N. 111 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 novembre 2009
Ordinanza del 18 novembre 2009 emessa dal Giudice di pace di Alessandria nel procedimento penale a carico di Baalane Mohamed. Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato - Configurazione della fattispecie come reato - Violazione del principio di ragionevolezza sotto diversi profili - Disparita' di trattamento rispetto all'ipotesi di reato piu' grave di cui all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998 - Violazione del principio di uguaglianza e del principio di necessaria offensivita' - Lesione dei diritti inviolabili, in particolare del diritto alla propria identita' personale e alla cittadinanza - Violazione del diritto del minore ad un sano sviluppo psicofisico. - Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, aggiunto dall'art. 1, comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. - Costituzione, artt. 2, 3, 24, secondo comma, 25, secondo comma, e 97, secondo comma.(GU n.16 del 21-4-2010 )
IL GIUDICE DI PACE Nel procedimento penale in epigrafe a carico di Baalane Mohamed nato il 24 aprile 1975 a Casablanca (Marocco) senza fissa dimora, domiciliato presso lo studio dell'avv. Maria Grazia Marcelli in Alessandria corso Crimea n. 57. All'udienza del 18 novembre 2009 ha pronunciato la seguente ordinanza. Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis, d.lgs. n. 286/1998 come introdotto dall'art. 1, comma 16, legge 15 luglio 2009. Ritenuto che: l'art. 1, comma 16 della legge 15 luglio 2009, n. 94 ha introdotto, nel testo del d.lgs. n. 286/90, l'art. 10-bis, il quale prevede la nuova fattispecie criminosa dell'Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato», sanzionando con l'ammenda da 5.000 a 10.000 euro «lo straniero che fa ingesso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonche' di quelle di cui all'art. 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68»: tale reato, introdotto per la prima volta nell'ordinamento italiano dopo l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, appare in palese contrasto con alcuni fondamentali principi accolti dalla carta costituzionale, si che non puo' dirsi palesemente infondata la questione di costituzionalita' della norma che lo prevede sotto vari profili, di seguito illustrati; tale norma appare, anzitutto, in contrasto con l'art. 3 Cost., sotto il profilo dell'irragionevolezza della scelta legislativa di criminalizzare l'ingresso e la permanenza clandestini nello Stato italiano; infatti, pur riconoscendo che compete al legislatore un generale potere «di regolare la materia dell'immigrazione, in correlazione ai molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai gravi problemi connessi a flussi migratori incontrollati» (v. C. cost. sent. n. 5/2004), facendo buon uso della sfera di discrezionalita' sua propria, l'azione di tale organo costituzionale trova limiti insuperabili nell'osservanza dei principi fondamentali del sistema penale stabiliti dalla Costituzione e nell'adozione di soluzioni orientate a canoni di ragionevolezza e di razionalita' finalistica; la irragionevolezza della nuova fattispecie criminosa e' chiaramente evidenziata dalla carenza di un pur minimo fondamento giustifiticativo; la penalizzazione di una condotta dovrebbe intervenire, come extrema ratio, in tutti i casi in cui non sia possibile individuare altri strumenti idonei al raggiungimento dello scopo. Ora, l'obiettivo perseguito dalla nuova fattispecie incriminatrice e' costituito dall'allontanamento dello straniero irregolare dal territorio dello Stato. Esso e' chiaramente desumibile dalle svariate previsioni, accessorie alla fattispecie incriminatrice, aventi ad oggetto proprio l'espulsione dello straniero: tale misura e' infatti, prevista come sanzione sostitutiva irrogabile dal giudice di pace ai sensi dell'art. 16 d.lgs. 286/1987, appositamente modificato per comprendervi, tra i presupposti, la sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 10-bis (cosi alterando, anche con l'espressa introduzione dell'art. 62-bis, il sistema sanzionatorio disegnato dal d.lgs. n. 274/2000, che prescriveva. all'art. 62, dopo la descrizione delle sanzioni tipiche di cui agli artt. 52 e ss., l'espresso divieto di applicazione delle altre misure sostitutive di pene detentive brevi); inoltre, la effettiva espulsione dello straniero in via amministrativa costituisce causa di non procedibilita' dell'azione penale, il che rende plasticamente evidente quale sia l'interesse primario perseguito dal legislatore; infine, non e' richiesto alcun nulla osta dell'Autorita' giudiziaria per l'esecuzione dell'espulsione in via amministrativa, al chiaro scopo di non creare intralci alla predetta operazione. Orbene, l'evidente finalita' della nuova fattispecie incriminatrice, strumentale all'allontanamento dello straniero irregolare dal territorio dello Stato, ne sottolinea l'assoluta inutilita' e, dunque, la mancanza di una ratio giustificatrice, perche' lo stesso obiettivo era perfettamente raggiungibile prima dell'introduzione della nuova figura di reato, mediante l'adozione dell'espulsione coattiva in via amministrativa ai sensi dell'art. 13, comma 4, d.lgs. n. 286/1998. Ne' la nuova norma modifica in alcun modo i presupposti necessari per l'espulsione, perche' anche la misura sostitutiva eventualmente disposta dal giudice di pace, eseguibile con le modalita' di cui all'art. 13 comma 4, puo' essere adottata soltanto quando non ricorrano la cause ostative indicate nell'art. 14, comma 1; e le difficolta' di carattere amministrativo ed organizzativo che fino ad oggi hanno ostacolato la piena applicazione dell'espulsione manu militari non verranno certo meno con l'introduzione della nuova figura di reato. Dunque l'ambito di applicazione della nuova fattispecie coincide perfettamente con quello della preesistente misura amministrativa dell'espulsione, sia sotto il profilo dei soggetti destinatari (stranieri entrati o trattenuti irregolarmente nel territorio dello Stato), sia sotto quello della ratio giustificativa. Il che significa che c'era gia' nell'ordinamento italiano uno strumento ritenuto idoneo al raggiungimento dello scopo (tanto che esso non e' stato oggetto di alcuna modifica normativa) e l'adozione dello strumento penale resta priva di ogni giustificazione. la irragionevolezza della nuova fattispecie penale emerge anche sotto il profilo sanzionatorio, considerato nel suo complesso, comprensivo, quindi, non solo della pena dell'ammenda da 5.000 a 10.000 euro, ma anche del divieto di applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena (conseguente alla individuazione della competenza in capo al giudice di pace, secondo quanto disposto dalla lettera s bis) dell'art. 4, comma 2 decreto legislativo n. 274/2000, introdotta dall'art. 1 comma 17 lett. a) della nuova legge) e della facolta' concessa al giudice di pace di sostituire la pena pecuniaria con una sanzione piu' grave, quale quella dell'espulsione dallo Stato per un periodo non inferiore a cinque anni (unico caso di misura sostitutiva piu' grave della sanzione principale sostituita, nessuno potendo dubitare della maggiore afflittivita' dell'espulsione rispetto alla mera ammenda, sia pure non oblazionabile, tenuto anche conto della conseguenze penali della violazione del provvedimento dell'autorita' giudiziaria). Tale regolamentazione, infatti. introduce una palese ed irragionevole disparita' di trattamento tra soggetti ugualmente destinatari della predetta sanzione sostitutiva. Da un lato, essa potra' essere comminata a soggetti condannati, anche con sentenza ex art. 444 c.p.p., per un reato non colposo, ad una pena detentiva non superiore a due anni e sempre che non ricorrano le condizioni per ordinare la sospensione condizionale della pena ex art. 163 c.p. (come previsto dall'originario art. 16 decreto legislativo n. 286/1998, non modificato sul punto); dall'altro lato essa potra' colpire soggetti condannati alla sola pena pecuniaria, ex art. 10-bis decreto legislativo n. 286/1998, quindi per un reato certamente meno grave di quelli che, soli, originariamente giustificavano l'adozione della misura sostitutiva in oggetto, senza alcuna possibilita', per il giudice, di renderla concretamente inefficace mediante la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Del resto e' prevedibile che la sanzione sostitutiva in questione sara' la pena generalmente adottata dal giudice di pace, laddove non ricorrano le cause ostative di cui all'art. 14, comma 1 stante l'assoluta carenza di efficacia deterrente dell'ammenda prevista. La pena da 5.000 a 10.000 euro di ammenda, infatti, pur dichiarata espressamente non oblazionabile ex art. 162 c.p. (con l'evidente obiettivo di dare concreta effettivita' alla sanzione prescritta) appare, ad ogni persona di buonsenso, assolutamente priva di un benche' minimo effetto deterrente: anzitutto, perche' chi e' spinto ad emigrare da condizioni di vita insostenibili, per sfuggire alle quali e' disposto a sfidare la morte affrontando i c.d. viaggi della speranza, non potra' certo indietreggiare di fronte al rischio di una mera sanzione pecuniaria, per quanto elevata e non oblazionabile; ma anche perche' lo straniero clandestino, prevedibilmente, non avra' mai, in concreto, i mezzi economici per pagare la somma a cui sara' condannato dal giudice, rendendo inutile anche ogni tentativo di esecuzione coattiva; mentre la conversione della pena pecuniaria, ad opera del magistrato di sorveglianza ex art. 660 c.p.p., nelle misure del lavoro sostitutivo o dell'obbligo di permanenza domiciliare, ai sensi dell'art. 55 decreto legislativo n. 274/2000 (prevista per i casi di insolvenza nei reati di competenza del giudice di pace) appare difficilmente attuabile, anche a prescindere dal contrasto sul piano logico, con la nuova figura criminosa (paradossalmente il clandestino sarebbe chiamato a svolgere, sia pure a titolo gratuito, un lavoro di pubblica utilita'), per la concreta difficolta' dell'immigrato clandestino a reperire un domicilio stabile; L'art. 3 Cost. appare violato sotto un altro specifico profilo, concernente la irragionevole disparita' di trattamento tra la nuova fattispecie e quella di cui all'art. 14, comma 5-ter decreto legislativo n. 286/1998, che prevede la punibilita' dello straniero inottemperante all'ordine di allontanamento del Questore solo quando lo stesso si trattenga nel territorio dello Stato oltre il termine stabilito e «senza giustificato motivo». Due condizioni che non si ritrovano nella nuova figura criminosa, cosicche' e' sufficiente, per es., il venir meno, per un qualche motivo, del permesso di soggiorno perche' sia immediatamente e automaticamente integrata una ipotesi di trattenimento illecito, senza alcuna possibilita', per l'interessato, di addurre una qualche giustificazione o di usufruire di un termine per potersi allontanare. Senza contare che, in virtu' della attribuzione della competenza a conoscere della nuova fattispecie al giudice di pace, risulta disegnato un sottosistema sanzionatorio addirittura piu' gravoso di quello previsto per il piu' grave delitto, non essendo possibili ne' la concessione della sospensione condizionale, ne' una riduzione di pena conseguente all'adozione di un rito alternativo (per l'espresso divieto di applicazione dei predetti istituti al rito davanti al giudice di pace ex artt. 2 e 60 decreto legislativo n. 74/2000). Ma, al di la' della irrazionale e ingiustificata disparita' di trattamento tra !e due fattispecie criminose, entrambe tese a colpire la stessa situazione soggettiva (lo straniero ab origine o divenuto clandestino), e' da rilevare come le stesse siano irrimediabilmente contrastanti tra loro, sia sul piano logico che su quello pragmatico: tutti i presupposti richiesti per l'emanazione del provvedimento del Questore (decreto prefettizio di espulsione, impossibilita' di dare esecuzione all'espulsione coattiva, impossibilita' di trattenere lo straniero negli appositi Centri di permanenza o inutile decorso del termine massimo di permanenza in tali strutture), infatti, in tanto avevano ragione di esistere in quanto non era previsto un reato di immigrazione o soggiorno clandestini e la sanzione penale era correlata alla sola violazione dell'ordine questorile di allontanamento. Ora che e' stata introdotta la nuova figura dell'ingresso e del soggiorno illegale, a prescindere dall'esistenza di giustificati motivi, lo straniero viene immediatamente sanzionato senza il ricorso di alcuno di quei presupposti richiesti per l'integrazione del reato di cui all'art. 14 comma 5-ter. Dunque potrebbe darsi il caso di un soggetto, gia' condannato per il reato di ingresso o trattenimento clandestino che, non espulso manu militari, ma intimato di lasciare il territorio dello Stato, possa ivi legittimamente trattenersi perche' sorretto da un «giustificato motivo»: con un evidente ed insanabile contrasto nella posizione di uno Stato che, da un lato, punisce lo straniero non solo ab origine, ma anche divenuto clandestino e, dall'altro, lo autorizza a trattenersi perche' munito di un giustificato motivo. Va per altro richiamata, al riguardo, la sentenza della C. cost. n. 5/2004, che ha salvato la costituzionalita' dell'art. 14 comma 5-ter decreto legislativo n. 286/1998 proprio grazie ad una interpretazione costituzionalmente orientata della clausola «senza giustificato motivo», considerata, al pari di altre simili rinvenibili nell'ordinamento, una «valvola di sicurezza» del meccanismo repressivo, atta ad evitare «che la sanzione penale scatti allorche' - anche al di fuori della presenza di vere e proprie cause di giustificazione - l'osservanza del precetto appaia concretamente inesigibile» per i piu' svariati motivi, ma comunque riconducibili «a situazioni ostative di particolare pregnanza, che incidano sulla stessa possibilita', soggettiva od oggettiva, di adempiere all'intimazione, escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa», come le situazioni di cui all'art. 14 comma 1, la «condizione di assoluta impossidenza dello straniero», il «mancato rilascio da parte della competente autorita' diplomatica o consolare, dei documenti necessari, pure sollecitamente e diligentemente richiesti». Dunque il nuovo reato di immigrazione clandestina non appare conforme alla Costituzione (e dovra', quindi soccombere nel contrasto evidenziato) proprio perche' punisce indiscriminatamente ed automaticamente tutti i soggetti irregolarmente presenti nel territorio dello Stato, senza tenere conto dell'eventuale esistenza di situazioni legittimanti tale presenza. Il nuovo art. 10-bis decreto legislativo n. 286/1998 appare, ancora, in contrasto con l'art. 3 Cost. nonche' con l'art. 25 comma 2 Cost., avuto riguardo alla configurazione di una fattispecie penale discriminatoria, perche' fondata su particolari condizioni personali e sociali, anziche' su fatti e comportamenti riconducibili alla volonta' del soggetto attivo; infatti, cio' che la nuova fattispecie incriminatrice sanziona e' solo apparentemente una condotta (l'azione dell'ingresso e l'omissione del mancato allontanamento), in realta' in se' e per se' del tutto neutra agli effetti penalistici, mentre il vero oggetto della incriminazione e' la mera condizione personale dello straniero, costituita dal mancato possesso di un titolo abilitativo all'ingresso e alla successiva permanenza nel territorio dello Stato, che e', poi, la condizione tipica del migrante economico e, dunque, anche una condizione sociale, cioe' propria di una categoria di persone. Una situazione in realta' priva di una qualche significativita' sono il profilo della pericolosita' sociale (perche' l'ingresso e la presenza illegali nel territorio statale non costituiscono di per se stessi fatti lesivi di un qualche bene meritevole di tutela penale: si veda infra la sentenza n. 78/07 della Corte costituzionale) e, tra l'altro, difficilmente riconducibile ad una condotta volontaria e consapevole dello straniero migrante, essendo costui costretto, di regola, a fuggire dal proprio stato di appartenenza per ragioni di sopravvivenza e a subire la sottrazione dei propri documenti (ove esistenti) da parte delle compagini criminali che organizzano i viaggi della speranza o si «prendono cura» di lui nel luogo di destinazione. La criminalizzazione del migrante economico, dunque, appare in contrasto sia con il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost., che vieta ogni discriminazione fondata, tra l'altro, su condizioni personali e sociali, sia con la fondamentale garanzia costituzionale secondo cui si puo' essere puniti solo per fatti materiali (art. 25, secondo comma Cost.). La Corte costituzionale si e' gia' espressa in modo inequivoco sul punto, stabilendo nella sentenza n. 78 del 2007, in tema di applicabilita' delle misure alternative alla detenzione agli stranieri clandestini, che «il mancato possesso di un titolo abilitativo alla permanenza nel territorio dello Stato» costituisce «una condizione soggettiva» «che, di per se' non e' univocamente sintomatica ... di una particolare pericolosita' sociale...» dal che (oltre che da altri argomenti) consegue «l'impossibilita' di individuare nella esigenza di rispetto delle regole in materia di ingresso e soggiorno in detto territorio (nazionale, n. d.r.) una ragione giustificativa della radicale discriminazione dello straniero sul piano dell'accesso al percorso rieducativo, cui la concessione delle misure alternative e' funzionale». Tra l'altro la nuova fattispecie renderebbe sostanzialmente inapplicabile la citata sentenza della C. cost. e, dunque, inaccessibili le misure alternative alla detenzione a stranieri clandestini condannati a pene detentive, perche', sanzionando penalmente la clandestinita' dello straniero, essa collega a tale condizione un implicito, quanto ingiustificato e irrazionale, giudizio di pericolosita' sociale. che e' di per se' incompatibile - come ammesso dalla stessa C. cost. - «con il perseguimento di un percorso riabilitativo attraverso qualsiasi misura alternativa». Le conclusioni cui e' pervenuta la Corte cost. nella sentenza da ultimo citata costituiscono del resto la conferma di un percorso iniziato nel 1968, con la declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 708 c.p. (v. sent. n. 110), limitatamente alla parte in cui faceva riferimento alle condizioni personali di condannato per mendicita', di ammonito, di sottoposto a misura di sicurezza personale e a cauzione di buona condotta; proseguito nel 1971, con la sentenza n. 14, con cui veniva dichiarata la incostituzionalita' dell'art. 707 c.p., limitatamente alla parte in cui faceva riferimento alle stesse condizioni soggettive; ed infine sviluppato e portato a compimento con la sentenza n. 370 del 1996, con la quale veniva dichiarata' l'incostituzionalita' tout court del residuo art. 708 c.p., sottolineando l'irragionevolezza della limitazione delle condizioni soggettive punibili a una sola categoria di persone» individuata attraverso la riferibilita' di un fatto di per se' neutro (come il possesso di denaro o di oggetti di valore) ad un soggetto pregiudicato per alcune classi di precedenti penali. Non pare superfluo sottolineare, per meglio comprendere l'assimilazione delta condizione di migrante clandestino a quella dei soggetti nei cui confronti si riteneva giustificato il sospetto di pericolosita', che il codice albertino del 1839 ricomprendeva, tra gli altri, anche «gli stranieri clandestini». La nuova fattispecie appare, infine, in contrasto con l'art. 2 Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo e richiede l'adempimento del doveri inderogabili di solidarieta' politica, economica e sociale. «Gli squilibri e le forti tensioni che caratterizzano le societa' piu' avanzate producono condizioni di estrema emarginazione, si' che ... non si puo' non cogliere con preoccupata inquietudine l'affiorare di tendenze, o anche soltanto tentazioni, volte a nascondere la miseria e a considerare le persone in condizioni di poverta' come pericolose e colpevoli»... «Ma la coscienza sociale ha compiuto un ripensamento a fronte di comportamenti un tempo ritenuti pericolo incombente per una ordinata convivenza e la societa' civile - consapevole dell'insufficienza dell'azione dello Stato - ha attivato autonome risposte, come testimoniano le organizzazioni di volontariato che hanno tratto la loro ragion d'essere, e la loro regola, dal valore costituzionale della solidarieta'». Con queste parole lungimiranti, perfettamente applicabili anche ai nuovi poveri di oggi, gli stranieri migranti, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 519 del 1995, dichiaro' l'illegittimita' costituzionale del reato di mendicita' di cui all'art. 670 c.p., non potendosi ritenere in alcun modo necessitato il ricorso alla regola penale per sanzionare la mera mendicita' non invasiva che, risolvendosi un una semplice richiesta di aiuto, non poteva dirsi porre seriamente in pericolo i beni giuridici della tranquillita' pubblica e dell'ordine pubblico. Allo stesso modo lo spirito solidaristico di cui e' impregnata la Carta costituzionale dovrebbe impedire l'adozione di misure puramente repressive per risolvere il problema dell'immigrazione; lo straniero migrante non puo' essere considerato pericoloso per l'ordine o la tranquillita' pubblica e colpevole per il solo fatto di esistere; e il fenomeno dell'immigrazione di massa nei paesi c.d. industrializzati non puo' essere affrontato in via generale ed indiscriminata con lo strumento penale. La nuova fattispecie criminosa pregiudica indirettamente anche alcuni diritti inviolabili dell'uomo, quali in particolare, il diritto alla propria identita' personale e alla cittadinanza fin dal momento della nascita (diritto riconosciuto dall'art. 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo adottata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall'Italia con legge 27 maggio 1991 n. 76). L'art. 6 comma 2 decreto legislativo n. 286/1998, infatti, e' stato modificato dall'art. 1 comma 22 lett. g) della nuova legge nel senso di rendere obbligatoria l'esibizione agli uffici della pubblica amministrazione dei documenti inerenti al soggiorno anche per i provvedimenti inerenti agli atti di stato civile all'accesso a pubblici servizi, con esclusione delle sole prestazioni sanitarie di cui all'art. 35 d.lgs. n. 286/1998 e delle prestazioni scolastiche obbligatorie. E' evidente che, sanzionando penalmente anche la mera presenza clandestina, si mette lo straniero nell'impossibilita' di regolarizzare, anche sussistendone i presupposti, la propria posizione, cosi, per es., condannando il figlio di genitori stranieri irregolari ad essere privato della propria identita' e della cittadinanza ed esponendolo ad azioni volte a falsi riconoscimenti da parte di terzi, per fini illeciti e in violazione della legge sull'adozione. Lo stesso dicasi per il diritto all'istruzione superiore o per altri diritti connessi all'erogazione di servizi pubblici, anche a prescindere dall'obbligo, gravante ex art. 331 c.p.p., su tutti i pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio, di denunciare reati procedibili d'ufficio di cui siano venuti a conoscenza nell'esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio (che viene, peraltro, in gioco quando non esistano altre norme che impongono l'esibizione dei documenti di soggiorno). Conseguente all'introduzione della nuova fattispecie criminose eanche la specifica violazione del diritto del minore ad un sano sviluppo psicofisico posto a base del provvedimento del Tribunale per i minorenni, ex art. 31, comma 3 decreto legislativo n. 286/1998, di autorizzazione all'ingresso o alla permanenza in Italia del familiare del minore, per un periodo di tempo determinato, in deroga alle altre disposizioni del testo unico, quando cio' sia reso necessario da gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore che si trovi in territorio italiano, tenuto conto della sua eta' e delle sue condizioni di salute. Lo straniero presente irregolarmente in Italia non potra', evidentemente, inoltrare, alcuna richiesta l'autorizzazione al Tribunale per i minorenni, pena la sua denuncia e certa condanna per il reato in oggetto, stante la mancanza di una qualche clausola derogatoria e di un meccanismo di sospensione del procedimento penale, contestualmente alla presentazione dell'istanza e di successivo proscioglimento, in caso di concessione dell'autorizzazione» sulla falsariga di quanto previsto dall'art. 10-bis, comma 6 decreto legislativo cit. per le domande di protezione internazionale di cui al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251. La questione sollevata e' sicuramente rilevante nel caso di specie, l'imputato essendo chiamato a rispondere del reato ingresso/soggiorno illegale nel territorio dello Stato ai sensi dell'art. 10-bis decreto legislativo n. 286/1998 come introdotto dalla legge citata.
P.Q.M. Visti gli articoli 137 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1984, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 introdotto all'articolo 1, comma 16 della legge 15 luglio 2009, n. 94 con riferimento agli articoli 2, 3, 24 comma 2, 25 comma 2 e 97, comma 2, nonche' del principio della ragionevolezza; Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata al Presidenti delle due Camere del Parlamento. Alessandria, addi' 18 novembre 2009 Il Giudice di pace: Vercelli