N. 394 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 settembre 2010

Ordinanza  del 21 settembre  2010  emessa  dal  Giudice  di  pace  di
Alessano nel procedimento penale a carico di  Gheibparvar  Salman  ed
altri. 
 
_Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato
  - Configurazione della fattispecie come  reato  -  Irragionevolezza
  sotto diversi profili - Disparita' di trattamento rispetto al reato
  di cui all'art. 14, comma 5-ter, del  d.lgs.  n.  286  del  1998  -
  Violazione  del  principio  di  uguaglianza  e  del  principio   di
  materialita' - Lesione dei diritti inviolabili dell'uomo. 
- Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art.  10-bis,  aggiunto
  dall'art. 1, comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, artt. 2, 3, primo comma, e 25, comma secondo. 
(GU n.52 del 29-12-2010 )
 
                          IL GIUDICE DI PACE 
 
    Nel processo penale a carico di: 
        Gheibparvar Salman, nato a  Shenaz  (Iran)  il  15  settembre
1988; 
        Salchi Majid, nato a Teheran (Iran) il 15 giugno 1987; 
        Shahroz Babaie, nato a Teheran (Iran) il 20 meggio 1985; 
        Babal Ali, nato a Miana (Iran) il 1° febbraio 1990; 
        Shahram Babaie, nato a Teheran (Iran) il 25 ottobre 1980; 
        Haron Nadevi, nata a Konar (Afghanistan) il 13 gennaio 1981; 
        Ahmadraj Jamal, nato a Baghlan (Afghanistan)  il  6  febbraio
1990; 
        Omavzaj Habibolah, nato a Konar (Afghanistan)  il  10  maggio
1989, 
    imputati tutti della contravvenzione di cui all'art.  10-bis  del
decreto legislativo n. 286/1998 per avere, quali cittadini stranieri,
fatto ingresso ed essersi trattenuti nel territorio  dello  Stato  in
violazione delle disposizioni  del  medesimo  decreto  legislativo  e
dell'art. 1 della legge n. 68/2007 essendo privi di valido titolo  di
soggiorno; 
    Reato commesso il 18 gennaio 2010 in localita' San Gregorio, agro
del comune di Patu'; 
    Premessi i fatti di cui al capo d'imputazione, sull'eccezione  di
illegittimita' costituzionale dell'art. 10-bis, d.lgs. n. 286/98 come
introdotto dall'art. 1,  comma  16,  legge  15  luglio  2009,  n.  94
formulata dal difensore degli  imputati,  tenuto  conto  della  varie
ordinanze gia' emesse da altri giudici sul medesimo tema, aderendo in
particolare  alle  argomentazioni   dedotte   dalla   Procura   della
Repubblica del Tribunale di Torino che fa proprie osserva e ribadisce
che: 
    l'art. 10-bis del d.lgs. n. 286/98 introdotto dall'art. 1,  comma
16 della legge 15 luglio 2009, n. 94  prevede  la  nuova  fattispecie
criminosa dell'«ingresso e soggiorno illegale  nel  territorio  dello
Stato» sanzionando con l'ammenda «lo straniero che fa ingresso ovvero
si  trattiene  nel  territorio  dello  Stato  in   violazione   delle
disposizioni del presente testo unico nonche' di quelle  dell'art.  1
della legge 28 maggio 2007, n. 68»; tale norma  appare  in  contrasto
con l'art. 3 della  Cost.,  sotto  il  profilo  dell'irragionevolezza
della scelta legislativa di criminalizzare l'ingresso e la permanenza
dei clandestini nello Stato italiano; pur riconoscendo che compete al
legislatore   un   generale   potere   «di   regolare   la    materia
dell'immigrazione, in correlazione ai molteplici  interessi  pubblici
da essa coinvolti ed ai gravi problemi connessi ai  flussi  migratori
incontrollati» (Corte cost. sent.  5/2004)  facendo  buon  uso  della
sfera di  discrezionalita'  sua  propria,  l'azione  di  tale  organo
costituzionale trova limiti insuperabili nell'osservanza dei principi
fondamentali  del  sistema  penale  stabiliti  dalla  Costituzione  e
nell'adozione di soluzioni orientate a canoni di ragionevolezza e  di
razionalita' finalistica; la irragionevolezza della nuova fattispecie
criminosa e' chiaramente evidenziata dalla carenza di un  pur  minimo
fondamento giustificativo: la penalizzazione di una condotta dovrebbe
intervenire come estrema ratio, in  tutti  i  casi  in  cui  non  sia
possibile individuare altri strumenti idonei al raggiungimento  dello
scopo. 
    L'obiettivo perseguito dalla nuova fattispecie incriminatrice  e'
costituito  dall'allontanamento  dello   straniero   irregolare   dal
territorio  dello  Stato:  tale  misura  e'  prevista  come  sanzione
sostitutiva irrogabile dal giudice di pace  ai  sensi  dell'art.  16,
d.lgs. n. 286/98 appositamente  modificato  per  comprendervi  tra  i
presupposti la sentenza di condanna per  il  reato  di  cui  all'art.
10-bis (cosi' alterando anche con l'espressa  introduzione  dell'art.
62-bis il sistema sanzionatorio designato dal d.lgs. n. 274/2000  che
prescriveva all'art. 62  l'espresso  divieto  di  applicazione  delle
altre  misure  sostitutive  di  pene  detentive  brevi);  inoltre  la
effettiva  espulsione   dello   straniero   in   via   amministrativa
costituisce causa di non procedibilita' dell'azione  penale,  il  che
rende  evidente  quale  sia  l'interesse  primario   perseguito   dal
legislatore; infine non e' richiesto alcun nulla osta  dell'Autorita'
giudiziaria per l'esecuzione dell'espulsione, al chiaro scopo di  non
creare intralci alla predetta operazione. 
    L'evidente  finalita'  della  nuova  fattispecie  incriminatrice,
strumentale  all'allontanamento  dello   straniero   irregolare   dal
territorio dello  Stato  ne  sottolinea  la  mancanza  di  una  ratio
giustificatrice,  perche'  lo  stesso  obbiettivo  era  perfettamente
raggiungibile prima della introduzione della nuova figura  di  reato,
mediante l'adozione dell'espulsione coattiva in via amministrativa ai
sensi degli  artt.  13,  comma  4,  d.lgs.  n.  286/98.  L'ambito  di
applicazione  della  nuova  fattispecie  coincide  perfettamente  con
quella della preesistente misura amministrativa della espulsione, sia
sotto il profilo dei soggetti destinatari,  sia  sotto  quello  della
ratio   giustificativa.   Il   che   significa   che    c'era    gia'
nell'ordinamento  italiano   uno   strumento   ritenuto   idoneo   al
raggiungimento dello scopo  (che  non  e'  stato  oggetto  di  alcuna
modifica normativa) e l'adozione dello strumento penale  resta  privo
di ogni giustificazione; l'irragionevolezza della  nuova  fattispecie
penale emerge anche sotto il profilo sanzionatorio; che comprende non
solo la pena dell'ammenda da 5.000 a 10.000 euro, ma anche il divieto
di applicazione del beneficio della  sospensione  condizionale  della
pena e della facolta' concessa al giudice di pace  di  sostituire  la
pena  pecuniaria  con  una  sanzione   piu'   grave,   quale   quella
dell'espulsione dallo Stato per un periodo  non  inferiore  a  cinque
anni (unico caso di misura  sostitutiva  piu'  grave  della  sanzione
principale sostituita); l'art. 3 Cost. appare violato sotto un  altro
profilo  specifico,  concernente  la  irragionevole   disparita'   di
trattamento tra la nuova fattispecie  e  quella  dell'art.  14  comma
5-ter, d.lgs. n. 286/98 che prevede la  punibilita'  dello  straniero
inottemperante all'ordine di allontanamento del Questore solo  quando
lo stesso si trattenga nel territorio dello Stato  oltre  il  termine
stabilito e «senza giustificato motivo». 
    Due condizioni che non si trovano nella nuova  figura  criminosa,
cosicche' e'  sufficiente  il  venir  meno  per  qualche  motivo  del
permesso di soggiorno perche' sia immediatamente  ed  automaticamente
integrata  una  ipotesi  di  trattenimento  illecito,  senza   alcuna
possibilita'   per   l'interessato,   di    addurre    una    qualche
giustificazione o di usufruire di un termine per potersi allontanare. 
    Va richiamata al riguardo la sentenza della C.  cost.  n.  5/2004
che ha salvato la costituzionalita' dell'art. 14, comma 5  d.lgs.  n.
286/98 proprio grazie alla interpretazione  costituzionale  orientata
della clausola «senza giustificato motivo»  considerata  al  pari  di
altre simili rinvenibile nell'ordinamento, una «valvola di sicurezza»
del meccanismo repressivo atta ad evitare  «che  la  sanzione  penale
scatti allorche' anche al di fuori della presenza di vere  e  proprie
cause   di   giustificazione   l'osservanza   del   precetto   appaia
concretamente inesigibile» per i piu' svariati  motivi  riconducibili
«a situazioni ostative di particolare pregnanza  che  incidano  sulla
stessa   possibilita'   soggettiva   od   oggettiva,   di   adempiere
all'intimazione,  escludendola  ovvero  rendendola   difficoltosa   o
pericolosa». Il nuovo reato di immigrazione  clandestina  non  appare
conforme alla Costituzione perche' punisce indiscriminatamente  tutti
i soggetti irregolarmente presenti nei territorio dello stato,  senza
tenere conto della eventuale  esistenza  di  situazioni  legittimanti
tale presenza. 
    Il nuovo art. 10-bis d.lgs. n. 286/98  appare  in  contrasto  con
l'art. 3 Cost. nonche' con l'art.  25,  secondo  comma  Cost.,  avuto
riguardo   alla   configurazione   di    una    fattispecie    penale
discriminatoria, perche' fondata su particolari condizioni  personali
e sociali, anziche'  su  fatti  e  comportamenti  riconducibili  alla
volonta' del soggetto attivo. 
    Infatti  la  nuova  fattispecie  incriminatrice   sanziona   solo
apparentemente una condotta (l'azione dell'ingresso e l'omissione del
mancato allontanamento) in realta' in se' e per se' del tutto  neutra
agli effetti penalistici, mentre il vero oggetto  dell'incriminazione
e' la mera  condizione  personale  dello  straniero,  costituita  dal
mancato possesso un titolo abilitativo all'ingresso e alla successiva
permanenza nel territorio dello  Stato,  che  e'  poi  la  condizione
tipica del migrante economico e dunque anche una condizione  sociale,
cioe' propria di una categoria di persone; una  situazione  priva  di
una qualche significativita' sotto  il  profilo  della  pericolosita'
sociale, difficilmente riconducibile ad  una  condotta  volontaria  e
consapevole  dello  straniero  migrante  essendo  costui  di   regola
costretto a fuggire dal proprio stato di appartenenza per ragioni  di
sopravvivenza e a subire la sottrazione dei documenti (ove esistenti)
da parte delle compagini criminali che  organizzano  i  viaggi  della
speranza. La  criminalizzazione  del  migrante  economico  appare  in
contrasto sia con il principio di  uguaglianza  sancito  dall'art.  3
Cost.  che  vieta  ogni  discriminazione  fondata,  tra  l'altro   su
condizioni personali e sociali,  sia  con  la  fondamentale  garanzia
costituzionale secondo cui si  puo'  essere  puniti  solo  per  fatti
materiali (art. 25, secondo comma Cost.). 
    La Corte costituzionale si e' gia' espressa  in  modo  inequivoco
sul punto stabilendo nella sentenza  n.  78  del  2007,  in  tema  di
applicabilita'  delle  misure  alternative   alla   detenzione   agli
stranieri  clandestini,  che  «il  mancato  possesso  di  un   titolo
abilitativo alla permanenza nel territorio dello  Stato»  costituisce
«una condizione soggettiva»  «che  di  per  se'  non e'  univocamente
sintomatica... di una particolare  pericolosita'  sociale»;  dal  che
consegue «l'impossibilita' di individuare nella esigenza di  rispetto
delle regole in materia di ingresso e soggiorno in  detto  territorio
una  ragione  giustificativa  della  radicale  discriminazione  dello
straniero sul piano dell'accesso  al  percorso  rieducativo,  cui  la
concessione  delle  misure  alternative  e'  funzionale».  La   nuova
fattispecie renderebbe inapplicabile  la  citata  sentenza  della  C.
Cost.  e  inaccessibili  le  misure  alternative  alla  detenzione  a
stranieri  clandestini   condannati   a   pene   detentive   perche',
sanzionando  penalmente  la  clandestinita'  dello  straniero,   essa
collega a tale  condizione  un  implicito,  quanto  ingiustificato  e
irrazionale, giudizio di pericolosita' sociale, che  di  per  se'  e'
incompatibile - come ammesso dalla  stessa  Corte  cost.  -  «con  il
perseguimento  di  un  percorso  riabilitativo  attraverso  qualsiasi
misura alternativa». 
    La nuova fattispecie appare infine  in  contrasto  con  l'art.  2
Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili  dell'uomo  e
richiede  l'adempimento  dei  doveri  inderogabili  di   solidarieta'
politica, economica e sociale. Con parole lungimiranti  perfettamente
applicabili anche ai nuovi poveri di oggi, gli stranieri migranti, la
Corte costituzionale, con la sentenza  n.  519  del  1995,  dichiaro'
l'illegittimita'  costituzionale  del  reato  di  mendicita'  di  cui
all'art. 670 c.p. non potendosi ritenere necessitato il ricorso  alla
regola penale per sanzionare la mera  mendicita'  non  invasiva  che,
risolvendosi in una semplice richiesta di  aiuto,  non  poteva  dirsi
porre seriamente in pericolo i  beni  giuridici  della  tranquillita'
pubblica  e  dell'ordine  pubblico.  Allo  stesso  modo  lo   spirito
solidaristico di cui e' impregnata la Carta  costituzionale  dovrebbe
impedire l'adozione di misure puramente repressive per risolvere,  il
problema dell'immigrazione; lo straniero  migrante  non  puo'  essere
considerato pericoloso per l'ordine e  la  tranquillita'  pubblica  e
colpevole per il solo fatto di esistere. 
    Le questioni di  costituzionalita'  sopra  enunciate  appaiono  a
questo giudice serie e comunque non  manifestamente  infondate:  esse
sono inoltre rilevanti  nel  processo  poiche'  se  accolte,  con  la
conseguente declaratoria di  illegittimita'  delle  norme  denunciate
comporterebbero  l'assoluzione  dell'imputato   essendo   lo   stesso
chiamato a rispondere del reato di ingresso e soggiorno illegale  nel
territorio dello Stato ai sensi dell'art.  10-bis  d.lgs.  n.  286/98
come introdotto dalla legge citata. 
 
                                P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli 137 della Costituzione, 1 della legge cost.  9
febbraio 1948, n. 1, 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286, introdotto dall'art. 1, comma  16
a) della legge 15 luglio 2009, n. 94, nella parte in cui prevede come
reato il fatto dello straniero che fa ingresso  ovvero  si  trattiene
nel territorio dello Stato  in  violazione  delle  norme  citate,  in
relazione agli artt. 2, 3 primo  comma,  e  25  secondo  comma  della
Costituzione; 
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale e sospende il giudizio in corso. 
        Pronunciata in Alessano in esito all'udienza del 21 settembre
2010. 
 
                    Il Giudice di pace: Paparella