, per il danno patrimoniale, ha confermato la richiesta di condanna di ambedue le convenute tenendosi conto del maggior apporto causale della Cavalli, mentre per il danno all'immagine ha osservato che nessun interessato ha eccepito la nullita' ed ha chiesto la condanna della sola convenuta Cavalli con assoluzione della convenuta Manzillo, sollevando sul punto in via preliminare eccezione di legittimita' costituzionale della disposizione di cui all'art. 30-ter, periodi 2 e 3, legge n. 102/2009 di conversione d.l. n. 78/2009, modif. da art. 1 comma 1 lettera c del d.l. n. 103/2009 convertito nella legge n. 141/2009 con precise argomentazioni specificate in una nota contestualmente depositata. In essa si profila il contrasto della citata normativa con gli articoli 3, 24, 25, 97 e 103, sottolineando che «data la condanna definitiva della Cavalli per i reati p. e p. dagli articoli 478 e 479, a seguito di dibattimento penale e ben tre gradi di giudizio, non si comprende davvero in che modo una cosi' conclamata trasgressione ai propri doveri d'ufficio - consistiti nell'aver omesso dolosamente e per denaro di esercitare gli obbligatori controlli formali di legge per agevolare l'ex esattore delle imposte nel rimborso indebito di quote inesigibili, con cio' concretando un falso documentale - non dia luogo alla lesione del prestigio dell'amministrazione finanziaria, mentre la darebbe, secondo la visione del legislatore, un episodio di peculato (art.314 c.p.), ovvero di rivelazione di segreti d'ufficio p. e p. dall'art. 325 c.p. (sic!), piuttosto che di omissione d'atto d'ufficio (323 c.p.), ovvero di corruzione impropria susseguente (ex art. 318 c.p.). In sede di replica i difensori delle due convenute hanno giudicato tale eccezione irrilevante, in quanto il danno all'immagine sarebbe prescritto, chiedendo comunque la sospensione dell'intero processo in attesa di pronuncia della Consulta, mentre il procuratore regionale ha osservato che sussistono atti interruttivi della prescrizione e che la contestata norma sospende la prescrizione durante io svolgimento del processo penale. Considerato in diritto 1. Il Collegio preliminarmente giudica non manifestamente infondata e rilevante la questione di legittimita' costituzionale sollevata nel presente giudizio dal procuratore regionale al riguardo della disposizione di cui all'art.17 comma 30-ter, periodi secondo e terzo, della legge 3 agosto 2009 n. 102 di conversione del decreto-legge 1° luglio 2009 n. 78, modificata dall'art. 1, comma 1 lettera c del decreto-legge 3 agosto 2009 n. 103, convertito nella legge 3 ottobre 2009 n. 141, con riferimento agli articoli 3, 24, 25, 97 e 103 della Costituzione, ritenendo utile estendere d'ufficio il sospetto di contraddizione anche agli articoli 2, 81 e 113. Quindi rileva che con propria ordinanza n. 369/2009 in data 29 settembre/14 ottobre 2009, nel corso di altro giudizio di responsabilita', questa Sezione ha sollevato d'ufficio analoga questione innanzi alla Corte costituzionale. In tale ordinanza sono stati indicati analiticamente gli argomenti a sostegno dei motivi di rimessione, che invero appaiono analoghi a quelli concernenti il presente giudizio, salvo alcune specificazioni. Ad evitare la ripetizione di essi si rinvia al contenuto della predetta ordinanza, ripercorrendone e sintetizzandone i punti piu' rilevanti e differenziali dell'emblematica vicenda in esame. Questa riguarda invero una dipendente statale che - nonostante sia stata condannata penalmente con giudicato per il reato di falso ideologico di cui all'art. 479 del codice penale, pur compiuto nell'esercizio delle proprie funzioni-beneficerebbe della novella di cui al su citato art. 17, comma 30-ter, periodi secondo e terzo, con esenzione da ogni forma risarcitoria per il pregiudizio all'immagine dell'amministrazione di appartenenza, per non rientrare tale grave delitto tra quelli contenuti nel Libro II, Titolo II, Capo I («Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione»), per alcuni dei quali peraltro la medesima dipendente risulta assolta per prescrizione. La disposizione contestata ha invero introdotto un limite alla giurisdizione della Corte dei conti, ancorche' apparentemente diretto solamente all'ufficio requirente contabile, che e' l'unico soggetto abilitato ad agire innanzi alla Corte dei conti in sede di giudizi di responsabilita'; essa quindi ridonda direttamente a riduzione della sfera «sostanziale» della responsabilita' gestoria di tipo amministrativo ed a restrizione «formale» ed oggettiva dell'ambito cognitivo del giudice contabile, che poi e' l'unico a poter conoscere - ai sensi dell'art. 103 della Costituzione - di tali ipotesi dannose. Il risultato della riferita operazione legislativa, costituita da una sorta di «contraddittoria» e sofferta formazione progressiva della norma finale, e' stata un'apparente estensione alla fattispecie concernente il danno all'immagine del meccanismo della nullita' inizialmente non previsto, come era ed e' nella logica del sistema. Infatti la valutazione sulla «regolarita'» di atti di esercizio, stragiudiziale e giudiziale, dell'actio damni in materia di lesione all'immagine di amministrazione pubblica si risolve nell'accertamento della sussistenza, nella concreta ipotesi, della giurisdizione contabile, talche' la pronuncia assume la veste formale di declaratoria di affermazione o difetto di giurisdizione della Corte dei conti, nonche' di qualunque altro ordine giudiziario, con le conseguenze di legge. Ne consegue che il descritto meccanismo della nullita', peraltro relativa ai sensi dell'art. 157 del c.p.c., degli atti istruttori e processuali del procuratore regionale non incide, ne' lo potrebbe, sul potere di accertamento pregiudiziale della propria giurisdizione spettante ad ogni giudice. Con l'espresso richiamo dell'art. 7, della legge 27 marzo 2001 n. 97, il legislatore del 2009 ha voluto limitare il danno all'immagine di una amministrazione pubblica alle sole ipotesi di sua connessione a delitti contro la stessa P.A. previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, peraltro accertati con giudicato, eliminando dalla sfera dell'illiceita' le restanti ipotesi di un siffatto pregiudizio, individuate dalla giurisprudenza, allorche' si prescinde da tale specifico e limitato rilievo penale. Sulla compatibilita' della citata disposizione con la Costituzione il Collegio - ritenendo piu' che fondata l'eccezione sollevata in udienza dal rappresentante della procura regionale ed articolata nella nota depositata in tale sede - nutre forti dubbi, di cui Ritiene di investire la Corte costituzionale per una pronuncia risolutrice. In ordine alla ricorrenza dei presupposti per la rimessione de qua, va osservato che, risultando evidente la sussunzione nella previsione legislativa de qua della fattispecie in esame in ordine alla domanda di risarcimento del danno all'immagine, la citata disposizione e' immediatamente applicabile ai giudizi in corso, essendo norma di carattere processuale; tanto piu' che l'abolizione dell'unica forma di accesso alla tutela giurisdizionale in una determinata materia - come si approfondira' in seguito - ridonda a esclusione della giurisdizione stessa sulla gran parte delle ipotesi dannose del genere. La Corte dei conti, investita di un giudizio del genere, in applicazione della disposizione di cui al 2° e 3° periodo del citato comma 30-ter, dovrebbe dichiarare preliminarmente inammissibile per difetto di giurisdizione la domanda introduttiva del processo, a prescindere dall'eccezione di nullita', proposta eventualmente dal convenuto nel suo interesse esclusivo, nei confronti degli atti istruttori e processuali compiuti al riguardo dal procuratore regionale. Di qui l'evidente rilevanza e pregiudizialita' della questione di legittimita' costituzionale nel giudizio in corso, tanto piu' - e senza peraltro che abbia alcun rilievo ai fini de quibus - che le convenute non hanno eccepito la nullita' della domanda avente ad oggetto il risarcimento dell'allegato danno all'immagine. La disposizione di legge in discorso appare invero contrastante nell'ordine con l'art. 2, comma 1°, l'art. 3, comma 1°, l'art. 24 comma 1°, l'art. 25, comma 1°, l'art. 81, comma 4°, l'art. 97 comma 1°, l'art. 103 comma 2° e l'art. 113 comma 1° e 2° della Costituzione. 2. - Il piu' evidente contrasto del citato comma 30-ter, periodi secondo e terzo, si presenta con l'art.2 della Costituzione, che costituisce la fondamentale base giuridica della stessa tutela del diritto all'immagine di qualunque soggetto, tra cui la pubblica amministrazione. Orbene la su citata disposizione ha posto un evidente «irragionevole» restrizione, limitandola ai casi di effettiva condanna penale irrevocabile per l'eventuale connesso delitto contro la P.A., alla tutela risarcitoria del diritto all'immagine della pubblica amministrazione, che viene discutibilmente degradato da figura autonoma di danno-conseguenza, cosi' come le restanti ipotesi dannose del genere non patrimoniale, ad una marginale figura di danno-evento peraltro dipendente da particolari delitti. 3. - Sotto altro profilo la disposizione di cui al comma 30-ter, periodi 2° e 3°, indubbiamente determina una diffusa disparita' di trattamento tra soggetti che versano nella medesima situazione giuridica, in dispregio a quanto previsto dall'art. 3 della Costituzione. Tale disparita' si evidenzia tra i pubblici dipendenti citati in giudizio - e quindi tutti quelli versanti nella stessa condizione - e coloro che sono legati all'amministrazione da rapporto di servizio non professionale che non sono destinatari della disposizione. Infatti il combinato disposto di cui al piu' volte citato comma 30-ter, periodi 2° e 3°, ed all'art.7 dalla legge n. 97/2001 si rivolge esclusivamente ai dipendenti pubblici, con esclusione degli amministratori ed in genere di coloro che sono legati all'ente da un mero rapporto di servizio. Tali censure non sono manifestamente infondate, in quanto in dispregio dell'art. 3 della Costituzione la contestata novella, senza alcuna valida ragione giustificatrice, riconosce ai pubblici dipendenti il privilegio «perpetuo» dell'irresponsabilita' per il compimento di atti che sono risultati e che risulteranno in futuro certamente dannosi per l'immagine di un ente pubblico, finanche collegati al compimento di gravi reati compiuti nell'esercizio delle funzioni pubbliche, come il caso di specie. Contestualmente la disposizione censurata ha attribuito, per i motivi sopra illustrati, allo Stato un'ingiustificata posizione di svantaggio nei confronti dei dipendenti medesimi e di quelli che seguiranno, nonche' nei confronti dei restanti soggetti dell'ordinamento, in quanto il deterioramento dell'immagine del primo non e' sanzionata se non in marginali casi dipendenti dalla commissione di gravi e particolari delitti, mentre quello dei secondi e' ben tutelato in tutti i casi di commissione di illecito anche di non rilievo penale. Non e' quindi dato di comprendere i motivi di una sottovalutazione dell'immagine della pubblica amministrazione. 4. - Il citato comma 30-ter, periodi secondo e terzo si pone poi in contrasto con l'art. 97, comma 1° della Costituzione, ed in particolare con il criterio del buon andamento, in quanto determina un'alterazione della funzionalita' degli enti pubblici sotto il delicato profilo della reputazione e della conseguente fiducia dei cittadini nei confronti delle Istituzioni, nonche' impedisce comunque il risarcimento dei danni provocati da funzionari alle amministrazioni di appartenenza, salvo che assuma una tale gravita' da comportare una condanna penale irrevocabile al riguardo per particolari tipi di reato. In aggiunta, la disposizione contestata contraddice l'altro criterio in parola, cioe' quello dell'imparzialita', che si risolve essenzialmente nel rispetto della giustizia sostanziale. Pertanto la scelta del legislatore nel porre tale contestata disposizione altresi' appare, nella sua palese irrazionalita' ed irragionevolezza, una violazione dell'art. 97, comma 1° della - Costituzione. 5. - A rafforzare la convinzione che il legislatore abbia ecceduto nella sua discrezionalita', cadendo in una manifesta irragionevolezza e violando nel contempo l'art. 3, comma 1° e l'art. 97 comma 1° della Costituzione, va considerato che il denunciato comma 30-ter e' stato introdotto dalla legge di conversione del decreto-legge n. 78 del 2009, senza che nel corso della brevissima discussione sulla norma ne siano state valutate a pieno la portata e le conseguenze. Anzi l'emendamento contenente la contestata norma e' stato approvato - insieme alle altre disposizioni - sotto la spinta della preoccupazione per la scadenza del decreto, non disgiunta dall'esigenza di modificarne il testo, almeno per alcune parti palesemente incostituzionali, attraverso una ulteriore decretazione d'urgenza emanata senza soluzione di continuita', ossia il d.l. n. 103/2009 convertito nella legge n. 141/2009. Questa situazione invero ha introdotto una sorta di rinuncia a priori al risarcimento di tutti i rilevanti danni che sono stati, e che lo saranno nel futuro «indeterminato», inferti alla reputazione degli enti pubblici, al di fuori del ristretto ambito penale costituito dal Capo richiamato, contraddicendo e vanificando nel concreto i principi generali posti dalla legge 241/1990 e dalle successive modificazioni ed integrazioni in tema di rilancio della funzionalita' della pubblica amministrazione. D'altronde non appare coerente con il sistema costituzionale e con i principi del diritto il non considerare dannosi per il prestigio dell'amministrazione gli illeciti penali diversi da quelli specifici contenuti nel Capo I del Titolo II del Libro II del Codice Penale, in quanto anche gli altri - ove compiuti nell'esercizio delle funzioni pubbliche o in occasione di esso - sono senz'altro lesivi dell'immagine della P.A. se compiuti nell'esercizio delle funzioni pubbliche. Inoltre non si tiene conto del «compimento» di delitti contro la pubblica amministrazione, accertabile incidentalmente in ogni altro giudizio, ma dell'avvenuta condanna penale definitiva, si' da impedire ogni tutela risarcitoria in caso di prescrizione dell'azione penale anche per reati contro la P.A. Allo stesso modo non si consente la tutela risarcitoria per lesioni di immagine susseguenti ad illeciti (non rientranti tra quelli penali richiamati) di pari o maggiore allarme sociale. Inoltre e' stata realizzata una sofisticata sanatoria estesa anche alle future violazioni del prestigio del settore pubblico sempreche' non si concreti in un'ipotesi delittuosa contro la pubblica amministrazione. La previsione contenuta nel citato comma 30-ter, periodi 2° e 3°, appare cosi' viziata da indeterminatezza temporale ed oggettiva, tanto da prescindere da una qualsiasi ratio che non sia quella della sanatoria di per se stessa. 6. - Inoltre l'ente interessato alla vicenda in esame -cosi' come tutti le altre amministrazioni, i cui esponenti sono destinatari della norma contestata-, sono stati privati della possibilita' di tutelarsi giudizialmente sul piano risarcitorio, anche in violazione degli articoli 24, comma 1° e 113 comma 1° e 2° della Costituzione. 7. - La norma fondamentale, di cui al 4° comma dell'art.81 della Costituzione, poi, impone al legislatore di prevedere, allorche' dispone una spesa -cui e' da equiparare una minore entrata per esclusione del risarcimento da danno all'immagine-, i mezzi per far fronte ad essa. Orbene il piu' volte citato comma 30-ter non contiene nel corpo del provvedimento legislativo complessivamente approvato una previsione di copertura finanziaria della minor entrata imposta allo Stato a causa del mancato recupero dei danni provocati alla sua finanza, nonche' della maggiore spesa per la riabilitazione del prestigio cosi' offuscato. 8. - Per completezza vanno affrontate le ultime due censure fondatamente formulabili alla disposizione di cui al criticato comma 30-ter, periodi secondo e terzo, ossia il contrasto palese con l'art. 103, comma 2° e con l'art. 25, comma 1° della Costituzione, che attribuisce alla Corte dei conti la giurisdizione nelle materie di contabilita' pubblica. Infatti, come gia' precedentemente si e' osservato, la cancellazione di ogni potere di azione, al di fuori dell'ipotesi di giudicato penale per delitti contro la P.A., relativa alla responsabilita' gestoria in materia di danno all'immagine ridonda a esclusione della giurisdizione di questa Corte, peraltro in via generale attribuita alla Corte dei conti. L'intervento del legislatore in attuazione dell'art. 103, comma 2° della Costituzione (la c.d. interpositio legislatoris) non puo' spingersi fino ad escludere apoditticamente la giurisdizione della Corte dei conti con riferimento ad ipotesi specifiche di responsabilita' rientranti tradizionalmente e genericamente nella materia della Contabilita' Pubblica ovvero, ancora peggio, a distinguere nell'ambito della stessa tipologia di danno (nella specie all'immagine) inferto ad ente pubblico, tra ipotesi conoscibili dal loro «giudice naturale» e quelle non, senza peraltro un criterio discretivo razionale e ragionevole. Altrimenti la suddetta disposizione costituzionale non avrebbe alcuna funzione, rimettendosi ogni aspetto alla discrezionalita' del legislatore, che nella circostanza peraltro urta contro il principio della ragionevolezza, costituendo un'inammissibile area di impunita' in un delicato settore delle gestioni pubbliche. L'assunto viene rafforzato con riferimento all'art. 25, comma 1° della stessa Costituzione, secondo cui «nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge». Questa norma impedisce qualunque sottrazione di sfera giurisdizionale successivamente al verificarsi del fatto generatore. La questione sollevata con la presente ordinanza appare rilevante ai fini della procedibilita' e quindi della definizione della causa in esame, nonche' non manifestamente infondata per i motivi in precedenza illustrati.
P. Q. M. Visti gli articoli 134 della Costituzione e 23 comma 3° della legge 11 marzo 1953, n. 87, preliminarmente giudica rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli articoli 2, comma 1°, 3 comma 1°, 24 comma 1°, 25 comma 1°, 81 comma 4°, 97 comma 1°, 103 comma 2° e 113 comma 1° della Costituzione, della disposizione di cui all'art. 17, comma 30-ter della legge 3 agosto 2009 n. 102 di conversione del decreto-legge 1 luglio 2009 n. 78, modificata dall'art. 1, comma 1, lettera c del decreto-legge 3 agosto 2009 n. 103, convertito nella legge 3 ottobre 2009 n. 141, limitatamente ai periodi secondo e terzo, in cui recita «Le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'articolo 7 dalla legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e' sospeso fino alla conclusione del procedimento penale»; Sospende pertanto il giudizio e, riservatasi ogni altra pronuncia in rito ed in merito, dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' sia comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Spese riservate al merito. Cosi' disposto in Napoli, nella Camera di consiglio del 13 ottobre 2009. Il Presidente: Gustapane L'estensore: Sciascia