N. 27 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 novembre 2009

Ordinanza del 9 dicembre 2009 emessa dalla Corte  dei  conti  -  Sez.
giurisdizionale   per   la   Regione   Campania   nel   giudizio   di
responsabilita' promosso dal procuratore  regionale  presso  la  Sez.
giurisdizionale della Regione  Campania  contro  Fecondo  Filippo  ed
altri. 
 
Responsabilita' amministrativa e contabile  -  Esercizio  dell'azione
  per danno all'immagine da parte della Procura della Corte dei conti
  limitato ai casi e modi previsti dall'art. 7 della legge n. 97/2001
  (rilevanza  penale   dell'illecito   amministrativo)   -   Prevista
  sospensione del termine di prescrizione fino alla  conclusione  del
  procedimento  penale  -  Prevista  nullita'   di   qualunque   atto
  istruttorio o processuale posto  in  essere,  in  violazione  delle
  predette disposizioni, subordinata all'azione di chiunque vi  abbia
  interesse - Lesione del principio di uguaglianza e del  diritto  di
  azione - Violazione del principio di riserva alla Corte  dei  conti
  delle  questioni  relative  alla   responsabilita'   contabile   ed
  amministrativa   -   Violazione    del    principio    di    tutela
  giurisdizionale. 
- Decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78, art. 17, comma 30-ter, inserito
  dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, modificato dall'art. 1, comma 1,
  lett.  c),  n.  1,  del  decreto-legge  3  agosto  2009,  n.   103,
  convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141. 
- Costituzione, artt. 3, 24, 103 e 113. 
(GU n.7 del 17-2-2010 )
 
                         LA CORTE DEI CONTI 
 
    Ha   pronunciato  la   seguente   Ordinanza   nel   giudizio   di
responsabilita', iscritto al n. 58231  del  registro  di  Segreteria,
instaurato a istanza della Procura Regionale della  Corte  dei  Conti
per la Regione Campania nei confronti dei signori: 
        1) Filippo Fecondo,  nato  il  7  luglio  1963  a  Marcianise
(Caserta) ed ivi residente alla via  Duomo  n.  66,  rappresentato  e
difeso, giusta procura a margine della  comparsa  di  costituzione  e
risposta depositata il 10 settembre 2009, dall'avv.  Domenico  Stanga
ed elettivamente domiciliato presso il suo  studio  in  Caserta  alla
piazza A. Moro n. 9 - P.co del Corso; 
        2) Angelo Piccolo, nato il 21  settembre  1950  a  Marcianise
(Caserta) ed ivi residente alla via S. Merola n. 2,  rappresentato  e
difeso, giusta mandato in calce  all'atto  di  citazione  notificato,
dall'avv. Fabrizio Perla ed elettivamente domiciliato presso  il  suo
studio in Napoli alla via S. Brigida n. 39; 
        3) Giuseppe Sagliano, nato il 22  luglio  1951  a  Marcianise
(Caserta)  ed  ivi  residente  alla  via  S.  Giovanni  Bosco  n.  6,
rappresentato e  difeso,  giusta  mandato  a  margine  della  memoria
difensiva  presentata  l'8  settembre  2009,   dall'avv.   Luigi   M.
D'Angiolella ed elettivamente domiciliato presso  il  suo  studio  in
Napoli al viale A. Gramsci n. 16; 
        4) Vincenzo Negro,  nato  il  31  agosto  1954  a  Marcianise
(Caserta) ed ivi residente alla via Monfalcone n. 21, rappresentato e
difeso, giusta mandato in calce  all'atto  di  citazione  notificato,
dall'avv.  Emanuele  Marino  ed  unitamente  a  questi  elettivamente
domiciliato in Napoli alla via G. Capaldo  n.  7  presso  la  signora
Rosaria Corvino; 
    Visto l'atto di  citazione  della  Procura  Regionale  depositato
presso questa Sezione Giurisdizionale il 16 maggio 2008; 
    Viste le memorie di costituzione depositate presso la  Segreteria
di  questa  Sezione  Giurisdizionale  dalle  difese   dei   convenuti
(Vincenzo Negro il 3 settembre 2009, Giuseppe Sagliano l'8  settembre
2009, Filippo Fecondo il 10 settembre  2009  e  Angelo  Piccolo  l'11
settembre 2009); 
    Visti gli atti di giudizio; 
    Chiamata la causa nella pubblica udienza  del  giorno  1  ottobre
2009, con l'assistenza del segretario dr. Giuseppe Volpe, sentiti  il
relatore primo referendario Rossella Cassaneti, gli avvocati Giuseppe
Criscuolo per delega dell'avv. Fabrizio Perla, Flavio  Brusciano  per
delega dell'avv. Luigi. M. D'Angiolella ed Emanuele  Marino,  nonche'
il  rappresentante  del  pubblico  ministero  in  persona  del   Vice
Procuratore Generale dott. Maurizio Stanco; 
    Premesso  che  con  atto  di  citazione  depositato   presso   la
Segreteria di questa Sezione in  data  16  maggio  2008,  la  Procura
Regionale ha evocato in giudizio i signori Filippo  Fecondo  (Sindaco
del Comune di Marcianise dal 2001 sino almeno all'epoca del  deposito
dell'atto introduttivo del giudizio), Angelo Piccolo  (Dirigente  del
Settore Urbanistica, Ambiente, Ecologia e Tutela del  Territorio  del
Comune di Marcianise dal 25 maggio 1999 al 23 maggio 2000  e  dal  1°
aprile 2001 in  poi),  Giuseppe  Sagliano  (Capo  Servizio  Ambiente,
Ecologia e Tutela del Territorio del Comune di Marcianise a far  data
dal 1° settembre 2001) e Vincenzo  Negro  (Responsabile  dell'ufficio
Gestione Rifiuti del Comune di Marcianise  dal  21  marzo  2002)  per
sentirli condannare al  pagamento,  pro  quota,  di  € 405.322,25  in
favore del Comune di Marcianise (Caserta), di € 45.077,23  in  favore
dello Stato e di € 43.038,00 in favore della  Regione  Campania  -  o
alle diverse  somme  determinate  dal  Collegio  giudicante  -  oltre
rivalutazione monetaria e spese di giustizia. 
    Il danno pubblico  suindicato  sarebbe  derivato,  secondo  parte
attrice,  dal   mancato   rispetto   degli   obblighi   inerenti   il
raggiungimento da parte del Comune di  Marcianise  delle  percentuali
minime di raccolta differenziata, con  riferimento  agli  anni  2003,
2004 e 2005. 
    Ai  fini  istruttori,  nell'ambito  della  piu'  ampia   indagine
condotta dall'ufficio requirente  sull'insufficiente  percentuale  di
raccolta differenziata riscontratasi nel territorio regionale e visto
che  in  base  ai  dati  rappresentati  nell'adeguamento  del   piano
regionale dei  rifiuti  approvato  dal  Commissario  di  Governo  per
l'emergenza  rifiuti  nella  regione  Campania  con  l'ordinanza   n.
77/2006, nell'anno  2004  il  Comune  di  Marcianise  risultava  aver
raggiunto la percentuale di raccolta differenziata del solo 6,17,  la
Procura contabile ha  acquisito  presso  l'ente  comunale  in  parola
relazioni e note, corredate da varia  documentazione,  dopodiche'  ha
provveduto a notificare ai presunti responsabili invito a  presentare
le proprie controdeduzioni, ritenute peraltro inidonee al superamento
delle contestazioni di addebito, al che e' seguito il deposito  e  la
notifica dell'atto introduttivo del giudizio. 
    Al   fine   di   descrivere   l'essenzialita'   della    raccolta
differenziata -  definita  come  «raccolta  idonea  a  raggruppare  i
rifiuti urbani in frazioni merceologiche omogenee» (art.  6,  decreto
legislativo n. 22/1997) - nella gestione del ciclo  dei  rifiuti,  la
Procura ha ricordato,  in  primo  luogo,  il  decreto  legislativo  5
febbraio 1997 n. 22 (cd. decreto «Ronchi»), oltre alle ordinanze  del
Ministero dell'Interno - Protezione Civile,  riguardanti  l'emergenza
rifiuti  nella  Regione  Campania,  numeri  2948/1999,  3100/2000   e
3479/2005, dalla  lettura  di  cui  si  evince  che  nel  periodo  in
considerazione i comuni  della  Regione  Campania,  avrebbero  dovuto
attuare una percentuale minima di raccolta differenziata (rispetto al
totale ammontare della quantita' di rifiuti prodotta) pari al 30% per
il 2003-2004 ed al 35% per il 2005 e che  la  tariffa  a  carico  dei
comuni per gli oneri gestionali della raccolta  dei  rifiuti  avrebbe
subito progressive maggiorazioni in misura direttamente proporzionale
all'entita'  della  violazione  delle  disposizioni  riguardanti   la
percentuale minima di raccolta differenziata da realizzare  entro  le
varie scadenze prestabilite. 
    Citando, inoltre, la legge  n.  296/2006 -  che  ha  previsto  le
percentuali di raccolta differenziata da  realizzare  sul  territorio
nazionale entro la fine degli anni dal 2006 al 2012  -  la  legge  n.
87/2007  -  che  ha  disciplinato  l'avvalimento  per   la   raccolta
differenziata da parte dei comuni della Regione Campania dei consorzi
costituiti ai sensi dell'art. 6 legge R.C. n. 10/1993 - e l'ordinanza
P.C.M. n. 3639/2008 - che  ha  prescritto  la  predisposizione  e  la
realizzazione da parte dei comuni campani di un  piano  delle  misure
necessarie per la raccolta differenziata - la  Procura  ha  posto  in
rilievo come l'inadempimento delle disposizioni dettate nella materia
di che trattasi abbia contribuito in maniera determinante alla  crisi
del  ciclo  dei  rifiuti,  richiamando,  in  proposito,   l'ordinanza
commissariale n. 28/2004 e la «Relazione Territoriale sulla Campania»
della Commissione parlamentare  d'inchiesta  sul  ciclo  dei  rifiuti
trasmessa alle Camere  il  1°  febbraio  2006.  In  quest'ultima,  in
particolare, rifiuti indifferenziati e loro quantita'  sono  indicati
quali concause dei problemi di blocco  e  cattivo  funzionamento  dei
sette impianti  di  produzione  del  CDR  (combustibile  derivato  da
rifiuti), nonche' fonte  di  ripetute  situazioni  di  emergenza  con
tonnellate di rifiuti nelle strade; da uno studio analitico elaborato
nel 2007 dal  prof.  A.  Marangoni  -  ha  esposto  ancora  a  titolo
esemplificativo la Procura - risulta, infine, «che il non aver  fatto
la RD di carta e cartone dal 1999 al 2005 e' costato alla Campania  e
all'intero  Paese  almeno  102  milioni  di  €».  Ai  maggiori  costi
complessivamente  sostenuti  per  la  mancata  differenziazione   dei
rifiuti devono poi essere aggiunte - ha rilevato parte attrice  -  le
considerevoli spese (quali quelle relative al trasporto fuori regione
o all'estero  dei  rifiuti,  con  quote  di  materiali  da  separare)
derivanti dalle  ripetute  situazioni  di  acute  crisi  del  settore
(rifiuti non raccolti nelle strade), largamente incise  dalla  scarsa
percentuale di raccolta differenziata. Sul punto, la Procura  attrice
ha riportato i risultati  dell'analisi  della  spesa  per  interventi
effettuati in materia di emergenza rifiuti contenuti nella  relazione
della  Sezione   centrale   di   controllo   sulla   gestione   delle
Amministrazioni dello Stato della Corte  dei  conti  riguardante  "La
gestione  dell'emergenza  rifiuti  effettuata  dai   Commissari   del
Governo"  approvata  con  deliberazione  n.  6/2007/G,  secondo   cui
ammonterebbero ad € 561.517.499 le risorse  spese  dal  Commissariato
rifiuti campano per l'emergenza fino all'anno 2005. 
    Fornita la surriportata descrizione  in  termini  generali  della
dannosita' economica dell'inadempimento delle prescrizioni in tema di
raccolta differenziata,  l'ufficio  requirente  ha  individuato,  con
riferimento alla specifica fattispecie oggetto del giudizio,  quattro
distinte voci di danno: 
        l'ingiustificato costo sostenuto dal Comune di  Marcianise  a
titolo di tariffa smaltimento rifiuti per il conferimento presso  gli
impianti  di  produzione  di  C.D.R.   del   «tal   quale»   (rifiuto
indifferenziato,  una  parte  del   quale   avrebbe   dovuto   essere
debitamente  separato  in  sede  di  effettuazione  della  raccolta),
calcolato per  il  periodo  in  rilievo  (2003/2005)  in  complessivi
€ 249.840,70 per l'anno 2003, €  179.301,23  per  l'anno  2004  ed  €
318.707,14 per l'anno 2005, importi ottenuti moltiplicando la tariffa
di smaltimento aggiuntiva pagata per i rifiuti,  indifferenziati  dal
Comune di Marcianise (pari ad € 0,0449 per chilogrammo dal 2003 al 15
dicembre 2005 e ad € 0,0880 per chilogrammo dal 16 dicembre 2005) per
la differenza tra la percentuale concretamente raggiunta e quella che
doveva essere realizzata per rispettare  il  limite  normativo  della
raccolta differenziata; considerato l'apporto causativo del danno  in
parola addebitabile ad  altri  soggetti  pubblici,  alle  difficolta'
nascenti dalle periodiche crisi del sistema nonche' alla mancanza  di
un adeguato supporto impiantistico nella regione per  lo  smaltimento
della frazione organica e dei cosiddetti «rifiuti verdi», la  Procura
ha ritenuto di decurtare dagli importi dianzi  indicati  il  50%,  di
modo che la voce di danno qui descritta risulta complessivamente pari
ad € 373.924,54 (€ 124.920,35 per il 2003 + € 89.650,61 per il 2004 +
€ 159.353,57 per l'anno 2005); 
        il costo sostenuto per le situazioni emergenziali dal  comune
di Marcianise nel 2004  (€ 243.308,89  complessivi)  e  nel  2005  (€
70.668,36), il cui  10%  dovrebbe  ad  avviso  della  Procura  essere
addebitato  alle  responsabilita'  connesse  con  la  molto   ridotta
raccolta  differenziata,  da  quantificare,  conseguentemente,  in  €
24.330,88 per il 2004 ed in € 7.066,83 per  il  2005;  tale  voce  di
danno, sommata a quella descritta al punto che precede, da' un  danno
alle  finanze  comunali  dell'importo  totale  di  €  405.322,25   (€
373.924,54 + € 24.330,88 + € 7.066,83); 
        il nocumento derivante dal collasso del piano  integrato  dei
rifiuti e dei costi  emergenziali,  significativamente  inciso  dalla
raccolta differenziata e da ritenere gravante - visto il  pluriennale
intervento  governativo  mediante  gli  organi  straordinari   ed   i
finanziamenti  erogati  dal  bilancio  statale  -   sull'Erario,   da
calcolare - secondo la prospettazione attorea - in via equitativa  in
€ 45.077,23, importo dato dalla somma fra le  spese  sostenute  negli
anni 2004 e 2005 per il trasporto fuori regione  dei  rifiuti  solidi
urbani (sulla cui quantita' complessiva incide in modo  rilevante  la
mancata differenziazione), calcolate in percentuale uguale  a  quella
corrispondente  al  totale  degli  r.s.u.  prodotti  dal  Comune   di
Marcianise rispetto a quelli dell'intera Regione; 
        il danno per la gravissima lesione dell'immagine  dell'intera
Regione Campania dato dall'enorme risonanza nella  pubblica  opinione
dell'emergenza rifiuti - con  risalto  anche  all'estero  ed  impatto
fortemente negativo per il settore turistico -  calcolato  in  almeno
€ 10.000.000,00 annui complessivi e da considerarsi inciso  -  sempre
mediante l'utilizzo di criteri equitativi - almeno per un  quinto  (€
2.000.000,00) dalla difettosa  raccolta  differenziata,  risulterebbe
pari, nel caso all'esame del  Comune  di  Marcianise  -  seguendo  il
medesimo criterio proporzionale del rapporto tra i  rifiuti  prodotti
in Campania e quelli del Comune  in  precedenza  utilizzato  -  ad  €
43.038,00 per l'intero periodo 2003-2005. 
    Per  quanto  concerne  l'individuazione   delle   responsabilita'
individuali produttive del danno  pubblico  dianzi  descritto  nelle,
varie sue componenti, la Procura attrice, premesso che «la violazione
delle prescrizioni normative e' da  addebitare  ai  soggetti  cui  ne
competeva  l'attuazione,  e  che,  con  un  comportamento  doloso   o
gravemente colposo,  non  hanno  curato  l'attivita'  necessaria  per
garantirne   il   rispetto»   nonostante   la   notorieta'   generale
dell'indispensabilita' della raccolta differenziata e la presenza  di
Comuni nell'ambito regionale ove le prescrizioni in parola ricevevano
corretta attuazione, ha posto in rilievo che nel Comune di Marcianise
sono rimaste inattuate le previsioni regolamentari comunali (delibera
C.C. n. 52/1997) e contrattuali  del  capitolato  speciale  d'appalto
dell'11 ottobre 1999 regolanti il rapporto con la  ditta  affidataria
della gestione integrata dei rifiuti  urbani  e  dell'igiene  urbana,
perche' le ordinanze sindacali adottate non hanno previsto  alcunche'
in punto di istituzione e di avvio della raccolta  differenziata  dei
rifiuti; il che ha impedito il sorgere dell'obbligo per  i  cittadini
di procedere al  conferimento  separato  delle  varie  frazioni,  con
conseguente impossibilita' da parte degli agenti municipali di  poter
contestare le eventuali infrazioni e, nel contempo, inipotizzabilita'
di inadempimenti contrattuali da parte della societa' affidataria del
servizio. 
    L'ingiustificata e perdurante stasi  amministrativa  registratasi
presso il Comune di Marcianise nel periodo qui in rilievo, nonostante
i molto deludenti risultati percentuali della raccolta differenziata,
dev'essere addebitata - secondo la prospettazione attorea - in  primo
luogo al Sindaco, Filippo Fecondo, che non assunse nessuna iniziativa
ai fini  dell'adozione  dell'ordinanza  sindacale  che  avrebbe  reso
dovuto il conferimento differenziato, quale  voluta  dal  regolamento
comunale  ed  esplicitamente  richiamata  negli   atti   contrattuali
precedentemente  menzionati,  a  dispetto  della  crisi  del  sistema
investente la regione e delle disposizioni di legge disciplinanti  le
funzioni sindacali in materia. 
    In secondo luogo, l'ufficio requirente ha  ritenuto  addebitabile
una significativa quota della responsabilita' erariale in  parola  al
Dirigente comunale del  Settore  urbanistica,  Ambiente,  Ecologia  e
Tutela del Territorio, l'ing. Angelo Piccolo, per non  aver  adottato
le opportune iniziative intese a perseguire gli obiettivi  minimi  di
raccolta differenziata. 
    Infine,  la  Procura  ha  ritenuto  che  il  danno  azionato  sia
addebitabile, pur se in misura minore,  al  capo  Servizio  Ambiente,
Ecologia e Tutela del Territorio,  signor  Giuseppe  Sagliano  ed  al
Responsabile dell'ufficio Gestione Rifiuti signor Vincenzo Negro, per
non aver assunto alcuna apprezzabile iniziativa volta  ad  affrontare
la problematica de qua. 
    Rilevato che il signor Vincenzo Negro, dopo essersi costituito in
giudizio per  il  tramite  del  difensore  incaricato  avv.  Emanuele
Marino, ha depositato memoria in data 3 settembre 2009, chiedendo, in
via principale, di essere prosciolto  da  ogni  addebito  e,  in  via
subordinata,  la  piu'  ampia  applicazione  del   potere   riduttivo
dell'addebito, nonche', in via istruttoria, di essere sentito durante
l'udienza dibattimentale, il tutto, comunque, con vittoria  di  spese
del  giudizio.  Ha  dedotto,  in  particolare,  di  non  aver  potuto
materialmente svolgere il compito  di  controllo  e  vigilanza  sulla
regolare  effettuazione  della  raccolta  differenziata  dei  rifiuti
affidatogli  con  delibera  giuntale  del  Comune  di  Marcianise  n.
269/2000,  non  avendo  mai  avuto  il  relativo  servizio  effettiva
attuazione per la mancata adozione delle  disposizioni  sindacali  in
merito, cui lo stesso atto di citazione fa ampio riferimento. 
    Il signor Giuseppe Sagliano si e' costituito in giudizio, con  il
patrocinio dell'avv. Luigi M. D'Angiolella, con memoria depositata in
Segreteria l'8 settembre 2009, in cui ha argomentato come  segue:  a)
l'atto di citazione e' inammissibile perche' emesso dopo  lo  spirare
del  termine  di  120  giorni  dalla  scadenza  del  termine  per  la
presentazione  di  controdeduzioni  (art.  5,  comma  1°,  legge   n.
19/1994); b) l'azione di responsabilita' e'  estinta  per  l'avvenuta
maturazione  del  termine  quinquennale  di   prescrizione   cui   e'
sottoposta, il cui dies a  quo  dovrebbe  essere  individuato,  nella
specie, nel periodo iniziale dell'emergenza rifiuti regionale  (1994)
o comunque  nella  data  d'inadempimento  dell'obbligo  sindacale  di
adozione delle ordinanze attuative in tema di r.d. (1997-1999); c) il
sig.  Sagliano  difetta  di  legittimazione  passiva   nel   presente
giudizio, in primo luogo perche' i comportamenti generatori del danno
rilevato  dal  requirente  hanno  avuto  luogo  ben  prima  che  egli
assumesse l'incarico di capo servizio Ambiente, Ecologia e Territorio
del Comune di Marcianise  (22  maggio  2001)  e,  in  secondo  luogo,
perche' ne'  egli  avrebbe  potuto  adottare  alcuna  iniziativa  per
indurre il Dirigente del Settore competente (ing. Angelo Piccolo)  ad
adottare atti propulsivi dei  dovuti  provvedimenti  sindacali  nella
materia de qua, ne' risulta che il medesimo Dirigente gli  abbia  mai
impartito  ordini  relativi  alla  materia  medesima;   d)   non   e'
configurabile a carico del convenuto alcuna grave negligenza,  stante
l'assenza di qualsivoglia elemento probatorio fornito in merito dalla
Procura attrice; d) in ordine al danno all'immagine, non ne risultano
provati ne' la sussistenza ne' l'apporto causativo di esso  ad  opera
del Sagliano. Ha concluso chiedendo il rigetto della domanda  attrice
perche' inammissibile e comunque infondata e, in  subordine  e  nella
denegata ipotesi di pronuncia di condanna, l'applicazione del  potere
riduttivo dell'addebito. 
    Il signor Filippo Fecondo, patrocinato dall'avv. Domenico Stanga,
ha presentato memoria difensiva in data 10 settembre 2009,  chiedendo
il  rigetto  della  domanda   attrice,   della   quale   ha   dedotto
l'infondatezza sotto i seguenti  profili:  1)  l'Amministrazione  del
Comune di Marcianise si e' concretamente attivata in  modo  pregnante
per l'attuazione della r.d.  dei  rifiuti,  adottando  il  prescritto
regolamento, predisponendo i vari cassonetti per il  deposito  e  poi
avviando il sistema della raccolta cd. «porta a porta» per il secco e
per l'umido, mentre ha senz'altro  difettato  la  collaborazione  dei
cittadini; 2) il decreto legislativo n.  22/1997  ha  demandato  allo
stato l'organizzazione generale e la predisposizione di  linee  guida
cui le Amministrazioni locali avrebbero dovuto attenersi,  nel  porre
in essere la gestione materiale della raccolta (anche  differenziata)
dei rifiuti, attivita' che presso il Comune di  Marcianise  e'  stata
regolarmente svolta; 3) la colpa grave contestata al Fecondo  non  e'
sufficientemente  assistita  da   riscontri   probatori,   costituiti
unicamente dal dato oggettivo del mancato raggiungimento dei  livelli
minimi di  raccolta  differenziata  dei  rifiuti,  addebitabile,  per
contro - ad avviso del convenuto - a  problemi  endemici  di  sistema
(criticita' delle gare, insufficienza degli impianti di CDR,  assenza
di termovalorizzatori). 
    L'ingegnere Angelo Piccolo ha a  sua  volta  presentato,  per  il
tramite  del  difensore  incaricato  avv.  Fabrizio  Perla,   memoria
difensiva, in cui ha chiesto, in via  preliminare,  la  dichiarazione
d'inammissibilita'   dell'atto   introduttivo   del   giudizio    per
genericita' ed indeterminatezza, ai  sensi  degli  artt.  163  e  164
c.p.c. nonche' dell'art. 3 R.D. 1038/1933, nonche',  nel  merito,  il
proprio  proscioglimento  da  .ogni  addebito  ed  in  via  meramente
gradata, l'ampio esercizio del  potere  riduttivo  dell'addebito.  In
punto di merito, ha dedotto che: a) la  grave  negligenza  contestata
all'ing. Piccolo non e'  assistita  da  alcun  riscontro  probatorio,
bensi' e' addirittura smentita dalle risultanze degli atti di  causa,
da cui emerge che egli ha correttamente adempiuto i  propri  obblighi
di servizio (attivazione di vari sistemi per la r.d., opposizione  di
svariate  contestazioni  ed  applicazione  di   penali   alla   ditta
aggiudicataria del servizio);  b)  il  mancato  raggiungimento  degli
obiettivi minimi di r.d.  puo'  essere  tutt'al  piu'  ascritto  alla
mancata emanazione delle prescritte ordinanze sindacali; c) i criteri
utilizzati  per  il  calcolo  delle  varie  voci  di  danno  rilevate
nell'atto introduttivo del giudizio sono talmente opinabili da minare
la certezza, la concretezza e l'attualita'  del  danno  patrimoniale,
con analoghe conseguenze in  relazione  al  danno  non  patrimoniale,
ancorato al primo nella sussistenza. 
    Considerato che alla pubblica  udienza  odierna  l'avv.  Giuseppe
Criscuolo, presente per delega dell'avv.  Fabrizio  Perla  in  difesa
dell'ing. Angelo Piccolo si e' brevemente  riportato  alle  deduzioni
scritte, confermandone le conclusioni. In modo del tutto  analogo  si
e' espresso l'avv. Flavio Brusciano, presente  per  delega  dell'avv.
Luigi M. D'Angiolella in difesa del  dr.  Giuseppe  Sagliano.  L'avv.
Emanuele Marino, difensore incaricato del  convenuto  Vincenzo  Negro
poi,   ha    depositato    documentazione    scritta    a    sostegno
dell'argomentazione  difensiva   principale,   reiterata   e   meglio
specificata,  secondo  cui  non  rientrava  nelle  funzioni  e  nelle
competenze del Negro attivarsi per l'adozione delle  prescrizioni  in
materia di r.d. dei rifiuti, in assenza delle quali,  d'altra  parte,
nulla avrebbe potuto fare perche' le  disposizioni  regolamentari  e,
contrattuali gia' esistenti  venissero  correttamente  applicate.  Ha
concluso come da memoria scritta. 
    Il  P.M.  di  udienza  ha  chiesto  il  rigetto  delle  eccezioni
preliminari sollevate dai convenuti, a suo avviso infondate,  nonche'
l'integrale accoglimento delle istanze versate nell'atto di citazione
in giudizio. In subordine, ha chiesto che gli atti venissero  rimessi
alla Corte costituzionale, perche'  si  pronunci  sulla  legittimita'
dell'art. 17, comma 30-ter del d.l. 1° luglio 2009 n. 78,  in  ordine
alla quale  sussistono  rilevanti  dubbi  per  la  limitazione  della
giurisdizione contabile in tema di  danno  all'immagine  soltanto  ai
dipendenti pubblici,  con  esclusione  dunque  degli  amministratori,
nonche' per l'irragionevolezza delle disposizioni riguardanti la  non
rilevabilita'   d'ufficio   degli   atti   requirenti   e   la    non
contestabilita' del danno all'immagine nelle ipotesi  non  delittuose
ma connotate da colpa grave del presunto responsabile. 
    Tutto cio' Premesso e Considerato quanto  statuito  con  separata
sentenza in relazione all'effettivita'  e  all'attualita'  del  danno
patrimoniale materiale contestato nonche'  alla  responsabilita'  dei
convenuti rilevata dalla Procura in sede d'instaurazione del giudizio
in discussione, il collegio Ritiene di dover disporre come  segue  in
ordine alla questione, sollevata dal P.M. di udienza, di legittimita'
costituzionale della disposizione  di  cui  all'art.17  comma  30-ter
della legge 3 agosto 2009 n. 102 di conversione del decreto-legge  1°
luglio 2009 n. 78, modificata  dall'art.  l  comma  1°  lett.  c  del
decreto-legge 3 agosto 2009 n. 103, convertito nella legge 3  ottobre
2009 n. 141, limitatamente ai periodi secondo e terzo. 
 
                       Rilevato in diritto che 
 
    1. - La disposizione suindicata, in merito alla quale il P.M.  di
udienza ha prospettato la non conformita' a costituzione, recita  «Le
procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento
del  danno  all'immagine  nei  soli  casi   e   nei   modi   previsti
dall'articolo 7 dalla legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine,
il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell'art.  1
della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e' sospeso fino alla  conclusione
del procedimento penale». 
    Al  fine  di  un  corretto  ed  esaustivo  esame  della  proposta
questione, devesi in  primo  luogo  ricordare  che  il  comma  30-ter
dell'art. 17 del decreto-legge anticrisi n. 78 del  2009,  convertito
con legge 3 agosto 2009, n. 102, nel testo completo risultante  dalle
disposizioni correttive introdotte con il d.l. 3 agosto 2009, n. 103,
convertito con legge 3 ottobre 2009, n.  141,  e'  il  seguente:  «Le
procure  della  Corte  dei   conti   possono   iniziare   l'attivita'
istruttoria ai fini dell'esercizio dell'azione di  danno  erariale  a
fronte di specifica e concreta  notizia  di  danno,  fatte  salve  le
fattispecie direttamente sanzionate dalla  legge.  Le  procure  della
Corte dei conti esercitano l'azione per  il  risarcimento  del  danno
all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'articolo 7  dalla
legge 27 marzo 2001, n.  97.  A  tale  ultimo  fine, il  decorso  del
termine di prescrizione di cui al comma 2 dell'art. 1 della legge  14
gennaio  1994,  n.  20,  e'  sospeso  fino   alla   conclusione   del
procedimento penale. Qualunque atto istruttorio o  processuale  posto
in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente  comma,
salvo che sia stata gia' pronunciata sentenza  anche  non  definitiva
alla data di  entrata  in  vigore  della  legge  di  conversione  del
presente decreto, e' nullo e la relativa nullita' puo'  essere  fatta
valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi  alla
competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che  decide
nel  termine  perentorio  di  trenta  giorni   dal   deposito   della
richiesta». 
    Infine, va riportato il testo dell'art. 7 della  legge  27  marzo
2001 n. 97, intitolato  «Responsabilita'  per  danno  erariale»:  «La
sentenza irrevocabile  di  condanna  pronunciata  nei  confronti  dei
dipendenti indicati nell'articolo 3 per i delitti contro la  pubblica
amministrazione previsti nel capo I del titolo II del  libro  secondo
del codice penale e' comunicata al competente  procuratore  regionale
della  Corte  dei  conti  affinche'  promuova  entro  trenta   giorni
l'eventuale procedimento di responsabilita' per  danno  erariale  nei
confronti del condannato. Resta salvo quanta  disposto  dall'articolo
129 delle norme di attuazione, di  coordinamento  e  transitorie  del
codice di procedura penale,  approvate  con  decreto  legislativo  28
luglio 1989, n. 271». Invero,  la  disposizione  dell'art.  17  comma
30-ter legge n.102/2009 (e s.m.i.), dianzi  riportata  e  di  cui  e'
stata sollevata  nel  corso  dell'odierna  udienza  la  questione  di
legittimita' costituzionale, circoscrive alle sole  ipotesi  previste
nell'art. 7 legge n. 97/2001 l'azionabilita' del  danno  all'immagine
ad opera delle Procure contabili. 
    2. - Cosi' delineato il quadro normativo di recente stabilito con
riferimento alla regolamentazione del danno di che trattasi, per  una
corretta introduzione della questione all'esame del Collegio occorre,
in  primo  luogo,  definire  correttamente  l'oggetto  del  quale  si
controverte,  cioe'  il  danno  all'immagine  della   p.a.,   facendo
sintetico riferimento alla consolidata linea interpretativa tracciata
nel corso almeno di un decennio,  in  primo  luogo,  dalla  Corte  di
cassazione. 
    Dalle numerose sentenze e ordinanze nella materia, che le  ss.uu.
hanno pronunciato con conclusioni costanti (21 marzo 1997,  n.  5668;
25 ottobre 1999, n. 744; 4 aprile 2000, n. 98; 12 novembre  2003,  n.
17078; 2 marzo 2006, n. 4582; 27 settembre 2006, n. 20886;  2  aprile
2007, n. 8098; 20 giugno 2007, n. 14297), emerge che la suprema Corte
- in un'ottica generale di distinzione di due sole categorie di danno
patrimoniale in senso stretto e  non  patrimoniale,  rapportabili  il
primo alla previsione dell'articolo 2043 c.c. ed il secondo a  quella
dell'articolo 2059 c.c. - ha collocato il danno  all'immagine  ed  al
prestigio della p.a. nella categoria del  danno  patrimoniale,  quale
danno-evento  reso  concreto  dall'esigenza  di  sostenere  la  spesa
derivante dalla  compromissione  del  bene  giuridico  leso.  Con  la
precisazione che «esso e' dovuto pure  in  assenza  dell'accertamento
del  reato,  sempre  che  risultino  accertate  condotte   gravemente
trasgressive dei piu' elementari doveri di fedelta' di ogni  pubblico
agente» (sent. n. 20866/2006 cit.). 
    Le statuizioni poste dalla S.C. nelle suindicate pronunce  ed  in
quelle emesse in sede contabile risultano esaustivamente  compendiate
nella recente sentenza n. 141/2009  della  Sezione  III  Centrale  di
questa Corte, dove sono stati ridelineati i  vari  aspetti  risultati
dall'elaborazione giurisprudenziale. In tale  pronuncia,  invero,  si
sottolinea che il danno all'immagine: 
        e' danno  patrimoniale,  ancorche'  conseguente  all'avvenuta
lesione di beni immateriali quali sono  l'immagine  ed  il  prestigio
della p.a.: 
        si  fonda  sul  principio  di  immedesimazione  organica  tra
l'Amministrazione e  i  suoi  agenti,  attraverso  i  quali  essa  e'
identificata, «cosi' da ricondurre all'Amministrazione medesima tanto
gli sviluppi concreti dei valori  di  legalita',  buon  andamento  ed
imparzialita', intrinsecamente connessi all'agire  pubblico»,  quanto
«i corrispondenti, opposti, disvalori legati alle forme piu' gravi di
illecito  amministrativo-contabile,  con  evidente  discredito  delle
istituzioni pubbliche»; 
        investe «il diverso  e  piu'  ampio  rapporto  -  di  diritto
pubblico   -   che   lega   la   comunita'    degli    amministrati»,
complessivamente intesa, «alle istituzioni per le quali il dipendente
medesimo ha agito», incrinando nello Stato-Comunita'  «quei  naturali
sentimenti di affidamento e di ''appartenenza'' alle istituzioni  che
giustifica la stessa collocazione dello Stato-Apparato e degli  altri
Enti» tra «le piu' rilevanti formazioni sociali nelle quali si svolge
la personalita' dell'uomo», secondo l'articolo 2 della Costituzione e
imponendo un recupero della causata "diminuzione  patrimoniale»,  che
comporta un costo risarcibile alla P.A. danneggiata; 
        «interviene tra i medesimi ''soggetti attivi e passivi''di un
qualsivoglia altro tipo di danno erariale,  ed  in  ''violazione  dei
medesimi doveri funzionali'' di servizio»; 
        non deriva solo «dalla violazione di doveri di servizio,  ben
potendo ipotizzarsi in astratto forme di lesioni che provengano anche
da estranei alla P.A. stessa, e quindi in regime  di  responsabilita'
extracontrattuale;  ma  ipotesi  del  genere  non  riguardano  quella
consistente parte delle lesioni che  proviene  da  personale  proprio
dell'Amministrazione e che comunque,  ai  fini  della  giurisdizione,
impegnano la corte dei conti». 
    Quanto precede, dunque, integra un ampio  complesso  di  elementi
atti a delineare l'istituto giuridico che la dubitata disposizione ha
inteso regolare. 
    3.  -  Orbene, dalla lettura della  surriportata  giurisprudenza,
che ha conformato il  diritto  vivente  dell'istituto,  emergono  con
chiarezza  i  principi  che  lo  informano  e,  di  conseguenza,   il
fondamento costituzionale sul quale esso si basa. 
    Tanto premesso in termini generali, il collegio osserva che nella
fattispecie  dedotta  a  giudizio,  i  dubbi   di   costituzionalita'
dell'art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1 luglio  2009  n.  78,
convertito, con modificazioni, nella legge 3  agosto  2009,  n.  102,
come modificato dall'art. 1, comma  3,  del  decreto-legge  3  agosto
2009, n. 103, convertito, con modificazioni, nella  legge  3  ottobre
2009, n. 141, nei periodi secondo e terzo, prospettati dalla  Procura
regionale e autonomamente rilevati dal Giudice,  «assumono  rilevanza
ai fini della richiesta decisione sulla base di almeno due ragioni: 
        la prima  costituita  dalla  natura  chiaramente  processuale
della disposizione dubitata, applicabile anche ai giudizi in corso  -
seppure nei limiti posti dallo  stesso  legislatore  -  e,  pertanto,
anche al presente; 
        la seconda costituita dall'evidenza che  i  fatti  sui  quali
s'e' fondata la citazione  non  sono  interessati,  al  presente,  da
azione  penale»  (sezione  Giurisdizionale   Umbria,   ordinanza   n.
20/2009). 
    In  buona  sostanza  la  vicenda  oggetto  dell'odierno  giudizio
connette l'ipotesi di danno all'immagine esclusivamente a fatti per i
quali non e'stata interessata, allo  stato  degli  atti,  l'autorita'
giudiziaria penale, consistendo gli addebiti contestati ai  convenuti
in   incauta   ed   illegittima   gestione   amministrativa    svolta
nell'esercizio del munus publicum. 
    Quindi, considerati i limiti introdotti con  la  disposizione  in
esame, l'eccezione di nullita' della domanda  risarcitoria  di  danno
all'immagine,  ove  sollevata,  dovrebbe  essere   accolta;   ma   in
particolare, la domanda introduttiva  del  giudizio  dovrebbe  essere
dichiarata  inammissibile,  per  la  parte   concernente   il   danno
all'immagine della Regione Campania, per difetto di giurisdizione. 
    Per  quanto  sopra  considerato,  la  questione  di  legittimita'
costituzionale della ridetta disposizione, si rivela, ad  avviso  del
Collegio, non solo essenziale ai fini  della  definizione  di  quella
parte del giudizio mediante la quale e' stato azionato dal requirente
il danno  all'immagine  della  Regione  Campania,  bensi'  anche  non
manifestamente infondata, per quanto oltre  si  dira',  il  tutto  ai
sensi dell'art. 23, 2° comma, legge 11 marzo 1953 n. 87. 
    4.  -  Invero, dalla lettura del testo della  disposizione  della
cui conformita' a Costituzione si controverte  -  dianzi riportato  -
appare chiaro che il legislatore del 2009 ha inteso circoscrivere  la
risarcibilita' della lesione all'immagine ed al prestigio della P.A.,
ai soli casi in cui sia stata pronunciata  sentenza  irrevocabile  di
condanna per la commissione di uno dei  delitti  contro  la  pubblica
amministrazione previsti nel capo I del titolo II del  libro  secondo
del  codice  penale,  escludendo  gli  illeciti  derivanti  da  grave
colposita' della condotta  - o da altre e diverse ipotesi  delittuose
- nonche' alle sole ipotesi in  cui  l'autore  dell'illecito  sia  un
dipendente pubblico, escludendo l'evocabilita' in giudizio per  danno
all'immagine degli amministratori pubblici. 
    A conferma di quanto da ultimo osservato, valga porre in  rilievo
che l'art. 3 della legge 27 marzo 2001 n. 97 (richiamato dall'art.  7
della medesima legge, dianzi testualmente riportato)  fa  riferimento
ai provvedimenti che l'amministrazione di appartenenza e'  tenuta  ad
adottare, in presenza del fatto che "nei confronti di  un  dipendente
di amministrazioni o di enti pubblici ovvero  di  enti  a  prevalente
partecipazione pubblica  e'  disposto  il  giudizio  per  alcuni  dei
delitti previsti dagli articoli 314,  primo  comma,  317,  318,  319,
919-ter e 320 del codice penale  e  dall'articolo  3  della  legge  9
dicembre 1941, n. 1383», con cio' lasciando  senza  dubbio  intendere
che il campo di applicazione dell'art. 3 legge n. 97/2001 - e dunque,
dell'art. 7 stessa legge, che ad esso opera  espresso  riferimento  e
che  e'  a  sua  volta  inserito  nella  previsione  contenuta  nella
disposizione  della  cui  legittimita'  costituzionale  si  dubita  -
riguarda unicamente i dipendenti di amministrazioni, di enti pubblici
e di enti a prevalente partecipazione pubblica. 
    Non essendo previsto, infatti, alcun obbligo di  trasmissione  al
P.M.  di   una   condanna   penale   irrevocabile   interessante   un
amministratore, deve concludersi che le modalita' richieste dal comma
30-ter in esame possono seguirsi solo per  i  dipendenti  e  non  per
soggetti diversi. 
    Cio' impedisce, ovviamente,  l'esercizio  dell'azione  per  danno
all'immagine nei confronti degli amministratori e di tutti coloro che
non siano dipendenti subordinati. 
    Non si ritiene possa seguirsi una diversa lettura,  che  pure  e'
stata proposta nella prima giurisprudenza contabile, che  avrebbe  il
pregio di assicurare un'interpretazione conforme a costituzione della
disposizione in esame. 
    In quest'orientamento si e' valorizzato  il  richiamo,  contenuto
nell'ultimo periodo dell'art. 7 legge n. 97/2001, alla  salvezza  del
disposto  dall'articolo   129   delle   norme   di   attuazione,   di
coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate
con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271,  articolo  stabilente
quanto segue: «1. Quando esercita l'azione penale nei confronti di un
impiegato dello stato o di altro ente pubblico, il pubblico ministero
informa  l'autorita'  da  cui  l'impiegato  dipende,  dando   notizia
dell'imputazione. ...3. Quando esercita l'azione penale per un  reato
che ha cagionato un danno per l'erario, il pubblico ministero informa
il procuratore generale presso la  Corte  dei  conti,  dando  notizia
della imputazione». 
    Facendo rientrare tra i casi richiamati dal comma 30-ter in esame
anche le informazioni  sull'esercizio  dell'azione  penale,  se  n'e'
dedotta l'ammissibilita' dell'azione per danno all'immagine in  tutte
le ipotesi di comunicazione di reato, e,  quindi,  senza  vincoli  di
fattispecie penali o soggettive;  si  e'  ritenuta,  pero',  comunque
necessaria una sentenza penale  definitiva  (Sezione  Giurisdizionale
Lombardia, sentenze nn. 640, 641 e 767 del 2009). 
    Siffatta interpretazione non  puo'  essere  seguita,  poiche'  il
puntuale rinvio ai soli casi e modi previsti  dall'articolo  7  dalla
legge 27 marzo 2001, n. 97 rimarrebbe, infatti, privo di significato,
mentre, se tale fosse stato l'intento legislativo  (tutti  i  reati),
sarebbe stato sufficiente un richiamo diretto all'articolo  129  cit.
Inammissibile, ancora, sembra poter «combinare» la  necessita'  della
sentenza definitiva penale con le ipotesi informative di cui all'art.
129, che appare il frutto di una libera riscrittura della, norma, non
di competenza dell'interprete. 
    Non potendosi  accogliere  l'interpretazione  esaminata  o  altra
conforme a Costituzione,  emergono  gravi  dubbi  sulla  razionalita'
della nuova norma in tema di danno all'immagine, sotto i profili  che
oltre  si  descriveranno  e,  dunque,  per  contrasto  con  le  norme
costituzionali che di seguito si indicheranno. 
    5.  - In primo luogo, la disciplina introdotta risulta  priva  di
qualsiasi ragionevolezza ed in contrasto  con  l'art.  3  Cost.,  non
essendo   comprensibili   le    ragioni    dell'intervenuto    limite
all'esercizio dell'azione per danno all'immagine, avente capacita' di
discriminare del tutto irrazionalmente i soggetti convenibili (solo i
dipendenti e non gli amministratori). 
    Valga ricordare, in proposito, che  l'art.  3  Cost.,  dopo  aver
sancito la pari dignita' sociale e l'uguaglianza davanti  alla  legge
di tutti i cittadini, prescrive, al secondo  comma,  che  e'  compito
della Repubblica la rimozione degli ostacoli di  ordine  economico  e
sociale che  limitano  di  fatto  la  liberta'  e  l'uguaglianza  dei
cittadini medesimi. 
    Orbene, con la disposizione della  cui  conformita'  ai  precetti
costituzionali si dubita, il legislatore, prescindendo dalla cura del
pubblico interesse, ha inserito nel  sistema  un  precetto  in  piena
collisione  con  i  principi  che  regolano  la  materia,  riproposti
sinteticamente al punto 2. che precede, innanzi tutto introducendo un
ingiustificabile  effetto  premiale  in  favore   di   amministratori
pubblici che abbiano assunto comportamenti tali da ledere  l'immagine
ed il prestigio dell'ente rappresentato, a fronte di dipendenti  che,
autori di analoghi illeciti, risultano invece perseguibili, venendo a
trovarsi in situazione di svantaggio rispetto agli amministratori. 
    Tale   discriminazione   si   rivela   ancor   meno    spiegabile
razionalmente, ove si consideri che agli  amministratori  e'  rimessa
l'attivita' di formazione degli indirizzi politici dell'ente, laddove
ai di pendenti e' affidata la fase  propriamente  gestionale  se  non
addirittura meramente operativa, con la conseguenza  che,  almeno  in
linea di principio, la potenzialita'  lesiva  dell'immagine  pubblica
intrinsecamente  presente   nell'azione   degli   amministratori   e'
maggiormente dirompente rispetto a quella riconoscibile alle funzioni
piu' squisitamente gestionali-operative attribuite ai dipendenti. 
    Il collegio non  ignora  cio'  che  la  Corte  costituzionale  ha
insegnato per cio' che concerne i limiti dell'intervento  legislativo
che disciplina la responsabilita' conosciuta dal  giudice  contabile,
secondo cui «Non v'e', infatti,  alcun  motivo  di  dubitare  che  i1
legislatore sia arbitro di stabilire  non  solo  quali  comportamenti
possano costituire titolo di responsabi1ita', ma anche qual  e  grado
di colpa sia richiesto ed a quali  soggetti  la  responsabilita'  sia
ascrivibile  (sentenza   n.   411   del   1988),   senza   limiti   o
condizionamenti che non siano quelli della non irragionevolezza e non
arbitrarieta'» (sentenza n. 371/1998). 
    Tuttavia, nonostante  1'ampia  discrezionalita'  riconosciuta  al
legislatore in materia, si deve dubitare della  ragionevolezza  della
recente scelta normativa, poiche'  la  disposizione  in  osservazione
introduce un meccanismo preclusivo  dell'esercizio  dal  parte  delle
Procure contabili dell'azione  risarcitoria  per  danno  all'immagine
della P.A. nei confronti dei soli amministratori pubblici, senza  che
sia in alcun modo comprensibile la ragione della rilevata esclusione,
la quale, pertanto, si rivela generatrice di un'ipotesi di disparita'
di trattamento di situazioni del tutto simili,  in  aperto  contrasto
con l'art. 3 della Costituzione. 
    6.  - Inoltre, il comma 30-ter in esame prevede quali fattispecie
perseguibili soltanto quelle  correlate  a  condanna  definitiva  per
delitti contro la P.A. e non ad altre  ipotesi  delittuose  o  -  per
quello cui si fa in questa sede riferimento - ad illeciti  gestionali
caratterizzati da colpa grave. 
    Orbene,  risulta  manchevole  di  razionale  giustificazione   la
scelta, legislativa, consistita nel  sottrarre  non  solo  all'ambito
della  responsabilita'  amministrativo-contabile,  ma  addirittura  a
qualsivoglia sindacato giurisdizionale,  un'amplissima  tipologia  di
fattispecie, comunque delittuose  ovvero  non  sfociate  in  sentenza
definitiva di condanna (quali le  numerosissime  vicende  oggetto  di
giudizi penali  estinti  per  prescrizione),  o  analoghe  a  quella,
emblematica  -  oggetto  del  presente  giudizio  -  interessante  la
gravissima  lesione  dell'immagine  della  persona  pubblica  causata
dell'enorme risonanza nella generale opinione dell'emergenza  rifiuti
nella Regione Campana, con un notevole risalto  anche  all'estero  (e
negativo impatto per il settore turistico). 
    Sul punto,  appare  opportuno  ricordare  che  l'art.  103  Cost.
attribuisce alla Corte dei conti la giurisdizione  nelle  materie  di
contabilita' pubblica. 
    La stessa Corte costituzionale ha chiarito, con  la  sentenza  n.
371/1998 che ha dichiarato infondata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera a), del d.l. 23  ottobre
1996, n. 543 - gia' precedentemente  citata  -  che  l'art.  103,  2°
comma, Cost. «ha soltanto la finalita' di riservare  alla  Corte  dei
Conti  la  giurisdizione  nelle  materie  di  contabilita'  pubblica,
secondo ambiti la cui concreta determinazione, peraltro, e'  rimessa,
alla discrezionalita' del  legislatore»,  osservando  che  «la  norma
denunciata (che limita la  responsabilita'  dei  soggetti  sottoposti
alla giurisdizione della Corte dei conti ai fatti ed  alle  omissioni
commessi con dolo o colpa grave) concerne la  disciplina  sostanziale
della  responsabilita'  degli   amministratori   e   dei   dipendenti
pubblici». 
    La disposizione contenuta nel comma 30-ter, della cui conformita'
ai principi  costituzionali  il  Collegio  dubita,  ha  senz'altro  i
rilevanti effetti sostanziali preclusivi di cui si e' detto  sopra  e
che ulteriormente si descriveranno al punto che segue, ma  da'  luogo
ad  una  irragionevole  ed  arbitraria  sottrazione  a   qualsivoglia
sindacato giurisdizionale di  fattispecie  significativamente  lesive
del  prestigio  e  del  decoro   della   P.A.   (dianzi   precisate),
testimoniando un cattivo uso da parte del legislatore  della  propria
discrezionalita'. 
    7.    -   Rilevato   l'effetto    preclusivo    dell'azione    di
responsabilita' amministrativo-contabile sopra descritto, ne consegue
un   ulteriore   profilo    d'incostituzionalita'    della    ridetta
disposizione, per contrasto con gli art. 24 e 113 sost. sul punto, il
collegio osserva, preliminarmente, che l'art. 24 assicura  a  «tutti»
la possibilita' di «agire  in  giudizio  per  la  tutela  dei  propri
diritti e  interessi  legittimi»,  precisando  ulteriormente,  al  2°
comma, che «la difesa e' diritto inviolabile in ogni  stato  e  grado
del procedimento». Nel contempo, l'art. 113  stabilisce  che  «contro
gli atti della Pubblica Amministrazione e' sempre ammessa  la  tutela
giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi  agli
organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa»,  ponendo  al  2°
comma  un  insuperabile  sbarramento,  secondo   cui   «tale   tutela
giurisdizionale non puo' essere  esclusa  o  limitata  a  particolari
mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti». 
    Orbene, e' di tutta  evidenza  che  quando  l'art.  24  riconosce
l'inviolabilita' del diritto  alla  difesa  in  giudizio  dei  propri
diritti ed interessi legittimi  a  «tutti»,  entro  tale  complessivo
ambito soggettivo non possono non essere ricompresi  amministrazioni,
enti pubblici ed enti a prevalente partecipazione  pubblica,  il  cui
sostituto processuale  «naturale»  e'  ope  legis  rappresentato  dal
competente procuratore regionale o generale  della  Corte  dei  conti
(ordinanza n. 309/09 di questa sezione Giurisdizionale). 
    Precludendo  alla  P.A.  la  possibilita'  di   ottenere   tutela
giurisdizionale - per il tramite del procuratore contabile - in tutti
i casi in cui essa abbia subito lesione della  propria  immagine  per
effetto  della  condotta  tenuta  da  un  pubblico  amministratore  o
comunque ove la lesione medesima sia  derivata  da  un  comportamento
caratterizzato  da  grave  colposita'  oppure  rientri   in   ipotesi
delittuosa diversa da alcuna di quelle disciplinate  nel  capo I  del
titolo II del libro secondo del codice penale (cc.dd. Delitti  contro
la pubblica amministrazione), si ottiene un pregiudizio  irreparabile
della possibilita' stessa di  un  esame  nel  merito  della  medesima
domanda di tutela giurisdizionale, cioe' la vanificazione di essa. 
    Una disciplina siffatta,  in  quanto  potenzialmente  lesiva  del
diritto alla tutela giurisdizionale e comunque tale da incidere sulla
sua effettivita', e'  incompatibile  con  un  principio  fondamentale
dell'ordinamento, il quale  riconosce  bensi'  la  esistenza  di  una
pluralita' di azioni risarcitorie, e  la  riconosce  affinche'  venga
assicurata, sulla base di  distinte  tipologie  di  danno,  una  piu'
adeguata risposta alla domanda di giustizia, e non gia' affinche' sia
compromessa la possibilita' stessa che  a  tale  domanda  venga  data
risposta. 
    L'effetto lesivo del principio  costituzionale  recato  dall'art.
24, contenuto nel comma 30-ter di cui si  controverte,  va  visto  in
correlazione all'altro, contenuto nell'art.113 Cost., precedentemente
richiamato,  poiche'  il  suo  mantenimento  in   vita   nell'attuale
formulazione recherebbe un ulteriore effetto  gravemente  distorsivo,
consistente nel precludere alla  P.A.  di  ottenere  compiuta  tutela
dell'integrita' del proprio  decoro,  a  fronte  della  possibilita',
priva  di  limitazioni,  riconosciuta  a  tutti  gli  altri  soggetti
dell'ordinamento  di  agire  contro  qualsiasi  atto  della  Pubblica
Amministrazione  per  la  tutela  dei  propri  diritti  ed  interessi
legittimi. 
    8.  - Tutte le considerazioni che precedono inducono il  Collegio
a investire la Corte costituzionale per una pronuncia risolutrice dei
dubbi di costituzionalita' insorti in ordine all'art. 17 comma 30-ter
delle legge 3 agosto 2009 n. 102 di conversione del decreto-legge  l°
luglio 2009 n. 78, modificata dall'art. 1, primo comma, lett.  c  del
decreto-legge 3 agosto 2009 n. 103, convertito nella legge 3  ottobre
2009 n. 141, limitatamente ai periodi secondo e terzo, in riferimento
agli articoli, 3, 103,  24  e  113  della  Costituzione,  sospendendo
contestualmente la decisione nel merito del  giudizio  per  quel  che
concerne la domanda risarcitoria del danno all'immagine della Regione
Campania. 
 
                               P. Q. M. 
 
    Visti gli articoli 134 della Costituzione e  23,  commi  primo  e
terzo, della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Sospende la decisione nel merito n. 58231 per quel  che  concerne
la  domanda  risarcitoria  del  danno  all'immagine   della   Regione
Campania; 
    Solleva in quanto ritenuta rilevante ai fini del decidere  e  non
manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale
dell'articolo 17, comma 30ter, del decreto legge 1 luglio 2009 n. 78,
convertito, con modificazioni, nella legge 3  agosto  2009,  n.  102,
come modificato dall'art. 1, comma 3,  del  decreto  legge  3  agosto
2009, n. 103, convertito, con modificazioni, nella  legge  3  ottobre
2009, n. 141, periodi secondo e terzo e quarto, con riferimento  agli
articoli 3, 24, 113 e 103 della Costituzione; 
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 
    Dispone la notifica  dell'ordinanza  ai  convenuti,  al  Pubblico
ministero e al Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Dispone la comunicazione dell'ordinanza ai Presidenti del  Senato
e della Camera dei deputati. 
    Spese riservate al merito. 
    Cosi' deciso in Napoli, nelle camere di consiglio dei  giorni  1°
ottobre 2009 e 12 novembre 2009. 
 
                      Il Presidente: Gustapane