N. 241 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 maggio 2010

Ordinanza dell'11 maggio 2010 emessa dal Giudice di pace di Gallarate
nel procedimento penale a carico di Jeyakanthan Sasirubhan. 
 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  - Configurazione della fattispecie come reato  -  Irragionevolezza 
  sotto  diversi  profili,  anche  sotto   quello   sanzionatorio   -
  Disparita' di trattamento  rispetto al reato di  cui  all'art.  14,
  comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998 - Violazione del  principio
  di uguaglianza e del  principio  di  materialita'  -   Lesione  dei
  diritti inviolabili dell'uomo. 
- Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art.  10-bis,  aggiunto
  dall'art. 1, comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, artt. 2, 3, primo comma, e 25, secondo comma. 
(GU n.36 del 8-9-2010 )
 
                         IL GIUDICE DI PACE 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza. 
    Nel processo penale a carico di: Jeyakantan  Sasirubhan,  nato  a
Jaffna (Sri Lanka) il 30 marzo 1984 elettivamente domiciliato  presso
il difensore di fiducia avv. Bonaccorsi Marco con studio  in  Milano,
via Petrarca n. 4. 
    Imputato del reato di cui all'art. 10-bis del decreto legislativo
n.  286/1998  poiche'  essendo  cittadino  straniero  di  Paese   non
appartenente all'Unione europea, faceva ingresso ovvero si tratteneva
su territorio dello stato senza essere munito del prescritto visto di
ingresso e/o permesso di soggiorno in violazione  delle  disposizioni
del decreto legislativo n. 286/1998 e successive modifiche. 
    Accertato in Fermo (Varese) il 7 febbraio 2010. 
    Premesso che: 
        giunto in pari data con voto  proveniente  da  Doha  (Qatar),
sottoposto a controllo  da  parte  del  personale  della  Polizia  di
Frontiera Aerea di Malpensa  (Varese)  esibiva  passaporto  ordinario
cingalese rilasciato il 21 novembre 2003 valido fino al  21  novembre
2008  il  passaporto  era  risultato  genuino  corredato  dal   visto
rilasciato dall'Ambasciata italiana a Colombo in data 7 gennaio  2010
valido dal 9 gennaio 2010 all'8 gennaio 2011, risultato contraffatto;
indagato in stato di liberta' previo fotosegnalemento, e avendo fatto
richiesta di asilo politico, e' stato accompagnato  presso  l'Ufficio
di Frontiera per le pratiche di Asilo Politico. 
    All'udienza  del  30  marzo  2010,   dichiarata   la   contumacia
dell'imputato  non   comparso,   sull'eccezione   di   illegittimita'
costituzionale dell'art. 10-bis del decreto legislativo n.  286/1998,
come introdotto dall'art. 1, comma 16, della legge 15 luglio 2009, n.
94, formulata dal suo difensore, il giudice si riservava  e  invitava
lo stesso a produrre memoria. All'odierna udienza  preso  atto  della
questione ivi sollevata, tenuto  conto  della  varie  ordinanze  gia'
emesse da altri giudici sul medesimo tema,  aderendo  in  particolare
alle  argomentazioni  dedotte  dalla  Procura  della  Repubblica  del
Tribunale di Torino che fa proprie, 
    Osserva e ribadisce che: 
        l'art. 10-bis del decreto legislativo n. 286/1998  introdotto
dall'art. 1, comma 16, della legge 15 luglio 2009, n. 94, prevede  la
nuova fattispecie criminosa dell'«ingresso e soggiorno  illegale  nel
territorio dello Stato» sanzionando con l'ammenda da 5.000  a  10.000
curo «lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio
dello Stato in violazione delle disposizioni del presente testo unico
nonche' di quelle dell'art. 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68»; 
        tale  norma  appare  in  contrasto   con   l'art.   3   della
Costituzione, sotto il  profilo  dell'irragionevolezza  della  scelta
legislativa  di  criminalizzare  l'ingresso  e  la   permanenza   dei
clandestini nello Stato italiano; 
        pur riconoscendo  che  compete  al  legislatore  un  generale
potere «di regolare la materia dell'immigrazione, in correlazione  ai
molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai gravi  problemi
connessi ai flussi migratori incontrollati»  (Corte  cost.  sent.  n.
5/2004) facendo buon uso della sfera di discrezionalita' sua propria,
l'azione di tale  organo  costituzionale  trova  limiti  insuperabili
nell'osservanza  dei  principi  fondamentali   del   sistema   penale
stabiliti dalla Costituzione e nell'adozione di soluzioni orientate a
canoni di ragionevolezza e di razionalita' finalistica; 
        la irragionevolezza  della  nuova  fattispecie  criminosa  e'
chiaramente evidenziata dalla carenza di  un  pur  minimo  fondamento
giustificativo:  la   penalizzazione   di   una   condotta   dovrebbe
intervenire come estrema ratio, in  tutti  i  casi  in  cui  non  sia
possibile individuare altri strumenti idonei al raggiungimento  dello
scopo. L'obiettivo perseguito dalla nuova fattispecie  incriminatrice
e' costituito  dall'allontanamento  dello  straniero  irregolare  dal
territorio  dello  Stato:  tale  misura  e'  prevista  come  sanzione
sostitutiva irrogabile dal giudice di pace ai sensi dell'art. 16  del
decreto  legislativo  n.  286/1998   appositamente   modificato   per
comprendervi tra i presupposti la sentenza di condanna per  il  reato
di  cui  all'art.  10-bis  (cosi'  alterando  anche  con   l'espressa
introduzione dell'art. 62-bis il sistema sanzionatorio designato  dal
decreto  legislativo  n.  274/2000  che   prescriveva   all'art.   62
l'espresso divieto di applicazione delle altre misure sostitutive  di
pene  detentive  brevi);  inoltre  la  effettiva   espulsione   dello
straniero  in   via   amministrativa   costituisce   causa   di   non
procedibilita' dell'azione penale, il che rende  evidente  quale  sia
l'interesse  primario  perseguito  dal  legislatore;  infine  non  e'
richiesto   alcun   nulla   asta   dell'Autorita'   Giudiziaria   per
l'esecuzione dell'espulsione, al chiaro scopo di non creare  intralci
alla  predetta   operazione.   L'evidente   finalita'   della   nuova
fattispecie  incriminatrice,  strumentale  all'allontanamento   dello
straniero irregolare dal territorio  dello  Stato  ne  sottolinea  la
mancanza di una ratio giustificatrice, perche' lo  stesso  obbiettivo
era perfettamente raggiungibile prima della introduzione della  nuova
figura di reato, mediante l'adozione dell'espulsione coattiva in  via
amministrativa ai sensi dell'art. 13, comma 4 del decreto legislativo
n.  286/1998.  L'ambito  di  applicazione  della  nuova   fattispecie
coincide  perfettamente  con   quella   della   preesistente   misura
amministrativa della espulsione, sia sotto il  profilo  dei  soggetti
destinatari, sia sotto quello  della  ratio  giustificativa.  Il  che
significa che c'era  gia'  nell'ordinamento  italiano  uno  strumento
ritenuto idoneo al raggiungimento  dello  scopo  (che  non  e'  stato
oggetto di alcuna modifica normativa) e  l'adozione  dello  strumento
penale resta privo di ogni giustificazione; 
        l'irragionevolezza  della  nuova  fattispecie  penale  emerge
anche sotto il profilo sanzionatorio; che comprende non solo la  pena
dell'ammenda  da  5.000  a  10.000  euro,  ma  anche  il  divieto  di
applicazione del beneficio della sospensione condizionale della  pena
e della facolta' concessa al giudice di pace di  sostituire  la  pena
pecuniaria con una sanzione piu' grave, quale quella  dell'espulsione
dallo Stato per un periodo non inferiore a cinque anni (unico caso di
misura sostitutiva piu' grave della sanzione principale sostituita); 
        l'art. 3 della Costituzione appare  violato  sotto  un  altro
profilo  specifico,  concernente  la  irragionevole   disparita'   di
trattamento tra la nuova fattispecie e  quella  dell'art.  14,  comma
5-ter, del decreto legislativo n. 286/1998 che prevede la punibilita'
dello  straniero  inottemperante  all'ordine  di  allontanamento  del
Questore solo quando lo stesso  si  trattenga  nel  territorio  dello
Stato oltre il termine stabilito e «senza giustificato  motivo».  Due
condizioni che non si trovano nella nuova figura criminosa, cosicche'
e' sufficiente il venir meno  per  qualche  motivo  del  permesso  di
soggiorno perche' sia immediatamente ed automaticamente integrata una
ipotesi di trattenimento  illecito,  senza  alcuna  possibilita'  per
l'interessato, di addurre una qualche giustificazione o di  usufruire
di un termine per potersi allontanare. 
    Va richiamata al riguardo la sentenza della Corte  costituzionale
n. 5/2004 che ha salvato la costituzionalita' dell'art. 14,  comma  5
del    decreto    legislativo    n.    286/1998    proprio     grazie
all'interpretazione costituzionale orientata  della  clausola  «senza
giustificato motivo» considerata al pari di altre simili  rinvenibile
nell'ordinamento,  una  «valvola   di   sicurezza»   del   meccanismo
repressivo atta ad evitare «che la sanzione penale scatti allorche' -
anche al  di  fuori  della  presenza  di  vere  e  proprie  cause  di
giustificazione -  l'osservanza  del  precetto  appaia  concretamente
inesigibile» per i piu' svariati motivi riconducibili  «a  situazioni
ostative  di  particolare  pregnanza  che   incidano   sulla   stessa
possibilita' soggettiva od oggettiva, di  adempiere  all'intimazione,
escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa».  Il  nuovo
reato  di  immigrazione  clandestina   non   appare   conforme   alla
Costituzione perche' punisce  indiscriminatamente  tutti  i  soggetti
irregolarmente presenti nel  territorio  dello  stato,  senza  tenere
conto della  eventuale  esistenza  di  situazioni  legittimanti  tale
presenza. 
    Il nuovo art. 10-bis del decreto legislativo n.  286/1998  appare
in contrasto con l'art. 3 Cost.  nonche'  con  l'art.  25,  comma  2,
Cost., avuto riguardo alla configurazione di una  fattispecie  penale
discriminatoria, perche' fondata su particolari condizioni  personali
e sociali, anziche'  su  fatti  e  comportamenti  riconducibili  alla
volonta' del soggetto attivo; 
    infatti  la  nuova  fattispecie  incriminatrice   sanziona   solo
apparentemente una condotta (l'azione dell'ingresso e l'omissione del
mancato allontanamento) in realta' in se' e per se' del tutto  neutra
agli effetti penalistici, mentre il vero oggetto  dell'incriminazione
e' la mera  condizione  personale  dello  straniero,  costituita  dal
mancato possesso un titolo abilitativo all'ingresso e alla successiva
permanenza nel territorio dello  Stato,  che  e'  poi  la  condizione
tipica del migrante economico e dunque anche una condizione  sociale,
cioe' propria di una categoria di persone; una  situazione  priva  di
una qualche significativita' sotto  il  profilo  della  pericolosita'
sociale, difficilmente riconducibile ad  una  condotta  volontaria  e
consapevole  dello  straniero  migrante  essendo  costui  di   regola
costretto a fuggire dal proprio stato di appartenenza per ragioni  di
sopravvivenza e a subire la sottrazione dei documenti (ove esistenti)
da parte delle compagini criminali che  organizzano  i  viaggi  della
speranza. La  criminalizzazione  del  migrante  economico  appare  in
contrasto sia con il principio di uguaglianza  sancito  dall'art.  3,
Cost.  che  vieta  ogni  discriminazione  fondata,  tra  l'altro   su
condizioni personali e sociali,  sia  con  la  fondamentale  garanzia
costituzionale secondo cui si  puo'  essere  puniti  solo  per  fatti
materiali (art. 25, secondo comma, Cost.). 
    La Corte costituzionale si e' gia' espressa  in  modo  inequivoco
sul punto stabilendo nella sentenza  n.  78  del  2007,  in  tema  di
applicabilita'  delle  misure  alternative   alla   detenzione   agli
stranieri  clandestini,  che  «il  mancato  possesso  di  un   titolo
abilitativo alla permanenza nel territorio dello  Stato»  costituisce
«una condizione soggettiva» «che  di  per  se'  non  e'  univocamente
sintomatica ... di una particolare pericolosita'  sociale»;  dal  che
consegue «l'impossibilita' di individuare nella esigenza di  rispetto
delle regole in materia di ingresso e soggiorno in  detto  territorio
una  ragione  giustificativa  della  radicale  discriminazione  dello
straniero sul piano dell'accesso  al  percorso  rieducativo,  cui  la
concessione  delle  misure  alternative  e'  funzionale».  La   nuova
fattispecie renderebbe inapplicabile la citata sentenza  della  Corte
costituzionale e inaccessibili le misure alternative alla  detenzione
a  stranieri  clandestini  condannati  a  pene   detentive   perche',
sanzionando  penalmente  la  clandestinita'  dello  straniero,   essa
collega a tale  condizione  un  implicito,  quanto  ingiustificato  e
irrazionale, giudizio di pericolosita' sociale, che  di  per  se'  e'
incompatibile - come ammesso dalla stessa Corte costituzionale - «con
il perseguimento di un percorso  riabilitativo  attraverso  qualsiasi
misura alternativa». 
    La nuova fattispecie appare infine in  contrasto  con  l'art.  2,
Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili  dell'uomo  e
richiede  l'adempimento  dei  doveri  inderogabili  di   solidarieta'
politica, economica e sociale. Con parole lungimiranti  perfettamente
applicabili anche ai nuovi poveri di oggi, gli stranieri migranti, la
Corte costituzionale, con la sentenza  n.  519  del  1995,  dichiaro'
l'illegittimita'  costituzionale  del  reato  di  mendicita'  di  cui
all'art. 670 c.p. non potendosi ritenere necessitato il ricorso  alla
regola penale per sanzionare la mera  mendicita'  non  invasiva  che,
risolvendosi in una semplice richiesta di  aiuto,  non  poteva  dirsi
porre seriamente in pericolo i  beni  giuridici  della  tranquillita'
pubblica  e  dell'ordine  pubblico.  Allo  stesso  modo  lo   spirito
solidaristico di cui e' impregnata la Carta  Costituzionale  dovrebbe
impedire l'adozione di misure puramente repressive per  risolvere  il
problema dell'immigrazione; lo straniero  migrante  non  puo'  essere
considerato pericoloso per l'ordine e  la  tranquillita'  pubblica  e
colpevole per il solo fatto di esistere. 
    Le questioni di  costituzionalita'  sopra  enunciate  appaiono  a
questo giudice serie e comunque non  manifestamente  infondate:  esse
sono inoltre rilevanti  nel  processo  poiche'  se  accolte,  con  la
conseguente declaratoria di  illegittimita'  delle  norme  denunciate
comporterebbero  l'assoluzione  dell'imputata   essendo   lo   stessa
chiamata a rispondere del reato di ingresso e soggiorno illegale  nel
territorio  dello  Stato  ai  sensi  dell'art.  10-bis  del   decreto
legislativo n. 286/1998 come introdotto dalla legge citata. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli artt. 137 della Costituzione, 1  della  legge  cost.  9
febbraio 1948, n. 1, 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ritenuta la
rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del decreto  legislativo
25 luglio 1998, n. 286, introdotto dall'art. 1,  comma  16  a)  della
legge 15 luglio 2009, n. 94, nella parte in cui prevede come reato il
fatto dello  straniero  che  fa  ingresso  ovvero  si  trattiene  nel
territorio dello Stato in violazione delle norme citate, in relazione
agli artt. 2, 3, comma 1, e 25, comma 2 della Costituzione; 
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale e sospende il giudizio in corso. 
    Pronunciata in Gallarate nell'udienza dell'11 maggio 2010. 
 
                   Il Giudice di pace: Mastrangelo