N. 111 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 novembre 2009

Ordinanza del  18  novembre  2009  emessa  dal  Giudice  di  pace  di
Alessandria nel procedimento penale a carico di Baalane Mohamed. 
 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  - Configurazione della fattispecie  come  reato  -  Violazione  del
  principio di ragionevolezza sotto diversi profili -  Disparita'  di
  trattamento  rispetto  all'ipotesi  di  reato  piu'  grave  di  cui
  all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998  -  Violazione
  del  principio  di  uguaglianza  e  del  principio  di   necessaria
  offensivita' - Lesione dei diritti inviolabili, in particolare  del
  diritto alla propria identita'  personale  e  alla  cittadinanza  -
  Violazione del diritto del minore ad un sano sviluppo psicofisico. 
- Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art.  10-bis,  aggiunto
  dall'art. 1, comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 24, secondo comma, 25, secondo  comma,  e
  97, secondo comma. 
(GU n.16 del 21-4-2010 )
 
                         IL GIUDICE DI PACE 
 
    Nel procedimento penale in epigrafe a carico di  Baalane  Mohamed
nato il 24 aprile 1975 a Casablanca  (Marocco)  senza  fissa  dimora,
domiciliato presso lo  studio  dell'avv.  Maria  Grazia  Marcelli  in
Alessandria corso Crimea n. 57. 
    All'udienza del 18  novembre  2009  ha  pronunciato  la  seguente
ordinanza. 
    Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis, d.lgs.
n. 286/1998 come introdotto dall'art. 1, comma  16, legge  15  luglio
2009. 
    Ritenuto che: 
        l'art. 1, comma 16 della legge  15  luglio  2009,  n.  94  ha
introdotto, nel testo del d.lgs. n. 286/90, l'art. 10-bis,  il  quale
prevede la nuova  fattispecie  criminosa  dell'Ingresso  e  soggiorno
illegale nel territorio dello Stato», sanzionando  con  l'ammenda  da
5.000 a 10.000 euro «lo straniero che fa ingesso ovvero si  trattiene
nel territorio dello  Stato  in  violazione  delle  disposizioni  del
presente testo unico nonche' di quelle di cui all'art. 1 della  legge
28 maggio 2007, n. 68»: 
        tale reato, introdotto per la  prima  volta  nell'ordinamento
italiano dopo l'entrata in vigore  della  Costituzione  repubblicana,
appare in palese contrasto con alcuni fondamentali  principi  accolti
dalla  carta  costituzionale,  si  che  non  puo'  dirsi  palesemente
infondata la  questione  di  costituzionalita'  della  norma  che  lo
prevede sotto vari profili, di seguito illustrati; 
        tale norma appare,  anzitutto,  in  contrasto  con  l'art.  3
Cost.,  sotto   il   profilo   dell'irragionevolezza   della   scelta
legislativa di criminalizzare l'ingresso e la permanenza  clandestini
nello Stato italiano; 
        infatti, pur  riconoscendo  che  compete  al  legislatore  un
generale  potere  «di  regolare  la  materia  dell'immigrazione,   in
correlazione ai molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai
gravi problemi connessi a  flussi  migratori  incontrollati»  (v.  C.
cost.  sent.  n.  5/2004),  facendo   buon   uso   della   sfera   di
discrezionalita' sua propria, l'azione di tale organo  costituzionale
trova limiti insuperabili nell'osservanza dei  principi  fondamentali
del sistema penale stabiliti dalla Costituzione  e  nell'adozione  di
soluzioni orientate a canoni  di  ragionevolezza  e  di  razionalita'
finalistica; 
        la irragionevolezza  della  nuova  fattispecie  criminosa  e'
chiaramente evidenziata dalla carenza di  un  pur  minimo  fondamento
giustifiticativo;  la  penalizzazione  di   una   condotta   dovrebbe
intervenire, come extrema ratio, in tutti  i  casi  in  cui  non  sia
possibile individuare altri strumenti idonei al raggiungimento  dello
scopo.  Ora,   l'obiettivo   perseguito   dalla   nuova   fattispecie
incriminatrice  e'  costituito  dall'allontanamento  dello  straniero
irregolare dal territorio dello Stato. Esso e' chiaramente desumibile
dalle    svariate    previsioni,    accessorie    alla    fattispecie
incriminatrice,  aventi  ad  oggetto   proprio   l'espulsione   dello
straniero: tale misura e' infatti, prevista come sanzione sostitutiva
irrogabile dal giudice di pace ai sensi dell'art. 16 d.lgs. 286/1987,
appositamente modificato per  comprendervi,  tra  i  presupposti,  la
sentenza di condanna per  il  reato  di  cui  all'art.  10-bis  (cosi
alterando, anche con l'espressa  introduzione  dell'art.  62-bis,  il
sistema  sanzionatorio  disegnato  dal  d.lgs.   n.   274/2000,   che
prescriveva. all'art. 62, dopo la descrizione delle sanzioni  tipiche
di cui agli artt. 52 e ss., l'espresso divieto di applicazione  delle
altre misure  sostitutive  di  pene  detentive  brevi);  inoltre,  la
effettiva  espulsione   dello   straniero   in   via   amministrativa
costituisce causa di non procedibilita' dell'azione  penale,  il  che
rende  plasticamente  evidente   quale   sia   l'interesse   primario
perseguito dal legislatore; infine, non e' richiesto alcun nulla osta
dell'Autorita' giudiziaria per l'esecuzione  dell'espulsione  in  via
amministrativa, al chiaro scopo di non creare intralci alla  predetta
operazione. Orbene,  l'evidente  finalita'  della  nuova  fattispecie
incriminatrice,  strumentale   all'allontanamento   dello   straniero
irregolare dal  territorio  dello  Stato,  ne  sottolinea  l'assoluta
inutilita' e, dunque,  la  mancanza  di  una  ratio  giustificatrice,
perche' lo stesso obiettivo  era  perfettamente  raggiungibile  prima
dell'introduzione della nuova figura di  reato,  mediante  l'adozione
dell'espulsione coattiva in via amministrativa ai sensi dell'art. 13,
comma 4, d.lgs. n. 286/1998. Ne' la nuova  norma  modifica  in  alcun
modo i presupposti  necessari  per  l'espulsione,  perche'  anche  la
misura  sostitutiva  eventualmente  disposta  dal  giudice  di  pace,
eseguibile con le modalita' di cui all'art. 13 comma 4,  puo'  essere
adottata soltanto quando non ricorrano  la  cause  ostative  indicate
nell'art. 14, comma 1; e le difficolta' di  carattere  amministrativo
ed  organizzativo  che  fino  ad  oggi  hanno  ostacolato  la   piena
applicazione dell'espulsione manu militari non  verranno  certo  meno
con l'introduzione della nuova figura di reato.  Dunque  l'ambito  di
applicazione  della  nuova  fattispecie  coincide  perfettamente  con
quello della preesistente misura amministrativa dell'espulsione,  sia
sotto il  profilo  dei  soggetti  destinatari  (stranieri  entrati  o
trattenuti irregolarmente nel  territorio  dello  Stato),  sia  sotto
quello della ratio giustificativa. Il che significa  che  c'era  gia'
nell'ordinamento  italiano   uno   strumento   ritenuto   idoneo   al
raggiungimento dello scopo (tanto che esso non e'  stato  oggetto  di
alcuna modifica normativa) e l'adozione dello strumento penale  resta
priva di ogni giustificazione. 
        la irragionevolezza  della  nuova  fattispecie  penale emerge
anche sotto il profilo sanzionatorio, considerato nel suo  complesso,
comprensivo, quindi, non solo della  pena  dell'ammenda  da  5.000  a
10.000 euro, ma anche del divieto di applicazione del beneficio della
sospensione condizionale della pena (conseguente alla  individuazione
della competenza in capo al giudice di pace, secondo quanto  disposto
dalla lettera s bis) dell'art. 4,  comma  2  decreto  legislativo  n.
274/2000, introdotta dall'art. 1 comma 17 lett. a) della nuova legge)
e della facolta' concessa al giudice di pace di  sostituire  la  pena
pecuniaria con una sanzione piu' grave, quale quella  dell'espulsione
dallo Stato per un periodo non inferiore a cinque anni (unico caso di
misura sostitutiva piu' grave della sanzione  principale  sostituita,
nessuno potendo dubitare della maggiore afflittivita' dell'espulsione
rispetto alla mera ammenda, sia pure non oblazionabile, tenuto  anche
conto della conseguenze penali  della  violazione  del  provvedimento
dell'autorita'   giudiziaria).   Tale   regolamentazione,    infatti.
introduce una palese ed irragionevole disparita' di  trattamento  tra
soggetti ugualmente destinatari della predetta sanzione  sostitutiva.
Da un lato, essa potra' essere comminata a soggetti condannati, anche
con sentenza ex art. 444 c.p.p., per un reato  non  colposo,  ad  una
pena detentiva non superiore a due anni e sempre che non ricorrano le
condizioni per ordinare la sospensione  condizionale  della  pena  ex
art.  163  c.p.  (come  previsto  dall'originario  art.  16   decreto
legislativo n. 286/1998, non modificato sul punto);  dall'altro  lato
essa potra' colpire soggetti condannati alla sola pena pecuniaria, ex
art. 10-bis decreto legislativo n.  286/1998,  quindi  per  un  reato
certamente  meno  grave  di   quelli   che,   soli,   originariamente
giustificavano l'adozione della misura sostitutiva in oggetto,  senza
alcuna  possibilita',  per  il  giudice,  di  renderla  concretamente
inefficace mediante la concessione del  beneficio  della  sospensione
condizionale della pena. Del resto e'  prevedibile  che  la  sanzione
sostitutiva in questione sara'  la  pena  generalmente  adottata  dal
giudice di pace, laddove non  ricorrano  le  cause  ostative  di  cui
all'art.  14,  comma  1  stante  l'assoluta  carenza   di   efficacia
deterrente dell'ammenda prevista. La pena da 5.000 a 10.000  euro  di
ammenda, infatti, pur dichiarata espressamente non  oblazionabile  ex
art. 162 c.p. (con l'evidente obiettivo di dare concreta effettivita'
alla sanzione prescritta)  appare,  ad  ogni  persona  di  buonsenso,
assolutamente  priva  di  un  benche'  minimo   effetto   deterrente:
anzitutto, perche' chi e' spinto ad emigrare da  condizioni  di  vita
insostenibili, per sfuggire alle quali e' disposto a sfidare la morte
affrontando  i  c.d.  viaggi  della  speranza,   non   potra'   certo
indietreggiare di fronte al rischio di una mera sanzione  pecuniaria,
per quanto elevata e non oblazionabile; ma anche perche' lo straniero
clandestino, prevedibilmente, non avra' mai,  in  concreto,  i  mezzi
economici per pagare la somma a cui  sara'  condannato  dal  giudice,
rendendo inutile anche ogni tentativo di esecuzione coattiva;  mentre
la conversione della pena pecuniaria,  ad  opera  del  magistrato  di
sorveglianza ex art. 660 c.p.p., nelle misure del lavoro  sostitutivo
o dell'obbligo di  permanenza  domiciliare,  ai  sensi  dell'art.  55
decreto legislativo n. 274/2000 (prevista per i  casi  di  insolvenza
nei reati di competenza del giudice  di  pace)  appare  difficilmente
attuabile, anche a prescindere dal contrasto sul piano logico, con la
nuova  figura  criminosa  (paradossalmente  il  clandestino   sarebbe
chiamato a svolgere,  sia  pure  a  titolo  gratuito,  un  lavoro  di
pubblica  utilita'),  per  la  concreta  difficolta'   dell'immigrato
clandestino a reperire un domicilio stabile; 
    L'art. 3 Cost. appare violato sotto un altro  specifico  profilo,
concernente la irragionevole disparita' di trattamento tra  la  nuova
fattispecie  e  quella  di  cui  all'art.  14,  comma  5-ter  decreto
legislativo n. 286/1998, che prevede la punibilita'  dello  straniero
inottemperante all'ordine di allontanamento del Questore solo  quando
lo stesso si trattenga nel territorio dello Stato  oltre  il  termine
stabilito e «senza giustificato motivo». Due condizioni  che  non  si
ritrovano nella nuova figura criminosa, cosicche' e' sufficiente, per
es., il venir meno, per un qualche motivo, del permesso di  soggiorno
perche' sia immediatamente e automaticamente integrata una ipotesi di
trattenimento illecito, senza alcuna possibilita', per l'interessato,
di addurre una qualche giustificazione o di usufruire di  un  termine
per  potersi  allontanare.  Senza  contare  che,  in   virtu'   della
attribuzione della competenza a conoscere della nuova fattispecie  al
giudice di pace,  risulta  disegnato  un  sottosistema  sanzionatorio
addirittura piu'  gravoso  di  quello  previsto  per  il  piu'  grave
delitto, non essendo possibili ne' la concessione  della  sospensione
condizionale, ne' una riduzione di pena conseguente  all'adozione  di
un rito alternativo  (per  l'espresso  divieto  di  applicazione  dei
predetti istituti al rito davanti al giudice di pace ex artt. 2 e  60
decreto legislativo n. 74/2000). Ma, al di la'  della  irrazionale  e
ingiustificata disparita'  di  trattamento  tra  !e  due  fattispecie
criminose, entrambe tese a colpire la  stessa  situazione  soggettiva
(lo straniero ab origine o divenuto clandestino), e' da rilevare come
le stesse siano irrimediabilmente  contrastanti  tra  loro,  sia  sul
piano logico che su quello pragmatico: tutti i presupposti  richiesti
per l'emanazione del provvedimento del Questore (decreto  prefettizio
di  espulsione,  impossibilita'  di  dare  esecuzione  all'espulsione
coattiva, impossibilita' di trattenere lo  straniero  negli  appositi
Centri di  permanenza  o  inutile  decorso  del  termine  massimo  di
permanenza in tali strutture), infatti, in tanto avevano  ragione  di
esistere in quanto non  era  previsto  un  reato  di  immigrazione  o
soggiorno clandestini e la sanzione penale era  correlata  alla  sola
violazione dell'ordine questorile di allontanamento. Ora che e' stata
introdotta la nuova figura dell'ingresso e del soggiorno illegale,  a
prescindere dall'esistenza di giustificati motivi, lo straniero viene
immediatamente  sanzionato  senza  il  ricorso  di  alcuno  di   quei
presupposti richiesti per l'integrazione del reato di cui all'art. 14
comma 5-ter. Dunque potrebbe darsi  il  caso  di  un  soggetto,  gia'
condannato per il reato di ingresso o trattenimento clandestino  che,
non espulso manu militari, ma  intimato  di  lasciare  il  territorio
dello Stato, possa ivi legittimamente trattenersi perche' sorretto da
un «giustificato motivo»: con un  evidente  ed  insanabile  contrasto
nella posizione di uno Stato che, da un lato,  punisce  lo  straniero
non solo ab origine, ma anche divenuto clandestino e, dall'altro,  lo
autorizza a trattenersi perche' munito di un giustificato motivo. 
    Va per altro richiamata, al riguardo, la sentenza della C.  cost.
n. 5/2004, che ha salvato la  costituzionalita'  dell'art.  14  comma
5-ter  decreto  legislativo  n.  286/1998  proprio  grazie   ad   una
interpretazione costituzionalmente orientata  della  clausola  «senza
giustificato  motivo»,  considerata,  al   pari   di   altre   simili
rinvenibili  nell'ordinamento,  una  «valvola   di   sicurezza»   del
meccanismo repressivo, atta ad evitare «che la sanzione penale scatti
allorche' - anche al di fuori della presenza di vere e proprie  cause
di giustificazione - l'osservanza del precetto  appaia  concretamente
inesigibile» per i piu' svariati motivi, ma comunque riconducibili «a
situazioni ostative di  particolare  pregnanza,  che  incidano  sulla
stessa  possibilita',   soggettiva   od   oggettiva,   di   adempiere
all'intimazione,  escludendola  ovvero  rendendola   difficoltosa   o
pericolosa», come le situazioni  di  cui  all'art.  14  comma  1,  la
«condizione di assoluta impossidenza dello  straniero»,  il  «mancato
rilascio da parte della competente autorita' diplomatica o consolare,
dei  documenti  necessari,  pure  sollecitamente   e   diligentemente
richiesti». Dunque il nuovo reato  di  immigrazione  clandestina  non
appare conforme alla Costituzione (e dovra',  quindi  soccombere  nel
contrasto evidenziato) proprio perche' punisce indiscriminatamente ed
automaticamente  tutti  i  soggetti   irregolarmente   presenti   nel
territorio dello Stato, senza tenere conto  dell'eventuale  esistenza
di situazioni legittimanti tale presenza. 
    Il nuovo art. 10-bis  decreto  legislativo  n.  286/1998  appare,
ancora, in contrasto con l'art. 3 Cost. nonche' con l'art. 25 comma 2
Cost., avuto riguardo alla configurazione di una  fattispecie  penale
discriminatoria, perche' fondata su particolari condizioni  personali
e sociali, anziche'  su  fatti  e  comportamenti  riconducibili  alla
volonta' del soggetto attivo; 
        infatti,  cio'  che  la  nuova   fattispecie   incriminatrice
sanziona e' solo apparentemente una condotta (l'azione  dell'ingresso
e l'omissione del mancato allontanamento), in realta' in  se'  e  per
se' del tutto neutra agli effetti penalistici, mentre il vero oggetto
della incriminazione e' la mera condizione personale dello straniero,
costituita dal mancato possesso di un titolo abilitativo all'ingresso
e alla successiva permanenza nel territorio dello Stato, che e', poi,
la condizione tipica del migrante  economico  e,  dunque,  anche  una
condizione sociale, cioe' propria di una categoria  di  persone.  Una
situazione in realta' priva di una qualche significativita'  sono  il
profilo della pericolosita' sociale (perche' l'ingresso e la presenza
illegali nel territorio statale non costituiscono di  per  se  stessi
fatti lesivi di un qualche bene meritevole di tutela penale: si  veda
infra la  sentenza  n.  78/07  della  Corte  costituzionale)  e,  tra
l'altro, difficilmente riconducibile ad  una  condotta  volontaria  e
consapevole dello straniero migrante, essendo  costui  costretto,  di
regola, a fuggire dal proprio stato di appartenenza  per  ragioni  di
sopravvivenza e a subire la sottrazione  dei  propri  documenti  (ove
esistenti) da parte  delle  compagini  criminali  che  organizzano  i
viaggi della speranza o si  «prendono  cura»  di  lui  nel  luogo  di
destinazione. La criminalizzazione del  migrante  economico,  dunque,
appare in contrasto sia  con  il  principio  di  uguaglianza  sancito
dall'art. 3  Cost.,  che  vieta  ogni  discriminazione  fondata,  tra
l'altro, su condizioni personali e sociali, sia con  la  fondamentale
garanzia costituzionale secondo cui si puo' essere  puniti  solo  per
fatti materiali (art. 25, secondo comma Cost.). 
    La Corte costituzionale si e' gia' espressa  in  modo  inequivoco
sul punto, stabilendo nella sentenza n.  78  del  2007,  in  tema  di
applicabilita'  delle  misure  alternative   alla   detenzione   agli
stranieri  clandestini,  che  «il  mancato  possesso  di  un   titolo
abilitativo alla permanenza nel territorio dello  Stato»  costituisce
«una condizione soggettiva» «che,  di  per se'  non  e'  univocamente
sintomatica ... di una particolare pericolosita' sociale...» dal  che
(oltre  che  da  altri  argomenti)  consegue   «l'impossibilita'   di
individuare nella esigenza di rispetto delle  regole  in  materia  di
ingresso e soggiorno in detto territorio  (nazionale,  n.  d.r.)  una
ragione giustificativa della radicale discriminazione dello straniero
sul piano dell'accesso al percorso rieducativo,  cui  la  concessione
delle  misure  alternative  e'  funzionale».  Tra  l'altro  la  nuova
fattispecie  renderebbe  sostanzialmente  inapplicabile   la   citata
sentenza  della  C.  cost.  e,  dunque,   inaccessibili   le   misure
alternative alla detenzione a stranieri clandestini condannati a pene
detentive, perche', sanzionando penalmente  la  clandestinita'  dello
straniero, essa  collega  a  tale  condizione  un  implicito,  quanto
ingiustificato e irrazionale, giudizio di pericolosita' sociale.  che
e' di per se' incompatibile - come ammesso dalla stessa  C.  cost.  -
«con  il  perseguimento  di  un  percorso  riabilitativo   attraverso
qualsiasi misura alternativa». 
    Le conclusioni cui e' pervenuta la Corte cost. nella sentenza  da
ultimo citata costituiscono del resto  la  conferma  di  un  percorso
iniziato  nel  1968,  con  la  declaratoria  di   incostituzionalita'
dell'art. 708 c.p. (v. sent. n. 110), limitatamente alla parte in cui
faceva  riferimento  alle  condizioni  personali  di  condannato  per
mendicita',  di  ammonito,  di  sottoposto  a  misura  di   sicurezza
personale e a cauzione di buona condotta; proseguito nel 1971, con la
sentenza n. 14, con  cui  veniva  dichiarata  la  incostituzionalita'
dell'art.  707  c.p.,  limitatamente  alla  parte   in   cui   faceva
riferimento alle stesse condizioni soggettive; ed infine sviluppato e
portato a compimento con la sentenza n. 370 del 1996,  con  la  quale
veniva dichiarata' l'incostituzionalita' tout court del residuo  art.
708 c.p., sottolineando l'irragionevolezza  della  limitazione  delle
condizioni soggettive punibili  a  una  sola  categoria  di  persone»
individuata attraverso la riferibilita' di un fatto di per se' neutro
(come il possesso di denaro o di oggetti di valore)  ad  un  soggetto
pregiudicato  per  alcune  classi  di  precedenti  penali.  Non  pare
superfluo sottolineare, per meglio comprendere l'assimilazione  delta
condizione di migrante clandestino a  quella  dei  soggetti  nei  cui
confronti si riteneva giustificato il sospetto di pericolosita',  che
il codice albertino del 1839 ricomprendeva, tra gli altri, anche «gli
stranieri clandestini». 
    La nuova fattispecie appare, infine, in contrasto  con  l'art.  2
Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili  dell'uomo  e
richiede  l'adempimento  del  doveri  inderogabili  di   solidarieta'
politica, economica e sociale. «Gli squilibri e le forti tensioni che
caratterizzano le societa'  piu'  avanzate  producono  condizioni  di
estrema emarginazione, si' che ...  non  si  puo'  non  cogliere  con
preoccupata inquietudine l'affiorare di tendenze,  o  anche  soltanto
tentazioni, volte a nascondere la miseria e a considerare le  persone
in condizioni di poverta' come  pericolose  e  colpevoli»...  «Ma  la
coscienza  sociale  ha  compiuto  un   ripensamento   a   fronte   di
comportamenti un tempo ritenuti pericolo incombente per una  ordinata
convivenza e la  societa'  civile  -  consapevole  dell'insufficienza
dell'azione  dello  Stato  -  ha  attivato  autonome  risposte,  come
testimoniano le organizzazioni di volontariato che  hanno  tratto  la
loro ragion d'essere, e la loro  regola,  dal  valore  costituzionale
della solidarieta'». Con queste  parole  lungimiranti,  perfettamente
applicabili anche ai nuovi poveri di oggi, gli stranieri migranti, la
Corte costituzionale, con la sentenza  n.  519  del  1995,  dichiaro'
l'illegittimita'  costituzionale  del  reato  di  mendicita'  di  cui
all'art. 670 c.p., non potendosi ritenere in alcun  modo  necessitato
il ricorso alla regola penale per sanzionare la mera  mendicita'  non
invasiva che, risolvendosi un una semplice richiesta  di  aiuto,  non
poteva dirsi porre seriamente in  pericolo  i  beni  giuridici  della
tranquillita' pubblica e dell'ordine pubblico. Allo  stesso  modo  lo
spirito solidaristico di cui e' impregnata  la  Carta  costituzionale
dovrebbe impedire  l'adozione  di  misure  puramente  repressive  per
risolvere il problema dell'immigrazione; lo  straniero  migrante  non
puo' essere considerato pericoloso per l'ordine  o  la  tranquillita'
pubblica e colpevole per il solo fatto di  esistere;  e  il  fenomeno
dell'immigrazione di massa nei paesi c.d. industrializzati  non  puo'
essere affrontato in via generale ed indiscriminata con lo  strumento
penale. 
    La nuova fattispecie criminosa  pregiudica  indirettamente  anche
alcuni  diritti  inviolabili  dell'uomo,  quali  in  particolare,  il
diritto alla propria identita' personale e alla cittadinanza fin  dal
momento  della  nascita  (diritto  riconosciuto  dall'art.  7   della
Convenzione sui diritti del fanciullo  adottata  a  New  York  il  20
novembre 1989 e ratificata dall'Italia con legge 27  maggio  1991  n.
76). L'art. 6 comma 2 decreto legislativo n.  286/1998,  infatti,  e'
stato modificato dall'art. 1 comma 22 lett. g) della nuova legge  nel
senso di rendere obbligatoria l'esibizione agli uffici della pubblica
amministrazione dei documenti  inerenti  al  soggiorno  anche  per  i
provvedimenti inerenti  agli  atti  di  stato  civile  all'accesso  a
pubblici servizi, con esclusione delle sole prestazioni sanitarie  di
cui all'art. 35 d.lgs. n. 286/1998 e  delle  prestazioni  scolastiche
obbligatorie. E' evidente che, sanzionando penalmente anche  la  mera
presenza clandestina, si mette lo  straniero  nell'impossibilita'  di
regolarizzare,  anche  sussistendone  i   presupposti,   la   propria
posizione, cosi, per es., condannando il figlio di genitori stranieri
irregolari  ad  essere  privato  della  propria  identita'  e   della
cittadinanza ed esponendolo ad azioni volte a falsi riconoscimenti da
parte di terzi,  per  fini  illeciti  e  in  violazione  della  legge
sull'adozione.  Lo  stesso  dicasi  per  il  diritto   all'istruzione
superiore o per altri  diritti  connessi  all'erogazione  di  servizi
pubblici, anche a prescindere  dall'obbligo,  gravante  ex  art.  331
c.p.p., su tutti  i  pubblici  ufficiali  e  incaricati  di  pubblico
servizio, di denunciare  reati  procedibili  d'ufficio  di cui  siano
venuti a conoscenza nell'esercizio o a causa delle  loro  funzioni  o
del loro servizio (che viene, peraltro, in gioco quando non  esistano
altre norme che impongono l'esibizione dei documenti di soggiorno). 
    Conseguente all'introduzione della  nuova  fattispecie  criminose
eanche la specifica violazione del diritto  del  minore  ad  un  sano
sviluppo psicofisico posto a base del provvedimento del Tribunale per
i minorenni, ex art. 31, comma 3 decreto legislativo n. 286/1998,  di
autorizzazione all'ingresso o alla permanenza in Italia del familiare
del minore, per un periodo di tempo determinato, in deroga alle altre
disposizioni del testo unico, quando  cio'  sia  reso  necessario  da
gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore  che  si
trovi in territorio italiano, tenuto conto della sua eta' e delle sue
condizioni di salute. Lo straniero presente irregolarmente in  Italia
non    potra',    evidentemente,    inoltrare,    alcuna    richiesta
l'autorizzazione al Tribunale per i minorenni, pena la sua denuncia e
certa condanna per il reato in oggetto, stante  la  mancanza  di  una
qualche clausola derogatoria e di un meccanismo  di  sospensione  del
procedimento penale, contestualmente alla presentazione  dell'istanza
e   di   successivo   proscioglimento,   in   caso   di   concessione
dell'autorizzazione» sulla falsariga  di  quanto  previsto  dall'art.
10-bis, comma 6 decreto legislativo cit. per le domande di protezione
internazionale di cui al decreto legislativo  19  novembre  2007,  n.
251. 
    La questione sollevata  e'  sicuramente  rilevante  nel  caso  di
specie,  l'imputato  essendo  chiamato   a   rispondere   del   reato
ingresso/soggiorno illegale  nel  territorio  dello  Stato  ai  sensi
dell'art. 10-bis decreto  legislativo  n.  286/1998  come  introdotto
dalla legge citata. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti  gli  articoli  137  della  Costituzione,  1  della   legge
costituzionale 9 febbraio 1984, n. 1 e 23 della legge 11 marzo  1953,
n. 87, ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 introdotto all'articolo  1,  comma
16 della legge 15 luglio 2009, n. 94 con riferimento agli articoli 2,
3, 24 comma 2, 25 comma 2 e 97, comma 2, nonche' del principio  della
ragionevolezza; 
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale e sospende il giudizio in corso. 
    Ordina che a cura della cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e  comunicata  al
Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
        Alessandria, addi' 18 novembre 2009 
 
                    Il Giudice di pace: Vercelli