N. 342 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 febbraio 2010
Ordinanza del 22 febbraio 2010 emessa dal Tribunale di Brescia sul reclamo proposto da Ipprio Fabio contro Galesi Giovanni ed altri. Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Lombardia per il governo del territorio - Recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti - Qualificazione dell'intervento come ristrutturazione edilizia realizzabile anche in deroga ai limiti e alle prescrizioni degli strumenti di pianificazione comunale - Conseguente ritenuta possibilita' di ampliamenti di edifici in deroga ai limiti di distanza tra fabbricati stabiliti dall'art. 9 del decreto interministeriale n. 1444 del 1968, cui gli strumenti urbanistici (salvo che per assetti specifici) sono vincolati - Denunciato contrasto con i principi fondamentali della legislazione statale e con le definizioni degli interventi edilizi in essa stabilite - Esorbitanza dalla potesta' legislativa concorrente delle Regioni in materia di «governo del territorio» ed interferenza nella materia «ordinamento civile», di esclusiva spettanza statale - Irragionevole incidenza sul diritto di proprieta' dei fondi finitimi - Richiamo alla sentenza n. 232 del 2005 della Corte costituzionale. - Legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, art. 64, comma 2, come sostituito dall'art. 1, comma 1, lett. d), della legge della Regione Lombardia 27 dicembre 2005, n. 20. - Costituzione, artt. 2, 3, 42 e 117, commi secondo, lett. l), e terzo (in relazione agli artt. 873 cod. civ., 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, 9 del decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 e 3 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380).(GU n.45 del 10-11-2010 )
IL TRIBUNALE Letto il reclamo proposto da Ippro Fabio avverso l'ordinanza resa in data 17 novembre 2009 dal Tribunale di Brescia ex art. 1170 c.c. e 703 c.p.c., con la quale, in accoglimento dell'azione di manutenzione svolta da Galesi Giovanni, Galesi Evelina, Bordogna Maurizio e Loda Marietta, gli e' stata ordinata la demolizione di una porzione dell'ultimo piano della casa di abitazione «onde assicurare il rispetto del distacco di mt. 10,00 tra sopralzo e fabbricato dei ricorrenti»; Letta la comparsa di costituzione dei reclamati e sentite le parti all'udienza fissata per la discussione; Rilevato che, in punto di fatto, e' incontestato che il sopralzo realizzato dal reclamante, pur rispettando la distanza civilistica di metri tre dall'edificio confinante, violi la disposizione in tema di distanze fissata dall'art. 76 del N.T.A. del P.R.G. vigente nel comune di Brescia, che, sul punto, recepisce il disposto dell'art. 9 d.m. n. 1444/1968; Rilevato che non e' del pari in discussione che il manufatto in contestazione integri ipotesi di recupero a fini abitativi di preesistente sottotetto e che lo stesso sia stato realizzato in conformita' a quanto prescritto degli artt. 63 e 64 legge regionale n. 12/2005, come modificati dalla legge regionale n. 20/2005 (ossia, nello specifico, che ci fosse un sottotetto preesistente avente le caratteristiche date e che nell'esecuzione del sopralzo sono state rispettate le prescrizioni in materia di urbanizzazione, igienico sanitarie, di altezza, di rapporti areoilluminanti, di asservimento di aree a parcheggio mediante atto di costituzione di vincolo pertinenziale, di abbattimento delle barriere architettoniche e di isolamento termico dell'edificio al fine del contenimento dei consumi energetici, di corresponsione degli oneri e contributi di legge; la pratica edilizia risulta inoltre corredata del parere favorevole espresso dalla Commissione per il paesaggio; cfr. CTU a firma arch. Alberto Crescini, in atti); Rilevato che la prima questione oggetto del contendere, sollevata dal reclamante, e' se la legge regionale intendesse o meno derogare alle disposizioni dettate in materia di distanze; cio' in quanto il sig. Ipprio Fabio ha presentato al comune di Brescia la prevista D.I.A. e la pratica amministrativa, acquisito anche il parere della commissione paesaggistica comunale, ha avuto esito positivo, senza che il comune sollevasse alcun rilievo; ciononostante l'Ipprio e' risultato soccombenze nell'azione di manutenzione svolta dal proprietario confinante in quanto, secondo il giudice di prime cure, «il riferimento alla legislazione regionale in tema di recupero dei sottotetti» deve «considerarsi ininfluente»; Ritenuto che la soluzione interpretativa offerta dal giudice di prime cure, cosi' come dalle sentenze del giudice amministrativo dallo stesso richiamate (TAR Lombardia - Milano sent. n. 1991/2007, TAR Lombardia - Brescia sent. n. 832/2007) non convinca in quanto, dovendo affrontare due problemi da tenere distinti, ossia quello dell'accertamento dell'intenzione del legislatore regionale e quello dei limiti del potere legislativo regionale, elude la necessita' di affrontare compiutamente il primo, pervenendo ad una conclusione che contrasta con il principio di legalita'; Ritenuto che il percorso argomentativo offerto dalle suddette pronunce sia il seguente: posta la necessita' di verificare se il recupero del sottotetto sia soggetto «al rispetto dei parametri e degli indici urbanistici ed edilizi, tra cui - in special modo - le regole in tema di distanze», viene esaminata la disciplina statale di riferimento in materia di distanze, ne viene sottolineata l'inderogabilita' in pejus ad opera della legislazione regionale concorrente nella materia del «governo del territorio», e viene conseguentemente affermato che l'art. 64, comma 2 «non opera» a fronte di disposizione inderogabile, qual e' appunto il decreto interministeriale n. 1444/1968, nella parte in cui disciplina le distanze tra fabbricati, trattandosi altresi' di materia inerente l'ordinamento civile e dunque di competenza esclusiva dello Stato; Ritenuto che, di fatto, siffatta soluzione risolva un'antinomia - stante la presenza nel sistema di due norme che connettono alla medesima fattispecie conseguenze giuridiche incompatibili, l'una affermando l'altra negando la derogabilita' della distanza di metri 10 tra fabbricati - in favore della normativa statale ed in forza del principio per cui la legge regionale non puo' dettare disposizione che incidono nei rapporti tra privati, o che comunque disattendono i principi fondamentali dettati in materia; viene quindi fornita un'interpretazione adeguatrice della norma regionale che, com'e' noto, rappresenta, piuttosto, attivita' di integrazione del diritto; Rilevato che la cd. interpretazione adeguatrice, che si ispira al dogma della coerenza del diritto e che risulta finalizzata a conservare la validita' del testo normativo, al pari di ogni ipotesi di interpretazione correttiva deve essere sostenuta da argomenti che screditino come impraticabile l'interpretazione letterale, argomenti che sono essenzialmente tre: 1) l'argomento logico, che fa appello allo scopo del legislatore; 2) l'argomento apagogico, che fa appello alla ragionevolezza del legislatore, cui non sono attribuibili leggi assurde; 3) l'argomento naturalistico, che fa appello alla natura delle cose per screditare il testo normativo come non aderente alla realta'; Rilevato che il carattere «primario» dell'interpretazione letterale e quello secondario dell'interpretazione correttiva sono state confermate in piu' occasioni dalla Corte costituzionale, che ha tra l'altro sottolineato che «il giudice non puo' sottrarsi al compito ineludibile nel nostro ordinamento di applicare la norma secondo l'interpretazione che le consente di concretamente e meglio realizzare lo scopo perseguito dal legislatore» (Cfr. Corte cost. n. 26/1984), che «la lettera della legge segna un limite invalicabile della possibilita' di interpretazione adeguatrice» e che «l'interpretazione antilitterale» sia ammissibile solo quando risulti evidente che il legislatore sia caduto «in un errore di linguaggio o in una falsa demonstratio» (Corte cost. n. 109/1989); Dato atto che il testo della disposizione regionale di cui parte ricorrente invoca l'applicazione recita quanto segue: «Il recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti e' classificato come ristrutturazione edilizia ai sensi dell'art. 27, comma 1, lett. d). Esso non richiede preliminare adozione ed approvazione di piano attuativo ed e' ammesso anche in deroga ai limiti ed alle prescrizioni degli strumenti di pianificazione comunale vigenti ed adottati ad eccezione del reperimento di spazi per parcheggi pertinenziali secondo quanto disposto dal comma 3»; Ritenuto che, interpretando siffatta la disposizione secondo il «significato proprio delle parole» utilizzate dal legislatore, sia reso palese il senso della stessa (art. 12 preleggi), che non puo' considerarsi, in proposito, ne' vaga ne' generica; Ritenuto infatti che la lettera (e dunque il «senso») della legge, sia quello di escludere l'assoggettamento degli interventi di recupero alla pianificazione esecutiva, e di ammetterli anche in deroga ai limiti ed alle prescrizioni non solo degli strumenti urbanistici generali, ma anche di quelli attuativi, tranne che per gli spazi destinati a parcheggi; Ritenuto che, essendo state utilizzate espressioni che si avvalgono di un linguaggio in parte ordinario ed in parte tecnico, debba considerarsi evidente che «i limiti e le prescrizioni degli strumenti di pianificazione comunali» altro non sono che i cd. standards urbanistici, espressione d'etimo inglese che individua l'insieme delle grandezze fisiche e dei fattori di qualita' che caratterizzano un insediamento; peraltro, lo stesso art. 41-quinques della legge n. 1150/1942, introdotto dalla legge urbanistica n. 765/1967, utilizza proprio la parola «limiti» per indicare quella serie di precetti che devono inderogabilmente essere osservati nella formazione degli strumenti urbanistici, e cio' con espresso riferimento alla «densita' edilizia», «all'altezza» ed alla «distanza tra fabbricati», attribuendo poi alla normativa regolamentare il compito di individuare siffatti limiti «per zone territoriali omogenee» (normativa che e' stata conseguentemente «delegificata» e che, in «sede di prima applicazione», ha avuto attuazione per l'appunto attraverso il d.m. n. 1444/1968); Ritenuto che l'intenzione del legislatore regionale sia resa ancor piu' chiara dalla scelta di ricondurre gli interventi di recupero dei sottotetti, in quanto di «ristrutturazione edilizia», a tutte le norme applicabili a detta categoria di opere, e non quindi a quelle applicabili alle nuove costruzioni, tra le quali figurano, in primo luogo, le norme sulle distanze; Ritenuto che l'aver esplicitamente individuato, tra i limiti e le prescrizioni dettate dallo strumento urbanistico comunale, una sola ipotesi di inderogabilita' (quella degli spazi per parcheggi pertinenziali), confermi ed avvalori l'interpretazione letterale sopra proposta; Ritenuto che nel caso di specie ben possa ricorrersi all'argomento a contrario, per cui ubi lex voluit dixit, ubi tacuit noluit, ossia: il legislatore ha detto esattamente cio' che intendeva dire e, quanto a cio' che non ha detto, evidentemente non intendeva dirlo; Ritenuto che, sul punto, appaia fragile l'opposto argomento speso nella sentenza TAR Lombardia - Brescia n. 832/2007, secondo cui «non sembra ... che il legislatore regionale abbia inteso incidere sulle relazioni intersoggettive tra privati»; cio' in quanto, risultando richiamati tutti i limiti e prescrizioni ai fini della loro dichiarata derogabilita', ad eccezione di uno, pare problematico sia desumere una volonta' legislativa, rimasta sottintesa, di operare una ulteriore eccezione, sia affermare che il legislatore regionale, se avesse voluto derogare ai limiti in materia di distanze, avrebbe dovuto chiaramente esplicitare siffatta volonta'; Ritenuto che sia infine insostenibile (ed infatti non argomentata) la tesi secondo cui la qualificazione del recupero del sottotetto quale «intervento di ristrutturazione edilizia» abbia «valenza soltanto ai fini pubblicistico - amministrativi nell'ambito del rapporto pubblicistico tra pubblica amministrazione e privato richiedente o costruttore, senza estendersi ai rapporti tra privati»; tesi che non solo non ha alcun riscontro nel testo legislativo regionale, ma che ridimensiona ingiustificatamente, e tuttavia in termini assai significativi, il potere legislativo regionale in materia di governo del territorio; (1) Rilevato che, come sottolineato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 196 del 2004, il «governo del territorio» e' materia ben piu' ampia dell'edilizia e dell'urbanistica, perche' comprende «l'insieme delle norme che consentono di identificare e graduare gli interessi in base ai quali possono essere regolati gli usi ammissibili del territorio»; ne consegue che deve ritenersi elemento essenziale del governo del territorio quello di conformare e funzionalizzare il diritto di proprieta' (art. 42, comma 2 Cost.); Rilevato che nella stessa sentenza della Corte costituzionale n. 232/2005 richiamata dal giudice di prime cure (cosi' come dalle sentenze del TAR dallo stesso citate) si afferma che se e' vero che la «disciplina delle distanze (...) rientri nella materia dell'ordinamento civile», «tuttavia, poiche' i fabbricati insistono su di un territorio, (...) la disciplina che li riguarda (...) esorbita dai limiti propri dei rapporti interprivati e tocca anche interessi pubblici», tanto e' vero che lo stesso codice civile «ha attribuito rilievo agli ordinamenti locali, in un'epoca in cui unica fonte di normativa primaria era lo Stato»; Ritenuto quindi che la tesi in esame, oltre a negare, nei fatti, al legislatore regionale il potere di dettare norme in materia di distanze con «valenza» anche ai fini civili (potere riconosciuto ai regolamenti locali dall'art. 873 c.c.), ometta di considerare che la stessa disciplina statale di riferimento in materia di distanze stabilisce si' dei limiti inderogabili (ulteriori rispetto a quelli «minimi» di cui all'art. 873 c.c.), ma consente al tempo stesso «deroghe alle distanze minime con normative locali, purche' siffatte deroghe siano previste in strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio» (cfr. art. 9. u.c. d.m. n. 1444/1968, come interpretato da Corte cost. n. 232/2005); ne consegue che la tesi interpretativa da ultimo esaminata, oltre ad escludere immotivatamente il potere della legge regionale di conformare e funzionalizzare la proprieta' privata, individua un «confine» della potesta' legislativa regionale piu' ampio di quello effettivo, giacche' i limiti di cui al d.m. n. 1444/1968 non sono inderogabili in assoluto (e da qui consegue l'onere, per l'interprete, di verificare se la normativa regionale si sia mossa nell'ambito delle deroghe consentite, come puntualmente fa la Corte cost. nella sentenza n. 232/2005, nell'esaminare la costituzionalita' dell'art. 50, comma 8, lettera c) legge Regione Veneto n. 11/2004; onere su cui si tornera' oltre); cio' senza contare che «e' compito del legislatore fissare l'effetto giuridico ricollegato alla fattispecie astratta tipizzata nella disposizione legislativa da esso emanata: effetto giuridico che e' quello risultante dalle espressioni usate nella formulazione della norma, nel loro significato tecnico-giuridico» ne' puo' l'interprete «correggere la norma, nel significato tecnico-giuridico proprio delle espressioni che la strutturano, sol perche' ritiene che l'effetto giuridico risultante sia inadatto in quanto eccessivo (...)» (Cass. n. 4631/1984); Ritenuto che l'interpretazione letterale della normativa regionale qui proposta non sia passibile di essere screditata da argomenti di tipo logico, apagogico o naturalistico, giacche' scopo dichiarato del legislatore regionale e' quello di «contenere il consumo di nuovo territorio e di favorire la messa in opera di interventi tecnologici per il contenimento dei consumi energetici» (art. 63, comma 1 legge in esame) in un'ottica di recupero e miglior sfruttamento degli edifici gia' esistenti nelle zone residenziali ed a fini abitativi; deve quindi ritenersi evidente che sia piuttosto l'interpretazione difforme da quella letterale a rendere illogica, in quanto sostanzialmente impraticabile, la scelta di governo del territorio operata dal legislatore regionale rispetto a zone dal carico insediativo gia' verosimilmente saturo; che, in tal senso, appare implausibile anche una qualsiasi forma di interpretazione costituzionalmente orientata della legge regionale de qua (nel senso di ritenere che la legge regionale non abbia inteso derogare alla normativa sulle distanze) conducendo tale interpretazione ad un approdo ermeneutico illogico ed incongruo che renderebbe il dato normativo regionale sostanzialmente impraticabile; Rilevato che, pur trattandosi di elemento non utile all'interprete - tenuto esclusivamente al rispetto delle regole ermeneutiche dettate dagli artt. 12 ss. preleggi - nel caso di specie il CTU incaricato, chiamato a pronunciarsi sulla conformita' del manufatto alla legislazione regionale in esame, ha affermato che «fra i limiti e le prescrizioni (di cui all'art. 64, comma 2) concettualmente e' ricompresa la disciplina delle distanze minime dal confine e quella dei distacchi fra edifici»; ha inoltre allegato all'elaborato peritale estratto della circolare regionale n. 24/2000, pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione Lombardia n. 19 del 12 maggio 2000, in cui si afferma che l'art. 2 della legge regionale n. 15/1996, come modificato dall'art. 6 della legge regionale n. 22/1999, va inteso nel senso che nel recupero del sottotetto «non ricorre l'obbligo di osservare le distanze da confini o tra edifici posti dal P.R.G. o dal regolamento edilizio, fatte comunque salve le distanze minime prescritte dal codice civile da cui non e' ammessa deroga»; va in proposito rilevato che il legislatore lombardo e' intervenuto in materia di recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti gia' con legge n. 15/1996, e che il percorso dallo stesso seguito si e' articolato in tre fasi (legge n. 15/1996, legge n. 22/1999 e legge n. 12/2005, come modificata dalla legge n. 20/2005) improntate via via ad una radicale liberalizzazione rispetto alla scelta iniziale, sicche' appare arduo ipotizzare che non avesse chiari i termini del problema in esame allorquando si e' nuovamente occupato del recupero dei sottotetti; Rilevato che, una volta interpretata la norma regionale nei termini suesposti, per risolvere l'antinomia della stessa con la normativa statale in materia di distanze occorra far riferimento necessariamente ad uno dei seguenti criteri: 1) criterio di specialita' (lex specialis derogat generali); 2) criterio gerarchico (lex superior derogat legi inferiori); 3) criterio cronologico (lex posterior derogat legi priori); Rilevato che (esclusa all'evidenza l'applicabilita' del primo e del terzo criterio, e dunque esaminando la questione nell'ottica del secondo criterio), legge statale e legge regionale hanno entrambe rango di fonte primaria, pur essendo la legge regionale tenuta al rispetto, oltre che della legge costituzionale e dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico, anche della «legge statale che determini i principi fondamentali in materia» (art. 117, terzo comma Cost.), non potendo altresi' invadere campi riservati alla competenza statale esclusiva; solo in tal senso si puo' parlare di una relazione gerarchica tra norme, pur dotate della stessa forza normativa; Rilevato che in caso di legge regionale anteriore incompatibile con legge statale successivamente intervenuta per dettare i principi della materia, si applica il criterio in materia di successione delle leggi nel tempo, e la norma regionale deve ritenersi implicitamente abrogata, come confermato dall'art. 10 legge n. 62/1953; Ritenuto che qualora una legge regionale sia in contrasto con un principio espressamente stabilito o comunque desumibile da una legge statale antecedente, o comunque invada la competenza riservata al legislatore statale, essa sia costituzionalmente illegittima; (2) Rilevato che, non esistendo nel nostro ordinamento (a differenza che negli ordinamenti svizzero, tedesco, nordamericano, spagnolo ...) una norma che affermi la superiorita' gerarchica delle leggi dello stato su quelle delle regioni, se e' ben vero che talune leggi statali condizionano la validita' della legge regionale, sull'esistenza di siffatto presupposto e' chiamata a vigilare la Corte costituzionale; infatti la ripartizione delle competenze tra legge statale e legge regionale e' disposta dalla costituzione, sicche' la legge regionale invasiva della competenza della legge statale e' invalida non perche' sia in contrasto con quest'ultima, ma perche' e' in contrasto con la costituzione; Ritenuto che solo siffatta impostazione soddisfi il principio di legalita'; Rilevato che, per verificare se la norma regionale in questione contrasti con le norme fondamentali dettate in materia od invada la competenza esclusiva dello stato in materia di ordinamento civile, occorre affrontare l'ulteriore questione oggetto del contendere, ossia se la legge regionale potesse o meno derogare ai limiti in materia di distanze, e dunque se sia o meno conforme al «principio» desumibile dal d.m. n. 1444/1968, come compiutamente interpretato dalla gia' richiamata sentenza Corte cost. n. 232/2005; Dato atto che l'art. 9, u.c. d.m. n. 1444/1968 recita testualmente come segue: «Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolutriche»; Rilevato che nella sentenza citata, la Corte costituzionale ha estrapolato da siffatta disposizione il principio secondo cui le deroghe «devono essere previste in strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio», e «devono attenere agli assetti urbanistici e quindi al governo del territorio e non ai rapporti tra vicini isolatamente considerati in funzione degli interessi privati dei proprietari dei fondi finitimi»; Ritenuto che la disciplina regionale dei sottotetti in esame non abbia la portata normativa sopra evidenziata, essendole estranea una visione unitaria e complessiva delle singole zone del territorio su cui e' destinata ad incidere, ossia la compiuta pianificazione dell'attivita' di «trasformazione del territorio» autorizzata; ne' puo' ritenersi sufficiente, in proposito, l'aver previsto la possibilita' per i comuni di escluderne l'applicazione «con motivata deliberazione del consiglio comunale» (cfr. art. 65 1.r. in esame), ben potendo i comuni rimanere inerti; Ritenuto che la disciplina in esame incida su una situazione edificatoria ed urbanistica preesistente, e, prescindendo da una preventiva, compiuta valutazione della stessa, autorizzi interventi implicanti aumenti di volumetrie residenziali (peraltro senza corrispondenti cessioni di aree per la realizzazione di opere di urbanizzazione) e cio' non solo rispetto al patrimonio edilizio esistente, ma altresi' rispetto a quello in costruzione (edifici assentiti da permessi di costruire rilasciati entro il 1° dicembre 2005; cfr. art. 63, comma 1-bis), senza che risulti contemplata la necessita' di una valutazione, sia pur presuntiva, della possibile incidenza degli aumenti di volumetria autorizzati in deroga alla pianificazione urbanistica vigente; Ritenuto che se e' indubbio che «recuperare», e dunque rendere fruibile un sottotetto esistente consenta di assecondare esigenze abitative (e dunque diritti primari) senza consumare suolo, la deroga ai limiti ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici disposta dalla normativa in esame renda di fatto possibile un aumento del «peso urbanistico ed ambientale» connesso alla sommatoria dei volumi dei sottotetti recuperabili, (ed alla sommatoria altresi' dei potenziali abitanti degli stessi, cui il comune e' tenuto ad erogare servizi ed a mettere a disposizione spazi pubblici sufficienti); impatto che, nella disciplina in esame, sfugge ad ogni valutazione preventiva, e per far fronte al quale nulla viene regolato (fatta eccezione per le aree a parcheggio); Ritenuto quindi che la disciplina in esame soddisfi taluni interessi privati con sacrificio dei contrapposti interessi dei proprietari dei fondi finitimi e in difetto di un adeguato bilanciamento con l'interesse pubblico cui deve necessariamente rispondere la disciplina del territorio (bilanciamento che, secondo il principio ricavabile dall'art. 9, u.c. d.m. n. 1444/1968, viene per contro garantito da un'attivita' di pianificazione complessiva ed unitaria per «gruppi di edifici» o comunque per zone determinate); le ricadute della normativa regionale sulla disciplina dei rapporti di vicinato non sono inoltre tali da garantirne un assetto equo, con reciprocita' di diritti, od adeguata compensazione per il possibile sacrificio di diritti acquisiti; Ritenuto, quindi, che la disciplina di cui all'art. 64, comma 2 legge n. 12/2005 contrasti con i principi fondamentali della materia di cui agli artt. 873 c.c., 41-quinques legge n. 1150/1943 (introdotto dall'art. 17 legge n. 765/1967) e 9 d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, e dunque con l'art. 117, terzo comma Cost., invadendo altresi' la materia dell'ordinamento civile dello Stato, di competenza esclusiva del legislatore statale ex art. 117, secondo comma, lett. l) Cost.; Rilevato che il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, emanato con d.P.R. n. 380/2001, nel dettare i «principi fondamentali e generali e le disposizioni per la disciplina dell'attivita' edilizia» (art. 1, comma 1), oltre ad aver espressamente confermato i commi 6, 8 e 9 dell'art. 41-quinques legge n. 1150/1942 (e dunque la normativa regolamentare da essa prevista, ed attuata con il d.m. n. 1444/1968; cfr. art. 136, comma 2, lett. b), ha stabilito le «definizioni degli interventi edilizi» (art. 3), ribadendo che l'intervento di «ristrutturazione edilizia» non comporta aumento di sagoma e di volumi, e che l'ampliamento di edificio esistente si qualifica quale «nuova costruzione»; Ritenuto pertanto che la disciplina regionale in esame, autorizzando ampliamenti di edifici in deroga ai limiti ed alle prescrizioni dei piani urbanistici al di fuori delle ipotesi di deroghe legittime ex art. 9 u.c. d.m. n. 1444/1968, si ponga altresi' in insanabile contrasto con il principio fondamentale dettato in materia dall'art. 3 d.P.R. n. 380/2001 e quindi, nuovamente, con l'art. 117, comma 3 Cost.; Ritenuto infine che detta disciplina, incidendo illegittimamente ed in termini irragionevoli sul diritto di proprieta', violi altresi' gli artt. 2, 3 e 42 Cost.; Ritenuto che la rilevanza della questione rispetto all'oggetto del giudizio emerga da quanto sopra esposto, giacche' la disposizione dell'art. 64, comma 2 legge Regione Lombardia n. 12/2005 (come sostituito dall'art. 1 legge Regione Lombardia n. 20 del 2005), cui risulta conforme il manufatto realizzato dal reclamante, e' di applicazione vincolante per il giudice adito, sino a che non ne venga valutata l'incostituzionalita' da parte del giudice delle leggi; in difetto, non risulta possibile accertare la lesione lamentata dal proprietario confinante, e dunque pronunciarsi sulla relativa domanda di tutela. (1) Cfr. tesi proposta da Tribunale di Como, sez. distaccata di Menaggio, sent. 14 novembre 2006, e, deve ritenersi, implicitamente da TAR Lombardia, sent. sez. Brescia, n. 832/2997, secondo cui il legislatore regionale non avrebbe avuto l'intenzione di ingerirsi nei rapporti tra privati, e dunque di disporre in materia di distanze tra fabbricati. (2) Cfr. sul punto, Cass. pen. Sez. III sent. 20752/2003, in cui viene censurata la decisione del giudice di primo grado per aver erroneamente ritenuto il contrasto tra una disposizione regionale ed i principi fondamentali della legislazione statale in materia, «desumendosi da tale contrasto la ''caducabilita'' della legge regionale - caducazione che avrebbe pero' richiesto una pronuncia del giudice delle leggi investito della relativa questione di legittimita' costituzionale della predetta normativa». Siffatta sentenza risulta quindi impropriamente invocata nella sentenza Tribunale di Como, sez. distaccata di Menaggio, 14 novembre 2006, che, pronunciandosi su controversia tra privati analoga a quella in esame, stante l'intervenuto recupero di sottotetto ex l.r. n. 20/2005 ma in violazione delle distanze fissate dal d.m. n. 1444/1968, argomenta con il richiamo a siffatta decisione la necessita' di interpretare le norme regionali in modo da evitare che collidano «con i principi legislativi statali dettati in particolare nella materia urbanistico edilizia», giungendo alla conclusione di escludere la derogabilita' ad opera della legge regionale della normativa statale in materia di distanze, e dunque la piena applicazione della legge regionale, «pena il dubbio di legittimita' costituzionale della stessa».
P. Q. M. Visti gli artt. 137 Cost., 1 legge cost. n. 1/1984 e 23 legge n. 87/1953, ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 64, comma 2 legge Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, come modificata dalla legge Regione Lombardia n. 20 del 27 dicembre 2005, con riferimento agli artt. 2, 3, 42 e 117 comma 2, lett. l) e 3 della Costituzione. Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso nonche' il provvedimento oggetto di reclamo. Ordina che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri ed al presidente della Regione Lombardia e che sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento ed al presidente del Consiglio regionale della Lombardia. Cosi' deciso in Brescia il giorno 11 febbraio 2010. Il Presidente: Ondei