N. 135 ORDINANZA 12 - 15 aprile 2010

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Usi civici - Procedimento amministrativo  per  l'espropriazione,  per
  opere militari, di terreni ubicati  nel  territorio  della  Regione
  autonoma della Sardegna e assoggettati al regime giuridico dei beni
  demaniali - Acquisizione del parere non vincolante della Regione  -
  Mancata  previsione  -  Denunciata  violazione  dei   principi   di
  ragionevolezza e di buon andamento della pubblica amministrazione -
  Difetto di rilevanza - Manifesta inammissibilita' della questione. 
- Legge 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 74 e 75. 
- Costituzione, artt. 3 e 97; legge costituzionale 26 febbraio  1948,
  n. 3, artt. 3 e 6. 
(GU n.16 del 21-4-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe   TESAURO,   Paolo   Maria
  NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 74 e 75 della
legge 25 giugno 1865, n. 2359 (Espropriazioni per causa  di  utilita'
pubblica), promosso dal Commissario  regionale  per  gli  usi  civici
della Regione autonoma della Sardegna, nel procedimento vertente  tra
il Comune di Teulada e  il  Ministero  della  difesa  ed  altra,  con
ordinanza del  10  marzo  2009,  iscritta  al  n.  147  del  registro
ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 21, prima serie speciale, dell'anno 2009. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  della  Regione  autonoma   della
Sardegna nonche' l'atto di intervento del  Presidente  del  Consiglio
dei ministri; 
    Udito nell'udienza  pubblica  del  12  gennaio  2010  il  Giudice
relatore Paolo Grossi; 
    Uditi gli avvocati Alessandra  Camba  e  Sandra  Trincas  per  la
Regione autonoma della Sardegna e l'avvocato dello Stato  Danilo  Del
Gaizo per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 10  marzo  2009,  il  Commissario
regionale per gli usi civici della Sardegna ha  sollevato  d'ufficio,
in riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione  nonche'  agli
articoli 3 e 6 della legge costituzionale  26  febbraio  1948,  n.  3
(Statuto  speciale  per  la  Sardegna),  questione  di   legittimita'
costituzionale degli artt. 74 e 75 della legge  25  giugno  1865,  n.
2359 (Espropriazioni per causa di utilita' pubblica), nella parte  in
cui,    disciplinando    il    procedimento    amministrativo     per
l'espropriazione  di  terreni  per   opere   militari,   «del   tutto
irrazionalmente e in dispregio del principio di buon andamento  della
pubblica  amministrazione»,  non  prevedono  che  l'organo   statale,
titolare del potere di espropriazione, debba, prima di  adottare  gli
atti finali,  acquisire  il  parere  non  vincolante  della  Regione,
nell'ipotesi in cui i terreni medesimi siano ubicati  nel  territorio
della Regione autonoma della Sardegna e siano  altresi'  assoggettati
al regime giuridico dei beni demaniali, di cui agli articoli 11 e  12
della legge 16 giugno 1927, n. 1766  (Conversione  in  legge  del  R.
decreto 22 maggio 1924, n. 751, riguardante  il  riordinamento  degli
usi civici nel Regno, del R. decreto 28 agosto  1924,  n.  1484,  che
modifica l'art. 26 del R. decreto 22 maggio 1924, n. 751,  e  del  R.
decreto 16 maggio 1926, n.  895,  che  proroga  i  termini  assegnati
dall'art. 2 del R. decreto-legge 22 maggio 1924, n. 751): 
        che, in base all'ordinanza, il  giudizio  principale  risulta
instaurato con ricorso del Comune  di  Teulada  contro  il  Ministero
della difesa e la Regione autonoma della Sardegna per  l'accertamento
e la dichiarazione della «attuale appartenenza al demanio civico»  di
alcuni terreni «ricompresi nella sua circoscrizione», gia'  assegnati
- con decreto del Commissario per gli usi civici del 4 dicembre 1939,
n. 255, ai sensi degli artt. 9 e 12 del r.d.l. n. 751 del 1924 - alla
categoria  A  (bosco  e   pascolo   permanente)   e   successivamente
assoggettati, negli anni 1957 e 1958,  ad  espropriazione  per  opere
militari, ma la cui originaria natura non  sarebbe  «in  realta'  mai
venuta meno» a causa dell'illegittimita'  di  questa  espropriazione,
«attuata senza la, a suo  parere  necessaria,  previa  autorizzazione
della Regione autonoma della Sardegna»; 
        che il giudice rimettente adduce, in punto di rilevanza,  tra
le ulteriori circostanze  del  suo  giudizio,  che:  a)  l'originaria
natura demaniale dei terreni non appare, nella  specie,  discutibile,
non risultando che il richiamato decreto di assegnazione a  categoria
sia mai stato impugnato nelle sedi competenti; b)  all'espropriazione
non  risultano  sopraggiunte  altre  cause  di  «sdemanializzazione»,
compresa quella  che  sarebbe  tacitamente  derivata  dalla  concreta
realizzazione delle opere militari, di cui non  e'  stata,  peraltro,
fornita prova; c) «la modifica della natura della originaria qualitas
soli delle terre demaniali» in questione  deriverebbe  esclusivamente
dagli atti di esproprio, i quali, «qualora la sollevata questione  di
legittimita'  costituzionale   fosse   accolta,   dovrebbero   essere
considerati affetti dal vizio di violazione di legge [...]  e  quindi
potrebbero   essere   disapplicati   da   questo   Commissario    con
consequenziale accoglimento delle domande avanzate dal Comune e dalla
Regione, che, altrimenti,  rebus  sic  stantibus,  dovrebbero  essere
senz'altro rigettate»; 
        che, quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  il  giudice
rimettente muove dal rilievo che «la sdemanializzazione  delle  terre
civiche» - «effetto necessario ed ineluttabile» dell'espropriazione -
comporta che, «nel relativo procedimento amministrativo,  l'Autorita'
espropriante sia chiamata a ponderare l'interesse  pubblico,  sotteso
alla realizzazione delle opere militari, con quello opposto, di  pari
rango pubblicistico, alla conservazione del  regime  giuridico  delle
terre stesse»; 
        che, poiche' «titolare e gestrice» di quest'ultimo  interesse
e' la Regione autonoma della Sardegna (in quanto «dotata di  potesta'
legislativa ed amministrativa esclusiva in materia di  usi  civici  -
artt. 3 e 6 della l. cost. 28 febbraio 1948,  n.  3  -,  nonche'  del
potere di autorizzare il mutamento  della  destinazione  delle  terre
civiche medesime nell'ambito delle  procedure  di  sdemanializzazione
per atto volontario della pubblica amministrazione - art. 12 della l.
n. 1766 del 1927 -»), non appare ammissibile,  «nell'attuale  assetto
costituzionale»,   anche   in   base   al   «principio    di    buona
amministrazione»,  che   essa   venga   totalmente   estromessa   dal
procedimento di espropriazione; 
        che, d'altra parte, questa  partecipazione  al  procedimento,
non potendo «attuarsi in forme che subordinino al consenso  dell'ente
territoriale la realizzazione delle opere per la difesa militare» (in
ossequio al principio, di cui all'art. 3, primo comma, dello  statuto
speciale, secondo cui «la potesta' legislativa e amministrativa della
Regione deve attuarsi in armonia con la Costituzione e  nel  rispetto
degli interessi nazionali»), non potrebbe «che trovare attuazione con
la previsione dell'obbligo, in capo all'Amministrazione  statale,  di
acquisire dalla Regione medesima un parere non  vincolante,  a  mezzo
del quale vengano rappresentate le esigenze di tutela e cura dei beni
ad essa affidati,  cosi'  da  poter  infine  prendere,  con  adeguata
consapevolezza  degli  interessi   in   gioco,   le   sue   decisioni
definitive»; 
        che si e' costituita in giudizio la  Regione  autonoma  della
Sardegna,   per   chiedere   una   declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale delle disposizioni denunciate; 
        che, premesso che la Regione e' titolare, in base al  proprio
statuto speciale, di potesta' legislativa ed amministrativa esclusiva
in materia di usi civici nonche', ex art. 12 della legge n. 1766  del
1927,  del  potere  autorizzatorio  in  materia   di   mutamento   di
destinazione delle terre civiche, la difesa  regionale  sostiene  che
«l'eventuale espropriazione per pubblica utilita'  dei  beni  di  uso
civico deve essere preceduta da una  valutazione  comparativa»  degli
interessi coinvolti, i quali, nel caso di specie, riguardano,  da  un
lato, la difesa nazionale e, dall'altro, la conservazione delle terre
di uso civico nonche' la salvaguardia dell'ambiente e del paesaggio; 
        che   detto   «contemperamento   degli   interessi    sottesi
all'utilizzo dei beni di uso civico  deve  avvenire  nell'ambito  del
procedimento di autorizzazione previsto dalla l. n. 1766/1927»,  vale
a dire con il coinvolgimento delle  popolazioni  interessate  nonche'
della Regione «quale ente esponenziale della collettivita' generale»; 
        che le  norme  denunciate  sarebbero  in  contrasto  con  gli
articoli 3 e 97 della Costituzione - e violerebbero, a  fronte  delle
evocate norme dello statuto, «sia  il  principio  di  buon  andamento
della pubblica amministrazione che quello della leale collaborazione»
- proprio perche', «nel disciplinare il  procedimento  amministrativo
per l'espropriazione di terreni per opere militari, non prevedono che
l'organo statale investito  della  domanda  di  espropriazione  debba
acquisire,  prima  dell'adozione  dell'atto  definitivo,  il   parere
obbligatorio, ancorche' non vincolante, della Regione» («nel caso  in
cui i terreni oggetto di  espropriazione  per  opere  militari  siano
ubicati nel territorio della stessa Regione e siano  assoggettati  al
regime giuridico dei beni demaniali, di cui agli artt. 11 e 12  della
l. 16 giugno 1927, n. 1766»); 
        che e' intervenuto in giudizio il  Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, per chiedere che la questione venga dichiarata inammissibile o
infondata; 
        che la questione sarebbe inammissibile «perche' irrilevante»,
atteso che il Comune e la Regione «vorrebbero mettere in  discussione
atti amministrativi di espropriazione adottati negli anni  Cinquanta,
attraverso una sorta di azione di accertamento di illegittimita'  (si
badi, non di inesistenza)» (prodromica, peraltro, ad  una  «pronuncia
di disapplicazione») che risulta «del tutto sconosciuta  nel  sistema
della tutela giurisdizionale»; 
        che l'espropriazione in danno del Comune di  Teulada  avrebbe
determinato «la definitiva acquisizione  dei  terreni  in  capo  allo
Stato» e che i  titolari  di  diritti  sui  medesimi  «(tra  cui,  in
ipotesi, la Regione Sardegna) avrebbero potuto e dovuto far valere la
loro pretesa sull'indennita', non  essendo  loro  consentito  opporsi
all'esproprio»; 
        che,  d'altra  parte,  la  questione  sarebbe,  nel   merito,
infondata,  dal  momento  che  le  norme  denunciate  attribuirebbero
all'Amministrazione  della  difesa  -  come  riconosciuto  anche  dal
Consiglio di Stato - «discrezionalita'  piena  in  materia  di  opere
militari, lasciando all'autorita' militare la piu' ampia liberta'  di
valutazione», in relazione «alla  natura  ineludibile  ed  essenziale
dell'interesse  alla  difesa  militare  dello   Stato   e   del   suo
territorio», da perseguire «anche con il sacrificio o compressione di
altri coesistenti interessi, pur rilevanti, della collettivita' e del
singolo» (cosi'  ex  art.  117,  secondo  comma,  lettera  d),  della
Costituzione); 
        che, sulla base del disposto degli attuali articoli  5,  114,
primo comma, 117, secondo comma, lettera d),  e  sesto  comma,  della
Costituzione, «la difesa dello Stato e' interesse  nazionale  perche'
riguarda l'intero Stato  quale  soggetto  considerato  unitariamente,
nell'ambito  di  questa  materia  e  nella  sua  preminente  pienezza
rispetto agli Enti che lo compongono»  e  che,  pertanto,  «l'istanza
unitaria relativa alla difesa  dello  Stato  puo'  ben  giustificare,
nell'ottica  del  canone  costituzionale  della  ragionevolezza,   la
soccombenza dell'interesse regionale», essendo  la  Regione  comunque
tenuta  a   conformarsi   «ai   principi   supremi   dell'ordinamento
costituzionale»; 
        che, peraltro, nel procedimento  di  espropriazione  svoltosi
nella specie sarebbero state eseguite attivita' «che hanno  implicato
verifiche e apprezzamenti tali da consentire di tener conto di  tutti
gli interessi pubblici connessi» senza che il Comune di Teulada abbia
«opposto alcuna obiezione», avendo  anzi  accettato  l'indennita'  di
esproprio; 
        che, in prossimita' dell'udienza, la Regione  autonoma  della
Sardegna ha presentato una memoria con la quale,  nel  fare  pieno  e
integrale riferimento al proprio atto di costituzione in giudizio, ha
conclusivamente  insistito   nella   richiesta   di   una   pronuncia
caducatoria; 
        che, in replica all'eccezione dell'Avvocatura concernente una
«presunta "azione di  accertamento  di  illegittimita'"»  di  cui  al
giudizio principale, la difesa regionale ha osservato che  in  quanto
titolare, come il giudice civile, del «potere di conoscere incidenter
tantum dell'atto amministrativo» nonche' del  potere,  e  dovere,  di
disapplicarlo ove «lesivo del diritto soggettivo» del quale e'  stata
chiesta tutela, il  giudice  rimettente  ha  dovuto  «incidentalmente
esaminare l'atto amministrativo  di  esproprio  del  Ministero  della
difesa e, rilevato che le norme poste a  fondamento  della  procedura
espropriativa contrastano» con i parametri costituzionali evocati, ha
sollevato la questione «al fine di  poter  procedere,  all'esito  del
pronunciamento, all'eventuale disapplicazione» dell'atto medesimo; 
        che,  peraltro,  «la  mancata  ponderazione  degli  interessi
coinvolti   nella   vicenda   si   riverbera   sulla   illegittimita'
(illiceita') dei provvedimenti ablatori incidentali  che,  una  volta
disapplicati per violazione di legge, non saranno piu' idonei  a  far
venir meno l'uso civico esistente sui terreni oggetto di causa» e «la
prospettata occupazione acquisitiva» dei medesimi «contrasta  con  la
considerazione  delle  ben  note  connotazioni  di  indisponibilita',
imprescrittibilita' ed inusucapibilita'», «sacrificabili  solo  nelle
ipotesi ed alle condizioni previste dalla legge». 
    Considerato che, questa Corte e' chiamata  a  pronunciarsi  sulla
questione di legittimita' costituzionale degli articoli 74 e 75 della
legge 25 giugno 1865, n. 2359 (Espropriazioni per causa  di  utilita'
pubblica), sollevata d'ufficio, in riferimento agli articoli 3  e  97
della  Costituzione  nonche'  agli  articoli  3  e  6   della   legge
costituzionale 26 febbraio  1948,  n.  3  (Statuto  speciale  per  la
Sardegna),  dal  Commissario  regionale  per  gli  usi  civici  della
Sardegna, nella parte  in  cui,  disciplinando  il  procedimento  per
l'espropriazione  di  terreni  per   opere   militari,   «del   tutto
irrazionalmente e in dispregio del principio di buon andamento  della
pubblica  amministrazione»,  non  prevedono  che  l'organo   statale,
titolare del potere di espropriazione, debba, prima di  adottare  gli
atti finali,  acquisire  il  parere  non  vincolante  della  Regione,
nell'ipotesi in cui i terreni medesimi siano ubicati  nel  territorio
della Regione autonoma della Sardegna e siano  altresi'  assoggettati
al regime dei beni demaniali, di cui agli  articoli  11  e  12  della
legge 16 giugno 1927, n. 1766 (Conversione in legge del R. decreto 22
maggio 1924, n. 751, riguardante il riordinamento  degli  usi  civici
nel Regno, del R. decreto 28  agosto  1924,  n.  1484,  che  modifica
l'art. 26 del R. decreto 22 maggio 1924, n. 751, e del R. decreto  16
maggio 1926, n. 895, che proroga i termini assegnati dall'art. 2  del
R. decreto-legge 22 maggio 1924, n. 751); 
        che il giudice rimettente osserva, in punto di rilevanza, che
la   domanda   proposta   nel   giudizio   principale    -    diretta
all'accertamento della «attuale appartenenza al  demanio  civico»  di
alcuni  terreni  assoggettati,   negli   anni   1957   e   1958,   ad
espropriazione  per  opere  militari  e  asseritamente  fondata   sul
presupposto dell'illegittimita' di questa espropriazione,  in  quanto
attuata senza l'autorizzazione, considerata necessaria, della Regione
autonoma della  Sardegna  -  potrebbe  essere  accolta  solo  qualora
venisse dichiarata l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni
denunciate, che consentisse di considerare gli atti ablativi «affetti
dal vizio di  violazione  di  legge»,  risultando,  in  quanto  tali,
disapplicabili dal rimettente; 
        che, quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  il  giudice
rimettente muove dal rilievo secondo cui «la sdemanializzazione delle
terre    civiche»    («effetto    necessario     ed     ineluttabile»
dell'espropriazione)  comporta  che,   «nel   relativo   procedimento
amministrativo, l'Autorita' espropriante  sia  chiamata  a  ponderare
l'interesse  pubblico,  sotteso  alla   realizzazione   delle   opere
militari, con quello  opposto,  di  pari  rango  pubblicistico,  alla
conservazione del regime giuridico delle terre  stesse»,  di  cui  e'
titolare la Regione autonoma della Sardegna  (in  quanto  «dotata  di
potesta' legislativa ed amministrativa esclusiva in  materia  di  usi
civici - artt. 3 e 6 della l. cost. 28 febbraio 1948, n. 3 -, nonche'
del potere di autorizzare il mutamento della destinazione delle terre
civiche medesime nell'ambito delle  procedure  di  sdemanializzazione
per atto volontario della pubblica amministrazione - art. 12 della l.
n. 1766 del 1927 -»); 
        che su questa premessa il rimettente osserva che  l'opportuna
partecipazione della Regione al procedimento espropriativo possa solo
«trovare  attuazione  con  la  previsione   dell'obbligo,   in   capo
all'Amministrazione statale, di acquisire dalla Regione  medesima  un
parere non vincolante, a mezzo del  quale  vengano  rappresentate  le
esigenze di tutela e cura dei beni ad essa affidati»; 
        che la Regione  autonoma  della  Sardegna,  costituendosi  in
giudizio per chiedere una pronuncia  caducatoria,  ha  osservato  che
«l'eventuale espropriazione per pubblica utilita'  dei  beni  di  uso
civico deve essere preceduta da una  valutazione  comparativa»  degli
interessi coinvolti (da un lato, la difesa nazionale  e,  dall'altro,
la conservazione delle terre di uso civico  nonche'  la  salvaguardia
dell'ambiente e del paesaggio) e  che  detto  «contemperamento  degli
interessi sottesi all'utilizzo dei beni di uso civico  deve  avvenire
nell'ambito del procedimento di autorizzazione previsto dalla  l.  n.
1766/1927», vale a  dire  con  il  coinvolgimento  delle  popolazioni
interessate nonche' della  Regione  «quale  ente  esponenziale  della
collettivita'  generale»  (peraltro  titolare,  in  base  al  proprio
statuto speciale, di potesta' legislativa ed amministrativa esclusiva
in materia di usi civici nonche', ex art. 12 della legge n. 1766  del
1927,  del  potere  autorizzatorio  in  materia   di   mutamento   di
destinazione delle terre civiche); 
        che le norme denunciate violerebbero i  principi  di  cui  ai
parametri evocati proprio perche', disciplinando il  procedimento  di
espropriazione  per   opere   militari,   non   prevedono   l'obbligo
dell'acquisizione del «parere obbligatorio, ancorche' non vincolante,
della Regione» («nel caso in cui i terreni oggetto di  espropriazione
per opere militari siano ubicati nel territorio della stessa  Regione
e siano assoggettati al regime giuridico dei beni demaniali,  di  cui
agli artt. 11 e 12 della l. 16 giugno 1927, n. 1766»); 
        che, intervenendo nel giudizio, il Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, ha chiesto che la questione venga dichiarata inammissibile  in
quanto «irrilevante» o infondata, dal momento che «l'istanza unitaria
relativa alla difesa dello Stato puo' ben  giustificare,  nell'ottica
del  canone  costituzionale  della  ragionevolezza,  la   soccombenza
dell'interesse regionale»,  essendo  la  Regione  comunque  tenuta  a
conformarsi «ai principi supremi dell'ordinamento costituzionale»; 
        che la  Regione  autonoma  della  Sardegna,  in  una  memoria
depositata in prossimita' dell'udienza, in replica alle eccezioni del
Presidente del Consiglio dei ministri,  ha  insistito  nella  propria
richiesta; 
        che, in definitiva, il giudice rimettente appare investito da
una domanda di accertamento della persistente e attuale  qualitas  di
terreni appartenenti al demanio civico, gia'  destinati  a  «bosco  o
pascolo permanente» e successivamente assoggettati ad  espropriazione
per opere militari, proposta sul rilievo della mancata autorizzazione
da  parte  dell'autorita'  amministrativa  competente  -   ai   sensi
dell'art. 12, secondo comma, della  legge  n.  1766  del  1927  -  al
mutamento di destinazione  (c.d.  «sdemanializzazione»),  considerata
necessaria anche in  riferimento  all'ipotesi  di  cessione  di  quei
terreni in seguito ad esproprio; 
        che, pertanto, la controversia di cui al giudizio  principale
risulta avere propriamente ad oggetto la determinazione  dell'attuale
regime  giuridico   dei   terreni   in   questione,   sottoposti   ad
espropriazione  in  asserita  carenza  di  un  presupposto,   e   non
l'illegittimita'  del  relativo  procedimento  ablatorio,  in  quanto
eventualmente  derivata  dall'illegittimita'   costituzionale   delle
disposizioni di riferimento; 
        che, peraltro, il presupposto sulla base del quale il giudice
rimettente solleva la questione in esame - che  il  provvedimento  di
esproprio abbia,  ex  se,  legittimamente  prodotto  l'effetto  della
«sdemanializzazione»  -  varrebbe  da  solo  ad  attestare   un   suo
definitivo e insanabile difetto di giurisdizione; 
        che, di conseguenza,  lo  stesso  dubita  della  legittimita'
costituzionale di disposizioni, come quelle denunciate,  delle  quali
non e' chiamato a fare applicazione, essendo invece  tenuto,  secondo
la  domanda,  a  definire  il  proprio  giudizio  in  relazione  alla
disciplina prevista in materia di  usi  civici  e  sulla  base  delle
regole proprie del sistema di riparto delle giurisdizioni; 
        che,  d'altra  parte,  una  eventuale  pronuncia  caducatoria
risulterebbe, nella situazione di specie, inutiliter data, atteso che
l'efficacia delle  dichiarazioni  di  illegittimita'  costituzionale,
secondo consolidata giurisprudenza anche di questa Corte (sentenza n.
3 del 1996; ordinanze n. 398 del 1989 e n. 365 del  1987),  trova  un
limite nei cosiddetti «rapporti esauriti»,  tra  i  quali  dovrebbero
intendersi  ricompresi  anche  quelli  costituiti   sulla   base   di
provvedimenti divenuti  inoppugnabili  per  decorso  del  termine  di
decadenza; 
        che, per queste ragioni, la sollevata questione appare  priva
di rilevanza e deve, secondo la  costante  giurisprudenza  di  questa
Corte, essere dichiarata  manifestamente  inammissibile  (ex  multis,
ordinanze n. 265 e n. 150 del 2008; n. 176 del 2007). 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della   questione   di
legittimita' costituzionale degli articoli 74 e  75  della  legge  25
giugno 1865, n. 2359 (Espropriazioni per causa di utilita' pubblica),
sollevata, in riferimento agli articoli 3  e  97  della  Costituzione
nonche' agli articoli 3 e 6 della legge  costituzionale  26  febbraio
1948, n. 3  (Statuto  speciale  per  la  Sardegna),  dal  Commissario
regionale per gli usi civici della Regione autonoma  della  Sardegna,
con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 aprile 2010. 
 
                       Il Presidente: Amirante 
 
 
                        Il redattore: Grossi 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria il 15 aprile 2010. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola