N. 43 ORDINANZA 8 - 11 febbraio 2010

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Giurisdizioni  speciali  -  Giurisdizione  tributaria  -  Ricorso  in
  appello - Notifica non a mezzo di ufficiale giudiziario -  Deposito
  di copia del ricorso presso la  segreteria  del  giudice  di  primo
  grado  a  pena  di  inammissibilita'  dell'appello   -   Denunciata
  violazione dei principi  di  uguaglianza  e  di  ragionevolezza  ed
  asserita lesione del diritto di  difesa  -  Esclusione,  attesa  la
  sussistenza di un'apprezzabile ratio della disposizione censurata -
  Manifesta infondatezza della questione. 
- D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 2, secondo periodo,
  introdotto dall'art. 3-bis, comma 7, del d.l. 30 settembre 2005, n.
  203, convertito, con modificazioni, dall'art.  1,  comma  1,  della
  legge 2 dicembre 2005, n. 248. 
- Costituzione, artt. 3 e 24. 
(GU n.7 del 17-2-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Ugo DE SIERVO; 
Giudici: Alfio FINOCCHIARO, Alfonso  QUARANTA,  Franco  GALLO,  Luigi
  MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,
  Giuseppe  TESAURO,  Paolo   Maria   NAPOLITANO,   Giuseppe   FRIGO,
  Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  53,  comma  2,
secondo periodo, del decreto legislativo 31  dicembre  1992,  n.  546
(Disposizioni sul processo tributario in attuazione della  delega  al
Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413),
periodo aggiunto dall'art.  3-bis,  comma  7,  del  decreto-legge  30
settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto  all'evasione  fiscale  e
disposizioni  urgenti   in   materia   tributaria   e   finanziaria),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della  legge  2
dicembre 2005 n. 248, promosso dalla Commissione tributaria regionale
della  Lombardia  nel  giudizio  vertente  tra  Fortunato  Michele  e
l'Agenzia delle entrate - ufficio di Luino, con ordinanza  depositata
il 3 luglio 2008, iscritta al n. 227 del registro  ordinanze  2009  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  37,  prima
serie speciale, dell'anno 2009. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del 27 gennaio  2010  il  giudice
relatore Franco Gallo. 
    Ritenuto che la Commissione tributaria regionale della Lombardia,
con  ordinanza  depositata  il  3  luglio  2008,  ha  sollevato,   in
riferimento agli artt.  3  e  24  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' del secondo periodo del comma 2 dell'art. 53 del decreto
legislativo 31 dicembre  1992,  n.  546  (Disposizioni  sul  processo
tributario in attuazione della delega al Governo contenuta  nell'art.
30  della  legge  30  dicembre  1991,  n.  413),  periodo  introdotto
dall'art. 30 [recte: 3-bis], comma 7, del decreto-legge 30  settembre
2005, n. 203 (Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni
urgenti  in  materia  tributaria  e  finanziaria),  convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005,  n.
248, ed entrato in vigore il 3 dicembre  2005,  il  quale  stabilisce
che, «Ove  il  ricorso  non  sia  notificato  a  mezzo  di  ufficiale
giudiziario,  l'appellante  deve,   a   pena   di   inammissibilita',
depositare copia dell'appello presso l'ufficio  di  segreteria  della
commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata»; 
        che il giudice rimettente premette che, nella specie:  a)  un
medico aveva impugnato davanti alla Commissione tributaria  regionale
la sentenza con la quale la  Commissione  tributaria  provinciale  di
Varese  aveva  rigettato  il  ricorso  da  lui  proposto  avverso  il
provvedimento, emesso della  competente  Agenzia  delle  entrate,  di
diniego di rimborso dell'IRAP versata per gli anni dal 1998 al  2001;
b) la copia dell'atto di  appello  era  stata  depositata  presso  la
segreteria del giudice di primo grado in data  19  novembre  2007  «e
cioe' oltre i trenta  giorni  dalla  data  di  notifica  dell'appello
all'Ufficio avvenuta il 17  ottobre  2007»;  c)  l'appellata  Agenzia
delle entrate  aveva  eccepito  l'inammissibilita'  dell'appello,  ai
sensi del secondo periodo del comma 2 dell'art. 53 del d.lgs. n.  546
del 1992, in ragione della tardivita' del suddetto deposito; 
        che su  tali  premesse  il  giudice  a  quo  afferma  che  la
disposizione censurata si pone in contrasto sia con l'art. 3 Cost.  -
sotto il profilo della violazione dei principi di  eguaglianza  e  di
ragionevolezza - sia con l'art. 24 Cost., per violazione del  diritto
di difesa; 
        che,  al  riguardo,  il  rimettente  muove  dal   presupposto
interpretativo, comune a tutte  le  prospettate  censure,  che  detta
disposizione  e'  priva  di   ratio,   non   identificabile   neppure
nell'esigenza di rendere nota alla segreteria del  giudice  di  primo
grado l'intervenuta proposizione  dell'appello  notificato  senza  il
tramite dell'ufficiale giudiziario e di  impedire,  cosi',  l'erronea
declaratoria di  esecutivita'  di  sentenze  non  ancora  passate  in
giudicato; 
        che infatti, per il giudice a quo,  anche  tale  ratio  legis
deve  essere  esclusa,  in  quanto:   a)   la   eventuale,   indebita
declaratoria di esecutivita' sarebbe  comunque  revocabile;  b)  alla
notificazione  dell'appello   potrebbe   non   seguire   la   rituale
costituzione in giudizio dell'appellante, con  conseguente  passaggio
in giudicato della sentenza impugnata; c) quando «il  legislatore  ha
voluto evitare infondate declaratorie di esecutivita' ha  dettato  la
regola generale che la impugnazione venga proposta davanti al giudice
a quo (art. 582, c. 1, c.p.p.)»; d) l'esigenza di rendere  nota  alla
segreteria del giudice  di  primo  grado  l'intervenuta  proposizione
dell'appello e' gia' soddisfatta dall'obbligo, posto a  carico  della
segreteria del giudice di appello dal comma 3 dell'art. 53 del d.lgs.
n. 546 del 1992, di richiedere alla segreteria del giudice  di  primo
grado,  subito  dopo  il  deposito  del  ricorso   in   appello,   la
trasmissione del fascicolo processuale con la copia  autentica  della
sentenza impugnata; 
        che,  sulla  base  di  tale  presupposto  interpretativo,  il
rimettente osserva, quanto alla dedotta violazione del  principio  di
eguaglianza, che la  censurata  disposizione:  1)  riguarda  il  solo
processo tributario e non anche il processo civile,  con  conseguente
ingiustificata «diversita' di trattamento fra  situazioni  giuridiche
eguali,   ancorche'   verificatesi    in    differenti    ordinamenti
processuali»; 2)  nell'ambito  del  processo  tributario,  impone  il
deposito della copia dell'appello presso la segreteria del giudice di
primo  grado  soltanto  nel  caso  della   notificazione   cosiddetta
«diretta» del gravame (cioe' effettuata a mezzo di plico raccomandato
con  avviso  di  ricevimento  o  mediante  consegna  all'ufficio  del
Ministero delle finanze o dell'ente locale) e non anche nel  caso  di
notificazione effettuata tramite ufficiale giudiziario - caso in  cui
(sempre  secondo  il  rimettente)  ne'  l'ufficiale  giudiziario  ne'
l'appellante «sono onerati di  comunicare  l'avvenuta  notifica  alla
segreteria  della  commissione  provinciale»   -,   con   conseguente
ingiustificata disparita' di trattamento di fattispecie omogenee; 
        che  il  rimettente,  in  forza  del   medesimo   presupposto
interpretativo,    osserva    altresi',    quanto    alla     dedotta
irragionevolezza, che la denunciata disposizione: a) commina la grave
sanzione  dell'inammissibilita'  dell'appello  per   l'omissione   di
un'attivita'   processuale   priva   di   qualsivoglia   apprezzabile
finalita', cosi' violando  il  principio  di  proporzionalita'  della
sanzione rispetto al bene o all'interesse alla cui tutela la norma e'
posta; b) proprio perche' priva di una qualsiasi  «ragion  d'essere»,
omette di fissare un termine perentorio per il deposito  della  copia
dell'appello presso la segreteria del  giudice  di  primo  grado;  c)
sancisce l'inammissibilita' dell'appello  in  ragione  non  gia'  del
sopraggiunto disinteresse della parte al giudizio  stesso  -  secondo
quanto previsto dalle regole generali del processo -, ma  della  mera
omissione di un adempimento privo «di utilita' concreta o ipotetica»,
dal quale non e' possibile desumere, data l'avvenuta attivazione  del
giudizio di gravame, alcuna volonta' della  parte  di  desistere  dal
processo; 
        che per il giudice a quo, infine - sempre sul presupposto che
il menzionato deposito costituisca un incombente privo  di  qualsiasi
ragion d'essere -, la disposizione censurata viola  anche  l'art.  24
Cost.,  perche'  la  sanzione   dell'inammissibilita'   dell'appello,
prevista per il caso del mancato deposito della  copia  dell'atto  di
impugnazione, rappresenta un «impedimento all'esercizio  del  diritto
di agire per la tutela dei propri diritti [...], difendendosi in ogni
stato [...] e grado del procedimento»; diritto, questo,  che  non  e'
circoscritto «a un generico diritto di accesso alla giurisdizione, ma
si espande fino a ricomprendere il diritto alla sentenza»; 
        che, quanto alla  rilevanza  delle  sollevate  questioni,  la
Commissione tributaria  regionale  afferma  che,  per  effetto  della
denunciata disposizione, l'appello  di  cui  al  giudizio  principale
dovrebbe essere dichiarato inammissibile; 
        che  nel   giudizio   di   legittimita'   costituzionale   e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  chiedendo  il  rigetto,
per infondatezza, di tutte le questioni; 
        che in particolare, secondo la difesa erariale, le  questioni
poste con riferimento alla violazione del  principio  di  eguaglianza
non sono fondate, perche':  a)  rientra  nella  discrezionalita'  del
legislatore  introdurre  discipline  differenziate  nell'ambito   dei
diversi riti, sicche' risulta legittima la differenza  di  disciplina
tra l'appello «in sede  di  processo  tributario  rispetto  a  quello
proposto  in  sede  di  processo  civile»;  b)  anche  nel   processo
tributario, nel caso di  appello  notificato  a  mezzo  di  ufficiale
giudiziario, quest'ultimo e' tenuto a dare immediato  avviso  scritto
al cancelliere del giudice che ha pronunciato la sentenza  impugnata,
ai sensi dell'art. 123, comma 1, delle disposizioni di attuazione del
codice di procedura civile, applicabile al processo tributario; 
        che,  per  l'Avvocatura  generale  dello  Stato,   anche   le
questioni  poste  con  riferimento  alla  denunciata  violazione  del
principio di ragionevolezza sono prive di fondamento, perche': a)  la
ratio della norma censurata e' quella di  consentire  al  giudice  di
primo grado «di  acquisire  tempestiva  conoscenza  dell'impugnazione
prodotta  ai  fini  della  relativa  annotazione,   con   conseguente
impossibilita' del rilascio di certificazioni di  avvenuto  passaggio
in giudicato», e cio' anche prima della richiesta  del  fascicolo  da
parte del giudice del gravame; b) alla luce di  tale  finalita',  non
appare sproporzionata ed irragionevole la previsione  della  sanzione
della inammissibilita' dell'appello per il mancato deposito di  copia
del  ricorso  presso  la  cancelleria  della  Commissione  tributaria
provinciale; 
        che  inoltre,   ad   avviso   della   difesa   pubblica,   e'
manifestamente infondata la questione posta in  riferimento  all'art.
24  Cost,  perche'  «non  si  comprende  come  la  previsione  di  un
adempimento di semplice esecuzione (quale  il  deposito  di  un  atto
presso la segreteria del giudice di primo grado) possa costituire  un
ostacolo all'esercizio del diritto di azione e difesa». 
    Considerato  che  la  Commissione  tributaria   regionale   della
Lombardia  dubita,  in  riferimento  agli  artt.   3   e   24   della
Costituzione, della legittimita' del  secondo  periodo  del  comma  2
dell'art. 53  del  decreto  legislativo  31  dicembre  1992,  n.  546
(Disposizioni sul processo tributario in attuazione della  delega  al
Governo contenuta nell'articolo 30 della legge 30 dicembre  1991,  n.
413)  -  periodo  introdotto  dal  comma  7   dell'art.   3-bis   del
decreto-legge  30  settembre  2005,  n.  203  (Misure  di   contrasto
all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia  tributaria  e
finanziaria), convertito, con modificazioni, dal comma 1 dell'art.  1
della legge 2 dicembre 2005, n. 248 -, il quale, nel disciplinare  la
proposizione dell'appello innanzi  agli  organi  della  giurisdizione
tributaria, stabilisce che, «Ove il  ricorso  non  sia  notificato  a
mezzo  di  ufficiale  giudiziario,  l'appellante  deve,  a  pena   di
inammissibilita', depositare copia dell'appello presso  l'ufficio  di
segreteria  della  commissione  tributaria  che  ha  pronunciato   la
sentenza impugnata»; 
        che,  al  riguardo,  il  rimettente  muove  dal   presupposto
interpretativo che la disposizione censurata e' priva di  ratio,  non
identificabile neppure nell'esigenza di rendere nota alla  segreteria
del giudice di primo grado l'intervenuta proposizione dell'appello  e
di impedire, in tal  modo,  l'erroneo  rilascio,  con  riferimento  a
sentenze  di  primo  grado  non  ancora  passate  in  giudicato,   di
certificati di passaggio in giudicato o di  copie  spedite  in  forma
esecutiva; 
        che infatti, per il giudice rimettente, tale ratio legis deve
essere esclusa, perche': a) l'indebita dichiarazione di  esecutivita'
sarebbe  comunque  revocabile;  b)  alla  proposizione   dell'appello
potrebbe  non   seguire   la   rituale   costituzione   in   giudizio
dell'appellante,  con  conseguente  passaggio  in   giudicato   della
sentenza impugnata; c)  quando  «il  legislatore  ha  voluto  evitare
infondate declaratorie di esecutivita' ha dettato la regola  generale
che la impugnazione venga proposta davanti al  giudice  a  quo  (art.
582, c. 1, c.p.p.)»; d) l'indicata  esigenza  di  rendere  nota  alla
segreteria del giudice  di  primo  grado  l'intervenuta  proposizione
dell'appello e' gia' soddisfatta dall'obbligo, posto a  carico  della
segreteria del giudice di appello dal comma 3 dell'art. 53 del d.lgs.
n. 546 del 1992, di richiedere alla segreteria del giudice  di  primo
grado,  subito  dopo  il  deposito  del  ricorso   in   appello,   la
trasmissione del fascicolo processuale con la copia  autentica  della
sentenza impugnata; 
        che l'indicato presupposto interpretativo  e'  alla  base  di
tutte le dedotte violazioni dei parametri costituzionali evocati,  in
quanto l'affermata inesistenza di una ratio renderebbe la  disciplina
denunciata non  solo  ingiustificatamente  difforme  da  altre  norme
processuali concernenti l'impugnazione di  provvedimenti  giudiziari,
ma anche irragionevole e lesiva, proprio per la sua  inutilita',  del
diritto di difesa; 
        che, in primo luogo, il rimettente denuncia la violazione del
principio  di  uguaglianza  di  cui  all'art.  3  Cost.,  perche'  la
disposizione denunciata, essendo priva di ratio,  creerebbe  una  non
giustificata  disparita'  di  trattamento:  a)  rispetto  all'omologa
disciplina del processo civile, nella quale l'onere del  deposito  di
copia dell'atto di impugnazione presso la cancelleria del giudice che
ha pronunciato il provvedimento impugnato non  e'  previsto  ne'  per
l'appello ne' per il  ricorso  per  cassazione;  b)  nell'ambito  del
processo tributario, tra  coloro  che  notificano  l'appello  tramite
ufficiale giudiziario - i quali non hanno l'onere  di  effettuare  il
menzionato   deposito   -   e   coloro   che   notificano   l'appello
«direttamente», ai sensi del comma 3 dell'art. 16 del d.lgs.  n.  546
del 1992 (cioe' a mezzo  del  servizio  postale  mediante  spedizione
dell'atto  in  plico  senza  busta   raccomandato   con   avviso   di
ricevimento, ovvero con  consegna  all'ufficio  del  Ministero  delle
finanze  o  dell'ente  locale),  i  quali,  invece,  incorrono  nella
sanzione dell'inammissibilita' dell'appello,  nel  caso  in  cui  non
abbiano adempiuto l'onere del deposito; 
        che, in secondo luogo, il rimettente denuncia  la  violazione
dell'art. 3 Cost. per contrasto con il principio  di  ragionevolezza,
in quanto la disposizione censurata:  a)  prevede  l'inammissibilita'
dell'appello quale conseguenza del mancato compimento di un'attivita'
processuale  priva  di  ogni  utilita'  e  finalita'   e,   pertanto,
stabilisce  una  sanzione  processuale  la  cui   gravita'   non   e'
proporzionata «al bene o all'interesse alla cui tutela  la  norma  e'
posta»; b) proprio perche' priva di una qualsiasi «ragion  d'essere»,
omette di fissare un termine perentorio per il deposito  della  copia
dell'appello presso la segreteria del giudice di primo grado;  c)  fa
derivare l'inammissibilita' dell'appello da un comportamento omissivo
dal quale non e' possibile desumere, data l'avvenuta attivazione  del
giudizio di gravame, alcuna volonta' della  parte  di  desistere  dal
processo; 
        che il giudice a quo denuncia, in terzo luogo, la  violazione
dell'art.  24  Cost.,  sotto  il  profilo  che  la  norma  censurata,
prevedendo   l'inammissibilita'   dell'appello   per    il    mancato
assolvimento  di  un  incombente   privo   di   qualsiasi   utilita',
costituirebbe impedimento all'esercizio del diritto  della  parte  di
agire per la tutela dei propri diritti e di ottenere una sentenza; 
        che le sollevate questioni sono manifestamente infondate; 
        che, innanzitutto, va rilevata l'erroneita'  del  presupposto
interpretativo  da  cui  muove  il   rimettente,   secondo   cui   la
disposizione censurata sarebbe priva di ratio; 
        che, al riguardo, questa Corte ha gia'  precisato  che  detta
disposizione ha l'apprezzabile scopo di informare tempestivamente  la
segreteria del giudice di primo grado dell'appello  notificato  senza
il  tramite  dell'ufficiale  giudiziario  e,  quindi,   di   impedire
l'erronea attestazione del  passaggio  in  giudicato  della  sentenza
della Commissione tributaria provinciale (sentenza n. 321 del 2009); 
        che,  contrariamente  a  quanto  opinato  dalla   Commissione
rimettente, tale finalita' non e' soddisfatta dall'obbligo,  posto  a
carico della segreteria del giudice di appello dall'art. 53, comma 3,
del d.lgs. n. 546 del 1992, di richiedere alla segreteria  presso  il
giudice di primo grado la trasmissione del fascicolo processuale  con
la copia autentica della sentenza impugnata, «subito dopo il deposito
del ricorso in appello»; 
        che, infatti, la  suddetta  richiesta  viene  avanzata  dalla
segreteria del giudice di appello  solo  «dopo»  la  costituzione  in
giudizio dell'appellante e, pertanto, non  consente  alla  segreteria
del  giudice  di  primo  grado  di  avere  tempestiva  notizia  della
proposizione dell'appello, considerando anche il tempo  necessario  a
che  essa  pervenga  alla  segreteria  della  Commissione  tributaria
provinciale; 
        che, di conseguenza, tale richiesta «non e' [...]  idonea  ad
evitare il rischio di  una  erronea  attestazione  del  passaggio  in
giudicato  della  sentenza  di  primo  grado,  limitandosi   essa   a
consentire al giudice di secondo grado di ottenere la  disponibilita'
del fascicolo in tempo  utile  per  la  trattazione  della  causa  in
appello» (citata sentenza n. 321 del 2009); 
        che l'applicabilita' della  disposizione  censurata  ai  soli
casi in cui la notificazione dell'appello non avvenga per il  tramite
dell'ufficiale giudiziario trova, poi, adeguata  giustificazione  nel
fatto che, nei casi in cui la  notificazione  sia  invece  effettuata
mediante  ufficiale  giudiziario,   la   tempestiva   notizia   della
proposizione dell'appello e' fornita alla segreteria del  giudice  di
primo grado dallo stesso ufficiale giudiziario; 
        che,  in  proposito,  l'art.  123   delle   disposizioni   di
attuazione del codice di procedura civile - applicabile  al  processo
tributario in virtu' del generale richiamo alle norme del  codice  di
procedura civile, effettuato dal comma 2 dell'art. 1  del  d.lgs.  n.
546 del  1992  -  stabilisce  che  «L'ufficiale  giudiziario  che  ha
notificato un atto d'impugnazione deve  darne  immediatamente  avviso
scritto al cancelliere del giudice che  ha  pronunciato  la  sentenza
impugnata»; 
        che la facolta' di notificare  l'appello  «direttamente»,  ai
sensi  del  comma  3  dell'art.  16  del  d.lgs.  n.  546  del  1992,
rappresenta  una  caratteristica  propria  del  processo  tributario,
introdotta dal legislatore in tale settore per ragioni di  speditezza
e semplificazione processuale, la quale  non  ha  corrispondenza  nel
processo civile  ordinario  e,  pertanto,  giustifica  una  specifica
disciplina, anche  all'indicato  fine  di  soddisfare  l'esigenza  di
rendere la segreteria del  giudice  di  primo  grado  tempestivamente
informata della proposizione dell'impugnazione  notificata  con  tali
modalita'; 
        che, inoltre, e'  agevole  rilevare  che:  a)  la  denunciata
disposizione, come gia' osservato, e' diretta a  ridurre  il  rischio
del rilascio di erronee attestazioni di passaggio in giudicato  delle
sentenze delle Commissioni tributarie provinciali;  b)  tale  rischio
non e' affatto escluso  o  ridotto  dalla  possibilita'  di  revocare
successivamente l'erronea attestazione  del  passaggio  in  giudicato
della sentenza; c)  l'inammissibilita'  dell'appello  per  mancata  o
tardiva costituzione in  giudizio  dell'appellante  (ai  sensi  degli
artt. 53, comma 2, primo periodo, e 22, commi 1, 2 e 3, del d.lgs. n.
546 del 1992) puo' sempre essere dimostrata  dall'interessato  quando
richieda l'attestazione del passaggio in giudicato della sentenza  di
primo grado per la quale sia stato effettuato il deposito di cui alla
disposizione censurata; 
        che una diversa disciplina legislativa sul punto, pur essendo
astrattamente possibile, non sarebbe necessariamente  piu'  razionale
di  quella  censurata  ne',  comunque,   sarebbe   costituzionalmente
obbligata; 
        che da tali rilievi circa la sussistenza  di  un'apprezzabile
ratio   della   disposizione   scrutinata   discende   la   manifesta
infondatezza di tutte le censure prospettate dal rimettente; 
        che, piu' in particolare, in ordine al dedotto contrasto  con
il  principio  di  eguaglianza,   il   rimettente,   nel   denunciare
un'ingiustificata diversita' di trattamento  tra  processo  civile  e
processo tributario, omette di considerare sia che il legislatore  ha
ampia  discrezionalita'  nel   conformare   istituti   e   discipline
processuali,  nel  limite  (nella  specie  non  superato)  della  non
arbitrarieta' e ragionevolezza (ex plurimis, sentenze n. 237 del 2007
e n. 341 del 2006; ordinanze n. 405 e n. 376 del  2007,  n.  101  del
2006),  sia  che  la  peculiare  facolta'  di  notificare   l'appello
«direttamente», ai sensi del comma 3 dell'art. 16 del d.lgs.  n.  546
del 1992, propria del processo tributario rispetto a  quello  civile,
giustifica la peculiarita'  della  disciplina  oggetto  del  presente
giudizio; 
        che,  in  ordine  alla  dedotta  disparita'  di  trattamento,
all'interno   del   processo   tributario,   tra   le   notificazioni
dell'appello effettuate con il tramite dell'ufficiale  giudiziario  e
quelle  effettuate  senza  tale  tramite,  il  rimettente  omette  di
considerare  che  la  diversita'   di   disciplina   trova   adeguata
giustificazione nella sopra indicata esigenza di fornire  all'ufficio
della  segreteria  del  giudice  di  primo   grado,   nel   caso   di
notificazione «diretta»  dell'appello,  le  stesse  informazioni  che
l'ufficiale giudiziario e' obbligato a fornire  a  tale  ufficio,  in
applicazione del citato art. 123 disp. att. cod. proc. civ., nel caso
di notificazione dell'appello effettuata per suo tramite; 
        che, in ordine alla dedotta irragionevolezza della disciplina
per l'asserita mancata previsione, da parte del  legislatore,  di  un
termine perentorio per il deposito nella segreteria della Commissione
tributaria   provinciale   della   copia   dell'appello    notificato
«direttamente», deve ribadirsi (sentenza n. 321 del 2009)  che,  alla
luce della sopra ricordata  ratio  di  fornire  alla  segreteria  del
giudice di primo grado una tempestiva  e  documentata  notizia  della
proposizione dell'appello, un termine perentorio per il  deposito  e'
sicuramente ricavabile, in via interpretativa,  dal  complesso  delle
norme in materia di impugnazione davanti alle Commissioni  tributarie
e che tale termine non puo' che identificarsi  con  quello  stabilito
per la costituzione in giudizio dell'appellante, ai sensi degli artt.
53, comma 2, e 22, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 546 del 1992  (deposito
del  ricorso  in  appello  presso  la  segreteria  della  Commissione
tributaria  regionale  entro   trenta   giorni   dalla   proposizione
dell'appello stesso); 
        che, in ordine alla dedotta irragionevolezza della disciplina
per la previsione dell'inammissibilita' dell'appello, quale  sanzione
per un comportamento omissivo asseritamente irrilevante dal punto  di
vista processuale e non indicativo  della  volonta'  della  parte  di
«desistere  dal  processo»,  va  obiettato  che,  in   considerazione
dell'individuata  ratio  di  garantire   uno   spedito   e   corretto
svolgimento del processo, tale sanzione, da un lato, risulta adeguata
alla necessita' di indurre l'appellante  ad  adempiere  al  richiesto
onere di depositare copia dell'appello notificato  «direttamente»  e,
dall'altro, consegue al mancato oggettivo assolvimento di tale onere,
a nulla rilevando la volonta' dell'appellante; 
        che infine, in ordine alla dedotta  violazione  dell'art.  24
Cost.  sotto  il  profilo  del  pregiudizio  al  diritto  di  azione,
l'accertata ragionevole funzione della norma censurata esclude che la
sua applicazione ponga oneri o modalita' tali da rendere estremamente
difficile l'esercizio del diritto  di  difesa  o  lo  svolgimento  di
attivita' processuale (con riferimento ad  analoghe  fattispecie,  ex
plurimis, sentenze n. 63 del 1977, n. 214 del 1974, n. 47 del 1964  e
n. 113 del 1963). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i  giudizi  davanti
alla Corte costituzionale. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   delle   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 53, comma 2,  secondo  periodo,
del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.  546  (Disposizioni  sul
processo tributario in attuazione della delega al  Governo  contenuta
nell'articolo 30 della legge 30 dicembre  1991,  n.  413)  -  periodo
introdotto dal comma 7 dell'art. 3-bis del decreto-legge 30 settembre
2005, n. 203 (Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni
urgenti  in  materia  tributaria  e  finanziaria),  convertito,   con
modificazioni, dal comma 1 dell'art. 1 della legge 2  dicembre  2005,
n. 248 -, sollevate, in  riferimento  agli  articoli  3  e  24  della
Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale della  Lombardia
con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8  febbraio 2010. 
 
                      Il Presidente: De Servio 
 
 
                         Il redattore: Gallo 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria l'11 febbraio 2010. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola