N. 44 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 ottobre 2009

Ordinanza . 
 
Responsabilita' amministrativa e contabile  -  Esercizio  dell'azione
  per danno all'immagine da parte della Procura della Corte dei conti
  limitato ai casi e modi previsti dall'art. 7 della legge n. 97/2001
  (rilevanza  penale   dell'illecito   amministrativo)   -   Prevista
  sospensione del termine di prescrizione fino alla  conclusione  del
  procedimento  penale  -  Prevista  nullita'   di   qualunque   atto
  istruttorio o processuale posto  in  essere,  in  violazione  delle
  predette disposizioni, subordinata all'azione di chiunque vi  abbia
  interesse - Lesione del principio di uguaglianza e del  diritto  di
  azione - Violazione del principio di buon andamento della  pubblica
  amministrazione. 
- Decreto-legge 1°  luglio  2009,  n.  78,  art.  17,  comma  30-ter,
  inserito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, modificato dall'art. 1,
  comma 1, lett. c), n. 1, del decreto-legge 3 agosto 2009,  n.  103,
  convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141. 
- Costituzione, artt. 3, 24 e 97. 
(GU n.9 del 3-3-2010 )
 
                         LA CORTE DEI CONTI 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza n. 218/2009 nel giudizio  di
responsabilita' iscritto al n.  54234  del  registro  di  segreteria,
promosso dal Procuratore Regionale nei confronti di R.L. nato a C. 
    Visto l'atto di citazione. 
    Letti gli atti ed i documenti di causa. 
    Uditi, nella pubblica udienza del 18 settembre 2009, il  relatore
dott. Giuseppe  Colavecchio,  magistrato  primo  referendario,  e  il
pubblico  ministero  dott.  Gianluca  Albo,   sostituto   procuratore
generale. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    Con atto di citazione depositato in segreteria in data 28 gennaio
2008 e ritualmente notificato, la  Procura  Regionale  presso  questa
Corte conveniva in giudizio il sig. R. L. per  essere  condannato  al
pagamento della somma di € 10.000,00  oltre  le  spese  di  giudizio,
quale danno erariale patito dal Ministero della giustizia. 
    L'organo requirente rappresentava che il convenuto, all'epoca del
commesso illecito assistente di polizia giudiziaria presso il carcere
di   Caltanissetta,   era   stato   condannato   dal   Tribunale   di
Caltanissetta, con sentenza n. 435/2004, alla pena  di  anni  otto  e
mesi sei di reclusione, per fatti  delittuosi  attinenti  alla  sfera
sessuale di alcuni detenuti, commessi con  abuso  di  qualita'  e  di
poteri, posti in essere tra maggio e novembre  2002,  integranti  gli
estremi dei reati di violenza sessuale aggravata  e  concussione;  la
Corte di appello, con sentenza n. 191/2006, rideterminava la pena  in
anni quattro e mesi otto di reclusione; la Corte di  cassazione,  con
sentenza del 27 novembre 2007, rigettava il ricorso dell'interessato. 
    Per la vicenda di cui sopra, con risonanza  nella  stampa  locale
(quotidiano «La Sicilia» dell'8 febbraio 2003), il pubblico ministero
chiedeva la condanna del sig. R. a titolo di danno all'immagine,  per
il pregiudizio subito dal Ministero della giustizia, quantificato  in
via  equitativa,  ai  sensi  dell'art.  1226  c.c.,  nella  somma  di
€ 10.000,00,  tenuto  conto  del   ruolo   rivestito   dallo   stesso
all'interno dell'Amministrazione penitenziaria, della gravita'  della
condotta posta in essere in relazione alla violazione dei  doveri  di
sorveglianza ed assistenza  gravanti  sul  personale  carcerario  nei
confronti di tutti i detenuti. 
    Il convenuto presentava personalmente  una  memoria,  indirizzata
alla Procura regionale e depositata presso la  segreteria  di  questa
Sezione in data 25 giugno 2009, ove chiedeva «di  voler  valutare  il
condono del pagamento di € 10.000.00 in favore  del  Ministero  della
giustizia»  in  considerazione  delle  proprie  precarie   condizioni
economiche e della  circostanza  che  dopo  la  sentenza  penale  del
Tribunale non erano state  tenute  in  debita  considerazione  alcune
missive che avrebbero dimostrato la sua innocenza. 
    L'attore pubblico, con memoria depositata in  data  18  settembre
2009, eccepiva l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  17,  comma
ter, della legge n. 102/2009, nel testo modificato dall'art. 1, lett.
c) del decreto-legge n. 103/2009 che  impone  al  pubblico  ministero
contabile  di  esercitare  l'azione  di  responsabilita'  per   danno
all'immagine «nei soli casi e nei modi  previsti  dall'art.  7  della
legge 27 marzo 2001, n. 97»; l'organo requirente  deduceva,  ai  fini
della rilevanza della questione nella fattispecie in  esame,  che  il
Collegio, qualora accolta la censura di incostituzionalita',  avrebbe
potuto pronunciarsi sull'intera domanda, senza limitarsi alla lesione
dell'immagine derivante esclusivamente dalle fattispecie concussive. 
    Il pubblico ministero, all'uopo,  paventava:  la  violazione  dei
principio di ragionevolezza di cui all'art. 3  «in  quanto  cio'  che
radica la giurisdizione contabile  non  e'  la  tipologia  del  reato
bensi' la sussistenza del  rapporto  di  servizio  del  soggetto  che
delinque violando gli obblighi di servizio, conseguentemente  diviene
irragionevole, apparendo arbitraria, la valutazione  del  legislatore
di  ancorare  alla  tipologia  dei  reati  il  ridimensionamento   di
legittimazione all'esercizio dell'azione  per  rivendicare  il  danno
all'immagine»; la violazione del principio di difesa, di cui all'art.
24,  in  quanto  l'irragionevole  scelta  legislativa  di  cui  sopra
comporta   una   minore   tutela   dell'immagine    della    pubblica
amministrazione; del principio di buon andamento, di cui all'art. 97,
per indebolimento dell'efficacia deterrente dell'azione contabile. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.1. - Il sig. R. L. assistente di Polizia  penitenziaria  presso
la casa circondariale di Caltanissetta, e' stato rinviato a  giudizio
per piu' episodi integranti gli  estremi  dei  delitti  aggravati  di
violenza sessuale con abuso di autorita' (artt. 609-bis,  609-ter  n.
4. c.p. in relazione all'art. 609-septies,  comma  2,  n.  3,  c.p.),
tentata e consumata, e concussione (317 c.p.), tentata  e  consumata,
commessi ai danni di M. M.[capi di imputazione a), b), c),  d)  della
rubrica del capo di imputazione],  P.  S.  [capi  e),  g),  h)  della
rubrica] e R. M. [capo i) della rubrica], detenuti presso il predetto
carcere. 
    1.2. - Il predetto sig. R. L. e' stato condannato, ad anni otto e
mesi sei  di  reclusione,  dal  locale  Tribunale,  con  sentenza  n.
435/2004, per i delitti aggravati di violenza sessuale con  abuso  di
autorita' (artt. 609-bis, 609-ter n. 4  c.p.  in  relazione  all'art.
609-septies, comma 2, n. 3, c.p.), tentata e consumata, e concussione
(317 c.p.), tentata e consumata, commessi ai danni di M. M. [capi c),
d) della rubrica], P. S. [capi e), f), g), h) della rubrica] e R.  M.
[capo i) della  rubrica],  ed  assolto  per  un  ulteriore  fatto  di
violenza sessuale e connessa concussione nei confronti di M. M. [capi
a), b) della rubrica]. 
    1.3. - La Corte di appello  di  Caltanissetta,  con  sentenza  n.
191/2006, ha assolto il R. dalle contestazioni  riguardanti  i  fatti
delittuosi nei confronti del M. M. [capi c), d) della rubrica], e  lo
ha condannato ad anni quattro e mesi otto di  reclusione  per  quelli
commessi [capi e), f) della rubrica] e tentati  [capi  g),  h)  della
rubrica] a danno del detenuto P. S. (artt. 609-bis  e  609-ter  n.  4
c.p. in relazione all'art. 609-septies, comma 2, n. 3, codice penale,
nonche' art. 317 codice penale) e per quelli tentati [capo  i)  della
rubrica] a danno del detenuto R. M. (art. 609-bis e 609-ter n.  4  in
relazione all'art. 609-septies, comma 2, n. 3, codice penale). 
    1.4. - La Corte di cassazione, con sentenza del 20 novembre 2007,
ha rigettato il ricorso presentato dall'interessato e,  pertanto,  la
statuizione  n.  191/2006  della  Corte  di   appello   e'   divenuta
irrevocabile (si veda nota prot. n. 071516-P/V del 16 luglio 2008 del
Dipartimento     dell'Amministrazione     penitenziaria,      nonche'
l'annotazione effettuata dalla cancelleria in  calce  alla  pronuncia
del giudice di seconde cure). 
    2.1. - La pronuncia  irrevocabile  di  condanna  della  Corte  di
Appello di Caltanissetta e' stata comunicata al Procuratore regionale
con nota prot. n. 07156-P/V del 16 luglio 2008 da parte del Ministero
della giustizia -  Dipartimento  dell'Amministrazione  penitenziaria,
Provveditorato regionale per la Sicilia. 
    2.2. - Ne consegue che i fatti come  sopra  acclarati  (reati  di
violenza sessuale e concussione) non possono essere oggetto di alcuna
contestazione nel giudizio di  responsabilita',  giusta  il  disposto
dell'art. 651 c.p.p.; in virtu' di tale norma, l'efficacia vincolante
dei giudicato penale di condanna nel processo per la  responsabilita'
amministrativa riguarda l'accertamento dei fatti  che  hanno  formato
oggetto del relativo giudizio, intesi nella loro  realta'  fenomenica
ed oggettiva, quali la condotta, l'evento e il  nesso  di  causalita'
materiale, ed assunti a presupposto logico-giuridico della  pronuncia
penale,  restando,  quindi,  preclusa  al  giudice   contabile   ogni
statuizione che venga a collidere con i presupposti, le risultanze  e
le affermazioni conclusionali di quel pronunciamento; cio'  significa
che non e' dubitabile che l'illecito  sia  causalmente  ricollegabile
alla  condotta  dell'odierno  convenuto,   cosi'   come   ricostruita
all'esito del procedimento penale. 
    3. - I fatti di violenza sessuale e  concussione  di  cui  sopra,
commessi dal R. sfruttando la propria posizione di formale  autorita'
all'interno  della  casa  circondariale  in  cui  prestava  attivita'
lavorativa, come si legge nella  sentenza  n.  191/2006,  sono  stati
oggetto  di  diffusione   nella   stampa   locale,   in   particolare
nell'articolo giornalistico pubblicato sul  quotidiano  «La  Sicilia»
dell'8 febbraio 2003, ed hanno comportato  una  lesione  all'immagine
del Ministero della giustizia. 
    4.1. - Cio' posto, il Collegio ritiene  di  esaminare  brevemente
gli orientamenti giurisprudenziali intervenuti in  materia  di  danno
all'immagine, nonche' il recente intervento normativo. 
    4.2. - La giurisprudenza civile, a conclusione  di  un  laborioso
percorso interpretativo teso a rileggere  criticamente  il  contenuto
precettivo  dell'art.  2059   c.c.,   disancorandolo   dall'esclusiva
connessione con l'art. 185 del  codice  penale,  e  supportata  anche
dalle  pronunce  della  Corte  costituzionale  in  materia  di  danno
biologico, e' pervenuta ad affermare la risarcibilita' delle  lesioni
di interessi c.d. «areddituali», cioe' non  inerenti  necessariamente
alla  salute  individuale  o  collettiva,  ma  parimenti  dotati   di
rilevanza costituzionale  ai  sensi  dell'art.  2,  tanto  da  essere
ritenuti meritevoli di eguale tutela giurisdizionale. 
    Ne e' nata  la  nozione  di  danno  esistenziale,  definito  come
pregiudizio   areddituale,    non    patrimoniale,    tendenzialmente
omnicomprensivo,  in  quanto  qualsiasi  privazione  e/o  lesione  di
attivita' esistenziali dei danneggiato puo' dar luogo a risarcimento. 
    In  tale  ambito  e'  stato  collocato  il  danno   all'immagine,
consistente  per  le  pubbliche  amministrazioni  nella  lesione  del
diritto alla propria identita'  personale,  del  proprio  buon  nome,
della  propria  reputazione  e  credibilita',  in  se'   considerate,
tutelato dall'art. 97 della Costituzione;  il  danno  si  concretizza
ogniqualvolta un soggetto, legato in rapporto di servizio,  ponga  in
essere un comportamento illecito e sfrutti la posizione ricoperta per
il perseguimento di scopi  personali  utilitaristici  e  non  per  il
raggiungimento di  interessi  pubblici  generali,  cosi'  minando  la
fiducia dei cittadini nella correttezza  dell'azione  amministrativa,
con ricadute  negative  nell'organizzazione  amministrativa  e  nella
gestione dei servizi in favore della collettivita'. 
    4.3. - A tale orientamento si contrappone quello  piu'  risalente
nel tempo che, pur annoverando il danno all'immagine  nell'alveo  del
danno esistenziale,  lo  colloca  normativamente  non  sotto  l'egida
dell'art. 2059  c.c.,  bensi'  dell'art.  2043  c.c.,  qualificandolo
ugualmente quale danno-evento di natura non patrimoniale. 
    4.4. - In ultimo, deve darsi atto dell'orientamento delle Sezioni
unite della Corte di cassazione (sentenza n.  26972/2008)  che  hanno
ricostruito unitariamente la figura del danno non patrimoniale di cui
all'art. 2059 c.c., negando il carattere autonomo al danno cosiddetto
esistenziale e ridimensionando la categoria del danno evento, nonche'
della III Sezione centrale d'appello della Corte dei conti  (sentenza
n. 143/2009) che, dopo avere  ritenuto  i  principi  contenuti  nella
pronuncia della  Suprema  Corte  non  applicabili,  immediatamente  e
autonomamente, al danno all'immagine della pubblica  amministrazione,
si e' soffermata sulla «nozione di danno all'immagine  subito  da  un
soggetto pubblico come danno patrimoniale da perdita di immagine,  di
tipo contrattuale, avente natura di danno conseguenza (tale  comunque
da superare una soglia minima di pregiudizio e la  cui  prova  potra'
essere fornita anche per presunzioni e mediante il ricorso a  nozioni
di comune esperienza)». 
    4.5. -  Prescindendo  dalla  collocazione  dogmatica  del  citato
danno, la  giurisprudenza  ritiene  che  la  violazione  del  diritto
all'immagine sia, comunque, economicamente valutabile,  concretandosi
in un onere finanziario che si ripercuote sull'intera  collettivita',
spostando conseguentemente l'attenzione sulla sua quantificazione: in
altri termini, una cosa e' la prova della lesione che e' in re  ipsa,
un'altra  quella  della  sua  quantificazione  da  compiersi  in  via
equitativa, ex art. 1226  c.c.,  e  i  cui  parametri  devono  essere
forniti  dall'attore  pubblico;  allo  scopo,   e'   possibile   fare
riferimento alle spese direttamente sostenute e/o a quelle  eventuali
da sostenere per il ripristino dell'immagine pubblica lesa e a  tutte
le ulteriori conseguenze che  secondo  l'id  quod  plerumque  accidit
possono derivare  in  futuro  dalla  condotta  illecita,  come  anche
chiarito nella sentenza n. 10/QM/2003 delle Sezioni riunite di questa
Corte. 
    Ne consegue che, ai  fini  della  quantificazione  economica  del
citato danno, tramite il ricorso al potere equitativo, si debba anche
valutare   la    posizione    ricoperta    dall'autore    nell'ambito
dell'organizzazione amministrativa, la gravita' dei  fatti  commessi,
la ripetitivita' nel tempo della condotta illecita,  la  diffusivita'
della stessa nell'ambito della comunita' sociale ecc. 
    4.6. - All'articolato orientamento giurisprudenziale di cui sopra
ha fatto seguito il  recente  intervento  del  legislatore  che,  con
l'art. 1 del decreto-legge 3 agosto 2009, n.  203,  convertito  nella
legge 3 ottobre 2009, n. 141, di modifica  dell'art.  17,  primi  tre
periodi del comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio  2009,  n.  78,
convertito con modiche nella legge  3  agosto  2009,  n.  102,  senza
fornire alcuna definizione del «danno all'immagine», ne'  indicare  i
criteri in base  ai  quali  lo  stesso  debba  essere  risarcito,  ha
puntualizzato: «Le procure della Corte dei conti esercitano  l'azione
per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e  nei  modi
previsti dall'art. 7 dalla legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale  ultimo
fine, il decorso del termine  di  prescrizione  di  cui  al  comma  2
dell'art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e' sospeso fino  alla
conclusione del procedimento penale». 
    E' rimasta ferma l'ulteriore  disposizione  dell'art.  17,  comma
ter, del decreto-legge n. 78/2009, come  convertito  nella  legge  n.
102/2009, secondo la quale «Qualunque atto istruttorio o  processuale
posto in essere in violazione delle disposizioni di cui  al  presente
comma, salvo che  sia  stata  gia'  pronunciata  sentenza  anche  non
definitiva alla data di entrata in vigore della legge di  conversione
del presente decreto, e' nullo e la  relativa  nullita'  puo'  essere
fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi
alla competente sezione giurisdizionale della Corte  dei  conti,  che
decide nel termine perentorio di trenta  giorni  dal  deposito  della
richiesta». 
    5.1. - Effettuato l'excursus  giurisprudenziale,  certamente  non
esaustivo  della  complessa   problematica   riguardante   il   danno
all'immagine, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1
del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 203,  convertito  nella  legge  3
ottobre 2009, n. 141, di modifica dell'art. 17, primi tre periodi del
comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito con
modiche nella legge 3 agosto  2009,  n.  102,  sollevata  dall'organo
requirente nella memoria depositata in  data  18  settembre  2009  e'
rilevante nei presente giudizio e manifestamente fondata. 
    5.2. - Innanzitutto,  nessuna  sentenza  e'  stata  pronuncia  in
questo giudizio. 
    5.3. - Nessun dubbio sussiste, inoltre, che  qualora  l'attivita'
del  Pubblico  Ministro  si  ponga  in  contrasto  con  la   suddetta
disposizione normativa la relativa nullita' possa essere  pronunciata
d'ufficio dal Collegio  giudicante,  prescindendo  dall'eccezione  di
parte; del resto, ad opinare diversamente, sarebbe del tutto illogico
ritenere che la  nullita'  in  questione  possa  essere  eccepita  da
«chiunque vi abbia interesse» e, quindi, addirittura anche da chi non
sia parte ne' formale, ne' sostanziale nel  giudizio,  ma  non  possa
essere rilevata dai giudice; non si comprenderebbe, inoltre, come  il
giudice possa emettere una sentenza su atti affetti da nullita'. 
    Deve, comunque, aggiungersi  che  avendo  il  Pubblico  Ministero
sollevato l'eccezione di legittimita' costituzionale della  normativa
in questione, nella memoria depositata in data 18 settembre 2009,  ha
implicitamente riconosciuto ed eccepito la nullita' «sopravvenuta» in
parte qua dell'atto di citazione. 
    5.4. - Ne consegue, ai fini della rilevanza della  questione  nel
giudizio a quo, che qualora sia accolta la censura di  illegittimita'
costituzionale  il  Collegio  potrebbe   pronunciarsi,   come   anche
osservato dall'organo requirente nella memoria depositata in data  18
settembre 2009, sull'intera domanda e non  solo  su  quella  relativa
alla lesione dell'immagine derivante dalle fattispecie concussive. 
    6.1. - La normativa in  questione,  ad  avviso  del  Collegio  si
presenta  in  contrasto  con  i  parametri  della  Costituzione,   in
particolare  con  l'art.  3  (principio  di   ragionevolezza   e   di
uguaglianza), con l'art. 97 (principio di buon andamento  dell'azione
amministrativa) e con l'art. 24 (diritto di difesa). 
    6.2. - II Collegio non ritiene che le disposizioni legislative in
discussione, per evitare censure di  illegittimita',  possano  essere
interpretate secundum costitutionem dal momento che la chiara dizione
del testo, volta a sottrarre alla giurisdizione della Corte dei Conti
alcune ipotesi di danno all'immagine, non consente ulteriori  opzioni
ermeneutiche, a meno di una  sostituzione  arbitraria  del  decidente
alla volonta' espressa dal legislatore, con conseguente inammissibile
invasione di competenze. 
    6.3. - Per le stesse argomentazioni di cui al paragrafo 6.2.  non
sarebbe neanche percorribile la  strada  di  ritenere  attratta  alla
giurisdizione contabile l'ipotesi in cui il  dipendente,  come  nella
fattispecie de qua,  ponga  in  essere  condotte  integranti  diverse
fattispecie criminose, di cui solo alcune rientranti nell'ambito  dei
delitti contro la pubblica amministrazione previsti dal  capo  I  del
titolo II del libro secondo del codice penale. 
    7.1. - Il  principio  di  ragionevolezza,  come  enucleato  dalle
illuminate pronunce giurisprudenziali della Corte costituzionale,  si
incentra sulla «razionalita'» della disposizione  legislativa,  cioe'
sulla sua non contraddittorieta' rispetto al sistema giuridico  o  al
fine  per  il  quale   fa   disposizione   e'   stata   redatta;   la
ragionevolezza, in altri termini, non implica un confronto con  altre
norme, disciplinanti situazioni uguali o simili, bensi'  richiede  un
giudizio incentrato esclusivamente sulle caratteristiche della  norma
oggetto di denuncia  costituzionale  al  fine  di  verificare  se  la
discrezionalita'  del  legislatore,  insindacabile  nelle  scelte  di
merito, sia sconfinata in arbitrarieta'. 
    7.2. - In tale ottica, l'art. 1 del decreto-legge 3 agosto  2009,
n. 203, convertito nella legge 3 ottobre 2009, n.  141,  di  modifica
dell'art. 17, primi tre periodi del comma 30-ter,  del  decreto-legge
1° luglio 2009, n. 78, convertito con modiche nella  legge  3  agosto
2009, n. 102, e' in contrasto  con  il  principio  di  ragionevolezza
nella parte in cui limita l'esercizio dell'azione di risarcimento del
danno all'immagine da parte del  pubblico  ministero  contabile  «nei
soli casi e nei modi» previsti dall'art. 7 della legge 27 marzo 2001,
n. 97; tale norma sancisce che la sentenza irrevocabile  di  condanna
nei confronti di un pubblico dipendente, per uno dei  delitti  contro
la pubblica amministrazione di cui al capo I del titolo II del  libro
secondo del codice penale, sia comunicata  al  Procuratore  regionale
della  Corte  dei  conti  affinche'  promuova  entro  trenta   giorni
l'eventuale procedimento di responsabilita' per  danno  erariale  nei
confronti dei condannato. 
    7.3. - Nella fattispecie de qua il Pubblico  Ministero  contabile
ha esercitato l'azione erariale avverso il  R.  L.  per  i  fatti  di
violenza sessuale aggravata  e  connessa  concussione,  consumanti  e
tentati nei confronti del detenuto P. S. e per i  fatti  di  violenza
sessuale tentata nei confronti dei detenuto R. M.  procedendo  ad  un
quantificazione del danno in via equitativa, tenuto  conto,  tra  gli
altri parametri, «della gravita' dei fatti commessi». 
    La citata quantificazione del danno costituisce, in  ossequio  al
principio  di  corrispondenza  tra  chiesto  e  pronunciato,  di  cui
all'art. 112 c.p.c., un limite  invalicabile  per  la  pronuncia  del
Collegio che deve verificare se i  parametri  utilizzati  dall'attore
pubblico per la valutazione equitativa del  danno  siano  corretti  o
meno. 
    7.4. - Fatta questa premessa, la novella legislativa in questione
appare  del  tutto  irragionevole  in  quanto  il  Collegio  dovrebbe
necessariamente ridurre la pretesa punitiva del  Pubblico  Ministero,
ritenuta correttamente e congruamente motivata nel suo complesso,  ai
soli fatti concussivi [capi f), h) della  rubrica],  tralasciando  la
condotta certamente non  meno  grave  integrante  gli  estremi  della
violenza sessuale [capi e), g), i) della rubrica], sebbene la  citata
violenza sia stata perpetrata dal R. «mediante l'abuso dell'autorita'
derivantegli dal ruolo rivestito all'interno del  carcere»,  come  si
legge nel capo di imputazione e nella motivazione della  sentenza  n.
191/2006. 
    7.5. - In  altri  termini,  appare  del  tutto  irragionevole  e,
pertanto priva di qualsiasi giustificazione razionale, la scelta  del
legislatore di limitare l'esercizio  dell'azione  di  responsabilita'
per il danno all'immagine alle sole  ipotesi  in  cui  il  dipendente
abbia commesso un delitto contro la pubblica amministrazione  di  cui
al capo I  del  titolo  II  del  libro  secondo  del  codice  penale,
tralasciando le altre ipotesi delittuose,  benche'  siano  perpetrate
attraverso lo stesso uso distorto delle funzioni pubbliche ricoperte. 
    7.6. - La scelta legislativa di  cui  sopra  non  puo',  inoltre,
essere  giustificata  dall'intento  di  prevedere  una  maggiore  e/o
diversificata tutela dell'immagine, con giurisdizione della Corte dei
conti, per le  sole  condotte  connotate  da  un  maggiore  disvalore
giuridico, integranti gli estremi  dei  delitti  contro  la  pubblica
amministrazione: nel caso in esame,  infatti,  i  reati  di  violenza
sessuale hanno una maggiore pregnanza di quelli concussivi, non  solo
nell'ambito dell'opinione  pubblica  allarmata  da  condotte  abnormi
poste in essere all'interno di un istituto penitenziario ove la  pena
da espiare deve svolgere solo una funzione rieducativa, ma anche  per
l'ordinamento  giuridico,  tanto  che,  nella  sentenza  della  Corte
d'appello n. 191/2906, la determinazione della pena comminata al sig.
R. e' avvenuta sulla base del capo piu' grave dell'imputazione [lett.
e) della rubrica], riguardante proprio il reato di violenza sessuale. 
    Aggiungasi che analoghe considerazioni possono essere  svolte  in
altre ipotesi, gia' trattate da questa Sezione (ex multis sentenza n.
304/2007), ove agenti di Polizia di Stato sono  stati  condannati  in
sede penale  per  il  reato  di  concorso  esterno  nell'associazione
mafiosa:  limitare  in  questi  casi  la  legittimazione  attiva  del
Pubblico Ministero nell'esercizio dell'azione di responsabilita'  per
danno   all'immagine,   rectius   sottraendoli   alla   giurisdizione
contabile, appare priva di alcuna concreta giustificazione. 
    7.7. - Un altro profilo di irragionevolezza e' stato esposto  dal
Pubblico  Ministero  nella  memoria  del  18  settembre  2009  ed  e'
pienamente condivisibile. 
    La giurisdizione della Corte dei conti e'  radicata,  per  quanto
riguarda i dipendenti pubblici, non dalla  tipologia  del  reato  e/o
dall'oggetto giuridico dello stesso,  bensi'  dalla  sussistenza  del
rapporto di servizio, con la conseguenza che diviene irragionevole la
scelta del legislatore  di  ancorare  alla  tipologia  dei  reati  il
ridimensionamento di  legittimazione  all'esercizio  dell'azione  per
rivendicare il danno all'immagine. 
    7.8. - In ultimo, l'irragionevolezza della normativa in questione
si coglie anche nella scelta di inserirla all'interno  di  un  corpus
legislativo avente come finalita' principale l'adozione di misure per
fronteggiare l'attuale  crisi  economica  («provvedimenti  anticrisi,
nonche' proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni
internazionali») che nulla hanno a che vedere  con  la  giurisdizione
della Corte dei conti; anzi da un'espressa limitazione  ne  discende,
come ulteriore conseguenza, non solo un minore introito  nelle  casse
erariali,  ma  addirittura  un  maggiore  esborso,   qualora   l'ente
danneggiato debba ricorrere alla costituzione  di  parte  civile  nel
processo  penale  o  alla   coltivazione   dell'azione   risarcitoria
direttamente nel giudizio civile per  ottenere  piena  reintegrazione
alla propria immagine lesa. 
    8.1. -  L'art.  1  del  decreto-legge  3  agosto  2009,  n.  203,
convertito nella legge 3 ottobre 2009, n. 141, di modifica  dell'art.
17, primi tre periodi del comma 30-ter, del decreto-legge  1°  luglio
2009, n. 78, convertito con modiche nella legge  3  agosto  2009,  n.
102, e' in contrasto anche con il principio di  uguaglianza,  di  cui
all'art. 3 della Costituzione; secondo l'autorevole insegnamento  del
Giudice delle leggi il rispetto di tale principio postula una parita'
di  trattamento  tra  situazioni  identiche   o   simili   o   ancora
assimilabili. 
    La normativa di cui sopra pone in essere,  invece,  una  evidente
disparita'  di  trattamento  tra  pubblici  dipendenti  che,   avendo
commesso uno dei delitti contro la Pubblica Amministrazione di cui al
capo I del titolo II  del  libro  secondo  del  codice  penale,  sono
sottoposti alla giurisdizione contabile, e pubblici  dipendenti  che,
pur avendo  commesso  un  altro  delitto  con  abuso  delle  funzioni
ricoperte e nell'esercizio  delle  stesse,  sono  sottoposti  per  il
risarcimento del danno all'immagine alla giurisdizione ordinaria, con
un differente regime processuale e prescrizionale. 
    8.2. - La situazione appare oltremodo paradossale, come nel  caso
in esame, qualora il dipendente debba essere assoggettato,  per  piu'
fatti delittuosi commessi in un unico  contesto,  il  cui  fulcro  e'
costituito   dall'uso   distorto   di   funzioni   pubbliche,    alla
giurisdizione  contabile  e  a  quella  ordinaria   per   la   tutela
dell'immagine dell'Amministrazione di appartenenza. 
    9. - L'art. 1 del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 203, convertito
nella legge 3 ottobre 2009, n. 141, di modifica dell'art.  17,  primi
tre periodi del comma 30-ter, del decreto-legge 1°  luglio  2009,  n.
78, convertito con modiche nella legge 3 agosto 2009, n. 102, si pone
anche in contrasto con l'art. 97 della Costituzione, espressione  del
principio di buon andamento  dell'azione  amministrativa  latu  sensu
intesa; corollari di tale principio  sono  l'efficienza,  determinata
dal rapporto intercorrente  tra  i  risultati  raggiunti  dall'azione
amministrativa  e  la  quantita'  di   risorse   impiegate,   nonche'
l'efficacia  riguardante  la  capacita'   di   conseguire   obiettivi
preventivamente fissati. 
    La normativa in esame, con  il  prevedere  una  limitazione  alla
legittimazione attiva pubblico ministero  contabile  e  quindi  della
giurisdizione di questa Corte, da  un  lato  indebolisce  l'efficacia
deterrente del giudizio di responsabilita',  dall'altro,  come  nella
presente fattispecie ed in ipotesi similari, comporta il dispendio di
maggiori risorse a carico dell'erario per  l'attivazione  di  plurimi
giudizi  volti  ad  ottenere  «l'integrale»  risarcimento  del  danno
all'immagine, pur essendo state poste in essere condotte da parte  di
un pubblico dipendente in un unico contesto criminoso, integranti sia
le ipotesi delittuose di cui al  capo  I  del  titolo  Il  del  libro
secondo del codice penale che altre fattispecie delittuose. 
    10. - In ultimo, l'art. 1 del decreto-legge  3  agosto  2009,  n.
203, convertito nella legge 3  ottobre  2009,  n.  141,  di  modifica
dell'art. 17, primi tre periodi del comma 30-ter,  del  decreto-legge
1° luglio 2009, n. 78, convertito con modiche nella  legge  3  agosto
2009, n. 102,  si  pone  anche  in  contrasto  con  l'art.  24  della
Costituzione dal momento che la limitazione della  legittimazione  ad
agire del pubblico  ministero,  nella  maggior  parte  dei  casi,  si
configura come una minorata tutela dell'erario giacche'  l'iniziativa
processuale e' lasciata alle stesse amministrazioni danneggiate,  con
possibili pratiche lassiste. 
    Aggiungasi che  le  ragioni  dell'erario  sarebbero  maggiormente
tutelate  qualora,  in  unico  contesto,  l'Amministrazione  la   cui
immagine e' stata  danneggiata  da  condotte  dei  propri  dipendenti
contrastanti con gli obblighi di servizio, possa far valere,  tramite
l'azione obbligatoria  del  pubblico  ministero,  nel  cui  interesse
agisce  innanzi  a  questa  Corte,  il  proprio  diritto  ad   essere
integralmente risarcita. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 134 della Costituzione e l'art. 23  della  legge  11
marzo 1953, n. 87, ritiene rilevante e non  manifestamente  infondata
l'eccezione di legittimita' costituzionale del pubblico ministero; 
    Solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1  del
decreto-legge 3 agosto 2009, n. 203, convertito nella legge 3 ottobre
2009, n. 141, di modifica dell'art. 17, primi tre periodi  del  comma
30-ter, del decreto-legge 1°  luglio  2009,  n.  78,  convertito  con
modiche nella legge 3 agosto 2009, n.  102,  per  contrasto  con  gli
artt. 3, 97  e  24  della  Costituzione,  per  le  motivazioni  sopra
esposte, nella parte in cui prevede che le «Procure della  Corte  dei
conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno  all'immagine
nei soli casi e nei modi previsti dall'art. 7 della  legge  27  marzo
2001,  n.  97.  A  tale  ultimo  fine,  il  decorso  del  termine  di
prescrizione di cui al comma 2 dell'art. 1  della  legge  14  gennaio
1994, n. 20,  e'  sospeso  fino  alla  conclusione  del  procedimento
penale»; 
    Dispone la sospensione del giudizio in corso  e  la  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale per la pronuncia sulla questione
di legittimita' di cui sopra; 
    Ordina alla segreteria di notificare la presente  ordinanza  alle
parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di
darne comunicazione al Presidente della  Camera  dei  deputati  e  al
Presidente del Senato della Repubblica. 
    Cosi' disposto in Palermo,  nella  Camera  di  consiglio  del  18
settembre 2009. 
 
                       Il Presidente: Pagliaro 
 
    Depositata oggi in Segreteria nei modi di legge. 
        Palermo, addi' 14 ottobre 2009