N. 342 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 febbraio 2010

Ordinanza del 22 febbraio 2010 emessa dal Tribunale  di  Brescia  sul
reclamo proposto da Ipprio Fabio contro Galesi Giovanni ed altri. 
 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Lombardia per il governo
  del  territorio  -  Recupero  ai  fini  abitativi  dei   sottotetti
  esistenti - Qualificazione  dell'intervento  come  ristrutturazione
  edilizia realizzabile anche in deroga ai limiti e alle prescrizioni
  degli strumenti di pianificazione comunale -  Conseguente  ritenuta
  possibilita' di ampliamenti di  edifici  in  deroga  ai  limiti  di
  distanza  tra  fabbricati  stabiliti  dall'art.   9   del   decreto
  interministeriale n. 1444 del 1968, cui gli  strumenti  urbanistici
  (salvo che per  assetti  specifici)  sono  vincolati  -  Denunciato
  contrasto con i principi fondamentali della legislazione statale  e
  con le definizioni degli interventi edilizi  in  essa  stabilite  -
  Esorbitanza dalla potesta' legislativa concorrente delle Regioni in
  materia di «governo del territorio» ed interferenza  nella  materia
  «ordinamento   civile»,   di   esclusiva   spettanza   statale    -
  Irragionevole  incidenza  sul  diritto  di  proprieta'  dei   fondi
  finitimi - Richiamo alla sentenza  n.  232  del  2005  della  Corte
  costituzionale. 
- Legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, art. 64,  comma
  2, come sostituito dall'art. 1, comma  1,  lett.  d),  della  legge
  della Regione Lombardia 27 dicembre 2005, n. 20. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 42 e 117,  commi  secondo,  lett.  l),  e
  terzo (in relazione agli artt. 873 cod.  civ.,  41-quinquies  della
  legge 17 agosto 1942, n. 1150, 9 del  decreto  interministeriale  2
  aprile 1968, n. 1444 e 3 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380). 
(GU n.45 del 10-11-2010 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Letto il reclamo proposto da Ippro Fabio avverso l'ordinanza resa
in data 17 novembre 2009 dal Tribunale di Brescia ex art. 1170 c.c. e
703 c.p.c., con la quale, in accoglimento dell'azione di manutenzione
svolta da Galesi Giovanni, Galesi Evelina, Bordogna Maurizio  e  Loda
Marietta, gli e'  stata  ordinata  la  demolizione  di  una  porzione
dell'ultimo piano  della  casa  di  abitazione  «onde  assicurare  il
rispetto del distacco di mt. 10,00  tra  sopralzo  e  fabbricato  dei
ricorrenti»; 
    Letta la comparsa di costituzione  dei  reclamati  e  sentite  le
parti all'udienza fissata per la discussione; 
    Rilevato che, in punto di fatto, e' incontestato che il  sopralzo
realizzato dal reclamante, pur rispettando la distanza civilistica di
metri tre dall'edificio confinante, violi la disposizione in tema  di
distanze fissata dall'art. 76  del  N.T.A.  del  P.R.G.  vigente  nel
comune di Brescia, che, sul punto, recepisce il disposto dell'art.  9
d.m. n. 1444/1968; 
    Rilevato che non e' del pari in discussione che il  manufatto  in
contestazione  integri  ipotesi  di  recupero  a  fini  abitativi  di
preesistente sottotetto e che  lo  stesso  sia  stato  realizzato  in
conformita' a quanto prescritto degli artt. 63 e 64  legge  regionale
n. 12/2005, come modificati dalla legge regionale n. 20/2005  (ossia,
nello specifico, che ci fosse un sottotetto  preesistente  avente  le
caratteristiche date e che nell'esecuzione del  sopralzo  sono  state
rispettate le prescrizioni in  materia  di  urbanizzazione,  igienico
sanitarie, di altezza, di rapporti areoilluminanti,  di  asservimento
di aree  a  parcheggio  mediante  atto  di  costituzione  di  vincolo
pertinenziale, di abbattimento delle barriere  architettoniche  e  di
isolamento termico dell'edificio al fine del contenimento dei consumi
energetici, di corresponsione degli oneri e contributi di  legge;  la
pratica edilizia risulta  inoltre  corredata  del  parere  favorevole
espresso dalla Commissione per il paesaggio; cfr. CTU a  firma  arch.
Alberto Crescini, in atti); 
    Rilevato che la prima questione oggetto del contendere, sollevata
dal reclamante, e' se la legge regionale intendesse o  meno  derogare
alle disposizioni dettate in materia di distanze; cio' in  quanto  il
sig. Ipprio Fabio ha presentato al  comune  di  Brescia  la  prevista
D.I.A. e la pratica amministrativa, acquisito anche il  parere  della
commissione paesaggistica comunale, ha avuto  esito  positivo,  senza
che il comune sollevasse alcun  rilievo;  ciononostante  l'Ipprio  e'
risultato  soccombenze  nell'azione  di   manutenzione   svolta   dal
proprietario confinante in quanto, secondo il giudice di prime  cure,
«il riferimento alla legislazione regionale in tema di  recupero  dei
sottotetti» deve «considerarsi ininfluente»; 
    Ritenuto che la soluzione interpretativa offerta dal  giudice  di
prime cure, cosi' come  dalle  sentenze  del  giudice  amministrativo
dallo stesso richiamate (TAR Lombardia - Milano sent.  n.  1991/2007,
TAR Lombardia - Brescia sent. n. 832/2007) non  convinca  in  quanto,
dovendo affrontare due problemi  da  tenere  distinti,  ossia  quello
dell'accertamento dell'intenzione del legislatore regionale e  quello
dei limiti del potere legislativo regionale, elude la  necessita'  di
affrontare compiutamente il primo, pervenendo ad una conclusione  che
contrasta con il principio di legalita'; 
    Ritenuto che il percorso  argomentativo  offerto  dalle  suddette
pronunce sia il seguente: posta la necessita'  di  verificare  se  il
recupero del sottotetto sia soggetto «al  rispetto  dei  parametri  e
degli indici urbanistici ed edilizi, tra cui - in special modo  -  le
regole in tema di distanze», viene esaminata la disciplina statale di
riferimento  in  materia   di   distanze,   ne   viene   sottolineata
l'inderogabilita' in pejus  ad  opera  della  legislazione  regionale
concorrente nella materia  del  «governo  del  territorio»,  e  viene
conseguentemente affermato che l'art.  64,  comma  2  «non  opera»  a
fronte di disposizione  inderogabile,  qual  e'  appunto  il  decreto
interministeriale n. 1444/1968, nella  parte  in  cui  disciplina  le
distanze tra fabbricati, trattandosi  altresi'  di  materia  inerente
l'ordinamento civile e dunque di competenza esclusiva dello Stato; 
    Ritenuto che, di fatto, siffatta soluzione risolva un'antinomia -
stante la presenza nel sistema  di  due  norme  che  connettono  alla
medesima  fattispecie  conseguenze  giuridiche  incompatibili,  l'una
affermando l'altra negando la derogabilita' della distanza  di  metri
10 tra fabbricati - in favore della normativa statale ed in forza del
principio per cui la legge regionale non  puo'  dettare  disposizione
che incidono nei rapporti tra privati, o che comunque disattendono  i
principi  fondamentali  dettati  in  materia;  viene  quindi  fornita
un'interpretazione adeguatrice  della  norma  regionale  che,  com'e'
noto, rappresenta, piuttosto, attivita' di integrazione del diritto; 
    Rilevato che la cd. interpretazione adeguatrice, che si ispira al
dogma  della  coerenza  del  diritto  e  che  risulta  finalizzata  a
conservare la validita' del testo normativo, al pari di ogni  ipotesi
di interpretazione correttiva deve essere sostenuta da argomenti  che
screditino come impraticabile l'interpretazione letterale,  argomenti
che sono essenzialmente tre: 1) l'argomento logico,  che  fa  appello
allo scopo del legislatore; 2) l'argomento apagogico, che fa  appello
alla ragionevolezza del legislatore, cui non sono attribuibili  leggi
assurde; 3) l'argomento naturalistico, che  fa  appello  alla  natura
delle cose per screditare il testo normativo come non  aderente  alla
realta'; 
    Rilevato  che  il   carattere   «primario»   dell'interpretazione
letterale e quello secondario  dell'interpretazione  correttiva  sono
state confermate in piu' occasioni dalla Corte costituzionale, che ha
tra l'altro sottolineato  che  «il  giudice  non  puo'  sottrarsi  al
compito ineludibile nel nostro  ordinamento  di  applicare  la  norma
secondo l'interpretazione che le consente di concretamente  e  meglio
realizzare lo scopo perseguito dal legislatore» (Cfr. Corte cost.  n.
26/1984), che «la lettera della legge segna  un  limite  invalicabile
della   possibilita'   di   interpretazione   adeguatrice»   e    che
«l'interpretazione antilitterale» sia ammissibile solo quando risulti
evidente che il legislatore sia caduto «in un errore di linguaggio  o
in una falsa demonstratio» (Corte cost. n. 109/1989); 
    Dato atto che il testo della disposizione regionale di cui  parte
ricorrente invoca l'applicazione recita quanto segue: «Il recupero ai
fini  abitativi  dei  sottotetti  esistenti  e'   classificato   come
ristrutturazione edilizia ai sensi dell'art. 27, comma 1,  lett.  d).
Esso non richiede  preliminare  adozione  ed  approvazione  di  piano
attuativo  ed  e'  ammesso  anche  in  deroga  ai  limiti   ed   alle
prescrizioni degli strumenti di pianificazione  comunale  vigenti  ed
adottati  ad  eccezione  del  reperimento  di  spazi  per   parcheggi
pertinenziali secondo quanto disposto dal comma 3»; 
    Ritenuto che, interpretando siffatta la disposizione  secondo  il
«significato proprio delle parole» utilizzate  dal  legislatore,  sia
reso palese il senso della stessa (art. 12 preleggi),  che  non  puo'
considerarsi, in proposito, ne' vaga ne' generica; 
    Ritenuto infatti che la  lettera  (e  dunque  il  «senso»)  della
legge, sia quello di escludere l'assoggettamento degli interventi  di
recupero alla pianificazione esecutiva,  e  di  ammetterli  anche  in
deroga ai limiti  ed  alle  prescrizioni  non  solo  degli  strumenti
urbanistici generali, ma anche di quelli attuativi,  tranne  che  per
gli spazi destinati a parcheggi; 
    Ritenuto  che,  essendo  state  utilizzate  espressioni  che   si
avvalgono di un linguaggio in parte ordinario ed  in  parte  tecnico,
debba considerarsi evidente che «i limiti  e  le  prescrizioni  degli
strumenti di pianificazione  comunali»  altro  non  sono  che  i  cd.
standards urbanistici,  espressione  d'etimo  inglese  che  individua
l'insieme delle grandezze fisiche  e  dei  fattori  di  qualita'  che
caratterizzano un insediamento; peraltro, lo stesso art.  41-quinques
della legge n.  1150/1942,  introdotto  dalla  legge  urbanistica  n.
765/1967, utilizza proprio la parola  «limiti»  per  indicare  quella
serie di precetti che devono inderogabilmente essere osservati  nella
formazione  degli  strumenti  urbanistici,  e   cio'   con   espresso
riferimento alla «densita' edilizia», «all'altezza» ed alla «distanza
tra fabbricati», attribuendo  poi  alla  normativa  regolamentare  il
compito  di  individuare  siffatti  limiti  «per  zone   territoriali
omogenee» (normativa che e' stata conseguentemente  «delegificata»  e
che, in  «sede  di  prima  applicazione»,  ha  avuto  attuazione  per
l'appunto attraverso il d.m. n. 1444/1968); 
    Ritenuto che l'intenzione  del  legislatore  regionale  sia  resa
ancor piu' chiara  dalla  scelta  di  ricondurre  gli  interventi  di
recupero dei sottotetti, in quanto di «ristrutturazione edilizia»,  a
tutte le norme applicabili a detta categoria di opere, e non quindi a
quelle applicabili alle nuove costruzioni, tra le quali figurano,  in
primo luogo, le norme sulle distanze; 
    Ritenuto che l'aver esplicitamente individuato, tra i limiti e le
prescrizioni dettate dallo strumento urbanistico comunale,  una  sola
ipotesi  di  inderogabilita'  (quella  degli  spazi   per   parcheggi
pertinenziali),  confermi  ed  avvalori  l'interpretazione  letterale
sopra proposta; 
    Ritenuto  che  nel  caso   di   specie   ben   possa   ricorrersi
all'argomento a contrario, per cui ubi lex voluit dixit,  ubi  tacuit
noluit, ossia: il legislatore ha detto esattamente cio' che intendeva
dire e, quanto a cio' che non ha detto, evidentemente  non  intendeva
dirlo; 
    Ritenuto che, sul punto, appaia fragile l'opposto argomento speso
nella sentenza TAR Lombardia - Brescia n. 832/2007, secondo cui  «non
sembra ... che il legislatore regionale abbia inteso  incidere  sulle
relazioni intersoggettive tra privati»; cio'  in  quanto,  risultando
richiamati  tutti  i  limiti  e  prescrizioni  ai  fini  della   loro
dichiarata derogabilita', ad eccezione di uno, pare problematico  sia
desumere una volonta' legislativa, rimasta sottintesa, di operare una
ulteriore eccezione, sia affermare che il legislatore  regionale,  se
avesse voluto derogare ai limiti  in  materia  di  distanze,  avrebbe
dovuto chiaramente esplicitare siffatta volonta'; 
    Ritenuto  che  sia   infine   insostenibile   (ed   infatti   non
argomentata) la tesi secondo cui la qualificazione del  recupero  del
sottotetto quale  «intervento  di  ristrutturazione  edilizia»  abbia
«valenza soltanto ai fini pubblicistico - amministrativi  nell'ambito
del rapporto pubblicistico tra  pubblica  amministrazione  e  privato
richiedente o costruttore, senza estendersi ai rapporti tra privati»;
tesi che non solo  non  ha  alcun  riscontro  nel  testo  legislativo
regionale, ma che ridimensiona  ingiustificatamente,  e  tuttavia  in
termini assai  significativi,  il  potere  legislativo  regionale  in
materia di governo del territorio; (1) 
    Rilevato che, come sottolineato dalla Corte costituzionale  nella
sentenza n. 196 del 2004, il «governo del territorio» e' materia  ben
piu'  ampia  dell'edilizia  e  dell'urbanistica,  perche'   comprende
«l'insieme delle norme che consentono di identificare e graduare  gli
interessi  in  base  ai  quali  possono  essere  regolati   gli   usi
ammissibili del territorio»; ne consegue che deve ritenersi  elemento
essenziale  del  governo  del  territorio  quello  di  conformare   e
funzionalizzare il diritto di proprieta' (art. 42, comma 2 Cost.); 
    Rilevato che nella stessa sentenza della Corte costituzionale  n.
232/2005 richiamata dal giudice  di  prime  cure  (cosi'  come  dalle
sentenze del TAR dallo stesso citate) si afferma che se e'  vero  che
la  «disciplina  delle   distanze   (...)   rientri   nella   materia
dell'ordinamento civile», «tuttavia, poiche' i  fabbricati  insistono
su di un territorio,  (...)  la  disciplina  che  li  riguarda  (...)
esorbita dai limiti propri dei rapporti interprivati  e  tocca  anche
interessi pubblici», tanto e' vero che lo stesso  codice  civile  «ha
attribuito rilievo agli ordinamenti locali, in un'epoca in cui  unica
fonte di normativa primaria era lo Stato»; 
    Ritenuto quindi che la tesi in esame, oltre a negare, nei  fatti,
al legislatore regionale il potere di dettare  norme  in  materia  di
distanze con «valenza» anche ai fini civili (potere  riconosciuto  ai
regolamenti locali dall'art. 873 c.c.), ometta di considerare che  la
stessa disciplina statale  di  riferimento  in  materia  di  distanze
stabilisce si' dei limiti inderogabili (ulteriori rispetto  a  quelli
«minimi» di cui all'art. 873  c.c.),  ma  consente  al  tempo  stesso
«deroghe alle distanze minime con normative locali, purche'  siffatte
deroghe siano previste in  strumenti  urbanistici  funzionali  ad  un
assetto complessivo ed unitario di determinate zone  del  territorio»
(cfr. art. 9. u.c. d.m. n.  1444/1968,  come  interpretato  da  Corte
cost. n. 232/2005); ne consegue che la tesi interpretativa da  ultimo
esaminata, oltre ad escludere immotivatamente il potere  della  legge
regionale di conformare  e  funzionalizzare  la  proprieta'  privata,
individua un «confine»  della  potesta'  legislativa  regionale  piu'
ampio di quello effettivo, giacche'  i  limiti  di  cui  al  d.m.  n.
1444/1968 non sono  inderogabili  in  assoluto  (e  da  qui  consegue
l'onere, per l'interprete, di verificare se la normativa regionale si
sia mossa nell'ambito delle deroghe consentite, come puntualmente  fa
la  Corte  cost.  nella  sentenza  n.  232/2005,  nell'esaminare   la
costituzionalita' dell'art. 50, comma 8,  lettera  c)  legge  Regione
Veneto n. 11/2004; onere  su  cui  si  tornera'  oltre);  cio'  senza
contare che «e' compito del legislatore fissare  l'effetto  giuridico
ricollegato alla fattispecie astratta  tipizzata  nella  disposizione
legislativa  da  esso  emanata:  effetto  giuridico  che  e'   quello
risultante dalle espressioni usate nella  formulazione  della  norma,
nel  loro  significato  tecnico-giuridico»  ne'   puo'   l'interprete
«correggere la norma, nel significato tecnico-giuridico proprio delle
espressioni che la strutturano, sol  perche'  ritiene  che  l'effetto
giuridico risultante sia inadatto in quanto eccessivo  (...)»  (Cass.
n. 4631/1984); 
    Ritenuto  che   l'interpretazione   letterale   della   normativa
regionale qui proposta non sia  passibile  di  essere  screditata  da
argomenti di tipo logico, apagogico o naturalistico,  giacche'  scopo
dichiarato del legislatore  regionale  e'  quello  di  «contenere  il
consumo di nuovo territorio e  di  favorire  la  messa  in  opera  di
interventi tecnologici per il contenimento  dei  consumi  energetici»
(art. 63, comma 1 legge in esame) in un'ottica di recupero e  miglior
sfruttamento degli edifici gia' esistenti nelle zone residenziali  ed
a fini abitativi; deve quindi ritenersi evidente  che  sia  piuttosto
l'interpretazione difforme da quella letterale a rendere illogica, in
quanto  sostanzialmente  impraticabile,  la  scelta  di  governo  del
territorio operata dal legislatore  regionale  rispetto  a  zone  dal
carico insediativo gia' verosimilmente saturo;  che,  in  tal  senso,
appare implausibile anche  una  qualsiasi  forma  di  interpretazione
costituzionalmente orientata della legge regionale de qua (nel  senso
di ritenere che la legge regionale non  abbia  inteso  derogare  alla
normativa sulle  distanze)  conducendo  tale  interpretazione  ad  un
approdo ermeneutico illogico ed  incongruo  che  renderebbe  il  dato
normativo regionale sostanzialmente impraticabile; 
    Rilevato   che,   pur   trattandosi   di   elemento   non   utile
all'interprete -  tenuto  esclusivamente  al  rispetto  delle  regole
ermeneutiche dettate dagli artt. 12 ss. preleggi - nel caso di specie
il CTU incaricato, chiamato  a  pronunciarsi  sulla  conformita'  del
manufatto alla legislazione regionale in esame, ha affermato che «fra
i  limiti  e  le  prescrizioni  (di  cui  all'art.   64,   comma   2)
concettualmente e' ricompresa la disciplina delle distanze minime dal
confine e quella dei distacchi  fra  edifici»;  ha  inoltre  allegato
all'elaborato peritale estratto della circolare regionale n. 24/2000,
pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione Lombardia n. 19 del
12 maggio 2000, in cui si afferma che l'art. 2 della legge  regionale
n. 15/1996, come modificato dall'art.  6  della  legge  regionale  n.
22/1999, va inteso nel senso che nel  recupero  del  sottotetto  «non
ricorre l'obbligo di osservare le distanze da confini o  tra  edifici
posti dal P.R.G. o dal regolamento edilizio, fatte comunque salve  le
distanze minime prescritte dal codice civile da cui  non  e'  ammessa
deroga»; va in proposito rilevato  che  il  legislatore  lombardo  e'
intervenuto in materia di recupero ai fini abitativi  dei  sottotetti
esistenti gia' con legge n. 15/1996, e che il percorso  dallo  stesso
seguito si e' articolato in tre fasi  (legge  n.  15/1996,  legge  n.
22/1999 e legge n. 12/2005, come modificata dalla legge  n.  20/2005)
improntate via via ad una  radicale  liberalizzazione  rispetto  alla
scelta iniziale, sicche'  appare  arduo  ipotizzare  che  non  avesse
chiari i termini del problema in esame allorquando si  e'  nuovamente
occupato del recupero dei sottotetti; 
    Rilevato che, una  volta  interpretata  la  norma  regionale  nei
termini suesposti, per risolvere  l'antinomia  della  stessa  con  la
normativa statale in materia  di  distanze  occorra  far  riferimento
necessariamente  ad  uno  dei  seguenti  criteri:  1)   criterio   di
specialita' (lex specialis derogat generali); 2) criterio  gerarchico
(lex superior derogat legi inferiori); 3) criterio  cronologico  (lex
posterior derogat legi priori); 
    Rilevato che (esclusa all'evidenza l'applicabilita' del  primo  e
del terzo criterio, e dunque esaminando la questione nell'ottica  del
secondo criterio), legge statale e  legge  regionale  hanno  entrambe
rango di fonte primaria, pur essendo la  legge  regionale  tenuta  al
rispetto,  oltre  che  della  legge  costituzionale  e  dei  principi
fondamentali dell'ordinamento giuridico, anche della  «legge  statale
che determini i principi fondamentali in materia»  (art.  117,  terzo
comma Cost.), non potendo  altresi'  invadere  campi  riservati  alla
competenza statale esclusiva; solo in tal senso si  puo'  parlare  di
una relazione gerarchica tra norme, pur  dotate  della  stessa  forza
normativa; 
    Rilevato che in caso di legge regionale  anteriore  incompatibile
con legge statale successivamente intervenuta per dettare i  principi
della materia, si applica il criterio in materia di successione delle
leggi nel tempo, e la norma regionale deve  ritenersi  implicitamente
abrogata, come confermato dall'art. 10 legge n. 62/1953; 
    Ritenuto che qualora una legge regionale sia in contrasto con  un
principio espressamente stabilito o comunque desumibile da una  legge
statale antecedente, o comunque invada  la  competenza  riservata  al
legislatore statale, essa sia costituzionalmente illegittima; (2) 
    Rilevato che, non esistendo nel nostro ordinamento (a  differenza
che negli ordinamenti svizzero, tedesco, nordamericano, spagnolo ...)
una norma che affermi la superiorita' gerarchica  delle  leggi  dello
stato su quelle delle regioni,  se  e'  ben  vero  che  talune  leggi
statali   condizionano   la   validita'   della   legge    regionale,
sull'esistenza di siffatto presupposto  e'  chiamata  a  vigilare  la
Corte costituzionale; infatti la ripartizione  delle  competenze  tra
legge statale e  legge  regionale  e'  disposta  dalla  costituzione,
sicche' la legge regionale  invasiva  della  competenza  della  legge
statale e' invalida non perche' sia in contrasto con quest'ultima, ma
perche' e' in contrasto con la costituzione; 
    Ritenuto che solo siffatta impostazione soddisfi il principio  di
legalita'; 
    Rilevato che, per verificare se la norma regionale  in  questione
contrasti con le norme fondamentali dettate in materia od  invada  la
competenza esclusiva dello stato in materia  di  ordinamento  civile,
occorre affrontare  l'ulteriore  questione  oggetto  del  contendere,
ossia se la legge regionale potesse o  meno  derogare  ai  limiti  in
materia di distanze, e dunque se sia o meno conforme  al  «principio»
desumibile dal d.m. n.  1444/1968,  come  compiutamente  interpretato
dalla gia' richiamata sentenza Corte cost. n. 232/2005; 
    Dato  atto  che  l'art.  9,  u.c.  d.m.   n.   1444/1968   recita
testualmente come segue: «Sono ammesse distanze  inferiori  a  quelle
indicate nei precedenti commi, nel caso  di  gruppi  di  edifici  che
formino  oggetto   di   piani   particolareggiati   o   lottizzazioni
convenzionate con previsioni planovolutriche»; 
    Rilevato che nella sentenza citata, la  Corte  costituzionale  ha
estrapolato da siffatta disposizione  il  principio  secondo  cui  le
deroghe «devono essere previste in strumenti  urbanistici  funzionali
ad un  assetto  complessivo  ed  unitario  di  determinate  zone  del
territorio», e «devono attenere agli assetti urbanistici e quindi  al
governo del territorio e non  ai  rapporti  tra  vicini  isolatamente
considerati in funzione degli interessi privati dei  proprietari  dei
fondi finitimi»; 
    Ritenuto che la disciplina regionale dei sottotetti in esame  non
abbia la portata normativa sopra evidenziata, essendole estranea  una
visione unitaria e complessiva delle singole zone del  territorio  su
cui e'  destinata  ad  incidere,  ossia  la  compiuta  pianificazione
dell'attivita' di «trasformazione del  territorio»  autorizzata;  ne'
puo'  ritenersi  sufficiente,  in  proposito,  l'aver   previsto   la
possibilita' per i comuni di escluderne l'applicazione «con  motivata
deliberazione del consiglio comunale» (cfr. art. 65 1.r.  in  esame),
ben potendo i comuni rimanere inerti; 
    Ritenuto che la disciplina in  esame  incida  su  una  situazione
edificatoria ed urbanistica  preesistente,  e,  prescindendo  da  una
preventiva, compiuta valutazione della stessa,  autorizzi  interventi
implicanti  aumenti  di  volumetrie  residenziali   (peraltro   senza
corrispondenti cessioni di aree per  la  realizzazione  di  opere  di
urbanizzazione) e cio'  non  solo  rispetto  al  patrimonio  edilizio
esistente, ma altresi' rispetto  a  quello  in  costruzione  (edifici
assentiti da permessi di costruire rilasciati entro  il  1°  dicembre
2005; cfr. art. 63, comma 1-bis), senza che  risulti  contemplata  la
necessita' di una valutazione, sia pur  presuntiva,  della  possibile
incidenza degli aumenti di  volumetria  autorizzati  in  deroga  alla
pianificazione urbanistica vigente; 
    Ritenuto che se e' indubbio che «recuperare»,  e  dunque  rendere
fruibile un sottotetto esistente  consenta  di  assecondare  esigenze
abitative (e dunque diritti primari) senza consumare suolo, la deroga
ai limiti ed alle prescrizioni degli strumenti  urbanistici  disposta
dalla normativa in esame renda di  fatto  possibile  un  aumento  del
«peso urbanistico ed ambientale» connesso alla sommatoria dei  volumi
dei  sottotetti  recuperabili,  (ed  alla  sommatoria  altresi'   dei
potenziali abitanti degli stessi, cui il comune e' tenuto ad  erogare
servizi ed a mettere  a  disposizione  spazi  pubblici  sufficienti);
impatto che, nella disciplina in esame, sfugge  ad  ogni  valutazione
preventiva, e per far fronte al quale  nulla  viene  regolato  (fatta
eccezione per le aree a parcheggio); 
    Ritenuto quindi  che  la  disciplina  in  esame  soddisfi  taluni
interessi privati  con  sacrificio  dei  contrapposti  interessi  dei
proprietari  dei  fondi  finitimi  e  in  difetto  di   un   adeguato
bilanciamento  con  l'interesse  pubblico  cui  deve  necessariamente
rispondere la disciplina del territorio (bilanciamento  che,  secondo
il principio ricavabile dall'art. 9, u.c. d.m.  n.  1444/1968,  viene
per contro garantito da un'attivita' di pianificazione complessiva ed
unitaria per «gruppi di edifici» o comunque per zone determinate); le
ricadute della normativa regionale sulla disciplina dei  rapporti  di
vicinato non sono inoltre tali da garantirne  un  assetto  equo,  con
reciprocita' di diritti, od adeguata compensazione per  il  possibile
sacrificio di diritti acquisiti; 
    Ritenuto, quindi, che la disciplina di cui all'art. 64,  comma  2
legge n. 12/2005 contrasti con i principi fondamentali della  materia
di  cui  agli  artt.  873  c.c.,  41-quinques  legge   n.   1150/1943
(introdotto dall'art. 17 legge n. 765/1967) e 9 d.m. 2  aprile  1968,
n. 1444, e dunque  con  l'art.  117,  terzo  comma  Cost.,  invadendo
altresi'  la  materia  dell'ordinamento  civile   dello   Stato,   di
competenza esclusiva del legislatore statale  ex  art.  117,  secondo
comma, lett. l) Cost.; 
    Rilevato che il testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e
regolamentari in materia edilizia, emanato con  d.P.R.  n.  380/2001,
nel dettare i «principi fondamentali e generali e le disposizioni per
la disciplina dell'attivita' edilizia» (art. 1, comma  1),  oltre  ad
aver espressamente confermato i commi 6, 8 e 9 dell'art.  41-quinques
legge n. 1150/1942 (e  dunque  la  normativa  regolamentare  da  essa
prevista, ed attuata con il d.m. n. 1444/1968; cfr. art.  136,  comma
2, lett. b), ha stabilito le «definizioni degli  interventi  edilizi»
(art. 3), ribadendo che l'intervento di  «ristrutturazione  edilizia»
non comporta aumento di sagoma e di volumi, e  che  l'ampliamento  di
edificio esistente si qualifica quale «nuova costruzione»; 
    Ritenuto  pertanto  che  la  disciplina   regionale   in   esame,
autorizzando ampliamenti di edifici  in  deroga  ai  limiti  ed  alle
prescrizioni dei piani urbanistici  al  di  fuori  delle  ipotesi  di
deroghe legittime ex art. 9 u.c. d.m. n. 1444/1968, si ponga altresi'
in insanabile contrasto con  il  principio  fondamentale  dettato  in
materia dall'art. 3 d.P.R. n.  380/2001  e  quindi,  nuovamente,  con
l'art. 117, comma 3 Cost.; 
    Ritenuto infine che detta disciplina, incidendo  illegittimamente
ed in termini irragionevoli sul diritto di proprieta', violi altresi'
gli artt. 2, 3 e 42 Cost.; 
    Ritenuto che la rilevanza della  questione  rispetto  all'oggetto
del giudizio emerga da quanto sopra esposto, giacche' la disposizione
dell'art. 64, comma  2  legge  Regione  Lombardia  n.  12/2005  (come
sostituito dall'art. 1 legge Regione Lombardia n. 20 del  2005),  cui
risulta conforme  il  manufatto  realizzato  dal  reclamante,  e'  di
applicazione vincolante per il giudice adito, sino a che non ne venga
valutata l'incostituzionalita' da parte del giudice delle  leggi;  in
difetto, non risulta possibile accertare  la  lesione  lamentata  dal
proprietario confinante, e dunque pronunciarsi sulla relativa domanda
di tutela. 

(1) Cfr. tesi proposta da  Tribunale  di  Como,  sez.  distaccata  di
    Menaggio,  sent.   14   novembre   2006,   e,   deve   ritenersi,
    implicitamente da TAR Lombardia, sent. sez. Brescia, n. 832/2997,
    secondo  cui  il  legislatore   regionale   non   avrebbe   avuto
    l'intenzione di ingerirsi nei rapporti tra privati, e  dunque  di
    disporre in materia di distanze tra fabbricati. 

(2) Cfr. sul punto, Cass. pen. Sez.  III  sent.  20752/2003,  in  cui
    viene censurata la decisione del giudice di primo grado per  aver
    erroneamente ritenuto il contrasto tra una disposizione regionale
    ed i principi fondamentali della legislazione statale in materia,
    «desumendosi da tale contrasto la  ''caducabilita''  della  legge
    regionale - caducazione che avrebbe pero' richiesto una pronuncia
    del giudice delle leggi investito  della  relativa  questione  di
    legittimita' costituzionale della predetta  normativa».  Siffatta
    sentenza risulta quindi impropriamente  invocata  nella  sentenza
    Tribunale di Como, sez. distaccata di Menaggio, 14 novembre 2006,
    che, pronunciandosi su controversia tra privati analoga a  quella
    in esame, stante l'intervenuto recupero di sottotetto ex l.r.  n.
    20/2005 ma in violazione  delle  distanze  fissate  dal  d.m.  n.
    1444/1968, argomenta con il  richiamo  a  siffatta  decisione  la
    necessita' di interpretare le norme regionali in modo da  evitare
    che collidano «con i  principi  legislativi  statali  dettati  in
    particolare nella materia urbanistico edilizia»,  giungendo  alla
    conclusione di escludere la derogabilita' ad  opera  della  legge
    regionale della normativa  statale  in  materia  di  distanze,  e
    dunque la piena applicazione  della  legge  regionale,  «pena  il
    dubbio di legittimita' costituzionale della stessa». 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli artt. 137 Cost., 1 legge cost. n. 1/1984 e 23 legge  n.
87/1953, ritenuta la  rilevanza  e  la  non  manifesta  infondatezza,
solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 64,  comma
2 legge Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, come modificata dalla
legge Regione Lombardia n. 20 del 27 dicembre 2005,  con  riferimento
agli artt. 2, 3, 42 e 117 comma 2, lett. l) e 3 della Costituzione. 
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale  e  sospende  il  giudizio   in   corso   nonche'   il
provvedimento oggetto di reclamo. 
    Ordina che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del
Consiglio dei ministri ed al presidente della Regione Lombardia e che
sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del  Parlamento  ed  al
presidente del Consiglio regionale della Lombardia. 
    Cosi' deciso in Brescia il giorno 11 febbraio 2010. 
 
                        Il Presidente: Ondei