N. 126 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 novembre 2009

Ordinanza del 28 novembre 2009 emessa dal Tribunale di  Cagliari  sul
reclamo proposto da G.F. contro S.F.. 
 
Separazione personale  dei  coniugi  -  Procedimento  di  separazione
  giudiziale -  Ordinanze  del  giudice  istruttore  che  revocano  o
  modificano  i  provvedimenti  temporanei  e  urgenti   emessi   dal
  presidente del tribunale nell'interesse della prole e  dei  coniugi
  ai sensi  dell'art.  708,  terzo  comma,  c.p.c.  -  Reclamabilita'
  davanti  al  tribunale  in  composizione   collegiale   -   Mancata
  previsione   -   Irragionevole   differenziazione    rispetto    ai
  provvedimenti  presidenziali   assunti   nella   prima   fase   del
  procedimento, soggetti a reclamo  camerale  in  corte  d'appello  -
  Violazione del principio di eguaglianza e del diritto di  difesa  -
  Compressione del principio del giusto processo  (sotto  il  profilo
  della piena terzieta' ed imparzialita' dell'organo decidente). 
- Codice di procedura civile, art. 709 (quarto comma). 
- Costituzione, artt. 3, 24 e 111, primo e secondo comma. 
(GU n.18 del 5-5-2010 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa iscritta  al  n.
3256 del ruolo generale degli affari contenziosi  civili  per  l'anno
2009, promossa da  G.F.,  (elettivamente  domiciliato  in  Capoterra,
presso lo studio dell'Avvocato Katia  Marras  che  lo  rappresenta  e
difende per procura speciale  a  margine  del  ricorso  introduttivo,
ricorrente contro S.F. elettivamente domiciliata in Cagliari,  presso
lo studio dell'Avvocato Alessandra Puggioni,  che  la  rappresenta  e
difende  per  procura  speciale   a   margine   della   comparsa   di
costituzione,  resistente,  e  con  la  partecipazione  del  Pubblico
ministero, in persona del Procuratore della Repubblica presso  questo
Tribunale, intervenuto per legge. 
 
                           I n  f a t t o 
 
    Con ricorso depositato  il  4  aprile  2009  F.G.  ha  presentato
reclamo davanti a questo Tribunale avverso  l'ordinanza  del  giudice
istruttore pronunciata il 17 marzo 2009 nell'ambito del  procedimento
di separazione giudiziale pendente  tra  l'odierno  ricorrente  e  la
moglie  F.S.,  con  la  quale,  in   accoglimento   dell'istanza   di
quest'ultima: 
        era stato aumentato l'importo dell'assegno stabilito, in  via
temporanea ed urgente, a suo carico dal Presidente del  Tribunale,  a
titolo di contributo nel mantenimento dei figli minori e della moglie
ed ordinato il versamento diretto agli aventi diritto  da  parte  del
datore di lavoro del ricorrente; 
        erano state,  inoltre,  richieste  informazioni  al  Servizio
Sociale del comune di V.S.P. in ordine  al  rapporto  tra  le  figlie
minori S.  e  L.G.  ed  il  padre,  con  particolare  riferimento  ad
eventuali condotte pregiudizievoli  poste  in  essere  dal  genitore,
quali l'abuso di sostanze stupefacenti e la  frequentazione  notturna
di locali. 
    A fondamento  del  reclamo  il  G.  ha  dedotto  l'iniquita'  del
provvedimento  impugnato  sia  sotto   il   profilo   della   mancata
valutazione  da  parte  del   giudice   istruttore   delle   condotte
pregiudizievoli poste in essere  nei  confronti  delle  minori  dalla
madre F.G., quali segnalate dal ricorrente in sede di memorie ex art.
183, VI comma n.  2  c.p.c.,  sia,  con  riferimento  alle  questioni
economiche, per avere  il  giudice  istruttore  erroneamente  stimato
nell'importo mensile di euro 1.923,42 euro il reddito  del  G.,  pari
invece all'importo di euro1.203,82. 
    F.G.  ha  quindi  domandato  che  il  Collegio,  in  riforma  del
provvedimento impugnato, disponesse accertamenti presso  il  Servizio
sociale del comune di P. in ordine al rapporto tra le figlie minori e
la madre, e revocasse l'importo di euro 750,00 posto a carico del  G.
a titolo di contributo nel mantenimento del coniuge e  delle  figlie,
nonche' l'ordine di versamento diretto da  parte  della  societa'  R.
S.p.a. 
    Si e' costituita in giudizio F.G. la quale ha eccepito, in  rito,
l'inammissibilita' del ricorso e, nel merito, la sua infondatezza. 
 
                         I n  d i r i t t o 
 
    Questo collegio e' chiamato a decidere sul reclamo proposto,  con
riferimento all'art. 669-terdecies, avverso l'ordinanza  con  cui  il
giudice istruttore, nel corso del  procedimento  di  separazione  tra
F.G. e F.S., ha  accolto  l'istanza  di  modifica  dei  provvedimenti
temporanei ed urgenti assunti dal presidente ai sensi del terzo comma
dell'articolo 708 c.p.c formulata dalla S. 
    Deve  rilevarsi,  anzitutto,  che  nell'ambito  del  giudizio  di
separazione, disciplinato dagli artt.  706  e  seguenti  c.p.c.,  non
esiste alcuna disposizione  che  espressamente  consenta  il  reclamo
delle ordinanze di revoca o  modifica  dei  cosiddetti  provvedimenti
presidenziali, adottate dal giudice istruttore, poiche'  l'art.  709,
comma quarto, c.p.c., laddove dispone che «i provvedimenti temporanei
ed urgenti assunti dal presidente del tribunale  con  l'ordinanza  di
cui al terzo  comma  dell'articolo  708  possono  essere  revocati  o
modificati dal giudice istruttore», non  contiene  alcun  riferimento
alla assoggettabilita' a gravame di quei provvedimenti. 
    Ne', ad avviso di questo Tribunale, e' dato rinvenire nel sistema
alcuna norma che consenta di ritenere aperta la  strada  del  reclamo
contro  i  suddetti  provvedimenti  del  giudice  istruttore  tramite
un'interpretazione estensiva o analogica.  Essi  rimangono  pertanto,
allo stato, suscettibili di riforma  esclusivamente  ad  opera  dello
stesso giudice istruttore che li aveva  originariamente  pronunciati,
ai sensi dell'art. 177 c.p.c. 
    Deve, in particolare, ritenersi che il principio di  tipicita'  e
tassativita' dei  mezzi  di  impugnazione  impedisca  il  ricorso  al
reclamo  previsto  dall'art.  669-terdecies  c.p.c.  nell'ambito  del
procedimento cautelare uniforme di cui al capo III,  sezione  I,  del
libro quarto del codice di procedura civile. 
    La soluzione negativa circa  la  proponibilita'  del  rimedio  in
questione  discende  dalla  natura  del  provvedimento  del   giudice
istruttore, alla luce della complessiva articolazione del giudizio di
separazione. 
    Il Collegio ritiene, invero, che i  provvedimenti  provvisori  di
separazione  non  rivestano  carattere  cautelare.  In  essi  non  si
rinviene, anzitutto, il requisito,  tipico  di  quella  materia,  del
periculum in mora, quale e' connotato dal necessario collegamento con
la posizione di  una  delle  parti  del  giudizio.  Nel  processo  di
separazione le parti sono poste, a priori, su un piano di parita', in
quanto i provvedimenti provvisori  non  tutelano  il  ricorrente  ma,
indipendentemente dall'iniziativa processuale, il coniuge che  verra'
ritenuto, all'esito di una  prima  delibazione,  economicamente  piu'
debole, e la prole; cosicche' si ritiene manchi la finalita'  propria
dei  provvedimenti  cautelari,  che  si  fonda  sulla  necessita'  di
salvaguardare, ad iniziativa dei singolo interessato, il diritto  che
viene prospettato come  a  rischio  di  lesione,  in  funzione  della
effettivita' della  tutela  giurisdizionale  propria  della  fase  di
merito. 
    E' pur vero che anche i provvedimenti previsti  nel  procedimento
di separazione sono volti ad evitare gli inconvenienti  insiti  nella
durata del processo; ma l'urgenza e'  presupposta  in  astratto,  una
volta  per  tutte,  dal  legislatore.  Si  prescinde,  cioe',   dallo
specifico accertamento che nei provvedimenti stricto sensu  cautelari
si rende, invece, di volta in volta necessario, in quanto questi sono
chiamati a neutralizzare un pericolo  eventuale  di  tardivita',  odi
pratica infruttuosita', della tutela giurisdizionale. 
    Se i provvedimenti cautelari sono finalizzati ad  assicurare  gli
effetti  della  successiva  tutela   di   merito,   anticipandoli   o
garantendone il risultato, cosi' da  porsi  in  funzione  strumentale
rispetto alle sorti del giudizio di merito,  i  provvedimenti  emessi
dal presidente o dal giudice istruttore nel giudizio  di  separazione
non sono, per  contro,  preordinati  alla  cautela  conservativa  del
risultato finale del processo, ne' si pongono in  finzione  meramente
anticipatoria di una futura soddisfazione dei diritti tutelati.  Essi
rispondono, invece, alla finalita' di stabilire  un  regime  attuale,
congruo e pertinente rispetto  alle  esigenze  delle  parti  e  della
prole, attraverso una regolamentazione immediata  dei  rapporti,  che
soddisfi i bisogni essenziali delle  persone  coinvolte;  e  cio'  in
attesa della  pronuncia  sulla  separazione  giudiziale,  di  cui  il
provvedimento provvisorio non costituisce anticipazione. 
    Rispetto  a  tale  conclusione,  non  appare  decisivo  in  senso
contrario  il   rilievo   dell'attenuazione   del   carattere   della
strumentalita'  dei  provvedimenti  cautelari,  quale  deriva   dalla
riforma introdotta  con  il  decreto-legge  14  marzo  2005,  n.  35,
convertito, con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005, n. 80, che
ha  reso  facoltativa  l'introduzione  del  giudizio  di  merito  con
riguardo ad alcune misure cautelari, rendendole ultrattive. E neppure
decisivo appare  l'argomento,  prospettato  in  correlazione  con  il
precedente, che richiama la regola della persistente efficacia, anche
dopo l'estinzione del processo, ai sensi  dell'art.  189  disp.  att.
c.p.c, dell'ordinanza con  cui  il  presidente  del  tribunale  o  il
giudice istruttore danno i provvedimenti  di  cui  all'art.  708:  si
tratta di aspetti i quali, ad avviso di questo giudice, non mutano la
natura dei provvedimenti provvisori, che si e' cercato  di  porre  in
evidenza. 
    Deve rilevarsi, al riguardo, che la domanda cautelare puo' essere
ultrattiva solo in quanto idonea  ad  anticipare  gli  effetti  della
(ipotetica) decisione di merito, come previsto dall'art.  669-octies,
comma  sesto,  c.p.c.  (giacche'  la  pronuncia  ottenuta,  in   sede
cautelare, in senso corrispondente alla tutela del diritto richiesto,
puo' far venir meno  l'interesse  ad  ottenere  una  nuova  decisione
meramente confermativa); mentre il provvedimento  del  presidente,  o
quello  del   giudice   istruttore,   non   hanno   alcuna   funzione
anticipatoria degli effetti della domanda relativa al regolamento dei
rapporti relativi ai figli e  di  quelli  economici:  essi  hanno  la
diversa funzione di regolare provvisoriamente  quei  rapporti  -  per
cosi' dire - in tempo reale, momento per momento, eventualmente anche
per il tempo successivo alla estinzione del processo, trattandosi  di
rapporti i quali non tollerano mai, per loro natura,  alcun  ritardo,
ne' alcuna soluzione di continuita', nella loro  disciplina  e  nella
soddisfazione delle esigenze loro proprie. In particolare, le ragioni
che stanno alla  base  del  carattere  ultrattivo  dei  provvedimenti
provvisori si collegano alla  necessita',  del  tutto  peculiare,  di
evitare che l'estinzione del procedimento possa far  venire  meno,  a
discapito  del  coniuge  piu'  debole,  la  regolamentazione  di  una
separazione che diventa di  mero  fatto.  La  finalita'  e',  dunque,
quella di non  privare  la  famiglia  di  una  disciplina,  sia  pure
tendenzialmente provvisoria, dei rapporti, qualora per vicende  delle
parti o del processo si sia verificata l'estinzione del  giudizio;  e
non l'altra di surrogare in via definitiva la sentenza di merito. 
    I provvedimenti del giudice istruttore,  cosi'  come  quelli  del
presidente del tribunale, presentano, dunque, un carattere  meramente
sommario,  essendo  emanati  nel  corso  del  giudizio  ordinario  di
cognizione, e sono  destinati  ad  essere  assorbiti  nella  sentenza
definitiva  di  merito.  Ne'  e'  significativa  in  senso  contrario
l'attribuzione ad essi della qualifica di cautelari, che si  rinviene
in alcune rare sentenze della Corte  di  cassazione  (v.  sentenze  5
giugno 1990, n. 5384;  12  aprile  1994,  n.  3415),  trattandosi  di
definizione  usata  in  contesti  nei  quali   si   prescinde   dalla
considerazione ex professo del  problema  relativo  alla  natura  dei
provvedimenti oggi in questione. 
      
    Il rapporto tra questi provvedimenti e la sentenza  definitiva  -
diversamente che per le misure cautelari - non si  pone,  quindi,  in
termini di conferma, revoca o riforma, perche' la sentenza definitiva
ha la  diversa  funzione  di  mettere  fine  al  regime  provvisorio,
instaurandone uno diverso (anche quando rende definitive le  medesime
soluzioni adottate in sede provvisoria). 
    Non appare, d'altronde, applicabile alle  ordinanze  del  giudice
istruttore,  nell'attuale  situazione  normativa,  alcun   mezzo   di
impugnativa alternativo al reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. 
    Appare,  al  riguardo,  necessario  operare  un  breve   excursus
sull'evoluzione normativa della disciplina di cui agli  artt.  708  e
709  c.p.c.  in  tema  di  rapporti  tra  ordinanza  presidenziale  e
provvedimenti di revoca o modifica del giudice istruttore. 
    La formulazione originaria dell'art. 708 c.p.c.  non  contemplava
alcun mezzo di reclamo avverso le ordinanze presidenziali  recanti  i
provvedimenti temporanei ed  urgenti  nell'interesse  dei  coniugi  e
della prole. 
    L'articolo di legge si chiudeva infatti, al quarto comma, con  la
seguente previsione: «Se si verificano mutamenti  nelle  circostanze,
l'ordinanza del presidente puo'  essere  revocata  o  modificata  dal
giudice istruttore a norma dell'art. 177». 
    La scelta del legislatore era, dunque, inequivocabilmente diretta
ad  escludere  ogni  mezzo   di   impugnativa   sia   nei   confronti
dell'ordinanza presidenziale, che nei confronti di quella del giudice
istruttore  di  modifica  o   revoca   della   prima:   provvedimenti
considerati  entrambi,  dalla  giurisprudenza  dominante,  di  natura
sommaria ed ordinatoria, e non cautelare. 
    Con il decreto-legge  14  marzo  2005,  n.  35,  convertito,  con
modificazioni, nella legge 14 maggio 2005, n. 80, e' stata trasferita
all'ultimo  comma  dell'art.  7199  c.p.c.  la   disposizione   prima
collocata all'ultimo comma dell'art. 708  c.p.c.,  il  cui  testo  e'
stato in parte modificato («I  provvedimenti  temporanei  ed  urgenti
assunti  dal  presidente  con  l'ordinanza  di  cui  al  terzo  comma
dell'art. 708  possono  essere  revocati  o  modificati  dal  giudice
istruttore») con l'eliminazione del riferimento ai  «mutamenti  nelle
circostanze»  che,  in  precedenza,   costituivano   il   presupposto
legittimante la revoca o la modifica dell'ordinanza presidenziale. 
    Con la legge 8 febbraio 2006, n. 54, e' stato infine  coniato  un
nuovo ultimo comma dell'art. 708 c.p.c., con cui e' stato  introdotto
innovativamente   l'istituto   del   reclamo   avverso    l'ordinanza
presidenziale, da proporsi davanti alla Corte d'appello, nel  termine
di dieci giorni dalla notificazione del provvedimento; mentre  l'art.
709, ultimo comma, c.p.c. e' rimasto immutato. 
    Cio' che non era consentito prima della promulgazione ed  entrata
in vigore della legge n. 54/2006 (il reclamo avverso i  provvedimenti
del giudice istruttore) e'  rimasto  dunque  normativamente  precluso
anche  successivamente,  essendo  stato  limitato  lo  strumento  del
reclamo alla sola ordinanza pronunciata dal presidente del  Tribunale
nella prima fase del giudizio di separazione. 
    Deve, piu' in  generale,  ancor  oggi  escludersi  che  le  parti
possano provocare  il  controllo  giurisdizionale  dei  provvedimenti
istruttori davanti ad un'autorita'  giudiziaria  diversa,  qualora  i
provvedimenti temporanei e urgenti nell'interesse della prole  e  dei
coniugi siano stati dati per la  prima  volta,  ovvero  modificati  o
revocati, da parte del giudice istruttore nella fase del giudizio  di
separazione successiva a quella c.d. «presidenziale». 
    Si  sottolinea  come  la  via  del  reclamo  davanti  alla  Corte
d'appello, previsto dall'art. 708,  quarto  comma,  c.p.c.,  non  sia
praticabile  neppure  per   analogia,   essendo   esso   un   rimedio
tutt'affatto  singolare,  predisposto  ad  hoc   per   le   ordinanze
pronunciate dal presidente del tribunale, con lo scopo di evitare che
il giudice del riesame, ove individuato  nel  collegio  dello  stesso
tribunale, potesse essere indebitamente  condizionato,  in  una  sede
formale  di  «gravame»,  dall'autorevolezza  e  dalla  posizione   di
preminenza (almeno sotto il profilo organizzativo  dell'ufficio)  del
giudice di prima istanza. 
    Ed   infatti   costituisce   «diritto   vivente»,   secondo    la
giurisprudenza  maggioritaria  fino  ad  oggi  espressa  dalle  Corti
d'appello - che questo giudice condivide - la regola secondo  cui  il
suddetto reclamo, ove  proposto  avverso  le  ordinanze  del  giudice
istruttore,  debba  essere  dichiarato  inammissibile,   o   comunque
estraneo alla sfera di competenza del giudice d'appello  (si  vedano:
Corte d'appello di Genova,  10  novembre  2006;  Corte  d'appello  di
Catania, 14 novembre 2007; Corte d'appello di Bari, 22 agosto 2007). 
    L'ostacolo interpretativo, ritenuto - a ragione  -  insuperabile,
e'  stato  in  particolare  individuato  nel  principio  generale  di
tipicita' e tassativita' dei mezzi di impugnazione, che esclude  ogni
forma di interpretazione analogica o estensiva del  singolo  istituto
processuale, pur in  presenza  di  una  comunanza  di  natura  tra  i
provvedimenti presidenziali e quelli del giudice istruttore. 
    Ne' sarebbe conferente, ai fini qui in esame,  il  richiamo  alla
norma di cui all'art. 709-ter c.p.c., nella  parte  in  cui  prevede,
all'ultimo comma,  che  «i  provvedimenti  assunti  dal  giudice  del
procedimento sono impugnabili nei modi  ordinari».  Invero,  l'organo
giudicante cui fa palesemente riferimento tale norma e' il  tribunale
in composizione collegiale, quale giudice naturale delle controversie
in materia di famiglia; ed i mezzi di gravame ordinari, citati  nella
norma  (avente  sul  punto  carattere  meramente  ricognitivo),  sono
pertanto quelli conseguenti alla pronuncia con  sentenza,  conclusiva
del  procedimento  in  corso,  ovvero  con  decreto,   in   caso   di
procedimento instaurato ai  sensi  dell'art.  710  c.p.c  (e  dunque,
rispettivamente, l'appello ai sensi dell'art.  324  c.p.c  ovvero  il
reclamo di cui all'art. 739 c.p.c.). 
    Quando sia invece il  giudice  istruttore  ad  adottare,  in  via
provvisoria, i provvedimenti  di  cui  all'art.  709-ter  citato,  si
ritiene che  cio'  avvenga  nell'esercizio  del  generale  potere  di
modifica dei provvedimenti di cui  all'art.  709  c.p.c.,  come  tali
evidentemente non impugnabili «nei modi ordinari». 
    Ad  avviso  di  questo  Tribunale,  deve  infine  escludersi   la
reclamabilita' dei provvedimenti  del  giudice  istruttore  ai  sensi
dell'art. 739 c.p.c., essendo essi estranei alla  previsione  di  cui
all'art. 742-bis c.p.c., in quanto pronunciati nel corso delle  cause
di separazione: per ormai unanime interpretazione  giurisprudenziale,
invero, le ordinanze in questione devono considerarsi emesse in  sede
di giurisdizione contenziosa e non volontaria. 
    Alla stregua della disamina che precede, non appare ipotizzabile,
ad avviso di questo Tribunale,  alcuna  interpretazione  dell'attuale
dettato normativo che consenta di affermare  la  possibilita'  di  un
riesame dei provvedimenti del giudice istruttore davanti ad un organo
«terzo», come accade invece per  quelli  pronunciati  dal  presidente
nella prima fase del giudizio di separazione. 
    Appare dunque  sussistente  una  lacuna  normativa,  che  nessuna
soluzione  ermeneutica  puo'  colmare,  la  quale  sembra  porsi   in
contrasto,  secondo  l'opinione  del  remittente,  con  il  principio
costituzionale di uguaglianza, con quello del diritto alla  difesa  e
con il principio di cui all'art. 111 della Costituzione.  Non  vi  e'
alcuno spazio per una  interpretazione  costituzionalmente  orientata
del dettato normativo, che apra la strada al reclamo delle  ordinanze
del giudice istruttore pronunciate ai sensi dell'art. 709 c.p.c. 
    Appare, per quanto fin qui esposto, non manifestamente  infondata
la  questione  di  legittimita'  costituzionale  relativa  alla   non
reclamabilita', davanti al tribunale in composizione collegiale,  dei
provvedimenti provvisori del giudice istruttore; e la  lacuna  sembra
potersi colmare, solo ed unicamente,  mediante  un  intervento  della
Corte costituzionale che renda applicabile ai quei  provvedimenti  il
rimedio del reclamo al  tribunale  in  composizione  collegiale,  con
strumento analogo (non quanto ai presupposti ma quanto  agli  aspetti
procedurali), a quello di cui di cui all'art. 669-terdecies c.p.c. 
    La   questione   di   costituzionalita'   viene   sollevata,   in
particolare, con riguardo all'art. 709, ultimo comma,  c.p.c.,  nella
parte in cui esso non prevede la reclamabilita' dinanzi al  tribunale
in composizione collegiale delle  ordinanze  del  giudice  istruttore
pronunziate ai sensi del citato articolo. 
    L'omessa previsione del rimedio del reclamo appare irragionevole,
innanzitutto, alla luce del principio di cui  all'art.  3  Cost.,  in
rapporto all'esistenza, invece, di uno specifico rimedio impugnatorio
nei confronti di un  provvedimento  avente  natura  analoga  rispetto
all'ordinanza del  giudice  istruttore:  l'art.  708,  quarto  comma,
c.p.c.  consente,  infatti,  il  reclamo  dell'ordinanza  emessa  dal
presidente  del  tribunale  nella  prima   fase   del   giudizio   di
separazione, cosi' riconoscendo, esclusivamente in relazione ad essa,
la   possibilita'   del   controllo   davanti   ad    altro    organo
giurisdizionale. 
    Va sottolineato, sotto il profilo in esame,  come  le  situazioni
che sono oggetto del differente trattamento normativo appaiano  della
medesima natura, non sussistendo differenza alcuna tra la  condizione
di chi subisca, sul piano personale e/o patrimoniale, gli effetti dei
provvedimenti temporanei ed urgenti  pronunciati  con  ordinanza  del
presidente del tribunale, e quella di chi debba sopportare un analogo
provvedimento, assunto come lesivo dei  propri  diritti,  emesso  nel
prosieguo dello stesso giudizio dal giudice istruttore  (in  ipotesi,
dopo un brevissimo lasso di tempo, e rispetto a circostanze  talvolta
pienamente  sovrapponibili,  o  che  si  differenziano  soltanto  per
aspetti marginali). 
    Ne' tale  trattamento  sperequato  puo'  dirsi  compensato  dalla
previsione dell'art. 177 c.p.c.,  che  consente  la  revocabilita'  e
modificabilita' delle ordinanze da parte dello stesso organo  che  le
abbia pronunciate, restando  comunque  esclusa  la  possibilita'  del
riesame da parte di un altro  giudice,  in  posizione  di  terzieta'.
Sembra, invero, evidente che i rimedi della reclamabilita' davanti ad
altro giudice e  della  riproponibilita'  dell'istanza  davanti  allo
stesso giudice operano su piani diversi, si'  che  la  disponibilita'
del secondo non vale certamente a surrogare la funzione  di  garanzia
propria del primo. 
    La rilevata violazione  del  principio  di  uguaglianza,  per  il
trattamento irragionevolmente differenziato di  situazioni  analoghe,
si accompagna nel caso in esame, ad avviso di  questo  giudice,  alla
violazione del diritto di cui all'art. 24 della Costituzione, essendo
irragionevolmente esclusa, per le ordinanze del  giudice  istruttore,
la ricorribilita' ad uno strumento di difesa (il reclamo  dinanzi  al
collegio) di analoga valenza garantistica rispetto a quello ritenuto,
dallo stesso legislatore, necessario con riguardo  ad  un'altra  fase
dello stesso procedimento. 
    Sembra   a   questo   giudice   remittente   altresi'    violato,
limitatamente ad una soltanto delle due  situazioni  considerate,  il
paradigma costituzionale del  giusto  processo  di  cui  all'art.  I,
secondo comma  della  Costituzione,  che  impone  al  legislatore  di
regolamentare ogni procedimento  giurisdizionale  in  modo  che  esso
possa svolgersi davanti ad un giudice terzo ed  imparziale:  solo  la
possibilita' di adire un giudice diverso da quello del  provvedimento
contestato assicurerebbe,  sull'istanza  di  revoca  o  modifica  dei
provvedimenti  del  giudice  istruttore,  la   piena   terzieta'   ed
imparzialita' dell'organo decidente. 
    Conclusivamente, deve, come anticipato, sollevarsi, in quanto non
manifestamente infondata, questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 709 c.p.c. (in relazione agli artt. 3, 24  e  111,  secondo
comma, Cost.), nella parte  in  cui  non  consente  di  sottoporre  a
reclamo,  davanti  al  tribunale  in  composizione   collegiale,   le
ordinanze del giudice istruttore pronunciate in materia di  revoca  o
modifica  dei  provvedimenti  temporanei  ed   urgenti   emessi   dal
presidente del tribunale nell'interesse della prole e dei coniugi. 
    L'intervento  della  Corte  costituzionale  non  appare  precluso
dall'attuale inutilizzabilita', che si e' sopra cercato di  porre  in
evidenza, del rimedio tipico di cui all'art. 669-terdecies ai fini in
questione. L'ordinamento  non  limita,  invero,  all'odierno  reclamo
cautelare l'ambito dei mezzi di riesame: esso gia'  ammette,  invero;
altri  strumenti  di  garanzia,  all'interno  del   medesimo   grado,
differenti da quello del reclamo contro  i  provvedimenti  cautelari:
tale e', pur con le sue peculiarita', l'attuale reclamo ex  art.  178
c.p.c. contro la pronuncia di  estinzione  del  procedimento.  Sembra
dunque potersi ipotizzare un intervento della Corte, per effetto  del
quale l'ambito dei rimedi collegiali sia ulteriormente ampliato. 
    La prospettata questione di  legittimita'  costituzionale  appare
altresi', all'evidenza, rilevante, giacche'  solo  una  pronuncia  di
illegittimita'  della  norma  denunciata  consentirebbe  l'esame  nel
merito del  reclamo  proposto  avverso  l'ordinanza  pronunciata  dal
giudice istruttore nel  corso  del  presente  giudizio,  evitando  un
giudizio di inammissibilita';  ne'  puo'  incidere  sul  giudizio  di
rilevanza  il  fatto   che   il   ricorso   sia   stato   qualificato
dall'interessato quale reclamo ex art. 669-terdecies, essendo  chiara
la volonta' di ottenere comunque, al di la del nome juris utilizzato,
un riesame da parte di un giudice diverso da quello che  ha  adottato
il provvedimento. 
    Il   presente   procedimento,   non   potendo   essere   definito
indipendentemente dalla  risoluzione  della  segnalata  questione  di
legittimita' costituzionale, deve essere sospeso. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87: 
        1)  solleva,  in  quanto  rilevante  e   non   manifestamente
infondata, in relazione agli artt. 3,  24  e  111,  primo  e  secondo
comma, della Costituzione, la questione di legittimita' dell'articolo
109 c.p.c, nella parte in cui non consente di  sottoporre  a  reclamo
davanti al Tribunale, in composizione collegiale,  le  ordinanze  del
giudice istruttore materia di revoca  o  modifica  dei  provvedimenti
temporanei  ed  urgenti   emessi   dal   presidente   del   tribunale
nell'interesse della prole e dei  coniugi  ai  sensi  dell'art.  708,
terzo comma, c.p.c.; 
        2)  ordina  la  sospensione  del  presente  procedimento  per
pregiudizialita' costituzionale; 
        3) ordina l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale in Roma; 
        4) ordina la notificazione del  presente  provvedimento  alla
Presidenza del Consiglio dei ministri ed alle parti di causa; 
        5)  ordina  la  comunicazione  della  presente  ordinanza  ai
Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; 
        6) manda alla cancelleria per gli adempimenti. 
 
                       Il Presidente: Pisotti 
 
 
                                          Il giudice relatore: Cugusi