N. 188 SENTENZA 26 - 28 maggio 2010

Giudizio su conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. 
 
Parlamento - Procedimento penale  per  il  reato  di  favoreggiamento
  personale a carico di un senatore - Diniego di autorizzazione della
  Camera di appartenenza all'utilizzazione  dei  tabulati  telefonici
  relativi ad utenza mobile in  uso  ad  altro  indagato,  contenenti
  intercettazioni «indirette» di  conversazioni  del  parlamentare  -
  Conflitto di attribuzione tra  poteri  dello  Stato  sollevato  dal
  Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma - Mancata
  formulazione di un giudizio sulla «necessita'»  dell'utilizzazione,
  quale presupposto di legittimita' della richiesta di autorizzazione
  - Spettanza al Senato della Repubblica della potesta' esercitata. 
- Deliberazione del Senato della Repubblica 21  dicembre  2007  (doc.
  IV, n. 1). 
- Costituzione, art. 68, comma 3; legge 20 giugno 2003, n. 140,  art.
  6. 
Parlamento - Procedimento penale  per  il  reato  di  favoreggiamento
  personale a carico di un senatore - Diniego di autorizzazione della
  Camera di appartenenza all'acquisizione di tabulati concernenti  il
  traffico  telefonico  relativo  a tutte  le  utenze   in   uso   al
  parlamentare - Conflitto di attribuzione  tra  poteri  dello  Stato
  sollevato dalla Procura della Repubblica  presso  il  Tribunale  di
  Roma -  Inadeguata  motivazione  circa  la  «necessita'»  dell'atto
  oggetto della richiesta di autorizzazione  -  Spettanza  al  Senato
  della Repubblica della potesta' esercitata. 
- Deliberazione del Senato della Repubblica 21  dicembre  2007  (doc.
  IV, n. 1). 
- Costituzione, art. 68, comma 3; legge 20 giugno 2003, n. 140, artt.
  4 e 5. 
(GU n.22 del 3-6-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe   TESAURO,   Paolo   Maria
  NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                               Sentenza 
 
nei giudizi per conflitto di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato
sorti a seguito della deliberazione del Senato della  Repubblica  del
21 dicembre 2007, con la quale, ai sensi dell'art. 68,  terzo  comma,
Cost.,  sono  state  negate  l'autorizzazione  all'utilizzazione   di
tabulati telefonici nei  confronti  del  sen.  Giuseppe  Valentino  e
l'autorizzazione all'acquisizione dei tabulati telefonici  riferibili
al medesimo sen. Giuseppe Valentino, giudizi promossi dal Giudice per
le indagini preliminari del Tribunale di Roma e dalla  Procura  della
Repubblica presso il Tribunale di Roma, con ricorsi notificati il  17
luglio 2008, depositati in cancelleria il 7 agosto  e  il  23  luglio
2008 ed iscritti ai nn. 4 e 5 del registro conflitti tra poteri dello
Stato 2008, fase di merito. 
    Visti gli atti di costituzione del Senato della Repubblica; 
    Udito nell'udienza pubblica del 23 marzo 2010 il Giudice relatore
Gaetano Silvestri, sostituito per la  redazione  della  sentenza  dal
Giudice Giuseppe Frigo; 
    Udito l'avvocato Giuseppe  De  Vergottini  per  il  Senato  della
Repubblica. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ricorso in data  19  febbraio  2008,  depositato  il  21
successivo, il Giudice per le indagini preliminari del  Tribunale  di
Roma ha sollevato conflitto di attribuzione tra  poteri  dello  Stato
nei  confronti  del  Senato  della  Repubblica,  in  relazione   alla
deliberazione del 21 dicembre 2007 (doc. IV, n. 1), con la quale,  in
conformita' alla proposta adottata all'unanimita' dalla Giunta  delle
elezioni  e   delle   immunita'   parlamentari,   e'   stata   negata
l'autorizzazione ad utilizzare tabulati telefonici  relativi  ad  una
utenza in uso a Michele Sinibaldi, nella parte relativa ai  contatti,
avvenuti nel luglio del 2005, con altra utenza  in  uso  al  senatore
Giuseppe  Valentino  e  intestata  al  Ministero   della   giustizia,
rivestendo egli in quel tempo la carica di sottosegretario  in  detto
dicastero. 
    Riferisce il ricorrente che si tratta di tabulati  acquisiti  dal
Procuratore della Repubblica di Roma nell'ambito di  un  procedimento
(iscritto al n. 32200/06 del registro delle  notizie  di  reato)  nel
quale il Sinibaldi e il Valentino sono sottoposti a indagini  per  il
delitto previsto dall'art. 378 del codice penale, «per avere  aiutato
Giampiero Fiorani ad eludere le indagini sul medesimo condotte [in un
procedimento avanti l'autorita' giudiziaria di Milano],  riferendogli
l'esistenza di operazioni di intercettazione telefonica a suo carico,
per il tramite di Ricucci Stefano». Aggiunge che  l'invio  al  Senato
della suddetta richiesta di autorizzazione  era  stato  disposto,  da
parte  di  esso  ricorrente,  il  13  novembre   2007,   di   seguito
all'accoglimento dell'istanza del pubblico ministero  del  27  luglio
precedente, di dare corso, con riguardo ai tabulati  in  questione  e
previa verifica  della  loro  «rilevanza»,  alla  procedura  prevista
dall'art.  6,  comma  2,  della  legge  20  giugno   2003,   n.   140
(Disposizioni  per  l'attuazione  dell'art.  68  della   Costituzione
nonche' in materia  di  processi  penali  nei  confronti  delle  alte
cariche dello Stato). Nello stesso contesto, «con separata ordinanza»
(peraltro, allegata alla  richiesta)  il  ricorrente  aveva  ritenuto
«necessaria» l'utilizzazione dei tabulati. 
    Nel ricorso, si censura l'argomento in base al  quale  la  Giunta
delle elezioni e delle immunita' parlamentari ha motivato la proposta
(poi accolta dall'Assemblea) di negare l'autorizzazione, vale a  dire
che - in asserito contrasto con il disposto del citato art.  6  della
legge n. 140 del 2003 - il richiedente non avrebbe dato adeguatamente
conto della «necessita' di  utilizzazione»  dei  tabulati,  essendosi
limitato a rilevare la  loro  «mera  pertinenza»  rispetto  al  fatto
oggetto  di  indagine:  profilo,  questo,   che   non   consentirebbe
all'organo parlamentare «di individuare un  collegamento  inequivoco»
con tale fatto. Secondo  la  Giunta,  d'altro  canto,  la  necessita'
dell'utilizzazione potrebbe essere agevolmente esclusa alla luce  del
rapporto di assidua frequentazione esistente tra il Sinibaldi  ed  il
senatore Valentino - rapporto riconosciuto dallo stesso  parlamentare
in una memoria depositata presso la Giunta - il quale  priverebbe  di
ogni valenza, ai fini della ricostruzione  dell'ipotesi  accusatoria,
gli eventuali contatti telefonici risultanti dai tabulati. 
    In questo modo, peraltro - ad avviso del ricorrente -  il  Senato
si sarebbe arrogato compiti che trascendono  l'ambito  del  sindacato
previsto  dall'art.  68,  terzo  comma,  Cost.,  il   quale   sarebbe
finalizzato unicamente a stabilire se la richiesta di  autorizzazione
denoti un atteggiamento persecutorio nei confronti  del  parlamentare
interessato, o miri a realizzare una indebita - in quanto  immotivata
- ingerenza nella sua sfera  privata;  ovvero,  ancora,  se  l'intero
procedimento penale costituisca un mero «pretesto» per esercitare  un
indiretto condizionamento sull'esercizio del mandato parlamentare. 
    Nella delibera impugnata, di contro, il Senato  avrebbe  espresso
valutazioni sulla necessita' di acquisire a fini probatori i tabulati
gia' presenti  in  atti,  in  rapporto  «allo  sviluppo  attuale  del
procedimento ed alle sue prospettive future»: valutazioni che  l'art.
6, comma 2, della legge n. 140 del 2003 rimette in via  esclusiva  al
giudice. L'organo parlamentare avrebbe finito cosi', in pratica,  per
decidere sulla «gestione processuale  di  una  prova  gia'  formata»,
interferendo  «sull'andamento  del  procedimento»   in   corso,   con
conseguente  illegittima  invasione  della  sfera   di   attribuzioni
riservata all'autorita' giudiziaria dagli artt. 101 e 104 Cost. 
    La portata invasiva  della  delibera  parlamentare  non  sarebbe,
d'altro canto,  «attenuata»  dalla  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale, ad opera della sentenza n. 390 del 2007, dell'art. 6,
commi 2, 5 e 6, della legge n. 140  del  2003,  nella  parte  in  cui
stabilisce che la disciplina ivi prevista si applichi anche nei  casi
in cui le intercettazioni debbano essere utilizzate nei confronti  di
soggetti diversi dal membro del Parlamento, le  cui  conversazioni  o
comunicazioni sono state intercettate. Pure  a  ritenere,  infatti  -
come il ricorrente in  effetti  ritiene  -  che  tale  decisione  sia
riferibile anche ai tabulati, nel  caso  in  esame  la  richiesta  di
autorizzazione rigettata dal Senato concerne non soltanto il  «terzo»
che ha interloquito telefonicamente con il parlamentare, ma anche  il
parlamentare stesso. 
    Il Giudice ricorrente chiede, quindi, che questa  Corte  dichiari
che non spettava al Senato negare l'autorizzazione  all'utilizzazione
dei tabulati in questione e annulli, di conseguenza, la deliberazione
impugnata. 
    2. - Il conflitto  e'  stato  dichiarato  ammissibile  da  questa
Corte, ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953,  n.  87,  con
ordinanza n. 275 del 2008. 
    A seguito di essa, il Giudice per  le  indagini  preliminari  del
Tribunale di Roma ha notificato il ricorso e  l'ordinanza  al  Senato
della Repubblica in data 17 luglio 2008 e depositato tali  atti,  con
la prova dell'avvenuta notificazione, il 7 agosto successivo. 
    3. - Il Senato della Repubblica, in persona del  suo  Presidente,
si e' costituito con atto depositato il 6 agosto 2008,  chiedendo  il
rigetto  del  ricorso,  in  quanto  inammissibile,  improcedibile   e
comunque infondato. 
    In vista dell'udienza pubblica il Senato ha  poi  depositato  una
memoria  con  argomenti  a  sostegno  di  tali  richieste.  Ivi,   in
particolare, si  esclude  che  il  provvedimento  parlamentare  abbia
compiuto   una   valutazione    di    merito    sulla    «necessita'»
dell'utilizzazione, anche nei confronti del senatore  Valentino,  dei
tabulati in esame, e si afferma  che,  invece,  sono  stati  espressi
legittimi rilievi sulla carenza, nella richiesta  di  autorizzazione,
dei requisiti di legge, onde l'assunto che non vi  sia  stata  alcuna
invasione nella sfera di attribuzioni dei poteri del ricorrente. 
    4. -  Con  ricorso  in  data  28  febbraio  2008,  depositato  il
successivo 4 marzo, la Procura della Repubblica presso  il  Tribunale
ordinario di Roma, in persona del Procuratore e di due Sostituti,  ha
sollevato conflitto  di  attribuzioni  tra  poteri  dello  Stato  nei
confronti del Senato della Repubblica, che, con  la  stessa  delibera
del 21 dicembre 2007, indicata al  precedente  punto  1,  e  pure  in
conformita' alla proposta adottata all'unanimita' dalla Giunta  delle
elezioni e delle immunita' parlamentari, ha negato  «l'autorizzazione
ad acquisire i tabulati delle comunicazioni intercorse  sulle  utenze
in uso al senatore Giuseppe Valentino nel periodo tra il 10 e  il  20
luglio 2005». 
    La relativa richiesta  -  formulata  dall'Ufficio  ricorrente  ai
sensi dell'art. 4  della  legge  n.  140  del  2003  nell'ambito  del
medesimo procedimento parimenti indicato al precedente  punto  1  (n.
32200/06 del registro delle notizie  di  reato)  -  e'  integralmente
trascritta nel ricorso, dove risulta datata 15 novembre  2006  e  poi
trasmessa al Senato il successivo giorno 20,  insieme  a  quella  del
Giudice per le indagini preliminari (sempre considerata al punto  1),
a cura dello stesso Procuratore della Repubblica, come  si  da'  atto
nella relazione (pure integralmente  trascritta  nel  ricorso)  della
suddetta Giunta, che ha dato corso ad un esame  congiunto  delle  due
richieste, in quanto attinenti ad atti probatori ritenuti da compiere
in uno stesso procedimento, con identita' di prospettive di  indagine
e concernenti uno stesso parlamentare. 
    In detta richiesta si precisava che la notizia di reato, posta  a
base delle indagini, era stata  attinta  da  dichiarazioni,  rese  da
Giampiero Fiorani il 17 e 18 dicembre 2005 nel corso di interrogatori
svoltisi davanti al Giudice per le indagini preliminari e al Pubblico
ministero presso il  Tribunale  di  Milano,  secondo  le  quali  egli
sarebbe stato informato da Michele Sinibaldi e Stefano Ricucci  circa
intercettazioni telefoniche  disposte  a  suo  carico  dall'autorita'
giudiziaria milanese; e cio', nel corso di un colloquio  intrattenuto
con i due la mattina del 13  luglio  di  quello  stesso  anno  presso
l'hotel Baglioni di Roma. Nell'occasione, essi  gli  avrebbero  anche
riferito di  avere  ricevuto  l'informazione  dal  senatore  Giuseppe
Valentino, al tempo sottosegretario al Ministero della giustizia.  La
circostanza di questo incontro (benche' con riferimento alla  diversa
data del 20 luglio 2005) avrebbe trovato, poi, conferma nei risultati
di intercettazioni telefoniche, disposte dalla magistratura  milanese
nei confronti del Ricucci, delle quali erano stati acquisiti in copia
i cosiddetti "brogliacci". 
    Su tale notizia di reato, la ricorrente aveva svolto indagini  e,
in  particolare,  aveva  acquisito  i  tabulati  delle  conversazioni
telefoniche relative all'utenza mobile del Sinibaldi per  il  periodo
individuato  dal  Fiorani,  dalle  quali  erano  emersi   quattordici
contatti (nove in entrata e cinque in uscita) con quella  in  uso  al
senatore Valentino. 
    Alla stregua di queste  emergenze  investigative  e  al  fine  di
acquisire ulteriori elementi di riscontro  all'ipotesi  di  indagine,
nonche' di individuare la fonte originaria della notizia, la  Procura
ricorrente  aveva  ritenuto  «assolutamente  necessario  acquisire  i
tabulati di tutte le  utenze  fisse  e  mobili  in  uso  al  senatore
Giuseppe Valentino nel periodo compreso tra il  10  e  il  20  luglio
2005»; di qui, la  relativa,  conforme  richiesta  di  autorizzazione
rivolta al Senato. 
    Nel motivare la  proposta  di  diniego  dell'autorizzazione,  poi
recepita dall'Assemblea, la Giunta delle elezioni e  delle  immunita'
parlamentari  aveva  osservato  come  la  Procura  della   Repubblica
richiedente - a differenza del Giudice per  le  indagini  preliminari
nella richiesta parallela - avesse  correttamente  individuato  nella
«necessita'» di acquisire i tabulati telefonici il presupposto su cui
deve fondarsi la richiesta di cui alla disposizione  combinata  degli
artt. 4 e 5 della legge n. 140 del 2003.  Tale  «necessita'»  sarebbe
stata, tuttavia, enunciata senza spiegarne adeguatamente le  ragioni,
essendosi   la   richiedente   limitata   ad   affermare   l'utilita'
dell'acquisizione dei tabulati al fine  di  individuare  «non  meglio
specificati elementi  di  riscontro»  e,  piu'  in  particolare,  «di
identificare l'eventuale fonte originaria della notizia». Negli  atti
trasmessi a corredo della richiesta, peraltro, non vi  sarebbe  stato
«nulla che consent[isse] di comprendere sulla base di quali  elementi
il Pubblico ministero abbia formulato la supposizione che il senatore
Valentino  sia  stato  informato  telefonicamente  dell'esistenza  di
un'attivita'  di  intercettazione  a  carico  del  Fiorani,  o  abbia
informato  telefonicamente  il  Sinibaldi,  e  che   in   ogni   caso
dimostr[asse]  la  sua  decisivita'  ai  fini  della  eventuale   res
iudicanda». 
    La Giunta aveva rimarcato, per altro verso,  come  l'acquisizione
di tabulati telefonici, incidendo in modo penetrante sulla  sfera  di
riservatezza  del  parlamentare,  implichi   rilevanti   rischi   «di
interferenza con aspetti e circostanze inerenti  all'esercizio  della
funzione parlamentare». A fronte di cio', la  relativa  richiesta  di
autorizzazione - «per evidenti ragioni di tutela  della  liberta'  di
svolgimento del mandato parlamentare» - potrebbe essere accolta «solo
se  la  necessita'  della  stessa   ai   fini   della   ricostruzione
dell'ipotesi accusatoria non solo corrisponde ad un'esigenza  attuale
e  non  meramente  potenziale  [...]  ma  emerge  in  modo  palese  e
stringente  dalle  prospettazioni  dell'Autorita'  giudiziaria   che,
coerentemente  con   quanto   imposto   dalle   esigenze   di   leale
collaborazione fra i poteri dello  Stato,  deve  dar  conto  di  aver
esperito  le  soluzioni  alternative   ragionevolmente   ipotizzabili
rispetto alla formulazione di tale richiesta ovvero della presumibile
impraticabilita' delle medesime». 
    L'Ufficio ricorrente assume che, con la deliberazione  impugnata,
il Senato avrebbe esorbitato dai limiti delle  proprie  attribuzioni,
delineate dall'art. 68 Cost. e dalla relativa legge di attuazione  n.
140 del 2003, invadendo la sfera di attribuzioni riservata  dall'art.
112 Cost. all'autorita' giudiziaria e introducendo,  in  pari  tempo,
«per la salvaguardia della riservatezza dei parlamentari, una  tutela
speciale e ulteriore a  quella  assicurata  dalla  legge  agli  altri
consociati, in violazione del principio di eguaglianza dei  cittadini
sancito dall'art. 3 della Costituzione» ed in  contrasto  con  quanto
affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 390 del 2007. 
    Alla luce  della  sentenza  ora  citata,  difatti,  l'ambito  del
sindacato della Camera di appartenenza del  parlamentare  interessato
alla richiesta sarebbe  limitato  alla  finalita'  di  proteggere  la
funzione parlamentare da iniziative persecutorie, o comunque estranee
alle  effettive  esigenze  della  giurisdizione;   mentre   sarebbero
riservate  all'autorita'  giudiziaria  le   valutazioni   in   merito
all'utilita',  rilevanza  e  necessita'  della  prova  oggetto  della
richiesta, cosi' come l'interpretazione delle norme processuali,  ivi
comprese quelle contenute nella legge n. 140 del 2003. 
    La richiesta dovrebbe dimostrare che  «occorre»  compiere  l'atto
investigativo, offrendo al Parlamento «i dati per il controllo  della
sua corrispondenza ad una obbiettiva  esigenza  investigativa,  della
sua interna coerenza e della sua congruenza rispetto  agli  atti  del
procedimento penale in corso». Viceversa,  nella  specie,  il  Senato
avrebbe «fatto riferimento a parametri e requisiti  diversi»:  da  un
lato, non gia' «la necessita' dell'atto investigativo, oggetto  della
richiesta,  nel  quadro   dell'ipotesi   accusatoria,   ma   la   sua
"decisivita'" ai fini  della  conferma  o  meno  della  ricostruzione
accusatoria»; dall'altro, «una sorta di assoluta  indispensabilita'»,
apprezzabile nella «assenza di ogni altra alternativa investigativa»,
riservandosi, poi - e per giunta - «il potere di effettuare di  volta
in volta un bilanciamento  in  concreto  degli  interessi  in  gioco,
sostituendo  le  proprie  particolari  valutazioni  alla  valutazione
tipizzata ed astratta compiuta dal legislatore» con gli artt. 4  e  5
della legge n. 140 del 2003. 
    In definitiva,  alla  Camera  di  appartenenza  del  parlamentare
sarebbe riconosciuto  solo  «il  potere  di  vagliare  la  necessita'
dell'atto investigativo, nonche' la congruita' e la pertinenza  della
richiesta», vale a dire, secondo la ricorrente, soltanto «i dati  che
attestano l'assenza di ogni intento strumentale e persecutorio  della
richiesta»,  nella  specie  resa  evidente  dalla  doverosita'  delle
indagini  a  carico  del  parlamentare,  scaturite  da  dichiarazioni
accusatorie rese  ad  altra  autorita'  giudiziaria  da  un  soggetto
indagato. Per altro verso, l'acquisizione dei  tabulati  risulterebbe
comunque l'unico strumento investigativo concretamente esperibile  al
fine di individuare l'eventuale fonte «interna alle  indagini»  della
notizia illecitamente comunicata, dovendosi altresi' considerare  che
«un atto di indagine puo' rivelarsi  necessario  in  una  determinata
fase delle investigazioni anche perche' altri percorsi  investigativi
in astratto possibili richiedono tempi lunghi,  incompatibili  con  i
termini delle indagini preliminari o con il termine  di  prescrizione
del reato o appaiono comunque di esito assai piu'  incerto  dell'atto
richiesto». 
    Sarebbe, dunque, palese nel caso in esame  l'esercizio  da  parte
del Senato di un  potere  non  a  esso  spettante,  ma  all'Autorita'
giudiziaria, onde si chiede, di seguito al  riconoscimento  di  cio',
l'annullamento della deliberazione impugnata. 
    5. -  Il  conflitto,  cosi'  sollevato,   e'   stato   dichiarato
ammissibile da questa Corte, ai sensi dell'art.  37  della  legge  11
marzo 1953, n. 87, con ordinanza n. 276 del 2008. 
    A seguito di essa la Procura della Repubblica presso il Tribunale
di Roma ha notificato  il  ricorso  e  l'ordinanza  al  Senato  della
Repubblica il 17 luglio 2008 e depositato tali  atti,  con  la  prova
dell'avvenuta notificazione, il 23 luglio successivo. 
    6. - Il Senato della Repubblica, in persona del  suo  Presidente,
si e' costituito con atto depositato il 6 agosto 2008,  chiedendo  il
rigetto  del  ricorso,  in  quanto  inammissibile,  improcedibile   e
comunque infondato. 
    In vista dell'udienza pubblica il Senato ha  poi  depositato  una
memoria con argomenti a sostegno di tali richieste. 
    In particolare, si rileva come, ad escludere  che  il  potere  di
autorizzazione parlamentare sia riducibile  ad  un  mero  adempimento
automatico e formalistico, ovvero relegato ad  ostacolare  situazioni
del  tutto  residuali  di   conclamata   finalita'   persecutoria   o
«strumentale», esso debba,  piuttosto,  essere  configurato  come  un
controllo   sulla   motivazione   della   richiesta    dell'autorita'
giudiziaria, supportata dagli «elementi»  idonei  a  giustificarla  e
renderla accoglibile  alla  stregua  dei  requisiti  di  legittimita'
dell'atto  stesso  e  delle  esigenze  di  tutela  della  liberta'  e
dell'indipendenza della funzione parlamentare. Alla stregua di  cio',
si sottolinea che nella specie il diniego opposto dal  Senato,  lungi
dall'esorbitare dalle attribuzioni sue  proprie,  ha  avuto  riguardo
essenzialmente ad una carenza  di  motivazione  circa  la  necessita'
delle acquisizioni documentali richieste,  tanto  se  considerata  in
se', quanto in rapporto  a  possibili  attivita'  alternative  aventi
minore tasso di invasivita' e, dunque, di incidenza sui connotati  di
quella funzione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di  Roma
svolge indagini preliminari nei confronti di Michele Sinibaldi e  del
senatore  Giuseppe  Valentino  per  una  ipotesi  di  favoreggiamento
personale di Giampiero Fiorani, che essi avrebbero aiutato a  eludere
le  investigazioni  condotte  nei   suoi   confronti   dall'Autorita'
giudiziaria di Milano, informandolo, attraverso Stefano Ricucci,  nei
giorni tra  il  10  e  il  20  luglio  2005,  che  era  sottoposto  a
intercettazioni telefoniche. 
    Nel corso di tali indagini, essendo stati acquisiti  tabulati  di
conversazioni telefoniche compiute  tramite  una  utenza  mobile  del
Sinibaldi ed essendo emersi da essi alcuni contatti con altra  utenza
mobile in  uso  al  senatore  Valentino,  il  Pubblico  ministero  ha
promosso la procedura prevista dall'art.  6  della  legge  20  giugno
2003, n. 140 per ottenere l'autorizzazione ad utilizzare  i  tabulati
stessi anche nei confronti del parlamentare. A tale fine, ha proposto
istanza al Giudice per le indagini preliminari,  che,  dichiarata  la
necessita' dell'utilizzazione, ha richiesto  al  Senato  la  relativa
autorizzazione. 
    Contemporaneamente il Procuratore della  Repubblica  ha  ritenuto
che occorresse anche acquisire, relativamente a quello stesso periodo
(10-20 luglio 2005), i tabulati di tutte le utenze telefoniche in uso
al senatore Valentino e, ai sensi degli artt.  4  e  5  della  citata
legge n. 140 del 2003, ha chiesto, a sua  volta  e  direttamente,  la
relativa autorizzazione parlamentare. 
    Le due richieste - del Giudice per le indagini preliminari e  del
Procuratore della Repubblica - sono  state  esaminate  congiuntamente
dal Senato, che, con deliberazione del 21 dicembre  2007,  ha  negato
entrambe le autorizzazioni, in conformita'  alla  proposta,  adottata
all'unanimita',  dalla  Giunta  delle  elezioni  e  delle   immunita'
parlamentari. 
    Contro questa deliberazione hanno sollevato distinti conflitti di
attribuzione tra poteri dello  Stato,  per  le  parti  di  rispettiva
competenza, le Autorita' giudiziarie richiedenti,  deducendo  che  il
Senato avrebbe esorbitato  dai  limiti  delle  proprie  attribuzioni,
delineate dall'art. 68 della Costituzione e dagli  artt.  4,  5  e  6
della legge di attuazione n. 140 del 2003, mediante  valutazioni  sul
merito degli atti di indagine indicati  e  alla  stregua  di  criteri
difformi da quelli risultanti da dette norme. In tal modo, il  Senato
avrebbe invaso la sfera di attribuzioni riservata dalla  Costituzione
all'autorita' giudiziaria (rispettivamente,  artt.  101,  104  e  112
Cost.), introducendo, altresi' - secondo la Procura della  Repubblica
di Roma - una tutela della riservatezza  dei  parlamentari  ulteriore
rispetto a quella assicurata dalla legge agli  altri  consociati,  in
violazione dell'art. 3 Cost. 
    I ricorrenti hanno quindi  richiesto,  previo  riconoscimento  di
cio', l'annullamento della deliberazione stessa. 
    Si oppone a queste richieste il Senato, costituitosi in giudizio,
rilevando che la propria deliberazione non presenta i vizi denunciati
ed e' conforme ai propri poteri. 
    2. - In  ragione  della  loro  evidente  connessione,  i  giudizi
relativi ai due conflitti vanno riuniti per essere definiti con unica
decisione. 
    3. -  In  via  preliminare,  va  ribadita  l'ammissibilita'   dei
conflitti,  sussistendone  i  presupposti  oggettivi  e   soggettivi,
secondo quanto gia' ritenuto da questa Corte con le ordinanze n.  275
e n. 276 del 2008. 
    4. - Nel merito, i ricorsi non sono fondati. 
    E'  opportuno,  innanzi  tutto,  considerare   che   l'avere   il
legislatore costituzionale (art. 68, secondo e  terzo  comma,  Cost.,
come sostituito dalla legge costituzionale 29 ottobre 1993, n.  3)  -
in luogo dell'originaria autorizzazione a procedere nei confronti dei
membri del Parlamento - individuato soltanto alcune  specie  di  atti
del procedimento penale per compiere i quali verso un parlamentare e'
prevista l'autorizzazione della Camera  di  appartenenza  (cosiddetta
autorizzazione ad acta),  rende  palese  che  non  gia'  e  non  piu'
l'intero procedimento, ma solo tali atti sono  considerati  idonei  a
incidere sulla liberta' e l'indipendenza della funzione parlamentare,
e che queste sono suscettibili di sacrificio nei  limiti  in  cui  il
compimento in concreto di taluno di essi  -  in  relazione  alla  sua
attitudine   tipica   -   corrisponda   alle   specifiche    esigenze
procedimentali e, in particolare, investigative. 
    Al  riguardo,  la  legge  n.  140  del  2003   significativamente
prescrive che  tanto  il  compimento  -  nei  confronti  diretti  del
parlamentare - dell'atto da autorizzare preventivamente  (artt.  4  e
5),  quanto  l'autorizzazione  all'utilizzazione  nei  confronti  del
parlamentare stesso di un atto gia' compiuto nei confronti  di  altro
soggetto  (art.  6),  devono  essere  assistiti  da  un  criterio  di
«necessita'» (in tale senso dovendosi intendere  anche  l'espressione
«quando occorre», recata dal comma 1 dell'art. 4). 
    La  valutazione  circa  la  sussistenza,  in  concreto,  di  tale
«necessita'»   spetta   indubbiamente    all'autorita'    giudiziaria
richiedente, la quale peraltro deve, essa per prima,  commisurare  le
proprie   scelte   anche   all'esigenza   del    sacrificio    minimo
indispensabile dei valori di liberta' e indipendenza  della  funzione
parlamentare. Detta autorita' e' tenuta,  quindi,  a  determinare  in
modo specifico i connotati del provvedimento e a dare adeguato  conto
delle relative  ragioni,  con  motivazione  non  implausibile,  nella
richiesta di autorizzazione ad eseguirlo, cosi' da  porre  la  Camera
competente in condizione di apprezzarne compiutamente i requisiti  di
legalita' costituzionale. 
    Ai fini ora detti, un riguardo particolare e' da  riservare  alla
natura dell'atto da compiere e alla sua  attitudine  a  compromettere
quei  valori.  Nel  caso  in   esame   si   tratta,   da   un   lato,
dell'utilizzazione, nei confronti di  un  parlamentare,  di  tabulati
gia' acquisiti e relativi ad una utenza di un  diverso  indagato,  e,
dall'altro,   dell'acquisizione   di   tabulati   di    conversazioni
telefoniche  relativi  ad   apparecchiature   in   uso   all'indagato
parlamentare:  attivita'  investigativa  la  cui  notevole  capacita'
intrusiva e' ormai generalmente riconosciuta, e che  deve  soggiacere
alle  garanzie  richieste  dall'art.  15  Cost.  in   rapporto   alle
limitazioni  della  liberta'  e   segretezza   di   ogni   forma   di
comunicazione (sulla riferibilita' di tali  garanzie  anche  ai  dati
esteriori  relativi  alle  comunicazioni  telefoniche,  offerti   dai
tabulati, sentenze n. 372 del 2006, n. 281  del  1998  e  n.  81  del
1993). 
    E' notorio, infatti, che i tabulati consentono  di  apprendere  e
individuare non solo tutti i contatti con  altre  utenze  e  la  loro
collocazione temporale, ma - se si  tratta  di  apparecchi  mobili  -
anche il cosiddetto «tracciamento», vale a dire le  localizzazioni  e
gli spostamenti dei soggetti detentori dell'apparecchio. Il  che,  in
caso di utenze nella disponibilita' di un parlamentare,  puo'  aprire
squarci di conoscenza sui suoi rapporti, specialmente  istituzionali,
di ampiezza ben maggiore rispetto  alle  esigenze  di  una  specifica
indagine e riguardanti altri soggetti (in specie, altri parlamentari)
per i quali opera e deve operare la medesima tutela dell'indipendenza
e della liberta' della funzione. 
    La  delimitazione  dei  poteri,  spettanti  nella  procedura   di
autorizzazione, all'autorita'  giudiziaria  procedente  e  all'organo
parlamentare, si coglie nelle disposizioni dell'art. 5 e dell'art. 6,
comma 2, della legge n. 140 del 2003.  Esse  stabiliscono  il  dovere
della prima di indicare nella richiesta gli «elementi»  su  cui  essa
«si fonda», con cio' evocando, da un lato,  le  specifiche  emergenze
probatorie fino a quel momento disponibili  e,  dall'altro,  la  loro
attitudine a fare sorgere la «necessita'»  di  quanto  si  chiede  di
autorizzare. A fronte di cio' - e per converso - la Camera deve poter
rilevare, dall'esame della richiesta (e  degli  eventuali  allegati),
che  sussistono  sia  il  requisito,  per  cosi'   dire,   «negativo»
dell'assenza  di  ogni  intento  persecutorio  o  strumentale   della
richiesta, sia quello, per cosi'  dire,  «positivo»  della  affermata
«necessita'» dell'atto, motivata in termini di non implausibilita'. 
    5. - Ai principi e alle regole sin qui enunciati non  corrisponde
la richiesta del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di
Roma. 
    Benche' tale richiesta non sia agli atti,  il  suo  contenuto  e'
stato riportato nella proposta  di  diniego  formulata  dalla  Giunta
delle elezioni e delle immunita' parlamentari,  in  parte  trascritta
nello  stesso  ricorso  e  comunque  sul  punto  non  contestata  dal
ricorrente. Si rileva che in detta richiesta neppure e' affermata  la
«necessita'» di utilizzare anche nei  confronti  del  parlamentare  i
tabulati gia' acquisiti nei confronti di altro indagato e relativi ad
una  utenza  di  costui,  ma   semplicemente   la   «pertinenza»   al
procedimento  di  tale  ulteriore  utilizzazione.  Anzi,  il  giudice
richiedente assume che proprio in tale  senso,  avuto  riguardo  alla
natura dei tabulati, si  sarebbe  dovuto  intendere  il  giudizio  da
esprimere a sostegno della richiesta stessa. 
    Il Senato con la deliberazione di diniego,  recependo  i  rilievi
della  Giunta,  ha  ritenuto  inconferente  tale  diverso  parametro,
aggiungendo che comunque,  alla  stregua  degli  elementi  acquisiti,
anche la «necessita'» si sarebbe dovuta escludere. 
    Nel ricorso per conflitto si assume che, in questo modo, l'organo
parlamentare avrebbe  invaso  le  attribuzioni  del  giudice  penale,
formulando un giudizio su quella «necessita'» riservato al giudice. 
    Gia' in linea di fatto l'assunto non corrisponde alla realta'. Il
Senato ha messo in  evidenza  che  il  giudice,  a  fondamento  della
richiesta,  non  aveva  posto  un  giudizio  di  «necessita'»   della
utilizzazione, cosi' disattendendo il precetto normativo e,  percio',
ha negato l'autorizzazione. Il che non esorbita  dalle  attribuzioni,
ma corrisponde ai poteri del Senato stesso di vagliare i  presupposti
di  legittimita'  di  quanto  richiesto.  Superfluo,  quindi,   resta
l'ulteriore assunto, secondo cui in ogni caso gli elementi  di  prova
disponibili avrebbero logicamente condotto ad  un  giudizio  negativo
sulla «necessita'». Cio' che conta e' che questo giudizio e' mancato.
E spettava, quindi, al Senato rilevarlo. 
    Ne' appare corretto ritenere (come assume il ricorrente, in parte
contraddittoriamente, quando addebita al Senato  di  avere  formulato
esso un giudizio di necessita') che, con  riguardo  alla  natura  dei
tabulati - i quali documentano dati, per cosi' dire, estrinseci  alle
conversazioni e non anche il loro contenuto - sarebbe impossibile una
valutazione aprioristica in termini di necessita' dell'acquisizione o
dell'utilizzazione. La  valutazione  di  necessita',  in  genere,  e'
sempre aprioristica, rispetto ad un mezzo di prova  (salva,  poi,  la
conferma attraverso il concreto  risultato  probatorio),  ma  e'  pur
sempre formulabile, ovviamente in relazione alla specifica attitudine
probatoria dell'atto: in  particolare,  in  tema  di  tabulati,  alle
utenze venute a contatto, alla qualita' in  entrata  o  uscita  della
chiamata, ai dati temporali (compresa la durata) e, se si  tratta  di
utenze  mobili,  alla  localizzazione  e   agli   spostamenti   degli
interlocutori.  Neppure,  dunque,  per  questa  via   sarebbe   stato
possibile sottrarsi al giudizio di «necessita'». 
    6. - Viceversa, quanto al ricorso per  conflitto  proposto  dalla
Procura della Repubblica di Roma, in  esso  si  riconosce  che  fosse
doveroso esprimere un giudizio di necessita' degli atti  per  il  cui
compimento era stata presentata la richiesta di autorizzazione  e,  a
considerare questa, si nota che, in effetti, il  richiedente  si  era
espresso in termini neppure di semplice necessita', ma addirittura di
«necessita' assoluta». 
    La Procura ricorrente si duole che, nonostante  cio',  il  Senato
abbia negato l'autorizzazione e  censura  la  relativa  delibera  per
averlo  fatto  superando  i   limiti   delle   attribuzioni   proprie
dell'Assemblea parlamentare  ed  entrando  nel  merito  delle  scelte
riservate  al  titolare  delle  indagini:  da  un  lato,  pretendendo
connotati dell'atto investigativo difformi da quelli legali  (non  la
necessita' di esso, ma la  sua  decisivita',  nonche'  una  sorta  di
indispensabilita'  in  rapporto  ad  altri  strumenti   investigativi
sperimentabili  in  alternativa  e  non  sperimentati);   dall'altro,
riservandosi una sorta di potere di effettuare un bilanciamento degli
interessi in gioco. 
    In realta', dalla lettura della richiesta di  autorizzazione  nel
confronto con quella della  delibera,  si  apprezza  che  la  ragione
essenziale e determinante del diniego e' l'assenza, nella  prima,  di
una motivazione adeguata, in rapporto ai contenuti dell'atto  che  si
intendeva  compiere   e   agli   elementi   probatori   acquisiti   e
rappresentati a sostegno, circa la «necessita'» dell'atto stesso, nei
sensi indicati piu' sopra (punto 3).  E  non  vi  e'  dubbio  che  la
mancanza o anche solo  la  carenza  di  motivazione  sul  punto  puo'
costituire legittimo fondamento per il diniego dell'autorizzazione da
parte della Camera competente, senza alcuna  esorbitanza  dai  propri
poteri. 
    Certamente   impropria   sarebbe   una   pretesa   di    limitare
l'autorizzazione solo alle prove cui sia  attribuibile  il  carattere
della «decisivita'», al  cui  concetto  non  puo'  essere  ridotto  e
circoscritto quello di «necessita'». Ma nella  delibera  parlamentare
proprio  a  questa  si  fa,  in  definitiva,  riferimento  quando  si
sottolinea il vizio di motivazione. 
    Vi si afferma,  infatti,  come  «la  necessita'  di  acquisire  i
predetti tabulati venga enunciata senza dar conto adeguatamente delle
ragioni della stessa, limitandosi ad affermare l'utilita' al fine  di
individuare non  meglio  specificati  elementi  di  riscontro  e,  in
particolare, al fine di  identificare  l'eventuale  fonte  originaria
della notizia». E si aggiunge che: «negli atti trasmessi  non  vi  e'
nulla che consenta di comprendere sulla base  di  quali  elementi  il
Pubblico ministero abbia formulato la supposizione  che  il  senatore
Valentino  sia  stato  informato  telefonicamente  dell'esistenza  di
un'attivita'  di  intercettazione  a  carico  del  Fiorani  o   abbia
informato telefonicamente il Sinibaldi». 
    In linea di fatto questi assunti non trovano censura nel ricorso,
mentre, dal punto di vista logico, e' ovvio che  l'adeguatezza  della
motivazione e delle allegazioni degli  elementi  probatori,  anche  e
soprattutto in termini di  specificita',  si  misura  necessariamente
sulla qualita' e sull'estensione degli atti potenzialmente lesivi dei
valori  costituzionali  da  sacrificare  e   sulla   congruita'   del
sacrificio (in rapporto agli obbiettivi prefigurati e alle congetture
di successo), da rendere palesi e, percio', apprezzabili  dall'organo
parlamentare. 
    In questa prospettiva, non puo' sfuggire che la  richiesta  della
Procura aveva formulato l'assunto in termini, appunto, di «necessita'
assoluta» con riguardo ad una estensione assai ampia  degli  atti  da
compiere, limitati si', ma solo con riguardo al periodo «interessato»
mentre  erano  diretti  genericamente  e   onnicomprensivamente   «ai
tabulati delle  comunicazioni  telefoniche  intercorse  su  tutte  le
utenze fisse e mobili in uso al  senatore  Valentino»,  senza  alcuna
previa indicazione specificativa - ad esempio - tra quelle private  e
quelle professionali o di appartenenza istituzionale, tra  quelle  in
uso esclusivo  o  in  uso  promiscuo;  il  tutto,  con  una  evidente
idoneita' intrusiva e senza alcuna particolare spiegazione. 
    La richiesta, poi,  non  propone  all'organo  parlamentare  alcun
elemento e argomento per apprezzare  la  «continenza»  dell'atto  nel
rapporto tra esigenze di investigazione e esigenze  -  appunto  -  di
«contenere» nei limiti della «necessita' (assoluta)» l'incidenza  sui
valori costituzionali tutelati. Si preoccupa,  invece,  di  censurare
una esorbitanza nel momento in cui il Senato  si  sarebbe  -  esso  -
«appropriato di un potere di bilanciamento degli interessi in gioco». 
    E' chiaro, al riguardo, che il bilanciamento deve essere  operato
- nella prospettiva della  predicata  «necessita'»  -  dall'autorita'
procedente e richiedente, la quale, tuttavia, e' tenuta a darne conto
nella motivazione. Il che nella specie non e' avvenuto. Di questo, al
di la' delle espressioni formali, ha  fatto  sostanziale  e  corretta
censura l'organo parlamentare, allorche', rilevata la forte idoneita'
intrusiva dei tabulati, ha sottolineato che occorre  «un  adeguato  e
specifico corredo motivazionale che possa consentire al  destinatario
della richiesta di valutare e contemperare gli interessi  in  gioco»;
laddove piu' correttamente deve intendersi  «di  valutare  l'avvenuto
contemperamento  [da  parte  dell'autorita'  giudiziaria  procedente]
degli interessi in gioco». Cio' che  conta  e',  dunque,  che  questo
contemperamento avvenga e che le ragioni siano palesate. 
    Analogo rilievo va fatto con riguardo  al  mancato  ricorso  o  -
meglio - alla  mancata  rappresentazione  delle  ragioni  dell'omesso
ricorso ad atti  di  investigazione  alternativi,  essendo  di  tutta
evidenza che la concreta indisponibilita' o impraticabilita' o  anche
solo  difficolta'  di  indagini  alternative  tanto  piu'  giovano  a
giustificare l'atto nei confronti  del  parlamentare  in  termini  di
«necessita'». 
    Come correttamente osserva la Procura ricorrente, rivendicando  a
se' le valutazioni al riguardo, «un atto di indagine  puo'  rivelarsi
necessario in una determinata fase delle investigazioni anche perche'
altri percorsi investigativi in astratto possibili  richiedono  tempi
lunghi, incompatibili con i termini delle indagini preliminari o  con
il termine di prescrizione del reato o  appaiono  comunque  di  esito
assai  piu'  incerto   dell'atto   richiesto»,   cosi'   da   rendere
l'acquisizione  dei  tabulati  del  parlamentare  l'unico   strumento
investigativo esperibile. Dal punto di vista logico e metodologico il
rilievo, cosi' proposto nel ricorso, appare ineccepibile, ma di  esso
non e' stata fatta alcuna applicazione nel caso concreto,  quantomeno
nel senso che nulla e' stato palesato al riguardo  nella  motivazione
della richiesta per «contestualizzare» - in questa prospettiva  -  la
«assoluta necessita'» dell'atto da  autorizzare.  Ed  e'  proprio  in
questo senso che va letto, trovando fondamento e  legittimazione,  il
rilievo del Senato, secondo cui  la  richiesta  puo'  essere  accolta
«solo se la [sua] necessita' emerge in modo palese e stringente dalle
prospettazioni  dell'Autorita'  giudiziaria  che,  coerentemente  con
quanto imposto dalle esigenze di leale collaborazione  tra  i  poteri
dello  Stato,  deve  dare  conto  di  avere  esperito  le   soluzioni
alternative ragionevolmente ipotizzabili ... ovvero della presumibile
impraticabilita' delle medesime». 
    Di conseguenza risulta infondato anche il ricorso  della  Procura
della Repubblica di Roma. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Riuniti i giudizi, 
    Dichiara: 
        a) che  spettava  al  Senato  della  Repubblica  negare,  con
deliberazione del 21 dicembre 2007, l'autorizzazione,  richiesta  dal
Giudice per  le  indagini  preliminari  del  Tribunale  di  Roma,  ad
utilizzare nei confronti del senatore Giuseppe Valentino  i  tabulati
di conversazioni telefoniche relativi ad una utenza mobile in  uso  a
Michele Sinibaldi, acquisiti nell'ambito del procedimento  penale  n.
32200/06 della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma; 
        b) che spettava al Senato della  Repubblica  negare,  con  la
medesima  deliberazione  del  21  dicembre  2007,   l'autorizzazione,
richiesta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di  Roma
nell'ambito  del  medesimo  procedimento  penale  n.   32200/06,   ad
acquisire i tabulati di tutte le utenze telefoniche fisse e mobili in
uso al senatore Giuseppe Valentino per il periodo tra il 10 e  il  20
luglio 2005. 
    Cosi' deciso in  Roma  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 maggio 2010. 
 
                       Il Presidente: Amirante 
 
 
                         Il redattore: Frigo 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria il 28 maggio 2010. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola