N. 359 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 agosto 2010

Ordinanza del 25 agosto  2010  emessa  dal  Tribunale  amministrativo
regionale per la Puglia  sul  ricorso  proposto  da  Cammarino  Maria
Michela ed altro contro Regione Puglia ed altri. 
 
Elezioni - Norme della Regione Puglia per le elezioni  del  Consiglio
  regionale e del Presidente della Giunta regionale - Criteri per  il
  calcolo   dei   seggi   elettorali   -   Riferimento   alle   liste
  circoscrizionali collegate al candidato presidente, che beneficiano
  del premio di stabilita',  anziche'  alla  "lista  regionale",  cui
  nella  legge  statale  sono  attribuiti  i   seggi   aggiuntivi   -
  Conseguente  determinazione  di  un  numero  di  consiglieri   (78)
  superiore a quello fissato dallo  statuto  (70)  -  Violazione  del
  principio della disciplina statutaria in tema di sistema elettorale
  -  Lesione  della  norma  statutaria  che  fissa  il   numero   dei
  consiglieri regionali. 
- Legge della Regione Puglia 28 gennaio 2005, n. 2, art. 10. 
- Costituzione, art. 123; statuto  della  Regione  Puglia,  art.  24,
  comma 1. 
(GU n.48 del 1-12-2010 )
 
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 805 del 2010, proposto da Maria Michela Cammarino e
Vincenzo De Michele, rappresentati e difesi dall'avv. Lucia  Martino,
con domicilio eletto presso l'avv. Domenico  Garofalo  in  Bari,  via
Dante Alighieri, 396; 
    Contro la Regione Puglia; 
      
    Nei confronti di: 
        Nichi Vendola; 
        Nicola  Marmo,  rappresentato  e  difeso  dall'avv.   Roberto
Ruocco, con domicilio eletto presso l'avv. Raffaele de'  Robertis  in
Bari, via Davanzati, 33; 
        Antonio  Barba,  rappresentato  e  difeso  dall'avv.   Pietro
Quinto, con domicilio eletto presso l'avv. Fulvio Mastroviti in Bari,
via Quintino Sella, 40; 
    e con l'intervento di ad opponendum: 
        Rocco  Palese,  Massimo  Cassano,  Michele  Boccardi,  Davide
Bellomo,  Andrea  Caroppo,  Lucio  Tarquinio,  Gianfranco  Chiarelli,
Domenico Lanzilotta, Saverio Congedo, Roberto Marti, Mario  Vadrucci,
Pietro Iurlaro, Antonio  Camporeale,  Arnaldo  Sala,  Ignazio  Zullo,
Giammarco Surico, Maurizio  Friolo,  Francesco  Damone,  Leonardo  Di
Gioia,  Pietro  Lospinuso,  Francesco  De  Biase,  Giandiego   Gatta,
Giovanni Alfarano, Salvatore  Greco,  rappresentati  e  difesi  dagli
avv.ti Luciano Ancora e Roberto G. Marra,  con  domicilio  eletto  in
Bari, presso l'avv. G. Notarnicola, via Piccinni n. 150; 
        il Movimento Difesa del Cittadino - Mdc  -,  rappresentato  e
difeso dall'avv. Gianluigi Pellegrino, con  domicilio  eletto  presso
l'avv. Maurizio Di Cagno in Bari, via Nicolai, 43; 
    Per l'annullamento previa sospensione dell'efficacia: 
        1. della  proclamazione  degli  eletti  al  Consiglio   della
Regione Puglia conclusasi con atto  dell'Ufficio  centrale  regionale
presso  la  Corte  d'appello  di  Bari  del  giorno  11  maggio  2010
nell'ambito delle elezioni regionali del 28 e 29 marzo 2010; 
        2. del provvedimento dell'Ufficio centrale  regionale  presso
la Corte d'appello di Bari del 29 aprile 2010; 
        3.  di  qualsiasi  altro  atto   agli   stessi   presupposto,
conseguente o correlato. 
    Visto il ricorso con i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio di Nicola Marmo  e  di
Antonio Barba; 
    Visti gli atti d'intervento  di  Rocco  Palese  ed  altri  e  del
Movimento Difesa del Cittadino; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 luglio 2010 il  cons.
Giuseppina Adamo e uditi per le  parti,  i  difensori,  avv.ti  Lucia
Martino, Roberto Ruocco, Luciano Ancora, Roberto  Marra  e  Gianluigi
Pellegrino; 
    I ricorrenti sono elettori del comune di Foggia. 
    Impugnano le operazioni elettorali per il  rinnovo  degli  organi
della Regione Puglia, chiedendo la  correzione  dei  risultati  delle
votazioni del 28 e 29 marzo 2010. 
    In  particolare,  si  dolgono  dell'atto  del  29   aprile   2010
dell'Ufficio centrale regionale presso la Corte  d'appello  di  Bari,
che ha interpretato la  disciplina  di  riferimento  (in  primis,  lo
Statuto della Regione Puglia e la legge regionale 28 gennaio 2005  n.
2, che peraltro esplicitamente s'ispira  alla  legislazione  statale)
nel senso che il consiglio regionale debba ritenersi composto  da  70
componenti  e  non  da  78,  come  sarebbe  invece   determinato   in
applicazione della normativa statale (art. 15, comma tredicesimo, nn.
6, 7 e 8, della legge  17  febbraio  1968  n.  108,  come  modificato
dall'articolo 3 dalla legge 23 febbraio 1995 n. 43  introduttivo  del
meccanismo   di   rafforzamento   della    maggioranza,    cosiddetto
«Tatarellum»). 
    L'atto perviene a tale contestata conclusione osservando che  non
emergono indici  sicuri,  desumibili  dall'articolo  10  della  legge
regionale 28 gennaio 2005 n. 2 (e, in specie, dalla lettera j), della
volonta' di  attribuire  seggi  aggiuntivi,  rispetto  al  numero  di
consiglieri fissato prima dallo Statuto regionale e poi dall'articolo
2 della stessa legge regionale; ragion  per  cui  l'intera  normativa
dev'essere intesa in conformita' allo Statuto, il quale  non  accenna
ne' a deroghe riguardanti la composizione dell'organo collegiale, ne'
a rinvii a meccanismi elettorali disciplinati dalla legge  statale  o
dall'apposita  legge   regionale   (di   fatto   comunque   approvata
successivamente allo statuto). 
     Con il ricorso proposto, questo  ragionamento  viene  contestato
dagli istanti  attraverso  una  serie  di  pregevoli  argomentazioni,
riguardanti il complesso normativo gia' menzionato. 
    Precisamente si sostiene che, dopo l'assegnazione di 56 seggi  su
base proporzionale e 13 in virtu' del «premio di maggioranza» (per un
totale di 70),  l'Ufficio  avrebbe  dovuto  attribuire  ai  candidati
legati  al  presidente  della  giunta   una   quota   aggiuntiva   di
governabilita', pari ad ulteriori 8 seggi, in modo d'assicurare  alle
stesse  forze  una  maggioranza  in  consiglio  del  60  %.  In   via
espressamente  subordinata,  inoltre,  si  chiede,  nell'ipotesi   di
rigetto delle censure teste' accennate, che  comunque  la  stabilita'
sia garantita all'interno della composizione consiliare  ferma  a  70
membri, con la sostituzione di 3 eletti nell'ambito  della  minoranza
con 3 elementi delle liste collegate al Presidente Vendola. 
    Si sono costituiti il Ministero dell'Interno e l'Ufficio centrale
regionale e, in relazione al motivo proposto in via, gradata,  Nicola
Marmo e Antonio Barba. 
    Hanno spiegato intervento ad opponendum il Movimento  Difesa  del
Cittadino con Luigi Mariano, nonche' Rocco Palese e  altri,  come  da
dettaglio in atti. 
    Innanzi tutto deve registrarsi che i ricorrenti hanno  depositato
con l'atto introduttivo del giudizio i propri certificati elettorali.
Per chiarire i termini  della  vicenda,  conviene  poi  riportare  le
disposizioni rilevanti. 
    Per l'articolo 24, primo  comma,  dello  Statuto,  approvato  con
legge regionale 12 maggio 2004  n.  7,  «Il  Consiglio  regionale  e'
composto da settanta consiglieri eletti a  suffragio  universale  dai
cittadini, donne e uomini, iscritti nelle liste elettorali dei comuni
della Puglia, con voto diretto, personale, eguale, libero e segreto». 
    La successiva legge regionale 28 gennaio 2005 n. 2 esplicitamente
dichiara che «Per quanto  non  espressamente  previsto  e  in  quanto
compatibili con la presente legge sono recepite la legge 17  febbraio
1968, n. 108 (Norme  per  l'elezione  dei  Consigli  regionali  delle
Regioni a statuto normale) e la legge 23 febbraio 1995, n. 43  (Nuove
norme per l'elezione dei Consigli delle Regioni a statuto ordinario),
con le successive modificazioni e integrazioni» (articolo 1,  secondo
comma); essa ribadisce all'articolo 3,  primo  comma:  «Il  Consiglio
regionale e' composto da  settanta  membri,  compreso  il  Presidente
eletto,  di   cui   cinquantasei   eletti   sulla   base   di   liste
circoscrizionali concorrenti e tredici eletti tra i gruppi  di  liste
collegate con il candidato Presidente eletto,  secondo  le  modalita'
previste dal successivo articolo 9». 
    L'articolo 10 della stessa legge regionale poi dispone: «1.  Alla
legge n. 108 del 1968 vengono apportate le seguenti modifiche:...  j)
il numero  6)  del  comma  13  dell'articolo  15  e'  sostituito  dal
seguente: 
        ''6)  verifica  quindi  se  i  voti  riservati  al  candidato
Presidente risultato eletto sia pari o superiore al 40 per cento  dei
voti conseguiti da tutti i candidati alla carica di Presidente''». 
    La  norma  statutaria  e'  chiara  nella  sua  indicazione  della
composizione consiliare e, come gia' accennato,  non  contiene  alcun
rimando alla legge elettorale statale o  comunque  ai  meccanismi  di
governabilita', comportanti seggi aggiuntivi, come  invece  prevedono
gli statuti della. Calabria, dell'Abruzzo, della  Lombardia  e  della
Toscana. 
    Anche l'art. 3, primo comma, della  legge  regionale  28  gennaio
2005 n. 2 si limita a indicare in 70 il numero dei  consiglieri,  con
il relativo metodo di attribuzione dei seggi. 
    Da tale disposizione pero' non si puo' dedurre con  certezza  che
la legge  regionale  preveda  un  numero  fisso  di  consiglieri  con
l'esclusione della possibilita' di assegnazione di  altri  seggi,  al
fine di rafforzare la governabilita'. E  cio'  perche'  la  normativa
statale presa a modello (ovvero la legge 17  febbraio  1968  n.  108,
come modificata dalla legge 23 febbraio 1995 n. 43) era formulata  in
modo analogo; sicche' parallelamente l'articolo 2 della legge statale
e l'articolo 3 della legge regionale possono  essere  ragionevolmente
intesi  nel  senso  che  essi  fissano  il  numero  dei   consiglieri
regionali, il quale funziona da presupposto nell'ipotesi in  cui  sia
necessaria l'attribuzione dei seggi aggiuntivi, in  applicazione  del
cosiddetto «Tatarellum». 
    Per quanto riguarda  l'articolo  10  della  legge  regionale,  la
tecnica di drafting utilizzata  non  agevola  la  comprensione  della
disciplina e, per altro verso, finisce per sovrapporre i due  diversi
livelli  legislativi.  Ha  osservato  la  Corte  costituzionale,   in
un'ipotesi simile, che non e' «precluso  dettare,  nell'esercizio  di
una competenza che ormai le e' propria, una  disciplina  riproduttiva
di quella delle leggi statali previgenti»... «Tale  "recepimento"  va
ovviamente inteso nel senso che la legge regionale viene  a  dettare,
per relationem, disposizioni di contenuto  identico  a  quelle  della
legge statale, su alcune delle quali, contestualmente,  gli  articoli
successivi operano modificandole o sostituendole: ferma restandone la
diversa forza formale e la diversa sfera  di  efficacia.  Il  Giudice
delle leggi ha in particolare rimarcato  ''la,  improprieta'  di  una
tecnica  legislativa  che,  operando  il  ''recepimento''  e  poi  la
parziale sostituzione delle disposizioni  della  legge  statale  (fra
l'altro, a quanto sembra, della sola legge n. 108 del  1968,  con  le
modifiche apportate successivamente al suo testo, in  particolare  da
vari articoli della legge n.  43  del  1995,  e  non  delle  autonome
disposizioni dettate successivamente dalla stessa  legge  n.  43  del
1995),  da'  vita  ad  una  singolare  legge  regionale,  dal   testo
corrispondente  a  quello  della  legge  statale,  i  cui  contenuti,
peraltro, non risultano sempre legittimamente assumibili dalla  legge
regionale, in quanto  estranei  alla  sua  competenza''  (sentenza  5
giugno 2003 n. 196). 
    In  definitiva,  il  legislatore  regionale,  con  il  richiamato
articolo 10, ha operato un rinvio materiale implicito alla  legge  17
febbraio  1968  n.  108,   nella   versione   vigente,   introducendo
chirurgicamente alcune modifiche determinate da precise scelte  della
normativa regionale e, in particolare, per quel che  in  questa  sede
rileva, da quella di sostituire il riferimento alla "lista regionale"
(cosiddetto listone, cui nella legge statale sono attribuiti i  seggi
aggiuntivi, e che invece e' stato eliminato nella Regione Puglia) con
quello alle liste circoscrizionali collegate al candidato presidente,
le quali direttamente beneficiano del premio di stabilita'. 
    Si  deve   in   conclusione   constatare   che,   nonostante   la
discutibilita'  della  tecnica  di  redazione,  la  legge   regionale
elettorale  ha  adottato,  seppur  con   limitati   adeguamenti,   il
cosiddetto «Tatarellum» comprensivo dell'assegnazione del  premio  di
governabilita',   dovendosi   altrimenti   ipotizzare   la   completa
inutilita' e superfluita' della norma  (in  contrasto  oltretutto  da
quanto risulta chiaramente dai lavori preparatori). 
    Cio' significa che l'applicazione di tale legge  elettorale  puo'
portare (e, in effetti, porta nella tornata elettorale del  2010)  ad
un risultato incompatibile con  l'articolo  24,  primo  comma,  dello
Statuto, in quanto il meccanismo elettorale (che  intende  assicurare
alle liste collegate al presidente della Regione - in questo  caso  -
il sessanta per cento dei seggi nell'assemblea) produce un numero  di
consiglieri (78) superiore a quello fissato dallo statuto  (70).  Ne'
tale antinomia puo' essere  risolta  in  via  meramente  ermeneutica:
partendo dal presupposto (sulla  cui  sussistenza  si  ritornera'  in
seguito) che la determinazione di cui all'articolo 24 possa ritenersi
annoverabile nel contenuto necessario dello Statuto,  deve  reputarsi
che il rapporto tra  le  relative  norme  in  via  di  principio  non
soggiaccia al criterio cronologico,  di  cui  all'articolo  15  delle
disposizioni sulla legge in generale, essendo state  delineate  dagli
articoli 122 e 123 della Costituzione  (nel  testo  risultante  dalla
legge costituzionale 22 novembre 1999 n. 1)  due  distinte  sfere  di
competenza. 
    In tale ragione dunque consiste la rilevanza della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'articolo 10 della legge regionale 28
gennaio 2005 n. 2, in relazione all'articolo 123 della  Costituzione,
per contrasto con la norma interposta  costituita  dall'articolo  24,
primo comma, dello Statuto (Corte costituzionale 10 marzo 1983 n. 48;
27 ottobre 1988 n. 993; 26 febbraio 2010 n.  68);  questione  di  cui
dunque deve verificarsi la non manifesta infondatezza. 
    All'uopo,  principalmente,  occorre  interrogarsi  sull'idoneita'
della norma  statutaria  quale  parametro  di  costituzionalita',  in
particolare, sotto i profili evidenziati nella dialettica processuale
dalle parti, cosi' enucleabili: 
        se l'articolo 24, primo comma, dello  Statuto  rispetti  esso
stesso gli articoli 122  e  123  della  Costituzione,  ovvero  se  lo
statuto non travalichi la sfera de «la forma di governo e i  principi
fondamentali di organizzazione e funzionamento»,  da  determinare  in
armonia  con  la  Costituzione,  per  sconfinare  nel   «sistema   di
elezione»,  che  dev'essere  invece  disciplinato  «con  legge  della
Regione nei limiti dei  principi  fondamentali  stabiliti  con  legge
della Repubblica»; 
        se, una volta che  «i  principi  fondamentali»  delle  regole
elettorali siano stati cristallizzati nell'articolo 4 della  legge  2
luglio 2004 n. 165 e che sia stata imposta la «a)  individuazione  di
un  sistema  elettorale  che  agevoli  la   formazione   di   stabili
maggioranze nel consiglio  regionale  e  assicuri  la  rappresentanza
delle minoranze», la scelta di una composizione rigida dell'assemblea
regionale, da parte dello Statuto, non debba ritenersi  per  lo  meno
disarmonica rispetto alla Costituzione. 
    Ambedue i dubbi pero' possono essere fugati. 
    Quanto alla determinazione del numero  dei  consiglieri,  di  cui
all'articolo 24, primo comma, dello Statuto, per la  riconducibilita'
della disposizione alla competenza riservata allo  statuto  depongono
una serie di elementi che debbono essere cumulativamente considerati. 
    Innanzi tutto, in base alla nuova formulazione dell'articolo  123
(in cui viene abbandonata la precedente  attribuzione  limitata  alle
«norme relative all'organizzazione interna della  regione»),  non  si
giustifica una lettura della norma che isoli «la  forma  di  governo»
dai «principi fondamentali di organizzazione e funzionamento»  e  non
ne colga invece il significato integrale, che e' quello di  abilitare
lo statuto  a  definire  i  tratti  fondamentali  dell'organizzazione
costituzionale e amministrativa dell'ente. Tra questi  non  puo'  che
essere compresa la configurazione dell'assemblea regionale e  la  sua
composizione. 
    D'altra parte  non  vi  e'  motivo  d'interpretare  l'espressione
«forma di governo» in modo rigido e restrittivo, una volta constatato
che viene recepito  non  gia'  un  istituto  giuridico  positivamente
definito, bensi' una categoria concettuale (usualmente riferita  allo
Stato  e  collegata  con  le  distinzioni  della   relativa   forma),
attraverso la quale vengono astratti i caratteri di  modelli  storici
di organizzazione politico-costituzionale posti in comparazione,  con
individuazione e accentuazione di  elementi  caratteristici  diversi,
sulla cui rilevanza  si  registra  una  varieta'  di  valutazioni  in
dottrina. 
    Di  conseguenza,  non  vi  sarebbe  ragione   d'includere   nella
competenza disegnata dall'art.  123  solamente  i  rapporti  tra  gli
organi di governo della regione, strettamente intesi (con  esclusione
del corpo elettorale, che  pure,  secondo  posizioni  minoritarie  ma
autorevoli, rientrerebbe in tali relazioni), per concludere che nelle
previsioni  proprie  dello  statuto  non  possa  trovare  spazio   la
composizione dell'organo assembleare, che pure denota  anch'essa  una
scelta politica fondamentale. 
    Cio'  contrasterebbe  con  lo  spirito  innovativo  della   legge
costituzionale 22 novembre 1999 n. 1, la  quale  si  e'  ispirata  al
criterio di massima  per  cui  la  determinazione  dei  caratteri  di
organizzazione   politica   della    regione    dev'essere    rimessa
all'autodeterminazione  di  quest'ultima,  costituendo,  anzi,  parte
integrante della sua autonomia.  Di  qui  la  considerazione  che  la
costituzione  degli  organi  della  Regione,  attraverso  la  tornata
elettorale e l'applicazione del principio generale per  cui  si  deve
agevolare  la  formazione  di  maggioranze  stabili   nel   Consiglio
(contenuto nella legge 2 luglio 2004, n. 165) non possano non  essere
il risultato del concorso - e  non  certo  della  contrapposizione  o
della reciproca elisione - delle disposizioni  costituzionali  (artt.
122  e   123)   contestualmente   modificate   dalla   stessa   legge
costituzionale  n.  1  del  1999,  le  quali  andrebbero   lette   ed
interpretate in termini di coerenza e  d'integrita'  sistematica.  In
particolare l'art. 122 Cost. dev'essere letto in stretta  connessione
con l'art. 123 Cost., nel  senso  che  spetta  alla  legge  regionale
disciplinare il sistema di elezione del presidente e  dei  componenti
della giunta e del consiglio, nonche' i  casi  di  ineleggibilita'  e
d'incompatibilita' di tali soggetti conformemente al proprio statuto,
al quale e' rimessa la determinazione della forma di  governo  e  dei
principi di organizzazione  regionale.  Il  necessario  raccordo  tra
l'art. 122 e l'art. 123 Cost.  puo'  essere  ricavato,  a  contrario,
dalla constatazione che si registra una significativa differenza  tra
l'autonomia (tramite fissazione nello statuto della propria forma  di
governo) concessa dal legislatore costituzionale alle Regioni in tale
materia, e quella di cui dispongono, invece,  gli  enti  territoriali
minori, poiche' relativamente a questi ultimi la Costituzione  rinvia
alla potesta' legislativa statale.  Tanto  e'  vero  che  mentre  per
comuni e province e' dato riscontrare  una  disciplina  uniforme,  in
merito alle forme di governo e ai sistemi elettorali  regionali  sono
possibili (autonome) soluzioni diversificate, sia pure  nel  rispetto
della Costituzione e dei principi  generali  sanciti  nella  legge  2
luglio 2004 n. 165. 
    Peraltro, per ritenere condivisibili le  tesi  attoree,  volte  a
dimostrare l'intangibilita' della composizione mobile  del  consiglio
(che discende dai meccanismi introdotti dalla legge 23 febbraio  1995
n. 43 e fatti propri dalla legge regionale 28 gennaio 2005 n.  2)  ad
opera della fonte statutaria, la  locuzione  «sistema  di  elezione»,
che, secondo l'art. 122 della Costituzione, e' oggetto di  disciplina
«con  legge  della  Regione  nei  limiti  dei  principi  fondamentali
stabiliti con legge della Repubblica», dovrebbe  essere  intesa  come
comprensiva della  determinazione  del  numero  dei  consiglieri.  Su
questo presupposto,  allora,  anche  alla  fattispecie  in  esame  si
attaglierebbe il giudizio pronunciato  dalla.  Corte  costituzionale,
per la quale "occorre prendere atto che non si  puo'  pretendere,  in
nome della competenza statutaria in tema di "forma  di  governo",  di
disciplinare la materia elettorale tramite  disposizioni  statutarie,
dal momento che il primo  comma  dell'art.  123  ed  il  primo  comma
dell'art. 122 sono disposizioni tra loro pari ordinate: anche se  sul
piano concettuale puo' sostenersi che la determinazione  della  forma
di governo puo' (o addirittura dovrebbe) comprendere la  legislazione
elettorale, occorre  prendere  atto  che,  invece,  sul  piano  della
Costituzione vigente, la potesta'  legislativa  elettorale  e'  stata
attribuita ad organi ed a procedure diverse da quelli  preposti  alla
adozione dello statuto regionale e che quindi  lo  statuto  regionale
non  puo'  disciplinare  direttamente   la   materia   elettorale   o
addirittura contraddire la disposizione  costituzionale  che  prevede
questa speciale competenza legislativa" (sentenza 13 gennaio 2004, n.
2; nonche' 5 giugno 2003, n. 196; 6 dicembre 2004, n. 378; 14  giugno
2007, n. 188). 
    Al  riguardo  si  deve  osservare  che,  per  quanto  si  possano
intendere in senso lato termini quali elezioni o  materia  elettorale
(secondo la lettera dell'art. 72, ultimo comma, della Costituzione) o
legge elettorale o diritto elettorale, essi si riferiscono pur sempre
ad  un   insieme   funzionalizzato   comprensivo   di   procedimenti,
organizzazione e atti,  attraverso  il  quale  le  scelte  del  corpo
elettorale si tramutano in investiture a cariche pubbliche ad tempus.
Essi  in  definitiva  esprimono  sempre   una   natura   strumentale,
conservano la  loro  connotazione  di  meccanismo  d'investitura  con
metodo elettivo, che non puo' quindi, in se', confondersi con il dato
della disciplina dell'organo  pubblico  (con  la  sua  consistenza  e
composizione). Tale dato deve normalmente essere  espresso  dall'atto
fondamentale di un ente autonomo, che  per  la  regione,  secondo  la
Costituzione, e' individuato nello statuto, il  quale  «determina  la
forma di governo  e  i  principi  fondamentali  di  organizzazione  e
funzionamento». 
    Nello stesso senso si e' espressa la Corte costituzionale, per la
quale «le scelte fondamentali in ordine al riparto delle funzioni tra
gli organi regionali, ed in particolare tra il Consiglio e la Giunta,
alla loro organizzazione  e  al  loro  funzionamento  sono  riservate
dall'art. 123 Cost. alla fonte statutaria» (sentenza 14 giugno  2007,
n.   188).   In   particolare,   ritenendo   infondati   i    rilievi
d'illegittimita' mossi allo Statuto della Regione Marche, nella parte
in cui «(agli artt. 7, comma 1, e 11, comma 2) fissa  il  numero  dei
componenti del Consiglio medesimo in quarantadue, e non quarantatre»,
ha chiaramente affermato che tale previsione rientra nella competenza
statutaria. Invero, «La norma impugnata non contraddice  gli  evocati
parametri  statutari,  ma  e'  coerente  con   essi.   Legittimamente
esercitando la propria competenza  in  ordine  alla  scelta  politica
sottesa alla determinazione della «forma di  governo»  della  Regione
(art. 123, primo  comma,  Cost.),  il  legislatore  statutario  delle
Marche  ha  infatti  stabilito  che  ''Il  Presidente  della   Giunta
regionale e' eletto a suffragio universale e diretto in  concomitanza
con  l'elezione  del  Consiglio  regionale  e  fa  parte  dell'organo
consiliare'' (art. 7, comma 1) e che ''Il  Consiglio  [regionale]  e'
composto da quarantadue consiglieri'' (art. 11, comma  2)»  (sentenza
13 gennaio 2006, n. 3). 
    Ad escludere la plausibilita' di una tale operazione  ermeneutica
estensiva  concorre  inoltre  un  argomento  di  tipo  letterale:  in
realta',  l'art.  123  della  Legge  fondamentale  non  utilizza   le
generiche  locuzioni  sovraelencate  (elezioni,  materia  elettorale,
legge elettorale, diritto elettorale), bensi' "sistema di  elezione",
la quale, nel linguaggio settoriale, si  riferisce  alla  fase  dello
scrutinio e dell'assegnazione dei seggi ed esprime  un  complesso  di
regole e una combinazione di varie procedure che mirano a  consentire
l'efficace  traduzione  dei  voti  espressi  in  seggi   e   cariche,
attraverso  la  definizione  del   sistema   di   votazione   (ovvero
dall'insieme di fattori che concorrono a regolare le  elezioni,  come
le  dimensioni  delle  circoscrizioni,  il  numero  delle  preferenze
esprimibili, la regolamentazione sulle candidature e  l'utilizzo  dei
mezzi di comunicazione) e del metodo per  l'attribuzione  dei  seggi,
con l'applicazione  della  formula  elettorale,  classificabile  come
maggioritaria o proporzionale, a cui  si  e'  aggiunta,  storicamente
piu' di recente, quella mista. 
    Per completezza si  deve  aggiungere  che  non  possono  emergere
elementi a smentita di tale conclusione dalla legge 17 febbraio 1968,
n. 108 (Norme per l'elezione dei Consigli regionali delle  Regioni  a
statuto normale). Tale legge sia nel suo testo originario  sia  nella
versione risultante delle modifiche apportate dalla legge 23 febbraio
1995, n. 43 (Nuove norme per l'elezione dei Consigli delle Regioni  a
statuto  ordinario),  nonostante  si  occupasse  espressamente  della
materia elettorale, determinava all'art. 2 il "Numero dei consiglieri
regionali".  Cio'  pero'  all'epoca   (ovvero   prima   della   legge
costituzionale n. 1/1999) era sicuramente ammesso  e  non  comportava
alcun problema,  visto  che  l'art.  122  della  Costituzione  allora
vigente affidava alla  legge  statale  il  compito  di  fissare  tale
numero. Di riflesso, anche tale aspetto  poteva  essere  disciplinato
dalla medesima fonte che regolamentava  le  elezioni,  pur  rimanendo
concettualmente ben distinti i due ambiti. Una  volta  pero'  che  la
legge costituzionale del 1999 ha scisso le due  materie  distinguendo
tra forma di governo e  principi  fondamentali  di  organizzazione  e
funzionamento (affidati  dal  novellato  art.  123  allo  statuto)  e
sistema elettorale  (di  spettanza  della  legge  regionale  entro  i
principi fondamentali statali, secondo  il  riformato  art.  122)  la
ripartizione logica acquista rilevanza e operativita'. 
    E' da escludere poi che l'art. 24 dello Statuto (laddove fissa in
modo rigido in 70 i componenti del consiglio) si ponga  in  contrasto
con "i principi fondamentali" delle regole  elettorali  (in  concreto
individuati dall'articolo 4 della legge 2  luglio  2004  n.  165,  il
quale impone in particolare  la  "a)  individuazione  di  un  sistema
elettorale che agevoli  la  formazione  di  stabili  maggioranze  nel
consiglio regionale e assicuri la  rappresentanza  delle  minoranze")
ovvero in disarmonia rispetto alla Costituzione. 
    E' evidente infatti che i richiamati principi fondamentali cui si
deve attenere la legge elettorale regionale, ex  articolo  122  della
Costituzione,  non  limitano  affatto  l'attivita'  del   legislatore
statutario. In realta' il ragionamento attoreo finisce  per  rivelare
un'inversione logica e cronologica. 
    Non e'  invero  lo  statuto  che  deve  adeguarsi  al  meccanismo
elettorale (in concreto al cosiddetto Tatarellum, che storicamente ha
assicurato la solidita' delle maggioranze regionali coagulate intorno
al presidente della giunta), ma, al contrario, e' la legge elettorale
regionale che, partendo dal prius costituito dalla scelta  statutaria
di composizione fissa  dell'organo  assembleare,  deve  elaborare  un
sistema adeguato ai principi generali della legge 2  luglio  2004  n.
165 (ma sempre nel  rispetto  del  vincolo  costituito  dalle  scelte
statutarie). 
    D'altra parte, il diritto positivo non  impone  il  rispetto  del
modello  delineato  dalla  legge  17  febbraio  1968  n.  108,   come
modificata dalla legge 23  febbraio  1995  n.  43,  ma  prevede  solo
l'efficacia transitoria della medesima disciplina,  in  attesa  delle
scelte autonome delle  regioni,  ad  iniziare  da  quelle  statutarie
(articolo 5 della legge costituzionale n. 1/1999). 
    Ne' si puo' ipotizzare  che  quello  disegnato  dalla  disciplina
statale  rappresenti  l'unico  sistema  in  grado  di  agevolare   la
formazione di stabili maggioranze: a prescindere dall'ovvia notazione
che tale risultato dipende non solo  dall'esito  delle  votazioni  ma
anche dalla qualita' della maggioranza, la cui intrinseca compattezza
e' un dato non meramente quantitativo non del tutto  determinato  dal
sistema elettorale, occorre sottolineare che l'articolo 4, lett.  a),
della legge 2 luglio 2004 n. 165  non  si  limita  a  indirizzare  il
legislatore regionale verso la finalita' di agevolare  la  formazione
di esecutivi  stabili,  ma  anche  lo  sprona  contemporaneamente  ad
assicurare forme di tutela della «rappresentanza delle minoranze». Si
puo' percio' presumere l'ammissibilita' dei vari  sistemi  cosiddetti
misti, mentre non emerge, come gia'  rilevato,  che  lo  Stato  abbia
avvertito  l'esigenza  di  conservare  precisamente   il   meccanismo
usualmente denominato «Tatarellum». 
    In definitiva, il principio generale della legge statale per  cui
e'  necessario  adottare  un  sistema  di  elezione   che   favorisca
maggioranze stabili, e' per l'appunto un principio generale, che puo'
non coincidere o che  non  deve  necessariamente  coincidere  con  la
formula elettorale del Tatarellum. Il che e' coerente con la rinuncia
del legislatore costituzionale a riservare alla legislazione  statale
una disciplina uniforme  sul  numero  predeterminato  di  consiglieri
regionali, con un'opzione diversa da quella riguardante i comuni e le
province. In definitiva il sistema sottolinea la stretta correlazione
strumentale della materia elettorale con la fissazione, a priori, del
numero dei consiglieri da parte dello statuto  regionale.  Non  solo:
evidenzia i caratteri di  una  scelta  politica  che,  se  prima  era
rimessa alla legge statale, ora deve ritenersi rimessa alla piu' alta
delle fonti regionali, ossia allo statuto. 
    Per i motivi fin qui esposti  in  ordine  alla  rilevanza  e  non
manifesta   infondatezza   della   questione   di   costituzionalita'
dell'articolo 10 della legge regionale 28 gennaio  2005  n.  2,  essa
dunque dev'essere sottoposta al Giudice delle leggi. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli 1 della legge 9 febbraio 1948 n. 1 e 23  della
legge 11 marzo 1953 n. 87, riservata ogni altra  pronuncia  in  rito,
nel merito e sulle spese, ritenuta  rilevante  e  non  manifestamente
infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 10 della  legge
regionale 28 gennaio 2005 n. 2, in relazione all'articolo  123  della
Costituzione, per contrasto con l'art. 24, primo comma, dello Statuto
della Regione Puglia, dispone  l'immediata  trasmissione  degli  atti
alla Corte costituzionale, sospendendo il giudizio in corso. 
    Ordina che, a cura della Segreteria, la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti e al  Presidente  della  Giunta  della  Regione
Puglia, nonche' sia comunicata al Presidente del Consiglio  regionale
pugliese. 
    Cosi' deciso in Bari nella  Camera  di  consiglio  del  giorno  7
luglio 2010. 
 
                       Il Presidente: Durante 
 
 
                                                   L'estensore: Adamo