N. 27 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 novembre 2009
Ordinanza del 9 dicembre 2009 emessa dalla Corte dei conti - Sez. giurisdizionale per la Regione Campania nel giudizio di responsabilita' promosso dal procuratore regionale presso la Sez. giurisdizionale della Regione Campania contro Fecondo Filippo ed altri. Responsabilita' amministrativa e contabile - Esercizio dell'azione per danno all'immagine da parte della Procura della Corte dei conti limitato ai casi e modi previsti dall'art. 7 della legge n. 97/2001 (rilevanza penale dell'illecito amministrativo) - Prevista sospensione del termine di prescrizione fino alla conclusione del procedimento penale - Prevista nullita' di qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere, in violazione delle predette disposizioni, subordinata all'azione di chiunque vi abbia interesse - Lesione del principio di uguaglianza e del diritto di azione - Violazione del principio di riserva alla Corte dei conti delle questioni relative alla responsabilita' contabile ed amministrativa - Violazione del principio di tutela giurisdizionale. - Decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78, art. 17, comma 30-ter, inserito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, modificato dall'art. 1, comma 1, lett. c), n. 1, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141. - Costituzione, artt. 3, 24, 103 e 113.(GU n.7 del 17-2-2010 )
LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di responsabilita', iscritto al n. 58231 del registro di Segreteria, instaurato a istanza della Procura Regionale della Corte dei Conti per la Regione Campania nei confronti dei signori: 1) Filippo Fecondo, nato il 7 luglio 1963 a Marcianise (Caserta) ed ivi residente alla via Duomo n. 66, rappresentato e difeso, giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta depositata il 10 settembre 2009, dall'avv. Domenico Stanga ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Caserta alla piazza A. Moro n. 9 - P.co del Corso; 2) Angelo Piccolo, nato il 21 settembre 1950 a Marcianise (Caserta) ed ivi residente alla via S. Merola n. 2, rappresentato e difeso, giusta mandato in calce all'atto di citazione notificato, dall'avv. Fabrizio Perla ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Napoli alla via S. Brigida n. 39; 3) Giuseppe Sagliano, nato il 22 luglio 1951 a Marcianise (Caserta) ed ivi residente alla via S. Giovanni Bosco n. 6, rappresentato e difeso, giusta mandato a margine della memoria difensiva presentata l'8 settembre 2009, dall'avv. Luigi M. D'Angiolella ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Napoli al viale A. Gramsci n. 16; 4) Vincenzo Negro, nato il 31 agosto 1954 a Marcianise (Caserta) ed ivi residente alla via Monfalcone n. 21, rappresentato e difeso, giusta mandato in calce all'atto di citazione notificato, dall'avv. Emanuele Marino ed unitamente a questi elettivamente domiciliato in Napoli alla via G. Capaldo n. 7 presso la signora Rosaria Corvino; Visto l'atto di citazione della Procura Regionale depositato presso questa Sezione Giurisdizionale il 16 maggio 2008; Viste le memorie di costituzione depositate presso la Segreteria di questa Sezione Giurisdizionale dalle difese dei convenuti (Vincenzo Negro il 3 settembre 2009, Giuseppe Sagliano l'8 settembre 2009, Filippo Fecondo il 10 settembre 2009 e Angelo Piccolo l'11 settembre 2009); Visti gli atti di giudizio; Chiamata la causa nella pubblica udienza del giorno 1 ottobre 2009, con l'assistenza del segretario dr. Giuseppe Volpe, sentiti il relatore primo referendario Rossella Cassaneti, gli avvocati Giuseppe Criscuolo per delega dell'avv. Fabrizio Perla, Flavio Brusciano per delega dell'avv. Luigi. M. D'Angiolella ed Emanuele Marino, nonche' il rappresentante del pubblico ministero in persona del Vice Procuratore Generale dott. Maurizio Stanco; Premesso che con atto di citazione depositato presso la Segreteria di questa Sezione in data 16 maggio 2008, la Procura Regionale ha evocato in giudizio i signori Filippo Fecondo (Sindaco del Comune di Marcianise dal 2001 sino almeno all'epoca del deposito dell'atto introduttivo del giudizio), Angelo Piccolo (Dirigente del Settore Urbanistica, Ambiente, Ecologia e Tutela del Territorio del Comune di Marcianise dal 25 maggio 1999 al 23 maggio 2000 e dal 1° aprile 2001 in poi), Giuseppe Sagliano (Capo Servizio Ambiente, Ecologia e Tutela del Territorio del Comune di Marcianise a far data dal 1° settembre 2001) e Vincenzo Negro (Responsabile dell'ufficio Gestione Rifiuti del Comune di Marcianise dal 21 marzo 2002) per sentirli condannare al pagamento, pro quota, di € 405.322,25 in favore del Comune di Marcianise (Caserta), di € 45.077,23 in favore dello Stato e di € 43.038,00 in favore della Regione Campania - o alle diverse somme determinate dal Collegio giudicante - oltre rivalutazione monetaria e spese di giustizia. Il danno pubblico suindicato sarebbe derivato, secondo parte attrice, dal mancato rispetto degli obblighi inerenti il raggiungimento da parte del Comune di Marcianise delle percentuali minime di raccolta differenziata, con riferimento agli anni 2003, 2004 e 2005. Ai fini istruttori, nell'ambito della piu' ampia indagine condotta dall'ufficio requirente sull'insufficiente percentuale di raccolta differenziata riscontratasi nel territorio regionale e visto che in base ai dati rappresentati nell'adeguamento del piano regionale dei rifiuti approvato dal Commissario di Governo per l'emergenza rifiuti nella regione Campania con l'ordinanza n. 77/2006, nell'anno 2004 il Comune di Marcianise risultava aver raggiunto la percentuale di raccolta differenziata del solo 6,17, la Procura contabile ha acquisito presso l'ente comunale in parola relazioni e note, corredate da varia documentazione, dopodiche' ha provveduto a notificare ai presunti responsabili invito a presentare le proprie controdeduzioni, ritenute peraltro inidonee al superamento delle contestazioni di addebito, al che e' seguito il deposito e la notifica dell'atto introduttivo del giudizio. Al fine di descrivere l'essenzialita' della raccolta differenziata - definita come «raccolta idonea a raggruppare i rifiuti urbani in frazioni merceologiche omogenee» (art. 6, decreto legislativo n. 22/1997) - nella gestione del ciclo dei rifiuti, la Procura ha ricordato, in primo luogo, il decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22 (cd. decreto «Ronchi»), oltre alle ordinanze del Ministero dell'Interno - Protezione Civile, riguardanti l'emergenza rifiuti nella Regione Campania, numeri 2948/1999, 3100/2000 e 3479/2005, dalla lettura di cui si evince che nel periodo in considerazione i comuni della Regione Campania, avrebbero dovuto attuare una percentuale minima di raccolta differenziata (rispetto al totale ammontare della quantita' di rifiuti prodotta) pari al 30% per il 2003-2004 ed al 35% per il 2005 e che la tariffa a carico dei comuni per gli oneri gestionali della raccolta dei rifiuti avrebbe subito progressive maggiorazioni in misura direttamente proporzionale all'entita' della violazione delle disposizioni riguardanti la percentuale minima di raccolta differenziata da realizzare entro le varie scadenze prestabilite. Citando, inoltre, la legge n. 296/2006 - che ha previsto le percentuali di raccolta differenziata da realizzare sul territorio nazionale entro la fine degli anni dal 2006 al 2012 - la legge n. 87/2007 - che ha disciplinato l'avvalimento per la raccolta differenziata da parte dei comuni della Regione Campania dei consorzi costituiti ai sensi dell'art. 6 legge R.C. n. 10/1993 - e l'ordinanza P.C.M. n. 3639/2008 - che ha prescritto la predisposizione e la realizzazione da parte dei comuni campani di un piano delle misure necessarie per la raccolta differenziata - la Procura ha posto in rilievo come l'inadempimento delle disposizioni dettate nella materia di che trattasi abbia contribuito in maniera determinante alla crisi del ciclo dei rifiuti, richiamando, in proposito, l'ordinanza commissariale n. 28/2004 e la «Relazione Territoriale sulla Campania» della Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti trasmessa alle Camere il 1° febbraio 2006. In quest'ultima, in particolare, rifiuti indifferenziati e loro quantita' sono indicati quali concause dei problemi di blocco e cattivo funzionamento dei sette impianti di produzione del CDR (combustibile derivato da rifiuti), nonche' fonte di ripetute situazioni di emergenza con tonnellate di rifiuti nelle strade; da uno studio analitico elaborato nel 2007 dal prof. A. Marangoni - ha esposto ancora a titolo esemplificativo la Procura - risulta, infine, «che il non aver fatto la RD di carta e cartone dal 1999 al 2005 e' costato alla Campania e all'intero Paese almeno 102 milioni di €». Ai maggiori costi complessivamente sostenuti per la mancata differenziazione dei rifiuti devono poi essere aggiunte - ha rilevato parte attrice - le considerevoli spese (quali quelle relative al trasporto fuori regione o all'estero dei rifiuti, con quote di materiali da separare) derivanti dalle ripetute situazioni di acute crisi del settore (rifiuti non raccolti nelle strade), largamente incise dalla scarsa percentuale di raccolta differenziata. Sul punto, la Procura attrice ha riportato i risultati dell'analisi della spesa per interventi effettuati in materia di emergenza rifiuti contenuti nella relazione della Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato della Corte dei conti riguardante "La gestione dell'emergenza rifiuti effettuata dai Commissari del Governo" approvata con deliberazione n. 6/2007/G, secondo cui ammonterebbero ad € 561.517.499 le risorse spese dal Commissariato rifiuti campano per l'emergenza fino all'anno 2005. Fornita la surriportata descrizione in termini generali della dannosita' economica dell'inadempimento delle prescrizioni in tema di raccolta differenziata, l'ufficio requirente ha individuato, con riferimento alla specifica fattispecie oggetto del giudizio, quattro distinte voci di danno: l'ingiustificato costo sostenuto dal Comune di Marcianise a titolo di tariffa smaltimento rifiuti per il conferimento presso gli impianti di produzione di C.D.R. del «tal quale» (rifiuto indifferenziato, una parte del quale avrebbe dovuto essere debitamente separato in sede di effettuazione della raccolta), calcolato per il periodo in rilievo (2003/2005) in complessivi € 249.840,70 per l'anno 2003, € 179.301,23 per l'anno 2004 ed € 318.707,14 per l'anno 2005, importi ottenuti moltiplicando la tariffa di smaltimento aggiuntiva pagata per i rifiuti, indifferenziati dal Comune di Marcianise (pari ad € 0,0449 per chilogrammo dal 2003 al 15 dicembre 2005 e ad € 0,0880 per chilogrammo dal 16 dicembre 2005) per la differenza tra la percentuale concretamente raggiunta e quella che doveva essere realizzata per rispettare il limite normativo della raccolta differenziata; considerato l'apporto causativo del danno in parola addebitabile ad altri soggetti pubblici, alle difficolta' nascenti dalle periodiche crisi del sistema nonche' alla mancanza di un adeguato supporto impiantistico nella regione per lo smaltimento della frazione organica e dei cosiddetti «rifiuti verdi», la Procura ha ritenuto di decurtare dagli importi dianzi indicati il 50%, di modo che la voce di danno qui descritta risulta complessivamente pari ad € 373.924,54 (€ 124.920,35 per il 2003 + € 89.650,61 per il 2004 + € 159.353,57 per l'anno 2005); il costo sostenuto per le situazioni emergenziali dal comune di Marcianise nel 2004 (€ 243.308,89 complessivi) e nel 2005 (€ 70.668,36), il cui 10% dovrebbe ad avviso della Procura essere addebitato alle responsabilita' connesse con la molto ridotta raccolta differenziata, da quantificare, conseguentemente, in € 24.330,88 per il 2004 ed in € 7.066,83 per il 2005; tale voce di danno, sommata a quella descritta al punto che precede, da' un danno alle finanze comunali dell'importo totale di € 405.322,25 (€ 373.924,54 + € 24.330,88 + € 7.066,83); il nocumento derivante dal collasso del piano integrato dei rifiuti e dei costi emergenziali, significativamente inciso dalla raccolta differenziata e da ritenere gravante - visto il pluriennale intervento governativo mediante gli organi straordinari ed i finanziamenti erogati dal bilancio statale - sull'Erario, da calcolare - secondo la prospettazione attorea - in via equitativa in € 45.077,23, importo dato dalla somma fra le spese sostenute negli anni 2004 e 2005 per il trasporto fuori regione dei rifiuti solidi urbani (sulla cui quantita' complessiva incide in modo rilevante la mancata differenziazione), calcolate in percentuale uguale a quella corrispondente al totale degli r.s.u. prodotti dal Comune di Marcianise rispetto a quelli dell'intera Regione; il danno per la gravissima lesione dell'immagine dell'intera Regione Campania dato dall'enorme risonanza nella pubblica opinione dell'emergenza rifiuti - con risalto anche all'estero ed impatto fortemente negativo per il settore turistico - calcolato in almeno € 10.000.000,00 annui complessivi e da considerarsi inciso - sempre mediante l'utilizzo di criteri equitativi - almeno per un quinto (€ 2.000.000,00) dalla difettosa raccolta differenziata, risulterebbe pari, nel caso all'esame del Comune di Marcianise - seguendo il medesimo criterio proporzionale del rapporto tra i rifiuti prodotti in Campania e quelli del Comune in precedenza utilizzato - ad € 43.038,00 per l'intero periodo 2003-2005. Per quanto concerne l'individuazione delle responsabilita' individuali produttive del danno pubblico dianzi descritto nelle, varie sue componenti, la Procura attrice, premesso che «la violazione delle prescrizioni normative e' da addebitare ai soggetti cui ne competeva l'attuazione, e che, con un comportamento doloso o gravemente colposo, non hanno curato l'attivita' necessaria per garantirne il rispetto» nonostante la notorieta' generale dell'indispensabilita' della raccolta differenziata e la presenza di Comuni nell'ambito regionale ove le prescrizioni in parola ricevevano corretta attuazione, ha posto in rilievo che nel Comune di Marcianise sono rimaste inattuate le previsioni regolamentari comunali (delibera C.C. n. 52/1997) e contrattuali del capitolato speciale d'appalto dell'11 ottobre 1999 regolanti il rapporto con la ditta affidataria della gestione integrata dei rifiuti urbani e dell'igiene urbana, perche' le ordinanze sindacali adottate non hanno previsto alcunche' in punto di istituzione e di avvio della raccolta differenziata dei rifiuti; il che ha impedito il sorgere dell'obbligo per i cittadini di procedere al conferimento separato delle varie frazioni, con conseguente impossibilita' da parte degli agenti municipali di poter contestare le eventuali infrazioni e, nel contempo, inipotizzabilita' di inadempimenti contrattuali da parte della societa' affidataria del servizio. L'ingiustificata e perdurante stasi amministrativa registratasi presso il Comune di Marcianise nel periodo qui in rilievo, nonostante i molto deludenti risultati percentuali della raccolta differenziata, dev'essere addebitata - secondo la prospettazione attorea - in primo luogo al Sindaco, Filippo Fecondo, che non assunse nessuna iniziativa ai fini dell'adozione dell'ordinanza sindacale che avrebbe reso dovuto il conferimento differenziato, quale voluta dal regolamento comunale ed esplicitamente richiamata negli atti contrattuali precedentemente menzionati, a dispetto della crisi del sistema investente la regione e delle disposizioni di legge disciplinanti le funzioni sindacali in materia. In secondo luogo, l'ufficio requirente ha ritenuto addebitabile una significativa quota della responsabilita' erariale in parola al Dirigente comunale del Settore urbanistica, Ambiente, Ecologia e Tutela del Territorio, l'ing. Angelo Piccolo, per non aver adottato le opportune iniziative intese a perseguire gli obiettivi minimi di raccolta differenziata. Infine, la Procura ha ritenuto che il danno azionato sia addebitabile, pur se in misura minore, al capo Servizio Ambiente, Ecologia e Tutela del Territorio, signor Giuseppe Sagliano ed al Responsabile dell'ufficio Gestione Rifiuti signor Vincenzo Negro, per non aver assunto alcuna apprezzabile iniziativa volta ad affrontare la problematica de qua. Rilevato che il signor Vincenzo Negro, dopo essersi costituito in giudizio per il tramite del difensore incaricato avv. Emanuele Marino, ha depositato memoria in data 3 settembre 2009, chiedendo, in via principale, di essere prosciolto da ogni addebito e, in via subordinata, la piu' ampia applicazione del potere riduttivo dell'addebito, nonche', in via istruttoria, di essere sentito durante l'udienza dibattimentale, il tutto, comunque, con vittoria di spese del giudizio. Ha dedotto, in particolare, di non aver potuto materialmente svolgere il compito di controllo e vigilanza sulla regolare effettuazione della raccolta differenziata dei rifiuti affidatogli con delibera giuntale del Comune di Marcianise n. 269/2000, non avendo mai avuto il relativo servizio effettiva attuazione per la mancata adozione delle disposizioni sindacali in merito, cui lo stesso atto di citazione fa ampio riferimento. Il signor Giuseppe Sagliano si e' costituito in giudizio, con il patrocinio dell'avv. Luigi M. D'Angiolella, con memoria depositata in Segreteria l'8 settembre 2009, in cui ha argomentato come segue: a) l'atto di citazione e' inammissibile perche' emesso dopo lo spirare del termine di 120 giorni dalla scadenza del termine per la presentazione di controdeduzioni (art. 5, comma 1°, legge n. 19/1994); b) l'azione di responsabilita' e' estinta per l'avvenuta maturazione del termine quinquennale di prescrizione cui e' sottoposta, il cui dies a quo dovrebbe essere individuato, nella specie, nel periodo iniziale dell'emergenza rifiuti regionale (1994) o comunque nella data d'inadempimento dell'obbligo sindacale di adozione delle ordinanze attuative in tema di r.d. (1997-1999); c) il sig. Sagliano difetta di legittimazione passiva nel presente giudizio, in primo luogo perche' i comportamenti generatori del danno rilevato dal requirente hanno avuto luogo ben prima che egli assumesse l'incarico di capo servizio Ambiente, Ecologia e Territorio del Comune di Marcianise (22 maggio 2001) e, in secondo luogo, perche' ne' egli avrebbe potuto adottare alcuna iniziativa per indurre il Dirigente del Settore competente (ing. Angelo Piccolo) ad adottare atti propulsivi dei dovuti provvedimenti sindacali nella materia de qua, ne' risulta che il medesimo Dirigente gli abbia mai impartito ordini relativi alla materia medesima; d) non e' configurabile a carico del convenuto alcuna grave negligenza, stante l'assenza di qualsivoglia elemento probatorio fornito in merito dalla Procura attrice; d) in ordine al danno all'immagine, non ne risultano provati ne' la sussistenza ne' l'apporto causativo di esso ad opera del Sagliano. Ha concluso chiedendo il rigetto della domanda attrice perche' inammissibile e comunque infondata e, in subordine e nella denegata ipotesi di pronuncia di condanna, l'applicazione del potere riduttivo dell'addebito. Il signor Filippo Fecondo, patrocinato dall'avv. Domenico Stanga, ha presentato memoria difensiva in data 10 settembre 2009, chiedendo il rigetto della domanda attrice, della quale ha dedotto l'infondatezza sotto i seguenti profili: 1) l'Amministrazione del Comune di Marcianise si e' concretamente attivata in modo pregnante per l'attuazione della r.d. dei rifiuti, adottando il prescritto regolamento, predisponendo i vari cassonetti per il deposito e poi avviando il sistema della raccolta cd. «porta a porta» per il secco e per l'umido, mentre ha senz'altro difettato la collaborazione dei cittadini; 2) il decreto legislativo n. 22/1997 ha demandato allo stato l'organizzazione generale e la predisposizione di linee guida cui le Amministrazioni locali avrebbero dovuto attenersi, nel porre in essere la gestione materiale della raccolta (anche differenziata) dei rifiuti, attivita' che presso il Comune di Marcianise e' stata regolarmente svolta; 3) la colpa grave contestata al Fecondo non e' sufficientemente assistita da riscontri probatori, costituiti unicamente dal dato oggettivo del mancato raggiungimento dei livelli minimi di raccolta differenziata dei rifiuti, addebitabile, per contro - ad avviso del convenuto - a problemi endemici di sistema (criticita' delle gare, insufficienza degli impianti di CDR, assenza di termovalorizzatori). L'ingegnere Angelo Piccolo ha a sua volta presentato, per il tramite del difensore incaricato avv. Fabrizio Perla, memoria difensiva, in cui ha chiesto, in via preliminare, la dichiarazione d'inammissibilita' dell'atto introduttivo del giudizio per genericita' ed indeterminatezza, ai sensi degli artt. 163 e 164 c.p.c. nonche' dell'art. 3 R.D. 1038/1933, nonche', nel merito, il proprio proscioglimento da .ogni addebito ed in via meramente gradata, l'ampio esercizio del potere riduttivo dell'addebito. In punto di merito, ha dedotto che: a) la grave negligenza contestata all'ing. Piccolo non e' assistita da alcun riscontro probatorio, bensi' e' addirittura smentita dalle risultanze degli atti di causa, da cui emerge che egli ha correttamente adempiuto i propri obblighi di servizio (attivazione di vari sistemi per la r.d., opposizione di svariate contestazioni ed applicazione di penali alla ditta aggiudicataria del servizio); b) il mancato raggiungimento degli obiettivi minimi di r.d. puo' essere tutt'al piu' ascritto alla mancata emanazione delle prescritte ordinanze sindacali; c) i criteri utilizzati per il calcolo delle varie voci di danno rilevate nell'atto introduttivo del giudizio sono talmente opinabili da minare la certezza, la concretezza e l'attualita' del danno patrimoniale, con analoghe conseguenze in relazione al danno non patrimoniale, ancorato al primo nella sussistenza. Considerato che alla pubblica udienza odierna l'avv. Giuseppe Criscuolo, presente per delega dell'avv. Fabrizio Perla in difesa dell'ing. Angelo Piccolo si e' brevemente riportato alle deduzioni scritte, confermandone le conclusioni. In modo del tutto analogo si e' espresso l'avv. Flavio Brusciano, presente per delega dell'avv. Luigi M. D'Angiolella in difesa del dr. Giuseppe Sagliano. L'avv. Emanuele Marino, difensore incaricato del convenuto Vincenzo Negro poi, ha depositato documentazione scritta a sostegno dell'argomentazione difensiva principale, reiterata e meglio specificata, secondo cui non rientrava nelle funzioni e nelle competenze del Negro attivarsi per l'adozione delle prescrizioni in materia di r.d. dei rifiuti, in assenza delle quali, d'altra parte, nulla avrebbe potuto fare perche' le disposizioni regolamentari e, contrattuali gia' esistenti venissero correttamente applicate. Ha concluso come da memoria scritta. Il P.M. di udienza ha chiesto il rigetto delle eccezioni preliminari sollevate dai convenuti, a suo avviso infondate, nonche' l'integrale accoglimento delle istanze versate nell'atto di citazione in giudizio. In subordine, ha chiesto che gli atti venissero rimessi alla Corte costituzionale, perche' si pronunci sulla legittimita' dell'art. 17, comma 30-ter del d.l. 1° luglio 2009 n. 78, in ordine alla quale sussistono rilevanti dubbi per la limitazione della giurisdizione contabile in tema di danno all'immagine soltanto ai dipendenti pubblici, con esclusione dunque degli amministratori, nonche' per l'irragionevolezza delle disposizioni riguardanti la non rilevabilita' d'ufficio degli atti requirenti e la non contestabilita' del danno all'immagine nelle ipotesi non delittuose ma connotate da colpa grave del presunto responsabile. Tutto cio' Premesso e Considerato quanto statuito con separata sentenza in relazione all'effettivita' e all'attualita' del danno patrimoniale materiale contestato nonche' alla responsabilita' dei convenuti rilevata dalla Procura in sede d'instaurazione del giudizio in discussione, il collegio Ritiene di dover disporre come segue in ordine alla questione, sollevata dal P.M. di udienza, di legittimita' costituzionale della disposizione di cui all'art.17 comma 30-ter della legge 3 agosto 2009 n. 102 di conversione del decreto-legge 1° luglio 2009 n. 78, modificata dall'art. l comma 1° lett. c del decreto-legge 3 agosto 2009 n. 103, convertito nella legge 3 ottobre 2009 n. 141, limitatamente ai periodi secondo e terzo. Rilevato in diritto che 1. - La disposizione suindicata, in merito alla quale il P.M. di udienza ha prospettato la non conformita' a costituzione, recita «Le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'articolo 7 dalla legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell'art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e' sospeso fino alla conclusione del procedimento penale». Al fine di un corretto ed esaustivo esame della proposta questione, devesi in primo luogo ricordare che il comma 30-ter dell'art. 17 del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009, convertito con legge 3 agosto 2009, n. 102, nel testo completo risultante dalle disposizioni correttive introdotte con il d.l. 3 agosto 2009, n. 103, convertito con legge 3 ottobre 2009, n. 141, e' il seguente: «Le procure della Corte dei conti possono iniziare l'attivita' istruttoria ai fini dell'esercizio dell'azione di danno erariale a fronte di specifica e concreta notizia di danno, fatte salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge. Le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'articolo 7 dalla legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell'art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e' sospeso fino alla conclusione del procedimento penale. Qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente comma, salvo che sia stata gia' pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e' nullo e la relativa nullita' puo' essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta». Infine, va riportato il testo dell'art. 7 della legge 27 marzo 2001 n. 97, intitolato «Responsabilita' per danno erariale»: «La sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nell'articolo 3 per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale e' comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinche' promuova entro trenta giorni l'eventuale procedimento di responsabilita' per danno erariale nei confronti del condannato. Resta salvo quanta disposto dall'articolo 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271». Invero, la disposizione dell'art. 17 comma 30-ter legge n.102/2009 (e s.m.i.), dianzi riportata e di cui e' stata sollevata nel corso dell'odierna udienza la questione di legittimita' costituzionale, circoscrive alle sole ipotesi previste nell'art. 7 legge n. 97/2001 l'azionabilita' del danno all'immagine ad opera delle Procure contabili. 2. - Cosi' delineato il quadro normativo di recente stabilito con riferimento alla regolamentazione del danno di che trattasi, per una corretta introduzione della questione all'esame del Collegio occorre, in primo luogo, definire correttamente l'oggetto del quale si controverte, cioe' il danno all'immagine della p.a., facendo sintetico riferimento alla consolidata linea interpretativa tracciata nel corso almeno di un decennio, in primo luogo, dalla Corte di cassazione. Dalle numerose sentenze e ordinanze nella materia, che le ss.uu. hanno pronunciato con conclusioni costanti (21 marzo 1997, n. 5668; 25 ottobre 1999, n. 744; 4 aprile 2000, n. 98; 12 novembre 2003, n. 17078; 2 marzo 2006, n. 4582; 27 settembre 2006, n. 20886; 2 aprile 2007, n. 8098; 20 giugno 2007, n. 14297), emerge che la suprema Corte - in un'ottica generale di distinzione di due sole categorie di danno patrimoniale in senso stretto e non patrimoniale, rapportabili il primo alla previsione dell'articolo 2043 c.c. ed il secondo a quella dell'articolo 2059 c.c. - ha collocato il danno all'immagine ed al prestigio della p.a. nella categoria del danno patrimoniale, quale danno-evento reso concreto dall'esigenza di sostenere la spesa derivante dalla compromissione del bene giuridico leso. Con la precisazione che «esso e' dovuto pure in assenza dell'accertamento del reato, sempre che risultino accertate condotte gravemente trasgressive dei piu' elementari doveri di fedelta' di ogni pubblico agente» (sent. n. 20866/2006 cit.). Le statuizioni poste dalla S.C. nelle suindicate pronunce ed in quelle emesse in sede contabile risultano esaustivamente compendiate nella recente sentenza n. 141/2009 della Sezione III Centrale di questa Corte, dove sono stati ridelineati i vari aspetti risultati dall'elaborazione giurisprudenziale. In tale pronuncia, invero, si sottolinea che il danno all'immagine: e' danno patrimoniale, ancorche' conseguente all'avvenuta lesione di beni immateriali quali sono l'immagine ed il prestigio della p.a.: si fonda sul principio di immedesimazione organica tra l'Amministrazione e i suoi agenti, attraverso i quali essa e' identificata, «cosi' da ricondurre all'Amministrazione medesima tanto gli sviluppi concreti dei valori di legalita', buon andamento ed imparzialita', intrinsecamente connessi all'agire pubblico», quanto «i corrispondenti, opposti, disvalori legati alle forme piu' gravi di illecito amministrativo-contabile, con evidente discredito delle istituzioni pubbliche»; investe «il diverso e piu' ampio rapporto - di diritto pubblico - che lega la comunita' degli amministrati», complessivamente intesa, «alle istituzioni per le quali il dipendente medesimo ha agito», incrinando nello Stato-Comunita' «quei naturali sentimenti di affidamento e di ''appartenenza'' alle istituzioni che giustifica la stessa collocazione dello Stato-Apparato e degli altri Enti» tra «le piu' rilevanti formazioni sociali nelle quali si svolge la personalita' dell'uomo», secondo l'articolo 2 della Costituzione e imponendo un recupero della causata "diminuzione patrimoniale», che comporta un costo risarcibile alla P.A. danneggiata; «interviene tra i medesimi ''soggetti attivi e passivi''di un qualsivoglia altro tipo di danno erariale, ed in ''violazione dei medesimi doveri funzionali'' di servizio»; non deriva solo «dalla violazione di doveri di servizio, ben potendo ipotizzarsi in astratto forme di lesioni che provengano anche da estranei alla P.A. stessa, e quindi in regime di responsabilita' extracontrattuale; ma ipotesi del genere non riguardano quella consistente parte delle lesioni che proviene da personale proprio dell'Amministrazione e che comunque, ai fini della giurisdizione, impegnano la corte dei conti». Quanto precede, dunque, integra un ampio complesso di elementi atti a delineare l'istituto giuridico che la dubitata disposizione ha inteso regolare. 3. - Orbene, dalla lettura della surriportata giurisprudenza, che ha conformato il diritto vivente dell'istituto, emergono con chiarezza i principi che lo informano e, di conseguenza, il fondamento costituzionale sul quale esso si basa. Tanto premesso in termini generali, il collegio osserva che nella fattispecie dedotta a giudizio, i dubbi di costituzionalita' dell'art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1 luglio 2009 n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall'art. 1, comma 3, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141, nei periodi secondo e terzo, prospettati dalla Procura regionale e autonomamente rilevati dal Giudice, «assumono rilevanza ai fini della richiesta decisione sulla base di almeno due ragioni: la prima costituita dalla natura chiaramente processuale della disposizione dubitata, applicabile anche ai giudizi in corso - seppure nei limiti posti dallo stesso legislatore - e, pertanto, anche al presente; la seconda costituita dall'evidenza che i fatti sui quali s'e' fondata la citazione non sono interessati, al presente, da azione penale» (sezione Giurisdizionale Umbria, ordinanza n. 20/2009). In buona sostanza la vicenda oggetto dell'odierno giudizio connette l'ipotesi di danno all'immagine esclusivamente a fatti per i quali non e'stata interessata, allo stato degli atti, l'autorita' giudiziaria penale, consistendo gli addebiti contestati ai convenuti in incauta ed illegittima gestione amministrativa svolta nell'esercizio del munus publicum. Quindi, considerati i limiti introdotti con la disposizione in esame, l'eccezione di nullita' della domanda risarcitoria di danno all'immagine, ove sollevata, dovrebbe essere accolta; ma in particolare, la domanda introduttiva del giudizio dovrebbe essere dichiarata inammissibile, per la parte concernente il danno all'immagine della Regione Campania, per difetto di giurisdizione. Per quanto sopra considerato, la questione di legittimita' costituzionale della ridetta disposizione, si rivela, ad avviso del Collegio, non solo essenziale ai fini della definizione di quella parte del giudizio mediante la quale e' stato azionato dal requirente il danno all'immagine della Regione Campania, bensi' anche non manifestamente infondata, per quanto oltre si dira', il tutto ai sensi dell'art. 23, 2° comma, legge 11 marzo 1953 n. 87. 4. - Invero, dalla lettura del testo della disposizione della cui conformita' a Costituzione si controverte - dianzi riportato - appare chiaro che il legislatore del 2009 ha inteso circoscrivere la risarcibilita' della lesione all'immagine ed al prestigio della P.A., ai soli casi in cui sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna per la commissione di uno dei delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, escludendo gli illeciti derivanti da grave colposita' della condotta - o da altre e diverse ipotesi delittuose - nonche' alle sole ipotesi in cui l'autore dell'illecito sia un dipendente pubblico, escludendo l'evocabilita' in giudizio per danno all'immagine degli amministratori pubblici. A conferma di quanto da ultimo osservato, valga porre in rilievo che l'art. 3 della legge 27 marzo 2001 n. 97 (richiamato dall'art. 7 della medesima legge, dianzi testualmente riportato) fa riferimento ai provvedimenti che l'amministrazione di appartenenza e' tenuta ad adottare, in presenza del fatto che "nei confronti di un dipendente di amministrazioni o di enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica e' disposto il giudizio per alcuni dei delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 919-ter e 320 del codice penale e dall'articolo 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383», con cio' lasciando senza dubbio intendere che il campo di applicazione dell'art. 3 legge n. 97/2001 - e dunque, dell'art. 7 stessa legge, che ad esso opera espresso riferimento e che e' a sua volta inserito nella previsione contenuta nella disposizione della cui legittimita' costituzionale si dubita - riguarda unicamente i dipendenti di amministrazioni, di enti pubblici e di enti a prevalente partecipazione pubblica. Non essendo previsto, infatti, alcun obbligo di trasmissione al P.M. di una condanna penale irrevocabile interessante un amministratore, deve concludersi che le modalita' richieste dal comma 30-ter in esame possono seguirsi solo per i dipendenti e non per soggetti diversi. Cio' impedisce, ovviamente, l'esercizio dell'azione per danno all'immagine nei confronti degli amministratori e di tutti coloro che non siano dipendenti subordinati. Non si ritiene possa seguirsi una diversa lettura, che pure e' stata proposta nella prima giurisprudenza contabile, che avrebbe il pregio di assicurare un'interpretazione conforme a costituzione della disposizione in esame. In quest'orientamento si e' valorizzato il richiamo, contenuto nell'ultimo periodo dell'art. 7 legge n. 97/2001, alla salvezza del disposto dall'articolo 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, articolo stabilente quanto segue: «1. Quando esercita l'azione penale nei confronti di un impiegato dello stato o di altro ente pubblico, il pubblico ministero informa l'autorita' da cui l'impiegato dipende, dando notizia dell'imputazione. ...3. Quando esercita l'azione penale per un reato che ha cagionato un danno per l'erario, il pubblico ministero informa il procuratore generale presso la Corte dei conti, dando notizia della imputazione». Facendo rientrare tra i casi richiamati dal comma 30-ter in esame anche le informazioni sull'esercizio dell'azione penale, se n'e' dedotta l'ammissibilita' dell'azione per danno all'immagine in tutte le ipotesi di comunicazione di reato, e, quindi, senza vincoli di fattispecie penali o soggettive; si e' ritenuta, pero', comunque necessaria una sentenza penale definitiva (Sezione Giurisdizionale Lombardia, sentenze nn. 640, 641 e 767 del 2009). Siffatta interpretazione non puo' essere seguita, poiche' il puntuale rinvio ai soli casi e modi previsti dall'articolo 7 dalla legge 27 marzo 2001, n. 97 rimarrebbe, infatti, privo di significato, mentre, se tale fosse stato l'intento legislativo (tutti i reati), sarebbe stato sufficiente un richiamo diretto all'articolo 129 cit. Inammissibile, ancora, sembra poter «combinare» la necessita' della sentenza definitiva penale con le ipotesi informative di cui all'art. 129, che appare il frutto di una libera riscrittura della, norma, non di competenza dell'interprete. Non potendosi accogliere l'interpretazione esaminata o altra conforme a Costituzione, emergono gravi dubbi sulla razionalita' della nuova norma in tema di danno all'immagine, sotto i profili che oltre si descriveranno e, dunque, per contrasto con le norme costituzionali che di seguito si indicheranno. 5. - In primo luogo, la disciplina introdotta risulta priva di qualsiasi ragionevolezza ed in contrasto con l'art. 3 Cost., non essendo comprensibili le ragioni dell'intervenuto limite all'esercizio dell'azione per danno all'immagine, avente capacita' di discriminare del tutto irrazionalmente i soggetti convenibili (solo i dipendenti e non gli amministratori). Valga ricordare, in proposito, che l'art. 3 Cost., dopo aver sancito la pari dignita' sociale e l'uguaglianza davanti alla legge di tutti i cittadini, prescrive, al secondo comma, che e' compito della Repubblica la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la liberta' e l'uguaglianza dei cittadini medesimi. Orbene, con la disposizione della cui conformita' ai precetti costituzionali si dubita, il legislatore, prescindendo dalla cura del pubblico interesse, ha inserito nel sistema un precetto in piena collisione con i principi che regolano la materia, riproposti sinteticamente al punto 2. che precede, innanzi tutto introducendo un ingiustificabile effetto premiale in favore di amministratori pubblici che abbiano assunto comportamenti tali da ledere l'immagine ed il prestigio dell'ente rappresentato, a fronte di dipendenti che, autori di analoghi illeciti, risultano invece perseguibili, venendo a trovarsi in situazione di svantaggio rispetto agli amministratori. Tale discriminazione si rivela ancor meno spiegabile razionalmente, ove si consideri che agli amministratori e' rimessa l'attivita' di formazione degli indirizzi politici dell'ente, laddove ai di pendenti e' affidata la fase propriamente gestionale se non addirittura meramente operativa, con la conseguenza che, almeno in linea di principio, la potenzialita' lesiva dell'immagine pubblica intrinsecamente presente nell'azione degli amministratori e' maggiormente dirompente rispetto a quella riconoscibile alle funzioni piu' squisitamente gestionali-operative attribuite ai dipendenti. Il collegio non ignora cio' che la Corte costituzionale ha insegnato per cio' che concerne i limiti dell'intervento legislativo che disciplina la responsabilita' conosciuta dal giudice contabile, secondo cui «Non v'e', infatti, alcun motivo di dubitare che i1 legislatore sia arbitro di stabilire non solo quali comportamenti possano costituire titolo di responsabi1ita', ma anche qual e grado di colpa sia richiesto ed a quali soggetti la responsabilita' sia ascrivibile (sentenza n. 411 del 1988), senza limiti o condizionamenti che non siano quelli della non irragionevolezza e non arbitrarieta'» (sentenza n. 371/1998). Tuttavia, nonostante 1'ampia discrezionalita' riconosciuta al legislatore in materia, si deve dubitare della ragionevolezza della recente scelta normativa, poiche' la disposizione in osservazione introduce un meccanismo preclusivo dell'esercizio dal parte delle Procure contabili dell'azione risarcitoria per danno all'immagine della P.A. nei confronti dei soli amministratori pubblici, senza che sia in alcun modo comprensibile la ragione della rilevata esclusione, la quale, pertanto, si rivela generatrice di un'ipotesi di disparita' di trattamento di situazioni del tutto simili, in aperto contrasto con l'art. 3 della Costituzione. 6. - Inoltre, il comma 30-ter in esame prevede quali fattispecie perseguibili soltanto quelle correlate a condanna definitiva per delitti contro la P.A. e non ad altre ipotesi delittuose o - per quello cui si fa in questa sede riferimento - ad illeciti gestionali caratterizzati da colpa grave. Orbene, risulta manchevole di razionale giustificazione la scelta, legislativa, consistita nel sottrarre non solo all'ambito della responsabilita' amministrativo-contabile, ma addirittura a qualsivoglia sindacato giurisdizionale, un'amplissima tipologia di fattispecie, comunque delittuose ovvero non sfociate in sentenza definitiva di condanna (quali le numerosissime vicende oggetto di giudizi penali estinti per prescrizione), o analoghe a quella, emblematica - oggetto del presente giudizio - interessante la gravissima lesione dell'immagine della persona pubblica causata dell'enorme risonanza nella generale opinione dell'emergenza rifiuti nella Regione Campana, con un notevole risalto anche all'estero (e negativo impatto per il settore turistico). Sul punto, appare opportuno ricordare che l'art. 103 Cost. attribuisce alla Corte dei conti la giurisdizione nelle materie di contabilita' pubblica. La stessa Corte costituzionale ha chiarito, con la sentenza n. 371/1998 che ha dichiarato infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera a), del d.l. 23 ottobre 1996, n. 543 - gia' precedentemente citata - che l'art. 103, 2° comma, Cost. «ha soltanto la finalita' di riservare alla Corte dei Conti la giurisdizione nelle materie di contabilita' pubblica, secondo ambiti la cui concreta determinazione, peraltro, e' rimessa, alla discrezionalita' del legislatore», osservando che «la norma denunciata (che limita la responsabilita' dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o colpa grave) concerne la disciplina sostanziale della responsabilita' degli amministratori e dei dipendenti pubblici». La disposizione contenuta nel comma 30-ter, della cui conformita' ai principi costituzionali il Collegio dubita, ha senz'altro i rilevanti effetti sostanziali preclusivi di cui si e' detto sopra e che ulteriormente si descriveranno al punto che segue, ma da' luogo ad una irragionevole ed arbitraria sottrazione a qualsivoglia sindacato giurisdizionale di fattispecie significativamente lesive del prestigio e del decoro della P.A. (dianzi precisate), testimoniando un cattivo uso da parte del legislatore della propria discrezionalita'. 7. - Rilevato l'effetto preclusivo dell'azione di responsabilita' amministrativo-contabile sopra descritto, ne consegue un ulteriore profilo d'incostituzionalita' della ridetta disposizione, per contrasto con gli art. 24 e 113 sost. sul punto, il collegio osserva, preliminarmente, che l'art. 24 assicura a «tutti» la possibilita' di «agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi», precisando ulteriormente, al 2° comma, che «la difesa e' diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento». Nel contempo, l'art. 113 stabilisce che «contro gli atti della Pubblica Amministrazione e' sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa», ponendo al 2° comma un insuperabile sbarramento, secondo cui «tale tutela giurisdizionale non puo' essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti». Orbene, e' di tutta evidenza che quando l'art. 24 riconosce l'inviolabilita' del diritto alla difesa in giudizio dei propri diritti ed interessi legittimi a «tutti», entro tale complessivo ambito soggettivo non possono non essere ricompresi amministrazioni, enti pubblici ed enti a prevalente partecipazione pubblica, il cui sostituto processuale «naturale» e' ope legis rappresentato dal competente procuratore regionale o generale della Corte dei conti (ordinanza n. 309/09 di questa sezione Giurisdizionale). Precludendo alla P.A. la possibilita' di ottenere tutela giurisdizionale - per il tramite del procuratore contabile - in tutti i casi in cui essa abbia subito lesione della propria immagine per effetto della condotta tenuta da un pubblico amministratore o comunque ove la lesione medesima sia derivata da un comportamento caratterizzato da grave colposita' oppure rientri in ipotesi delittuosa diversa da alcuna di quelle disciplinate nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale (cc.dd. Delitti contro la pubblica amministrazione), si ottiene un pregiudizio irreparabile della possibilita' stessa di un esame nel merito della medesima domanda di tutela giurisdizionale, cioe' la vanificazione di essa. Una disciplina siffatta, in quanto potenzialmente lesiva del diritto alla tutela giurisdizionale e comunque tale da incidere sulla sua effettivita', e' incompatibile con un principio fondamentale dell'ordinamento, il quale riconosce bensi' la esistenza di una pluralita' di azioni risarcitorie, e la riconosce affinche' venga assicurata, sulla base di distinte tipologie di danno, una piu' adeguata risposta alla domanda di giustizia, e non gia' affinche' sia compromessa la possibilita' stessa che a tale domanda venga data risposta. L'effetto lesivo del principio costituzionale recato dall'art. 24, contenuto nel comma 30-ter di cui si controverte, va visto in correlazione all'altro, contenuto nell'art.113 Cost., precedentemente richiamato, poiche' il suo mantenimento in vita nell'attuale formulazione recherebbe un ulteriore effetto gravemente distorsivo, consistente nel precludere alla P.A. di ottenere compiuta tutela dell'integrita' del proprio decoro, a fronte della possibilita', priva di limitazioni, riconosciuta a tutti gli altri soggetti dell'ordinamento di agire contro qualsiasi atto della Pubblica Amministrazione per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi. 8. - Tutte le considerazioni che precedono inducono il Collegio a investire la Corte costituzionale per una pronuncia risolutrice dei dubbi di costituzionalita' insorti in ordine all'art. 17 comma 30-ter delle legge 3 agosto 2009 n. 102 di conversione del decreto-legge l° luglio 2009 n. 78, modificata dall'art. 1, primo comma, lett. c del decreto-legge 3 agosto 2009 n. 103, convertito nella legge 3 ottobre 2009 n. 141, limitatamente ai periodi secondo e terzo, in riferimento agli articoli, 3, 103, 24 e 113 della Costituzione, sospendendo contestualmente la decisione nel merito del giudizio per quel che concerne la domanda risarcitoria del danno all'immagine della Regione Campania.
P. Q. M. Visti gli articoli 134 della Costituzione e 23, commi primo e terzo, della legge 11 marzo 1953, n. 87; Sospende la decisione nel merito n. 58231 per quel che concerne la domanda risarcitoria del danno all'immagine della Regione Campania; Solleva in quanto ritenuta rilevante ai fini del decidere e non manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 17, comma 30ter, del decreto legge 1 luglio 2009 n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall'art. 1, comma 3, del decreto legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141, periodi secondo e terzo e quarto, con riferimento agli articoli 3, 24, 113 e 103 della Costituzione; Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone la notifica dell'ordinanza ai convenuti, al Pubblico ministero e al Presidente del Consiglio dei ministri; Dispone la comunicazione dell'ordinanza ai Presidenti del Senato e della Camera dei deputati. Spese riservate al merito. Cosi' deciso in Napoli, nelle camere di consiglio dei giorni 1° ottobre 2009 e 12 novembre 2009. Il Presidente: Gustapane