N. 47 SENTENZA 8 - 12 febbraio 2010

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati  e  pene  -  Reato  di  falsa   testimonianza   -   Trattamento
  sanzionatorio - Previsione di un minimo edittale  di  pena  di  due
  anni di reclusione - Denunciata irragionevolezza e contrasto con  i
  principi di proporzionalita' e della  finalita'  rieducativa  della
  pena, nonche' disparita' di  trattamento  rispetto  ad  ipotesi  di
  reato assimilabili -  Legittimo  esercizio  della  discrezionalita'
  legislativa - Possibilita' per il giudice di graduare la  pena  tra
  il minimo ed il massimo edittale, in relazione  alla  gravita'  del
  fatto - Non fondatezza della questione. 
- Cod. pen., art. 372. 
- Costituzione, artt. 3 e 27. 
(GU n.7 del 17-2-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Ugo DE SIERVO; 
Giudici: Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA,  Luigi
  MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,
  Giuseppe  TESAURO,  Paolo   Maria   NAPOLITANO,   Giuseppe   FRIGO,
  Alessandro CRISCUOLO; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'articolo  372  del
codice penale, promosso dal  Tribunale  di  Trento  nel  procedimento
penale a carico di V. P., con ordinanza del 9 maggio  2008,  iscritta
al n. 81 del registro ordinanze  2009  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 12, 1ª serie speciale, dell'anno 2009. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del 13 gennaio  2010  il  giudice
relatore Alessandro Criscuolo. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Tribunale di  Trento  in  composizione  monocratica,  con
ordinanza depositata il 9 maggio 2008, ha sollevato,  in  riferimento
agli articoli 3 e 27 della Costituzione «e in relazione al  principio
di  ragionevolezza»,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'articolo 372 del codice penale (falsa  testimonianza),  «laddove
viene comminato  il  minimo  edittale  in  anni  due  di  reclusione,
anziche' in altra pena,  di  eguale  specie,  ma  nella  misura  piu'
bassa». 
    Il rimettente premette  di  essere  chiamato  a  decidere  in  un
procedimento penale a carico di V. P., imputato del  delitto  di  cui
all'art. 372 cod. pen. perche',  all'udienza  del  25  ottobre  2006,
dichiarava, contrariamente al vero, che N. D. non  aveva  partecipato
al furto di quattro cerchioni di un'automobile. 
    Il giudice a quo riferisce che la  falsita'  delle  dichiarazioni
rese dall'imputato  e'  emersa  dall'istruttoria  dibattimentale,  in
quanto un maresciallo dei Carabinieri aveva affermato di  aver  visto
anche N. D. partecipare all'azione di impossessamento dei  cerchioni,
unitamente all'imputato V. P.  (nei  cui  confronti  il  procedimento
iscritto per  il  delitto  di  furto  era  stato  definito  ai  sensi
dell'art. 444 del codice di procedura penale, con  sentenza  divenuta
irrevocabile al tempo della testimonianza). 
    In sede di discussione il rappresentante del  pubblico  ministero
aveva chiesto la condanna ad anni tre di reclusione, mentre la difesa
aveva insistito per l'assoluzione. 
    2. - Cio'  premesso,  il  giudicante  dubita  della  legittimita'
costituzionale del citato art. 372, «in relazione da  un  canto  agli
artt.  3  e  27  della  Costituzione,  dall'altro  ai   principi   di
ragionevolezza e di proporzione quantitativa  che  devono  presiedere
alla funzione legiferante in merito all'entita' della pena  criminale
sanzionante gli illeciti penali». 
    Egli afferma che la  questione  e'  rilevante  perche'  «da  essa
dipende, nei confronti del giudicabile,  l'applicazione  in  concreto
della  pena  in  esito  alla  istruzione  probatoria   dibattimentale
svolta». 
    3.- Inoltre, la questione, ad avviso del rimettente,  non  appare
manifestamente infondata per piu' motivi. 
    In primo luogo, egli pone in evidenza che con l'art. 11, comma 2,
del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti  al  nuovo
codice  di  procedura  penale  e  provvedimenti  di  contrasto   alla
criminalita' mafiosa) convertito, con modificazioni,  dalla  legge  7
agosto 1992, n. 356, l'originaria pena detentiva per  il  delitto  di
falsa testimonianza, determinata nel minimo in sei mesi e nel massimo
in tre anni di reclusione, e' stata aumentata nel minimo a due anni e
nel massimo a sei anni di  reclusione,  con  la  conseguenza  che  il
minimo  ed  il  massimo   edittale   sono   stati,   rispettivamente,
quadruplicati e raddoppiati. 
    Tale inasprimento sanzionatorio si pone,  secondo  il  giudice  a
quo, in contrasto con il principio di proporzionalita', in quanto  il
minimo edittale ora previsto, costituendo pena inevitabile anche  per
le infrazioni piu' modeste, non e' adeguato al  disvalore  del  fatto
tipico. 
    L'attuale trattamento sanzionatorio, poi,  e'  tale  per  cui  il
reato di falsa testimonianza e' punito in modo piu' grave rispetto ad
altre   fattispecie   criminose   «considerate   da    sempre    come
ontologicamente   similari»   quali   la   frode   processuale,    il
favoreggiamento personale, anche con riguardo all'aggravante  di  cui
al capoverso dell'art. 378 cod. pen., e la simulazione di reato. 
    Si tratta, ad avviso del rimettente,  di  fattispecie  delittuose
«che per lontana tradizione, sia la  legge,  che  la  dottrina  e  la
giurisprudenza hanno reputato  avvinte  dalla  identica  oggettivita'
giuridica, che si e' detto risiedere nell'interesse dello Stato  alla
retta amministrazione della giustizia che deve quanto piu'  possibile
cogliere nel segno, nonche' nella necessita' diretta ad impedire  che
la giustizia possa essere indirizzata su falsa strada». 
    L'ordinanza pone in rilievo che la pena prevista per il reato  di
falsa testimonianza e' la stessa prevista per il reato  di  calunnia,
connotato da maggiore gravita' rispetto al primo, per la  sussistenza
non solo dell'aggressione  all'interesse  al  corretto  funzionamento
della giustizia, cioe' al medesimo interesse tutelato  dal  reato  di
cui all'art. 372 cod. pen., ma anche per la sussistenza della lesione
alla liberta' e all'onore della persona falsamente incolpata  di  una
condotta criminosa. 
    Il  rimettente  ritiene  che  un'altra  ragione   di   «stridente
irragionevolezza sostanziale» della pena prevista  per  il  reato  di
falsa testimonianza risieda nel raffronto con quella prevista per  il
reato di favoreggiamento personale di cui  all'art.  378  cod.  pen.,
anche  con  riferimento  all'ipotesi  aggravata  del  capoverso,  che
sanziona il reo con la reclusione non  inferiore  nel  minimo  a  due
anni, prevedendo, nel massimo, la pena di quattro anni di reclusione,
quando il delitto commesso e' quello previsto dall'art. 416-bis  cod.
pen. 
    Tale diversa previsione costituisce per il rimettente «una  grave
aporia della legge» perche' colui che, come l'imputato del giudizio a
quo, abbia mentito in ordine al furto di  quattro  cerchioni  di  una
automobile e' punito come o  piu'  gravemente  di  chi  ha  eluso  le
investigazioni  (recte:  abbia   aiutato   taluno   ad   eludere   le
investigazioni) dell'autorita' in un delitto di mafia,  vale  a  dire
nella stragrande maggioranza dei casi in efferati delitti di sangue. 
    Secondo il Tribunale, nel caso di specie  difetta  la  necessaria
proporzionalita' tra disvalore del singolo fatto  tipico  e  sanzioni
edittali per esso comminate. 
    Il  rimettente  rileva,   poi,   che,   mentre   nel   reato   di
favoreggiamento la gravita' edittale  del  delitto  si  distingue  in
relazione alla gravita' del reato presupposto, cio' non accade per il
delitto di falsa testimonianza in quanto la misura della pena  e'  la
stessa qualunque sia il reato in relazione al quale e' dichiarato  il
falso, quindi, «sia se si riferisca ad  un  reato  la  cui  posta  e'
l'ergastolo, sia se riguardi una contravvenzione punita con  la  pena
dell'ammenda». 
    Con l'aumento del minimo edittale,  dunque,  il  legislatore  del
1992, ad avviso del giudice a quo,  ha  azzerato  ogni  rapporto  tra
misura  della  pena,  offesa  al  bene  giuridico  e   modalita'   di
aggressione  «appiattendo  tutta  la  vasta  gamma   delle   condotte
possibili - dalle piu' gravi  alle  meno  gravi  -  su  un  disvalore
d'evento e d'azione  rispetto  ai  quali  non  appare  razionale  una
uniformita' sanzionatoria "dal basso"». 
    Per il rimettente cio' determina, nel quadro di una piu'  attenta
considerazione  dell'art.  27  Cost.,  che  e'  precluso  al  giudice
l'esercizio concreto della discrezionalita' vincolata di cui all'art.
133 cod. pen., essendogli interdetta  l'opera  di  adeguamento  della
pena alle circostanze oggettive e soggettive del  reato,  sicche'  il
minimo edittale si presenta «sperequato in eccesso rispetto a  quella
platea statisticamente estesa di soggetti agenti che  non  presentano
le stigmate della personalita' criminale». 
    Sotto tale aspetto egli  sostiene,  infatti,  che  l'aumento  del
minimo edittale della pena per il delitto di falsa  testimonianza  e'
stato varato  nell'ambito  di  una  legislazione  «emergenziale»,  ad
avviso del rimettente «ritagliata per una  tipologia  di  persone  ad
alta  valenza  criminale»  e,  dunque,  finalizzato  a  reprimere  il
mendacio nell'ambito del crimine organizzato, con la conseguenza  che
il minimo  edittale  in  questione  sarebbe  modellato  su  «un  tipo
criminologico d'autore (cioe' il mafioso e le carriere criminali) che
non si puo'  dire  costituisca  il  proprium  del  delitto  di  falsa
testimonianza». 
    Il trattamento sanzionatorio del delitto di  falsa  testimonianza
si pone, dunque, in contrasto con  l'art.  27,  terzo  comma,  Cost.,
perche' l'irrogazione di pene sproporzionate al  grado  di  effettivo
disvalore dei fatti  e  alla  personalita'  del  reo  compromette  la
finalita' rieducativa della pena stessa. 
    Il  rimettente  osserva,  infine,  che,  coincidendo  il   minimo
edittale di due anni con il limite di pena  oltre  il  quale  non  e'
usufruibile la sospensione condizionale della pena ai sensi dell'art.
163 cod. pen., «e' giocoforza lamentare che cio' comprime al massimo,
di   fatto   quasi   annullandolo,   il   margine   di   operativita'
dell'anzidetto beneficio, accordabile al reo primario  che  ne  possa
essere meritevole». 
    4. - Con atto depositato in data 14 aprile 2009 e' intervenuto il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  che  ha  sostenuto  la  non
fondatezza della questione. 
    La  difesa  erariale  ha,   in   primo   luogo,   osservato   che
l'inasprimento del trattamento sanzionatorio per il delitto di  falsa
testimonianza, introdotto dal d.l. n. 306 del 1992,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 356 del 1992, non e' stato  dettato  da
motivazioni  emergenziali,  come  affermato  dal  rimettente,  quanto
piuttosto dal mutamento del processo penale  che,  con  l'entrata  in
vigore  del  nuovo  codice  di  procedura,  e'   divenuto   di   tipo
accusatorio, con la conseguenza che la prova testimoniale ha  assunto
un ruolo primario. All'interesse  per  la  veridicita'  della  prova,
dunque, ha fatto seguito l'innalzamento  dei  limiti  edittali  della
pena per il delitto in questione. 
    Pertanto, si deve escludere che sia stato violato l'art. 3  Cost.
in base al rilievo che il minimo edittale previsto per il delitto  di
falsa testimonianza sarebbe irragionevole. 
    Ne' la violazione del citato parametro puo' derivare dal  diverso
trattamento sanzionatorio previsto per altre  figure  criminose.  Per
quanto concerne il delitto di calunnia, la difesa  erariale  pone  in
rilievo che la pena della reclusione che va da due a sei anni,  cioe'
la stessa prevista per il delitto di falsa testimonianza, concerne le
ipotesi meno gravi, mentre il trattamento sanzionatorio e' fortemente
inasprito per le violazioni piu' gravi. 
    Quanto al confronto con il delitto di frode  processuale,  punito
meno gravemente, la difesa erariale rileva che la ragione del diverso
trattamento sanzionatorio risiede non solo nel dato che  nel  delitto
di falsa testimonianza si  trasgredisce  un  dovere  di  solidarieta'
sociale, ma anche nella considerazione secondo cui  l'art.  374  cod.
pen. e' posto a tutela di mezzi di prova  meno  diffusi  della  prova
testimoniale; inoltre, il delitto di frode  processuale  puo'  essere
commesso con meno facilita' e minore speranza d'impunita' rispetto  a
quello di cui all'art. 372 cod. pen. 
    Anche con riferimento al delitto  di  favoreggiamento  personale,
punito meno gravemente, la difesa erariale osserva che  soltanto  con
riferimento alla falsa testimonianza viene in rilievo  un  dovere  di
solidarieta' sociale,  la  cui  «sacralita'»  e'  sottolineata  dalla
previsione di specifiche formalita'; inoltre,  solo  in  quest'ultima
fattispecie criminosa si realizza la violazione  dell'interesse  alla
correttezza di un tipo di  prova  di  assoluta  importanza,  qual  e'
quella testimoniale. 
    L'Avvocatura  generale  prosegue  osservando  che  la   questione
sollevata dal rimettente non e' fondata, anche con  riferimento  agli
ulteriori profili di violazione degli artt. 3 e 27 Cost. 
    Invero, il giudice puo' adeguare la pena alla scarsa gravita' del
fatto,  concedendo  le  circostanze   attenuanti   generiche,   cosi'
graduando la pena rispetto al disvalore del reato. 
    La difesa  erariale,  infine,  sostiene  che  l'inasprimento  del
trattamento sanzionatorio  consente,  comunque,  la  possibilita'  di
applicare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla
luce delle possibili riduzioni di pena  conseguenti  alla  scelta  di
dette attenuanti o di riti premiali. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.  -  Il  Tribunale  di   Trento   dubita   della   legittimita'
costituzionale,  in  riferimento  agli  articoli   3   e   27   della
Costituzione,   dell'articolo   372   del   codice   penale    (falsa
testimonianza) «laddove viene comminato il minimo  edittale  in  anni
due di reclusione, anziche' in altra pena, di eguale specie, ma nella
misura piu' bassa». 
    Il rimettente, chiamato a decidere in un  procedimento  penale  a
carico di  V.  P.,  imputato  del  delitto  di  falsa  testimonianza,
perche',   contrariamente   a    quanto    emerso    dall'istruttoria
dibattimentale, dichiarava che N. D. non aveva partecipato  al  furto
di  quattro  cerchioni  di  un'automobile,  solleva  il   dubbio   di
legittimita' costituzionale nei termini sopra  indicati,  ponendo  in
rilievo che la questione e' rilevante in quanto «da essa dipende  nei
confronti del giudicabile, l'applicazione della pena  in  esito  alla
istruzione probatoria dibattimentale svolta». 
    Ad avviso del giudice a quo il trattamento sanzionatorio previsto
dall'art. 372 cod. pen. viola l'art. 3  Cost.  in  relazione  ad  una
pluralita' di profili. 
    In primo luogo, esso si pone in contrasto  con  il  principio  di
proporzionalita' in quanto il minimo  edittale,  determinato  in  due
anni di reclusione, non e' adeguato al disvalore  del  fatto  tipico,
costituendo  una  pena  inevitabile  anche  per  le  infrazioni  piu'
modeste. 
    La disposizione censurata, poi, nel prevedere  il  citato  minimo
edittale viola il principio di ragionevolezza. Infatti, il  reato  di
falsa  testimonianza  ha   subito   un   inasprimento   sanzionatorio
introdotto dall'art. 11, comma 2, del decreto-legge 8 giugno 1992, n.
306  (Modifiche  urgenti  al  nuovo  codice  di  procedura  penale  e
provvedimenti di contrasto alla  criminalita'  mafiosa),  convertito,
con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356. 
    Per effetto di tale modifica, che ha sostituito l'originaria pena
detentiva, stabilita nel minimo in sei mesi e nel massimo in tre anni
di reclusione, il delitto de quo oggi e' punito  piu'  gravemente  di
fattispecie assimilabili, come la frode processuale  (art.  374  cod.
pen.), il favoreggiamento personale (art. 378 cod.  pen.)  anche  con
riguardo all'ipotesi in cui  il  delitto  al  quale  la  condotta  si
riferisce e' quello previsto e punito dall'art.  416-bis  cod.  pen.,
inoltre, la simulazione di reato (art. 367 cod. pen.). 
    Secondo il rimettente, si tratta di tipi di reato  caratterizzati
da una identica oggettivita' giuridica consistente, cosi' come per il
delitto di falsa testimonianza, nell'interesse dello Stato alla retta
amministrazione della giustizia. 
    In particolare, tra il delitto di cui all'art. 372  cod.  pen.  e
quello  di  favoreggiamento  personale,  punito  con  la  pena  della
reclusione fino a quattro anni  e,  nell'ipotesi  aggravata,  con  la
reclusione non  inferiore  a  due  anni,  sussiste  un  irragionevole
trattamento sanzionatorio in quanto  costituisce  «una  grave  aporia
della legge» prevedere che chi, come l'imputato, abbia  commesso  una
infrazione modesta e' punito come o  piu'  gravemente  di  chi  abbia
aiutato taluno ad eludere le investigazioni dell'autorita'. 
    Un altro profilo di irragionevolezza risiede nella  constatazione
che, mentre  in  questa  ultima  fattispecie  di  reato  la  gravita'
edittale  e'  graduata  in  relazione   alla   gravita'   del   reato
presupposto, ed e' prevista la pena  della  multa  nel  caso  in  cui
quest'ultimo  e'  una   contravvenzione,   nel   delitto   di   falsa
testimonianza la misura della pena e' unica qualunque sia il reato in
relazione al quale e' dichiarato il falso. 
    Ad avviso del giudice a  quo,  poi,  la  disposizione  denunziata
viola l'art. 3 Cost. in quanto non e' ragionevole punire  il  delitto
di falsa testimonianza con la stessa pena prevista per il delitto  di
calunnia, connotato da maggiore gravita',  in  quanto  offensivo  non
solo dell'interesse al  corretto  funzionamento  dell'amministrazione
della giustizia, ma anche  dell'onore  di  colui  che  e'  falsamente
incolpato di un reato. 
    Infine, il minimo edittale previsto dalla disposizione  censurata
si pone in contrasto anche con l'art.  27,  terzo  comma,  Cost.,  in
particolare con la finalita' rieducativa della  pena,  in  quanto  si
presenta sperequato in eccesso rispetto  a  quei  soggetti  che  «non
presentano le stigmate della personalita' criminale», non  apparendo,
pertanto, proporzionato al grado di effettivo disvalore dei  fatti  e
alla personalita' del reo. 
    2. - La questione non e' fondata. 
    2.1. - Si deve premettere che l'art. 11, comma 2, del d.l. n. 306
del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 356 del 1992,
ha elevato la misura della sanzione prevista per il delitto di  falsa
testimonianza,  sostituendo  alla  originaria  pena  stabilita,   nel
minimo, in sei mesi di reclusione e, nel  massimo,  in  tre  anni  di
reclusione, quella piu' grave determinata in due anni  di  reclusione
nel minimo ed in sei anni di reclusione  nel  massimo.  Cio'  secondo
valutazioni operate in sede legislativa sulla gravita' del fatto, che
ne hanno progressivamente accentuato l'antigiuridicita'. 
    La  modifica  normativa  del  trattamento  sanzionatorio  per  il
delitto in questione, come si  rileva  dai  lavori  parlamentari,  si
inquadra  nell'ambito  di  una  piu'  ampia  esigenza  avvertita  dal
legislatore di provvedere alla «ristrutturazione» dei delitti  contro
l'attivita' giudiziaria, approntando specifici  strumenti  di  tutela
del  corretto  svolgimento   delle   indagini   preliminari   e   per
salvaguardare la genuinita' della prova. 
    In  questo  quadro,  dunque,   l'innalzamento   del   trattamento
sanzionatorio, previsto per il delitto di cui all'art. 372 cod. pen.,
e' stato dettato dalla necessita' di preservare la veridicita'  della
prova, non soltanto con riferimento  ai  procedimenti  per  reati  di
criminalita'  organizzata,  in  relazione  ai  quali   essa   risulta
particolarmente esposta al pericolo di intimidazioni, ma  soprattutto
in  relazione  all'attuale  modello  di  processo  penale   di   tipo
tendenzialmente accusatorio, con una disciplina  che,  prevedendo  la
formazione  della  prova  in  via  prevalente  in  dibattimento,  nel
contraddittorio  delle  parti,  ha  attribuito  ruolo  primario  alla
testimonianza. 
    Orbene,  come  questa  Corte  ha  affermato  con   giurisprudenza
costante, e' possibile censurare la discrezionalita' del  legislatore
in  ordine  alla  individuazione  delle  condotte  punibili  ed  alla
determinazione del trattamento sanzionatorio soltanto nel caso in cui
la stessa sia stata esercitata in modo manifestamente  irragionevole,
arbitrario o radicalmente ingiustificato (ex multis: sentenze n.  161
del 2009, n. 22 del 2007, n. 394 del 2006, n. 325 del 2005; ordinanze
n. 41 del 2009 e n. 52 del 2008). 
    Nel  caso  in  esame  si  deve   escludere,   alla   luce   delle
considerazioni ora svolte, che la determinazione del minimo  edittale
per il delitto de quo violi  il  principio  di  ragionevolezza  o  di
proporzionalita',  in  quanto  l'inasprimento  della   pena   risulta
giustificato dalle suddette esigenze; alle quali, peraltro,  si  deve
aggiungere  il  rilievo  che  l'illecito  in  questione  presenta  un
disvalore intrinseco che gli attribuisce carattere di gravita', anche
se la circostanza oggetto  di  mendacio  o  di  reticenza  non  desta
particolare allarme sociale. Infatti, la  falsa  testimonianza  turba
comunque il normale svolgimento del processo, ne compromette lo scopo
che e' quello di pervenire a sentenze  giuste,  costituisce  ostacolo
all'accertamento giudiziale. 
    Rientra, poi, nella discrezionalita'  del  legislatore  anche  la
facolta' di modulare il trattamento sanzionatorio in  riferimento  al
dilagare di un fenomeno criminoso che  si  intende  reprimere.  Sotto
tale profilo,  il  rimettente  trascura  di  considerare  la  diversa
incidenza del delitto in questione con  riferimento  alle  molteplici
realta' territoriali, nel  momento  in  cui  asserisce  che  «nessuna
evidenza sociologica ha mai esaltato la recrudescenza nella  societa'
italiana» del delitto di falsa testimonianza. 
    Ne'  si  puo'  giungere  ad  altra  conclusione  per   l'asserita
disparita' di trattamento, ravvisata dal giudice a quo  con  riguardo
ad ipotesi di reato assimilabili al delitto di  falsa  testimonianza,
quali la frode processuale, il favoreggiamento personale,  anche  con
riferimento alla previsione dettata dal capoverso dell'art. 378  cod.
pen., e la  simulazione  di  reato,  e  con  riguardo  a  fattispecie
connotate da maggiore gravita', come il delitto di calunnia. 
    Le fattispecie poste a confronto,  invero,  ancorche'  catalogate
tra i delitti contro l'attivita' giudiziaria,  non  hanno  la  stessa
oggettivita' giuridica, sicche' deve  escludersi  che  il  differente
trattamento   sanzionatorio,   rispetto   al   delitto    di    falsa
testimonianza,  sia  il   frutto   di   una   scelta   arbitraria   o
ingiustificata (ex multis: sentenza n. 161 del 2009; ordinanze n. 229
del 2006, n. 170 del 2006, n. 45 del 2006 e n. 438 del 2001). 
    Infatti, con la disposizione  che  sanziona  il  reato  di  falsa
testimonianza il legislatore, come si e' detto, ha inteso tutelare lo
specifico interesse alla veridicita' della prova testimoniale ed alla
completezza della stessa in considerazione del ruolo primario  svolto
nel sistema processuale. 
    La previsione che sanziona la frode processuale  (art.  374  cod.
pen.) tutela, invece, la genuinita' di fonti attraverso le  quali  si
forma il convincimento del giudice in ordine agli elementi  di  prova
desumibili da atti  di  ispezione  di  luoghi,  di  cose  o  persone,
dall'esperimento  giudiziale,  dalla  perizia  o   dalla   consulenza
tecnica. In tale ipotesi di reato, dunque, l'alterazione avviene  non
direttamente innanzi all'autorita'  giudiziaria,  ma  in  un  momento
precedente all'assunzione o alla valutazione della prova. Inoltre, in
molti casi, si tratta di atti irripetibili, sottratti  alla  verifica
del dibattimento. 
    Sanzionando,  poi,  il  delitto  di  simulazione  di  reato,   il
legislatore si  e'  posto  l'obiettivo  di  evitare  che  gli  organi
destinati  all'accertamento  e  alla  repressione  dei  reati   siano
attivati inutilmente, con dispendio di energie e sviamento dalle loro
funzioni istituzionali. 
    Attraverso i delitti di favoreggiamento, personale e reale (artt.
378 e 379 cod. pen.),  il  legislatore  ha  inteso  salvaguardare  il
regolare  svolgimento  del  procedimento  penale  nella  fase   delle
indagini e delle ricerche, in quanto le  condotte  che  integrano  le
dette  ipotesi  criminose  tendono  a  fuorviare  o   ad   ostacolare
l'attivita' di accertamento e repressione dei reati. 
    Con riferimento al delitto di  calunnia,  il  giudice  a  quo  ha
omesso di  considerare  che  la  maggiore  gravita'  di  quest'ultimo
rispetto alla  falsa  testimonianza  -  derivante  dall'essere  reato
plurioffensivo in quanto lesivo sia dell'interesse a che  l'attivita'
giudiziaria  non  sia  tratta  in  inganno,  sia  della  liberta'   e
dell'onore della persona falsamente incolpata -  trova  sanzione  nel
piu'  severo  trattamento  previsto  quando  la  falsa   incolpazione
concerne reati puniti con pena superiore nel massimo a dieci  anni  o
con altra pena piu' grave o se dal fatto  e'  derivata  una  condanna
alla reclusione nella misura determinata dalla norma medesima. 
    Come si vede, le  indicate  ipotesi  di  reato,  pur  presentando
tratti comuni che ne giustificano la collocazione nella categoria dei
delitti contro l'attivita' giudiziaria, non hanno carattere del tutto
omogeneo,  sicche'  il  diverso  trattamento  sanzionatorio  ad  esse
riservato  costituisce  legittimo  esercizio  della  discrezionalita'
legislativa. 
    2.2.- Anche la censura mossa con riferimento all'art.  27,  terzo
comma, Cost. non e' fondata. 
    La disposizione impugnata, prevedendo  un  significativo  divario
tra il minimo ed il massimo edittale della pena, consente al  giudice
di graduare quest'ultima in relazione  alla  gravita'  del  fatto  e,
quindi, di adeguare il  trattamento  punitivo  al  diverso  disvalore
delle singole violazioni rientranti  nella  previsione  della  norma,
cosi' realizzando la finalita' rieducativa cui la  pena  stessa  deve
tendere. E nella stessa prospettiva,  non  va  trascurato  il  potere
affidato al giudice  di  riconoscere  le  circostanze  attenuanti  e,
segnatamente, le attenuanti generiche, cosi' ulteriormente  adeguando
la misura della pena alla personalita' del reo e  alla  gravita'  del
fatto. 
    Infine, non  si  puo'  condividere  l'argomento  del  rimettente,
secondo cui «coincidendo il minimo edittale (anni due di  reclusione)
con  il  limite  di  pena  oltre  il  quale  non  e'  usufruibile  la
sospensione  condizionale  ex  art.  163  cod.  pen.,  e'  giocoforza
lamentare che cio' comprime al massimo, di fatto quasi  annullandolo,
il margine di operativita' del suddetto beneficio, accordabile al reo
primario che ne possa essere meritevole». Infatti, a parte il rilievo
che la soglia minima della pena  gia'  consente  la  concessione  del
beneficio, nonostante l'innalzamento del minimo edittale  il  giudice
puo' comunque applicare la sospensione condizionale della  pena,  sia
attraverso  la  gia'  rilevata   possibilita'   di   riconoscere   le
circostanze  attenuanti   (ovviamente,   qualora   ne   ricorrano   i
presupposti),  sia  per  effetto  di  riduzioni  della  pena   stessa
conseguenti alla scelta di riti alternativi. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'articolo 372 del codice penale, sollevata, in  riferimento  agli
articoli 3 e 27 della Costituzione,  dal  Tribunale  di  Trento,  con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 febbraio 2010. 
 
                      Il Presidente: De Siervo 
 
 
                       Il redattore: Criscuolo 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria il 12 febbraio 2010. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola