N. 44 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 ottobre 2009
Ordinanza . Responsabilita' amministrativa e contabile - Esercizio dell'azione per danno all'immagine da parte della Procura della Corte dei conti limitato ai casi e modi previsti dall'art. 7 della legge n. 97/2001 (rilevanza penale dell'illecito amministrativo) - Prevista sospensione del termine di prescrizione fino alla conclusione del procedimento penale - Prevista nullita' di qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere, in violazione delle predette disposizioni, subordinata all'azione di chiunque vi abbia interesse - Lesione del principio di uguaglianza e del diritto di azione - Violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione. - Decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, art. 17, comma 30-ter, inserito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, modificato dall'art. 1, comma 1, lett. c), n. 1, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141. - Costituzione, artt. 3, 24 e 97.(GU n.9 del 3-3-2010 )
LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza n. 218/2009 nel giudizio di responsabilita' iscritto al n. 54234 del registro di segreteria, promosso dal Procuratore Regionale nei confronti di R.L. nato a C. Visto l'atto di citazione. Letti gli atti ed i documenti di causa. Uditi, nella pubblica udienza del 18 settembre 2009, il relatore dott. Giuseppe Colavecchio, magistrato primo referendario, e il pubblico ministero dott. Gianluca Albo, sostituto procuratore generale. Ritenuto in fatto Con atto di citazione depositato in segreteria in data 28 gennaio 2008 e ritualmente notificato, la Procura Regionale presso questa Corte conveniva in giudizio il sig. R. L. per essere condannato al pagamento della somma di € 10.000,00 oltre le spese di giudizio, quale danno erariale patito dal Ministero della giustizia. L'organo requirente rappresentava che il convenuto, all'epoca del commesso illecito assistente di polizia giudiziaria presso il carcere di Caltanissetta, era stato condannato dal Tribunale di Caltanissetta, con sentenza n. 435/2004, alla pena di anni otto e mesi sei di reclusione, per fatti delittuosi attinenti alla sfera sessuale di alcuni detenuti, commessi con abuso di qualita' e di poteri, posti in essere tra maggio e novembre 2002, integranti gli estremi dei reati di violenza sessuale aggravata e concussione; la Corte di appello, con sentenza n. 191/2006, rideterminava la pena in anni quattro e mesi otto di reclusione; la Corte di cassazione, con sentenza del 27 novembre 2007, rigettava il ricorso dell'interessato. Per la vicenda di cui sopra, con risonanza nella stampa locale (quotidiano «La Sicilia» dell'8 febbraio 2003), il pubblico ministero chiedeva la condanna del sig. R. a titolo di danno all'immagine, per il pregiudizio subito dal Ministero della giustizia, quantificato in via equitativa, ai sensi dell'art. 1226 c.c., nella somma di € 10.000,00, tenuto conto del ruolo rivestito dallo stesso all'interno dell'Amministrazione penitenziaria, della gravita' della condotta posta in essere in relazione alla violazione dei doveri di sorveglianza ed assistenza gravanti sul personale carcerario nei confronti di tutti i detenuti. Il convenuto presentava personalmente una memoria, indirizzata alla Procura regionale e depositata presso la segreteria di questa Sezione in data 25 giugno 2009, ove chiedeva «di voler valutare il condono del pagamento di € 10.000.00 in favore del Ministero della giustizia» in considerazione delle proprie precarie condizioni economiche e della circostanza che dopo la sentenza penale del Tribunale non erano state tenute in debita considerazione alcune missive che avrebbero dimostrato la sua innocenza. L'attore pubblico, con memoria depositata in data 18 settembre 2009, eccepiva l'illegittimita' costituzionale dell'art. 17, comma ter, della legge n. 102/2009, nel testo modificato dall'art. 1, lett. c) del decreto-legge n. 103/2009 che impone al pubblico ministero contabile di esercitare l'azione di responsabilita' per danno all'immagine «nei soli casi e nei modi previsti dall'art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97»; l'organo requirente deduceva, ai fini della rilevanza della questione nella fattispecie in esame, che il Collegio, qualora accolta la censura di incostituzionalita', avrebbe potuto pronunciarsi sull'intera domanda, senza limitarsi alla lesione dell'immagine derivante esclusivamente dalle fattispecie concussive. Il pubblico ministero, all'uopo, paventava: la violazione dei principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 «in quanto cio' che radica la giurisdizione contabile non e' la tipologia del reato bensi' la sussistenza del rapporto di servizio del soggetto che delinque violando gli obblighi di servizio, conseguentemente diviene irragionevole, apparendo arbitraria, la valutazione del legislatore di ancorare alla tipologia dei reati il ridimensionamento di legittimazione all'esercizio dell'azione per rivendicare il danno all'immagine»; la violazione del principio di difesa, di cui all'art. 24, in quanto l'irragionevole scelta legislativa di cui sopra comporta una minore tutela dell'immagine della pubblica amministrazione; del principio di buon andamento, di cui all'art. 97, per indebolimento dell'efficacia deterrente dell'azione contabile. Considerato in diritto 1.1. - Il sig. R. L. assistente di Polizia penitenziaria presso la casa circondariale di Caltanissetta, e' stato rinviato a giudizio per piu' episodi integranti gli estremi dei delitti aggravati di violenza sessuale con abuso di autorita' (artt. 609-bis, 609-ter n. 4. c.p. in relazione all'art. 609-septies, comma 2, n. 3, c.p.), tentata e consumata, e concussione (317 c.p.), tentata e consumata, commessi ai danni di M. M.[capi di imputazione a), b), c), d) della rubrica del capo di imputazione], P. S. [capi e), g), h) della rubrica] e R. M. [capo i) della rubrica], detenuti presso il predetto carcere. 1.2. - Il predetto sig. R. L. e' stato condannato, ad anni otto e mesi sei di reclusione, dal locale Tribunale, con sentenza n. 435/2004, per i delitti aggravati di violenza sessuale con abuso di autorita' (artt. 609-bis, 609-ter n. 4 c.p. in relazione all'art. 609-septies, comma 2, n. 3, c.p.), tentata e consumata, e concussione (317 c.p.), tentata e consumata, commessi ai danni di M. M. [capi c), d) della rubrica], P. S. [capi e), f), g), h) della rubrica] e R. M. [capo i) della rubrica], ed assolto per un ulteriore fatto di violenza sessuale e connessa concussione nei confronti di M. M. [capi a), b) della rubrica]. 1.3. - La Corte di appello di Caltanissetta, con sentenza n. 191/2006, ha assolto il R. dalle contestazioni riguardanti i fatti delittuosi nei confronti del M. M. [capi c), d) della rubrica], e lo ha condannato ad anni quattro e mesi otto di reclusione per quelli commessi [capi e), f) della rubrica] e tentati [capi g), h) della rubrica] a danno del detenuto P. S. (artt. 609-bis e 609-ter n. 4 c.p. in relazione all'art. 609-septies, comma 2, n. 3, codice penale, nonche' art. 317 codice penale) e per quelli tentati [capo i) della rubrica] a danno del detenuto R. M. (art. 609-bis e 609-ter n. 4 in relazione all'art. 609-septies, comma 2, n. 3, codice penale). 1.4. - La Corte di cassazione, con sentenza del 20 novembre 2007, ha rigettato il ricorso presentato dall'interessato e, pertanto, la statuizione n. 191/2006 della Corte di appello e' divenuta irrevocabile (si veda nota prot. n. 071516-P/V del 16 luglio 2008 del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, nonche' l'annotazione effettuata dalla cancelleria in calce alla pronuncia del giudice di seconde cure). 2.1. - La pronuncia irrevocabile di condanna della Corte di Appello di Caltanissetta e' stata comunicata al Procuratore regionale con nota prot. n. 07156-P/V del 16 luglio 2008 da parte del Ministero della giustizia - Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, Provveditorato regionale per la Sicilia. 2.2. - Ne consegue che i fatti come sopra acclarati (reati di violenza sessuale e concussione) non possono essere oggetto di alcuna contestazione nel giudizio di responsabilita', giusta il disposto dell'art. 651 c.p.p.; in virtu' di tale norma, l'efficacia vincolante dei giudicato penale di condanna nel processo per la responsabilita' amministrativa riguarda l'accertamento dei fatti che hanno formato oggetto del relativo giudizio, intesi nella loro realta' fenomenica ed oggettiva, quali la condotta, l'evento e il nesso di causalita' materiale, ed assunti a presupposto logico-giuridico della pronuncia penale, restando, quindi, preclusa al giudice contabile ogni statuizione che venga a collidere con i presupposti, le risultanze e le affermazioni conclusionali di quel pronunciamento; cio' significa che non e' dubitabile che l'illecito sia causalmente ricollegabile alla condotta dell'odierno convenuto, cosi' come ricostruita all'esito del procedimento penale. 3. - I fatti di violenza sessuale e concussione di cui sopra, commessi dal R. sfruttando la propria posizione di formale autorita' all'interno della casa circondariale in cui prestava attivita' lavorativa, come si legge nella sentenza n. 191/2006, sono stati oggetto di diffusione nella stampa locale, in particolare nell'articolo giornalistico pubblicato sul quotidiano «La Sicilia» dell'8 febbraio 2003, ed hanno comportato una lesione all'immagine del Ministero della giustizia. 4.1. - Cio' posto, il Collegio ritiene di esaminare brevemente gli orientamenti giurisprudenziali intervenuti in materia di danno all'immagine, nonche' il recente intervento normativo. 4.2. - La giurisprudenza civile, a conclusione di un laborioso percorso interpretativo teso a rileggere criticamente il contenuto precettivo dell'art. 2059 c.c., disancorandolo dall'esclusiva connessione con l'art. 185 del codice penale, e supportata anche dalle pronunce della Corte costituzionale in materia di danno biologico, e' pervenuta ad affermare la risarcibilita' delle lesioni di interessi c.d. «areddituali», cioe' non inerenti necessariamente alla salute individuale o collettiva, ma parimenti dotati di rilevanza costituzionale ai sensi dell'art. 2, tanto da essere ritenuti meritevoli di eguale tutela giurisdizionale. Ne e' nata la nozione di danno esistenziale, definito come pregiudizio areddituale, non patrimoniale, tendenzialmente omnicomprensivo, in quanto qualsiasi privazione e/o lesione di attivita' esistenziali dei danneggiato puo' dar luogo a risarcimento. In tale ambito e' stato collocato il danno all'immagine, consistente per le pubbliche amministrazioni nella lesione del diritto alla propria identita' personale, del proprio buon nome, della propria reputazione e credibilita', in se' considerate, tutelato dall'art. 97 della Costituzione; il danno si concretizza ogniqualvolta un soggetto, legato in rapporto di servizio, ponga in essere un comportamento illecito e sfrutti la posizione ricoperta per il perseguimento di scopi personali utilitaristici e non per il raggiungimento di interessi pubblici generali, cosi' minando la fiducia dei cittadini nella correttezza dell'azione amministrativa, con ricadute negative nell'organizzazione amministrativa e nella gestione dei servizi in favore della collettivita'. 4.3. - A tale orientamento si contrappone quello piu' risalente nel tempo che, pur annoverando il danno all'immagine nell'alveo del danno esistenziale, lo colloca normativamente non sotto l'egida dell'art. 2059 c.c., bensi' dell'art. 2043 c.c., qualificandolo ugualmente quale danno-evento di natura non patrimoniale. 4.4. - In ultimo, deve darsi atto dell'orientamento delle Sezioni unite della Corte di cassazione (sentenza n. 26972/2008) che hanno ricostruito unitariamente la figura del danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c., negando il carattere autonomo al danno cosiddetto esistenziale e ridimensionando la categoria del danno evento, nonche' della III Sezione centrale d'appello della Corte dei conti (sentenza n. 143/2009) che, dopo avere ritenuto i principi contenuti nella pronuncia della Suprema Corte non applicabili, immediatamente e autonomamente, al danno all'immagine della pubblica amministrazione, si e' soffermata sulla «nozione di danno all'immagine subito da un soggetto pubblico come danno patrimoniale da perdita di immagine, di tipo contrattuale, avente natura di danno conseguenza (tale comunque da superare una soglia minima di pregiudizio e la cui prova potra' essere fornita anche per presunzioni e mediante il ricorso a nozioni di comune esperienza)». 4.5. - Prescindendo dalla collocazione dogmatica del citato danno, la giurisprudenza ritiene che la violazione del diritto all'immagine sia, comunque, economicamente valutabile, concretandosi in un onere finanziario che si ripercuote sull'intera collettivita', spostando conseguentemente l'attenzione sulla sua quantificazione: in altri termini, una cosa e' la prova della lesione che e' in re ipsa, un'altra quella della sua quantificazione da compiersi in via equitativa, ex art. 1226 c.c., e i cui parametri devono essere forniti dall'attore pubblico; allo scopo, e' possibile fare riferimento alle spese direttamente sostenute e/o a quelle eventuali da sostenere per il ripristino dell'immagine pubblica lesa e a tutte le ulteriori conseguenze che secondo l'id quod plerumque accidit possono derivare in futuro dalla condotta illecita, come anche chiarito nella sentenza n. 10/QM/2003 delle Sezioni riunite di questa Corte. Ne consegue che, ai fini della quantificazione economica del citato danno, tramite il ricorso al potere equitativo, si debba anche valutare la posizione ricoperta dall'autore nell'ambito dell'organizzazione amministrativa, la gravita' dei fatti commessi, la ripetitivita' nel tempo della condotta illecita, la diffusivita' della stessa nell'ambito della comunita' sociale ecc. 4.6. - All'articolato orientamento giurisprudenziale di cui sopra ha fatto seguito il recente intervento del legislatore che, con l'art. 1 del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 203, convertito nella legge 3 ottobre 2009, n. 141, di modifica dell'art. 17, primi tre periodi del comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito con modiche nella legge 3 agosto 2009, n. 102, senza fornire alcuna definizione del «danno all'immagine», ne' indicare i criteri in base ai quali lo stesso debba essere risarcito, ha puntualizzato: «Le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'art. 7 dalla legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell'art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e' sospeso fino alla conclusione del procedimento penale». E' rimasta ferma l'ulteriore disposizione dell'art. 17, comma ter, del decreto-legge n. 78/2009, come convertito nella legge n. 102/2009, secondo la quale «Qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente comma, salvo che sia stata gia' pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e' nullo e la relativa nullita' puo' essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta». 5.1. - Effettuato l'excursus giurisprudenziale, certamente non esaustivo della complessa problematica riguardante il danno all'immagine, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 203, convertito nella legge 3 ottobre 2009, n. 141, di modifica dell'art. 17, primi tre periodi del comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito con modiche nella legge 3 agosto 2009, n. 102, sollevata dall'organo requirente nella memoria depositata in data 18 settembre 2009 e' rilevante nei presente giudizio e manifestamente fondata. 5.2. - Innanzitutto, nessuna sentenza e' stata pronuncia in questo giudizio. 5.3. - Nessun dubbio sussiste, inoltre, che qualora l'attivita' del Pubblico Ministro si ponga in contrasto con la suddetta disposizione normativa la relativa nullita' possa essere pronunciata d'ufficio dal Collegio giudicante, prescindendo dall'eccezione di parte; del resto, ad opinare diversamente, sarebbe del tutto illogico ritenere che la nullita' in questione possa essere eccepita da «chiunque vi abbia interesse» e, quindi, addirittura anche da chi non sia parte ne' formale, ne' sostanziale nel giudizio, ma non possa essere rilevata dai giudice; non si comprenderebbe, inoltre, come il giudice possa emettere una sentenza su atti affetti da nullita'. Deve, comunque, aggiungersi che avendo il Pubblico Ministero sollevato l'eccezione di legittimita' costituzionale della normativa in questione, nella memoria depositata in data 18 settembre 2009, ha implicitamente riconosciuto ed eccepito la nullita' «sopravvenuta» in parte qua dell'atto di citazione. 5.4. - Ne consegue, ai fini della rilevanza della questione nel giudizio a quo, che qualora sia accolta la censura di illegittimita' costituzionale il Collegio potrebbe pronunciarsi, come anche osservato dall'organo requirente nella memoria depositata in data 18 settembre 2009, sull'intera domanda e non solo su quella relativa alla lesione dell'immagine derivante dalle fattispecie concussive. 6.1. - La normativa in questione, ad avviso del Collegio si presenta in contrasto con i parametri della Costituzione, in particolare con l'art. 3 (principio di ragionevolezza e di uguaglianza), con l'art. 97 (principio di buon andamento dell'azione amministrativa) e con l'art. 24 (diritto di difesa). 6.2. - II Collegio non ritiene che le disposizioni legislative in discussione, per evitare censure di illegittimita', possano essere interpretate secundum costitutionem dal momento che la chiara dizione del testo, volta a sottrarre alla giurisdizione della Corte dei Conti alcune ipotesi di danno all'immagine, non consente ulteriori opzioni ermeneutiche, a meno di una sostituzione arbitraria del decidente alla volonta' espressa dal legislatore, con conseguente inammissibile invasione di competenze. 6.3. - Per le stesse argomentazioni di cui al paragrafo 6.2. non sarebbe neanche percorribile la strada di ritenere attratta alla giurisdizione contabile l'ipotesi in cui il dipendente, come nella fattispecie de qua, ponga in essere condotte integranti diverse fattispecie criminose, di cui solo alcune rientranti nell'ambito dei delitti contro la pubblica amministrazione previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale. 7.1. - Il principio di ragionevolezza, come enucleato dalle illuminate pronunce giurisprudenziali della Corte costituzionale, si incentra sulla «razionalita'» della disposizione legislativa, cioe' sulla sua non contraddittorieta' rispetto al sistema giuridico o al fine per il quale fa disposizione e' stata redatta; la ragionevolezza, in altri termini, non implica un confronto con altre norme, disciplinanti situazioni uguali o simili, bensi' richiede un giudizio incentrato esclusivamente sulle caratteristiche della norma oggetto di denuncia costituzionale al fine di verificare se la discrezionalita' del legislatore, insindacabile nelle scelte di merito, sia sconfinata in arbitrarieta'. 7.2. - In tale ottica, l'art. 1 del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 203, convertito nella legge 3 ottobre 2009, n. 141, di modifica dell'art. 17, primi tre periodi del comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito con modiche nella legge 3 agosto 2009, n. 102, e' in contrasto con il principio di ragionevolezza nella parte in cui limita l'esercizio dell'azione di risarcimento del danno all'immagine da parte del pubblico ministero contabile «nei soli casi e nei modi» previsti dall'art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97; tale norma sancisce che la sentenza irrevocabile di condanna nei confronti di un pubblico dipendente, per uno dei delitti contro la pubblica amministrazione di cui al capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, sia comunicata al Procuratore regionale della Corte dei conti affinche' promuova entro trenta giorni l'eventuale procedimento di responsabilita' per danno erariale nei confronti dei condannato. 7.3. - Nella fattispecie de qua il Pubblico Ministero contabile ha esercitato l'azione erariale avverso il R. L. per i fatti di violenza sessuale aggravata e connessa concussione, consumanti e tentati nei confronti del detenuto P. S. e per i fatti di violenza sessuale tentata nei confronti dei detenuto R. M. procedendo ad un quantificazione del danno in via equitativa, tenuto conto, tra gli altri parametri, «della gravita' dei fatti commessi». La citata quantificazione del danno costituisce, in ossequio al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, di cui all'art. 112 c.p.c., un limite invalicabile per la pronuncia del Collegio che deve verificare se i parametri utilizzati dall'attore pubblico per la valutazione equitativa del danno siano corretti o meno. 7.4. - Fatta questa premessa, la novella legislativa in questione appare del tutto irragionevole in quanto il Collegio dovrebbe necessariamente ridurre la pretesa punitiva del Pubblico Ministero, ritenuta correttamente e congruamente motivata nel suo complesso, ai soli fatti concussivi [capi f), h) della rubrica], tralasciando la condotta certamente non meno grave integrante gli estremi della violenza sessuale [capi e), g), i) della rubrica], sebbene la citata violenza sia stata perpetrata dal R. «mediante l'abuso dell'autorita' derivantegli dal ruolo rivestito all'interno del carcere», come si legge nel capo di imputazione e nella motivazione della sentenza n. 191/2006. 7.5. - In altri termini, appare del tutto irragionevole e, pertanto priva di qualsiasi giustificazione razionale, la scelta del legislatore di limitare l'esercizio dell'azione di responsabilita' per il danno all'immagine alle sole ipotesi in cui il dipendente abbia commesso un delitto contro la pubblica amministrazione di cui al capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, tralasciando le altre ipotesi delittuose, benche' siano perpetrate attraverso lo stesso uso distorto delle funzioni pubbliche ricoperte. 7.6. - La scelta legislativa di cui sopra non puo', inoltre, essere giustificata dall'intento di prevedere una maggiore e/o diversificata tutela dell'immagine, con giurisdizione della Corte dei conti, per le sole condotte connotate da un maggiore disvalore giuridico, integranti gli estremi dei delitti contro la pubblica amministrazione: nel caso in esame, infatti, i reati di violenza sessuale hanno una maggiore pregnanza di quelli concussivi, non solo nell'ambito dell'opinione pubblica allarmata da condotte abnormi poste in essere all'interno di un istituto penitenziario ove la pena da espiare deve svolgere solo una funzione rieducativa, ma anche per l'ordinamento giuridico, tanto che, nella sentenza della Corte d'appello n. 191/2906, la determinazione della pena comminata al sig. R. e' avvenuta sulla base del capo piu' grave dell'imputazione [lett. e) della rubrica], riguardante proprio il reato di violenza sessuale. Aggiungasi che analoghe considerazioni possono essere svolte in altre ipotesi, gia' trattate da questa Sezione (ex multis sentenza n. 304/2007), ove agenti di Polizia di Stato sono stati condannati in sede penale per il reato di concorso esterno nell'associazione mafiosa: limitare in questi casi la legittimazione attiva del Pubblico Ministero nell'esercizio dell'azione di responsabilita' per danno all'immagine, rectius sottraendoli alla giurisdizione contabile, appare priva di alcuna concreta giustificazione. 7.7. - Un altro profilo di irragionevolezza e' stato esposto dal Pubblico Ministero nella memoria del 18 settembre 2009 ed e' pienamente condivisibile. La giurisdizione della Corte dei conti e' radicata, per quanto riguarda i dipendenti pubblici, non dalla tipologia del reato e/o dall'oggetto giuridico dello stesso, bensi' dalla sussistenza del rapporto di servizio, con la conseguenza che diviene irragionevole la scelta del legislatore di ancorare alla tipologia dei reati il ridimensionamento di legittimazione all'esercizio dell'azione per rivendicare il danno all'immagine. 7.8. - In ultimo, l'irragionevolezza della normativa in questione si coglie anche nella scelta di inserirla all'interno di un corpus legislativo avente come finalita' principale l'adozione di misure per fronteggiare l'attuale crisi economica («provvedimenti anticrisi, nonche' proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali») che nulla hanno a che vedere con la giurisdizione della Corte dei conti; anzi da un'espressa limitazione ne discende, come ulteriore conseguenza, non solo un minore introito nelle casse erariali, ma addirittura un maggiore esborso, qualora l'ente danneggiato debba ricorrere alla costituzione di parte civile nel processo penale o alla coltivazione dell'azione risarcitoria direttamente nel giudizio civile per ottenere piena reintegrazione alla propria immagine lesa. 8.1. - L'art. 1 del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 203, convertito nella legge 3 ottobre 2009, n. 141, di modifica dell'art. 17, primi tre periodi del comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito con modiche nella legge 3 agosto 2009, n. 102, e' in contrasto anche con il principio di uguaglianza, di cui all'art. 3 della Costituzione; secondo l'autorevole insegnamento del Giudice delle leggi il rispetto di tale principio postula una parita' di trattamento tra situazioni identiche o simili o ancora assimilabili. La normativa di cui sopra pone in essere, invece, una evidente disparita' di trattamento tra pubblici dipendenti che, avendo commesso uno dei delitti contro la Pubblica Amministrazione di cui al capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, sono sottoposti alla giurisdizione contabile, e pubblici dipendenti che, pur avendo commesso un altro delitto con abuso delle funzioni ricoperte e nell'esercizio delle stesse, sono sottoposti per il risarcimento del danno all'immagine alla giurisdizione ordinaria, con un differente regime processuale e prescrizionale. 8.2. - La situazione appare oltremodo paradossale, come nel caso in esame, qualora il dipendente debba essere assoggettato, per piu' fatti delittuosi commessi in un unico contesto, il cui fulcro e' costituito dall'uso distorto di funzioni pubbliche, alla giurisdizione contabile e a quella ordinaria per la tutela dell'immagine dell'Amministrazione di appartenenza. 9. - L'art. 1 del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 203, convertito nella legge 3 ottobre 2009, n. 141, di modifica dell'art. 17, primi tre periodi del comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito con modiche nella legge 3 agosto 2009, n. 102, si pone anche in contrasto con l'art. 97 della Costituzione, espressione del principio di buon andamento dell'azione amministrativa latu sensu intesa; corollari di tale principio sono l'efficienza, determinata dal rapporto intercorrente tra i risultati raggiunti dall'azione amministrativa e la quantita' di risorse impiegate, nonche' l'efficacia riguardante la capacita' di conseguire obiettivi preventivamente fissati. La normativa in esame, con il prevedere una limitazione alla legittimazione attiva pubblico ministero contabile e quindi della giurisdizione di questa Corte, da un lato indebolisce l'efficacia deterrente del giudizio di responsabilita', dall'altro, come nella presente fattispecie ed in ipotesi similari, comporta il dispendio di maggiori risorse a carico dell'erario per l'attivazione di plurimi giudizi volti ad ottenere «l'integrale» risarcimento del danno all'immagine, pur essendo state poste in essere condotte da parte di un pubblico dipendente in un unico contesto criminoso, integranti sia le ipotesi delittuose di cui al capo I del titolo Il del libro secondo del codice penale che altre fattispecie delittuose. 10. - In ultimo, l'art. 1 del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 203, convertito nella legge 3 ottobre 2009, n. 141, di modifica dell'art. 17, primi tre periodi del comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito con modiche nella legge 3 agosto 2009, n. 102, si pone anche in contrasto con l'art. 24 della Costituzione dal momento che la limitazione della legittimazione ad agire del pubblico ministero, nella maggior parte dei casi, si configura come una minorata tutela dell'erario giacche' l'iniziativa processuale e' lasciata alle stesse amministrazioni danneggiate, con possibili pratiche lassiste. Aggiungasi che le ragioni dell'erario sarebbero maggiormente tutelate qualora, in unico contesto, l'Amministrazione la cui immagine e' stata danneggiata da condotte dei propri dipendenti contrastanti con gli obblighi di servizio, possa far valere, tramite l'azione obbligatoria del pubblico ministero, nel cui interesse agisce innanzi a questa Corte, il proprio diritto ad essere integralmente risarcita.
P.Q.M. Visto l'art. 134 della Costituzione e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ritiene rilevante e non manifestamente infondata l'eccezione di legittimita' costituzionale del pubblico ministero; Solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 203, convertito nella legge 3 ottobre 2009, n. 141, di modifica dell'art. 17, primi tre periodi del comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito con modiche nella legge 3 agosto 2009, n. 102, per contrasto con gli artt. 3, 97 e 24 della Costituzione, per le motivazioni sopra esposte, nella parte in cui prevede che le «Procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell'art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e' sospeso fino alla conclusione del procedimento penale»; Dispone la sospensione del giudizio in corso e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la pronuncia sulla questione di legittimita' di cui sopra; Ordina alla segreteria di notificare la presente ordinanza alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di darne comunicazione al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. Cosi' disposto in Palermo, nella Camera di consiglio del 18 settembre 2009. Il Presidente: Pagliaro Depositata oggi in Segreteria nei modi di legge. Palermo, addi' 14 ottobre 2009