N. 400 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 settembre 2010
Ordinanza del 23 settembre 2010 emessa dal Giudice di pace di Agrigento nel procedimento penale a carico di Nero Salvatore. Processo penale - Procedimento davanti al giudice di pace - Dibattimento - Modifica dell'imputazione - Mancata previsione della facolta' per l'imputato di chiedere l'estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie, anche quando la nuova contestazione concerna un fatto gia' risultante dagli atti di indagine ovvero quando l'imputato abbia gia' proposto la definizione anticipata in ordine alle originarie imputazioni, stante il limite temporale (udienza di comparizione) di cui all'art. 35 del d.lgs. n. 274 del 2000 - Violazione del principio di ragionevolezza - Disparita' di trattamento tra imputati - Lesione del diritto di difesa - Violazione del principio del giusto processo. - Decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, art. 35, in combinato disposto con l'art. 516 del codice di procedura penale. - Costituzione, artt. 3, 24 e 111.(GU n.1 del 5-1-2011 )
IL GIUDICE DI PACE Ha pronunciato la seguente ordinanza, alla pubblica udienza del 23 settembre 2010, nel procedimento penale n. 22/09 Reg. Gen. del Giudice di pace a carico di Nero Salvatore, nato il 24 novembre 1974 in Agrigento, difeso, ex art. 102 c.p.p., dagli avv.ti Ignazio Valenza e Giusy Katiuscia Amato e imputato del reato p. e p. dagli artt. 81 cpv. e 582 c.p. F a t t o Con atto di citazione a giudizio, notificato all'imputato il 15 giugno 2009, il Pubblico Ministero, dott.ssa Lucia Brescia, citava per l'udienza del 22 ottobre 2009, davanti a questo giudice, Nero Salvatore «in ordine al reato p. e p. dagli artt. 81 cpv. e 582 c.p. perche', in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, aggredendo ripetutamente Scaglia Daniele con pugni al viso ed alla testa, nonche' al gomito sinistro ed alla gamba destra, gli cagionava le lesioni personali meglio descritte nel referto medico in atti, giudicate guaribili in giorni cinque», in Agrigento, il 20 novembre 2008. Persona offesa Scaglia Daniele, in atti identificato, assistito dall'avv. Giuseppe Arnone. All'udienza del 22 ottobre 2009, il Giudice di pace promuoveva la conciliazione tra le parti e, rilevato che la stessa non sortiva esito positivo, disponeva procedersi oltre. La persona offesa dichiarava di volersi costituire parte civile e depositava, all'uopo, atto di costituzione di parte civile. A questo punto, la difesa dell'imputato produceva documentazione attestante l'avvenuta riparazione del danno cagionato dal reato mediante risarcimento, ritenuto equo nella misura di € 750,00 e chiedeva la definizione anticipata del procedimento ai sensi dell'art. 35 del d.lgs. n. 274/2000. Il Pubblico Ministero si rimetteva al Giudice e l'avvocato di parte civile si opponeva, ritenendo la somma offerta largamente inadeguata. Il Giudice si riservava sulle questioni preliminari e, all'udienza del 24 dicembre 2009, ammetteva la costituzione di parte civile e rigettava l'istanza di definizione anticipata del procedimento, ritenuta la somma corrisposta dall'imputato alla persona offesa non adeguata, allo stato, a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato per i motivi di cui all'ordinanza, letta in pubblica udienza, da intendersi, in questa sede, integralmente riportata. Si procedeva, quindi, all'apertura del dibattimento, all'ammissione delle prove ed all'esame di due testimoni (la parte civile Scaglia Daniele ed il teste Cali' Giovanni). All'esito dell'escussione dei testi, il Pubblico Ministero procedeva, ai sensi dell'art. 516 c.p.p., alla modifica del capo di imputazione e precisamente: la parte in cui indicava «gli cagionava le lesioni personali, meglio descritte nel referto medico in atti, giudicate guaribili in giorni cinque» veniva modificata in «gli cagionava le lesioni personali, meglio descritte nei referti medici in atti, giudicate guaribili in giorni quindici». La difesa dell'imputato, quindi, rilevava l'inammissibilita' della contestazione perche' l'art. 516 c.p.p. fa riferimento a fatti nuovi emersi nel corso dell'istruttoria dibattimentale mentre, nel caso di specie, la certificazione medica, posta a base della modifica del capo di imputazione, era allegata ab origine all'atto di querela e, pertanto, ben nota alla Pubblica accusa ed, altresi', perche' la stessa era stata rilasciata dal medico curante anziche' da personale sanitario di struttura pubblica; il Giudice, sentite le parti, si riservava sulla questione e, all'udienza del 22 aprile 2010, scioglieva la riserva, ritenendo ammissibile la contestazione, con ordinanza cui ci si riporta integralmente. La difesa dell'imputato, a questo punto, preso atto della modifica del capo di imputazione ai sensi dell'art. 516 c.p.p., considerato che la Corte costituzionale, con le sentenze n. 265/94 e 530/95, aveva dichiarato l'illegittimita' costituzionale degli artt. 516 e 517 c.p.p. nella parte in cui non prevedevano la possibilita' di richiedere l'applicazione di pena e l'oblazione a seguito della nuova contestazione e che la ratio sottesa ad entrambe le pronunce era esattamente la medesima che consentirebbe l'estinzione del reato nel caso di specie ex art. 35 del d.lgs. n. 274/2000 e, quindi, la definizione anticipata del procedimento, chiedeva di essere rimesso in termini al fine di effettuare la opportuna offerta risarcitoria alla parte civile, finalizzata alla richiesta di estinzione del reato ex art. 35 del d.lgs. n. 274/00. Il Giudice di pace si riservava ed, all'udienza del 23 settembre 2010, sollevava la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 35 del d.lgs. n. 274/2000 e 516 c.p.p., laddove non prevedono che, in caso di modifica del capo di imputazione nel corso del dibattimento, anche quando la nuova contestazione concerna un fatto che gia' risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale e/o quando l'imputato abbia tempestivamente e ritualmente proposto la definizione anticipata del procedimento in ordine alle originarie imputazioni, l'imputato, in relazione al fatto diverso come contestato, abbia diritto di formulare istanza di definizione anticipata del procedimento ex art. 35 d.lgs. n. 274/00 per tale reato ed esservi ammesso, in presenza dei requisiti previsti dal medesimo articolo, nonostante il superamento del termine in esso previsto (udienza di comparizione), ritenuta la questione rilevante ai fini del decidere, non manifestamente infondata e pregiudiziale alla definizione del procedimento e disponeva il deposito a parte della presente ordinanza, sospendendo il procedimento, salvo l'esito del giudizio promosso alla Corte costituzionale. Sussistono, infatti, a parere di questo decidente, giustificati motivi per ritenere gli artt. 35 del d.lgs. n. 274/2000 e 516 c.p.p viziati da illegittimita' costituzionale sotto i profili che verranno appresso specificati. Sulla rilevanza della questione Va ritenuta rilevante la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 516 c.p.p. e 35 d.lgs. n. 274/00 laddove non prevedono che, in caso di modifica del capo di imputazione nel corso del dibattimento, anche quando la nuova contestazione concerna un fatto che gia' risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale e quando l'imputato abbia tempestivamente e ritualmente proposto la definizione anticipata del procedimento in ordine alle originarie imputazioni. L'art. 35 del decreto legislativo n. 274/00 non consente, infatti, oltre l'udienza di comparizione, che l'imputato possa usufruire di quello che puo' essere considerato un vero e proprio rito alternativo, non menzionato nel codice di procedura penale, ma introdotto con il predetto decreto sulla competenza penale del giudice di pace e riguardante esclusivamente il procedimento davanti a quest'ultimo. L'imputato ha chiesto di potere essere rimesso in termini per effettuare la opportuna offerta risarcitoria alla parte civile, finalizzata alla richiesta di estinzione del reato ex art. 35 del d.lgs. n. 274/00 e, qualora si dichiarasse l'illegittimita' delle norme censurate, consentendo, quindi, l'ammissione al rito alternativo in caso di riparazione del danno a mezzo risarcimento, anche oltre l'udienza di comparizione, e' evidente che conseguirebbe il particolare esito dell'estinzione del reato da dichiararsi in sentenza, per di piu' conforme a quella che e' la ratio del procedimento dinnanzi al Giudice di pace, caratterizzato dalla celerita' del rito e dalla conciliazione tra le parti ove possibile: tale conclusione sarebbe, invece, impossibile in caso di legittimita' delle disposizioni citate. Sulla non manifesta infondatezza Violazione dell'art. 3 della Costituzione. Nella disciplina vigente, di cui si prospetta la censurabilita', si ricollega la possibilita' di adire la procedura alternativa solo qualora il fatto venga contestato fin dall'emissione dell'atto di citazione: da cio' consegue che la possibilita' di ottenere la definizione anticipata del procedimento, per di piu', con conseguenze sanzionatorie certe, e con trattamento assai piu' favorevole di quello conseguente a una condanna penale, e' rimessa a soggetto (Pubblico Ministero) estraneo all'imputato in favore del quale, invece, al disciplina e' stata posta. Sembra sussistere, pertanto, la violazione del principio di uguaglianza, sul piano della irragionevolezza della disciplina, essendo una valutazione discrezionale ed insindacabile del P.M. o, meglio, anche la sola scrupolosita' con cui quest'ultimo assume le proprie determinazioni in ordine all'esercizio dell'azione penale a condizionare il rito da applicare ed a privare l'interessato dei benefici connessi ai procedimenti speciali. La Corte costituzionale ha da tempo riconosciuto la propria competenza a sindacare la «ragionevolezza» di disposizioni normative che ledono il principio di uguaglianza, anche quando la legge, senza un ragionevole motivo, faccia un trattamento diverso ai cittadini che si trovino in situazione uguale, posto che un trattamento differenziato puo' trovare legittima applicazione solo ove vi siano ragionevoli motivi che giustifichino tale trattamento differenziato; la discrezionalita' legislativa, quindi, deve trovare sempre un limite nella ragionevolezza delle statuizioni volte a giustificare la disparita' di trattamento fra cittadini. L'istituto della definizione anticipata del procedimento si fonda sia sull'interesse dello Stato di definire con economia di tempo e di spese i procedimenti relativi ai reati di minore importanza, sia sull'interesse del contravventore di evitare l'ulteriore corso del procedimento e la eventuale condanna, con tutte le conseguenze di essa (cfr. sentenza n. 207 del 1974 e sentenza n. 530 del 1995). Effetto tipico di tale forma di definizione anticipata del procedimento e', infatti, la estinzione del reato, per cui appare del tutto evidente come la domanda di ammissione dell'imputato esprima una modalita' di esercizio del diritto di difesa. Considerate, quindi, la natura e la funzione dell'istituto in esame sopra indicate, la preclusione dell'accesso al medesimo - e ai connessi benefici - nel caso in cui il reato suscettibile di estinzione ex art. 35 d.lgs. n. 274/00 costituisca oggetto di contestazione nel corso dell'istruzione dibattimentale per modifica ai sensi dell'art. 516 c.p.p., risulta priva di razionale giustificazione. L'avvenuto superamento del limite temporale (udienza di comparizione) previsto, in linea generale, per la proposizione della domanda di definizione anticipata del procedimento mediante risarcimento del danno (e la cui ratio e' quella di evitare che l'imputato possa vanificare l'attivita' processuale a seconda degli esiti del dibattimento) non e', infatti, nel caso in esame, riconducibile a libera scelta dell'imputato, e cioe' ad inerzia al medesimo addebitabile, sol che si consideri che la facolta' in discussione non puo' che sorgere nel momento stesso in cui il reato e' oggetto di contestazione. L'art. 3 della Costituzione risulta violato anche sotto altro aspetto. La disciplina, infatti, si presta anche ad una censura di disparita' di trattamento di situazioni identiche; colui che, infatti, abbia commesso lo stesso reato, ma abbia «la fortuna» di essere imputato per quello, puo' chiedere la definizione anticipata del procedimento; tale possibilita' e', invece, negata all'imputato cui l'addebito sia mosso in dibattimento. Nel caso di specie, per di piu', non si ravvisa, come ribadito, alcuna inerzia nella condotta processuale dell'imputato, il quale aveva gia' optato per una definizione anticipata del processo. La disparita' e' anche, quindi, tra imputati per i quali non sia stato aperto il dibattimento e imputati che chiedono la definizione anticipata del processo per il reato risultante dalla modifica dell'imputazione fatta a norma dell'art. 516 c.p.p., qualora in precedenza, all'udienza di comparizione, tale richiesta era stata fatta per il reato originariamente contestato nell'atto di citazione a giudizio e non accolta. Violazione degli artt. 24 e 111 della Costituzione L'art. 24 Cost. prevede che: «Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi. La difesa e' diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento». Ritiene questo giudice, a fronte della modifica del capo di imputazione ex art. 516 c.p.p., che all'imputato non sia assicurato l'esercizio del diritto di difesa, in violazione dell'art. 24 della Costituzione, in quanto la determinazione unilaterale dell'organo dell'accusa, il quale, pur a conoscenza del fatto diverso, omette la contestazione nell'atto di citazione a giudizio, priva l'imputato di una delle possibili opzioni processuali. Nel caso di specie, precludendo, quindi, alla parte di ridelineare la propria strategia difensiva in seguito alla modificazione dell'imputazione, si finisce per fare ricadere su di essa gli effetti dell'errore commesso dal Pubblico Ministero che ha formulato una ipotesi penale difforme da quella reale. La variazione del capo di imputazione, nel caso di specie, non e' determinata da una evenienza fisiologica del procedimento, nel senso che non si tratta di contestazione suppletiva originata dall'istruttoria dibattimentale, per cui il relativo rischio rientrerebbe, semmai, nel calcolo dell'imputato, bensi' da una patologia processuale, originata da un errore dell'organo dell'accusa ovvero da una scelta, insindacabile da parte dell'imputato, del Pubblico Ministero, circa la delimitazione dell'area dei fatti peri quali ha inteso esercitare l'azione penale attraverso l'emissione dell'atto di citazione, che, proprio perche' tale, non puo' risolversi in un pregiudizio per l'imputato di essa non responsabile, il quale ha il diritto di prediligere la propria strategia difensiva, previa valutazione informata e consapevole. Nel caso di specie, per di piu', nessuna inerzia, come gia' ribadito, puo' addebitarsi all'imputato, il quale aveva gia' chiesto la definizione anticipata del procedimento, a meno di volere ipotizzare un (insussistente) dovere di autodenuncia di fatti ulteriori rispetto a quelli enunciati nell'atto di citazione a giudizio per prevenire l'eventuale contestazione nel corso del dibattimento. Inoltre, dal momento che l'operato del Pubblico Ministero risulta assistito da una presunzione di legalita' e, soprattutto, dal momento che il principio di completezza delle indagini preliminari piu' volte ribadito dalla Consulta, comportano un legittimo affidamento dell'imputato sulle scelte compiute dal PM, consentire la contestazione suppletiva di fatti di reato e circostanze gia' conosciute al PM ma non contestati con l'atto di citazione a giudizio, equivarrebbe a legittimare la situazione in cui, volutamente, il PM lascia incomplete le indagini al fine di impedire l'accesso al rito alternativo. Paradossalmente si dovrebbe anche ritenere necessario, sempre e comunque, dubitare della buona fede dell'organo dell'accusa e valutare la possibilita' che egli formuli l'imputazione per il reato X, meditando pero', previa vanificazione della facolta' di richiedere la definizione anticipata del procedimento, e, quindi, nel caso in cui il giudicante ritenesse incongrua l'offerta gia' formulata, di ottenere una piu' grave sanzione per il reato Y a lui gia' noto anche se non ritualmente contestato. Pertanto la Corte in precedenti pronunce, ha affermato che e' necessario offrire riparo ad una patologia processuale che, proprio perche' tale, non puo' risolversi in un pregiudizio per l'imputato di essa non responsabile (sent. n. 76/1993). Risulta violato, a parere di questo giudicante, anche il principio del giusto processo (art. 111 della Costituzione), che implica la lealta' processuale delle parti, dal momento che la normativa di cui si denuncia la censurabilita' pone le parti su un piano di assoluta disparita', rispetto al dettato di cui all'art. 111 della Costituzione.
P.Q.M. Visti gli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione; Visti gli artt. 134 Cost. e 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza; Solleva la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 516 c.p.p. e 35 d.lgs. n. 274/00 per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione della Repubblica italiana, laddove non prevedono che, in caso di modifica del capo di imputazione nel corso del dibattimento, anche quando la nuova contestazione concerna un fatto che gia' risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale ovvero quando l'imputato abbia tempestivamente e ritualmente proposto la definizione anticipata del procedimento in ordine alle originarie imputazioni, l'imputato possa usufruire di quello che puo' essere considerato un vero e proprio rito alternativo, in quanto l'art. 35 del decreto legislativo n. 274/00 non consente l'ammissione al rito alternativo oltre l'udienza di comparizione, per le ragioni di cui in motivazione. Dispone la sospensione del procedimento n. 22/09 Reg. Gen. del Giudice di pace; Ordina la notificazione della presente ordinanza alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri; Ordina la comunicazione della presente ordinanza ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica; Ordina la trasmissione della presente ordinanza alla Corte costituzionale insieme con gli atti del giudizio e con la prova delle notificazioni e delle comunicazioni prescritte. Manda alla cancelleria per gli adempimenti. Agrigento, addi' 23 settembre 2010 Il Giudice di pace: Lauricella