N. 8 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 gennaio 2010

Ordinanza del 14 gennaio 2010 emessa dal Giudice di pace  di  Firenze
nel procedimento penale a carico di Dahmani Fathi. 
 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  - Configurazione della fattispecie come reato - Lesione dei diritti
  inviolabili dell'uomo - Irragionevolezza, a fronte, in particolare,
  dell'applicazione  della  sanzione  sostitutiva  dell'espulsione  e
  della pronuncia di  non  luogo  a  procedere  nei  confronti  dello
  straniero che nelle more venga espulso o respinto -  Disparita'  di
  trattamento rispetto a reati analoghi (artt.  6,  comma  3,  e  14,
  comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998) per la mancata  previsione
  della clausola senza giustificato motivo - Lesione del  diritto  di
  difesa - Violazione dei principi di materialita',  di  legalita'  e
  della finalita' rieducativa della pena. 
- Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art.  10-bis,  aggiunto
  dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, art. 1, comma 16, lett. a). 
- Costituzione, artt. 2, 3, primo comma, 24, comma secondo, 25, comma
  secondo, e 27, comma terzo. 
(GU n.4 del 26-1-2011 )
 
                         IL GIUDICE DI PACE 
 
    Nel processo penale a carico di Dahmani Fathi nato in Tunisia  il
21  novembre  1983,  in  Italia  s.f.d.  in  possesso  di  passaporto
ordinario n. V137998 rilasciato dall'autorita' della Tunisia in  data
16 giugno 2006. Difeso d'ufficio dall'Avv. Duccio Martellini del Foro
di Firenze. Imputato "per il reato di' cui all'art. 10-bis d.lgs.  n.
286/98 per essersi trattenuto nel territorio  dello  Stato  senza  il
permesso di' soggiorno e dunque in violazione  delle  norme  previste
dal medesimo decreto legislativo". Nell'udienza del 14  gennaio  2010
ha  emesso  la  seguente   ordinanza   di   rimessione   alla   Corte
costituzionale. 
    L'imputato in data 12 agosto 2009 venne trovato in Via Faentina a
Firenze nell'appartamento di Ercoli Carla a seguito di un esposto  di
quest'ultima che lamentava la presenza di persone a lei  sconosciute.
L'imputato esibiva regolare passaporto Tunisino, ma risultava non  in
regola con la normativa sul soggiorno. Veniva  sottoposto  a  rilievi
fotosegnaletici e denunciato per il  reato  di  cui  all'art.  10-bis
d.lgs. n. 286/98. 
    La  p.g.  chiedeva  quindi  al  P.M.  l'autorizzazione   per   la
presentazione davanti al giudice di Pace  ed  il  Pubblico  ministero
concedeva l'autorizzazione formulando l'imputazione sopra  riportata.
All'udienza del 15 dicembre 2009, la Procura della Repubblica  presso
il Tribunale  di  Firenze  sollevava  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  10-bis  d.lgs.   n.   286/98,   introdotto
dall'art. 1, comma  16  della  legge  15  luglio  2009,  n.  94,  con
riferimento agli artt. 2, 3 comma 1, 24 comma 2 e 25  comma  2  della
Costituzione per i seguenti motivi: 
    "L'art.  1  comma  16  della  legge  15  luglio  2009  n.  94  ha
introdotto, nel testo del d.lgs. n. 286/98, l'art. 10-bis,  il  quale
prevede la nuova fattispecie  criminosa  dell'"ingresso  e  soggiorno
illegale nel territorio dello Stato", sanzionando  con  l'ammenda  da
5.000 a 10.000 euro "lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene
nel territorio dello Stato,  in  violazione  delle  disposizioni  del
presente testo unico nonche' di quelle di cui all'art. I della  legge
28 maggio 2007 n. 68". La  norma  pertanto  sanziona  sia  l'ingresso
dello straniero nel territorio nazionale, sia il trattenimento  dello
stesso, in violazione delle norme del testo  unico  sulla  disciplina
dell'immigrazione e delle norme sui dei  soggiorni  di  breve  durata
degli stranieri per visite, affari, turismo e studio" 
    L'introduzione di' tale  fattispecie  di  reato  nell'ordinamento
giuridico italiano, a parere di  quest'Ufficio,  si  pone  in  palese
contrasto  con  alcuni  fondamentali  principi  accolti  dalla  carta
costituzionale,  cosi   che   debba   ritenersi   rilevante   e   non
manifestamente    infondata    la    questione    di     legittimita'
costituzionalita' della norma che lo prevede sotto vari  profili,  di
seguito illustrati. 
    Tale norma appare, anzitutto, in contrasto  con  Part.  3  Cost.,
sotto il profilo dell'irragionevolezza della  scelta  legislativa  di
ritenere fattispecie di reato l'ingresso e la permanenza di cittadini
irregolari nello Stato italiano. 
    Infatti, pur riconoscendo che compete al legislatore un  generale
potere "di regolare la materia dell'immigrazione in  correlazione  ai
molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai gravi  problemi
connessi a flussi  migratori  incontrollati"(v.  C.  cost.  sent.  n.
5/2004),  facendo  buon  uso  della  sfera  di  discrezionalita'  sua
propria,  l'azione  di  tale  organo  costituzionale   trova   limiti
invalicabili nell'Osservanza dei principi  fondamentali  del  sistema
penale stabiliti dalla  Costituzione  e  nell'adozione  di  soluzioni
orientate a canoni di ragionevolezza e di razionalita' finalistica. 
    La  scelta  legislativa  non  e'  sorretta   da   un   fondamento
giustificativo e pertanto e'  irragionevole  sotto  il  profilo  che,
secondo i principi fondamentali accolti dal  nostro  ordinamento,  la
penalizzazione di una condotta deve avvenire in presenza di  una  pur
minima offensivita' sociale della  stessa  e  quando  non  sia  stato
possibile individuare altri strumenti normativi idonei  al  raggiungi
mento  dello  scopo.  Nel  caso  di  specie  un   primo   motivo   di
irragionevolezza va individuato nel costituire  la  nuova  norma  che
introduce la fattispecie di reato, un'inutile duplicazione  di  altre
gia'  presenti  nella  legislazione  penale  speciale  e  tendenti  a
raggiungere la stessa finalita' dell'espulsione dello  straniero  dal
territorio italiano. Il riferimento va alla norma di cui all'art.  14
comma 5-bis del d.lgs. n. 286/98 che prevede  l'allontanamento  dello
straniero dal territorio nazionale entro  cinque  giorni  dall'ordine
del questore, quando non sia stato  possibile  eseguire  l'espulsione
con l'accompagnamento alla frontiera.  Ma  l'inutilita'  della  nuova
fattispecie e' ancor  meglio  definita  considerando  che  lo  stesso
obiettivo era gia' perfettamente raggiungibile,  mediante  l'adozione
dell'espulsione coattiva in via amministrativa ai sensi dell'art.  13
commi 2 e 4 d.lgs. n. 286/98, che, al comma 2,  prevede  l'espulsione
da parte del prefetto dello  straniero  che  si  trovi  nelle  stesse
condizioni che ora costituiscono fattispecie di  reato  e  cioe':  a)
l'essere entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli
di frontiera; b) l'essersi trattenuto nel territorio dello  Stato  in
assenza della comunicazione dell'ingresso per motivi di lavoro ovvero
quando il permesso di soggiorno e' stato revocato  o  e'  scaduto  da
piu' di sessanta giorni e non e' stato richiesto il rinnovo.  Ne'  la
nuova norma modifica  in  alcun  modo  i  presupposti  necessari  per
l'espulsione,  perche'  anche  la  misura  sostitutiva  eventualmente
disposta dal giudice di pace, ai sensi dell'art. 16 comma 1 d.lgs. n.
286/98, e' eseguibile con le modalita' di cui all'art. 13 comma  4  e
puo' essere adottata soltanto quando non ricorrano la cause  ostative
indicate nell'art. 14 comma l. Dunque l'ambito di applicazione  della
nuova   fattispecie   coincide   perfettamente   con   quello   della
preesistente misura amministrativa dell'espulsione  di  cui  all'art.
13 d.lgs. n. 286/98, sia sotto il profilo  dei  soggetti  destinatari
(stranieri entrati o trattenuti irregolarmente nel  territorio  dello
Stato), sia sotto quello della ratio giustificativa. Il che significa
che c'era  gia'  nell'ordinamento  italiano  uno  strumento  ritenuto
idoneo al raggiungimento dello scopo (tanto che  esso  non  e'  stato
oggetto di alcuna modifica normativa) e  l'adozione  dello  strumento
penale resta privo di ogni giustificazione. La duplicazione, per  via
giudiziaria,  delle  procedure  di  espulsione,  espone  inoltre,  il
sistema giudiziario del giudice di pace,  nonche'  quello  propulsivo
del Pubblico ministero a serie difficolta' organizzative,  stante  il
prevedibile alto numero di procedimenti che  dovra'  essere  avviato.
Che la finalita' unica e ultima dell'anomala e farraginosa  procedura
introdotta  avanti  il  giudice  di  pace   con   gli   art.   20-bis
(presentazione   immediata   dell'imputato)   e   20-ter   (citazione
contestuale dell'imputato) della legge 15 luglio  2009,  n.  94,  sia
rappresentata dall'espulsione  dello  straniero,  e'  dimostrato  sia
dalla previsione del  non  doversi  procedere  in  caso  di  avvenuta
espulsione (comma 5 dell'art. 10-bis), sia dalla  mancata  previsione
del nulla osta all'espulsione di cui all'art. 13 comma  3,  da  patte
dell'A.G. procedente,  sia  dalla  previsione  dell'espulsione  (art.
62-bis D.lvo 274/2000, inserito dall'art. 1 comma 17, lett  d)  della
legge 15 luglio 2009, n. 94) da  comminare,  a  titolo  di'  sanzione
sostitutiva dal giudice di pace, in caso di  condanna  dell'imputato,
Nella sostanza viene utilizzato il procedimento penale esclusivamente
per  ottenere  un  risultato  di  natura  amministrativa,  quale   e'
l'espulsione dello straniero. Inoltre appare chiaro  il  disinteresse
del legislatore a conseguire la condanna dell'imputato straniero, sia
perche' la pena consiste nel pagamento  di'  un'elevata  ammenda,  di
difficile  o  impossibile  riscossione,   considerata   la   naturale
condizione di impossidenza del migrante, sia perche' la  sentenza  di
non luogo a procedere e'  immediatamente  correlata  all'acquisizione
della notizia dell'espulsione. 
    Non ultima, sotto il profilo  della  disparita'  di  trattamento,
preclusa   dal   disposto   dell'art.   3   della   Costituzione    e
dell'irragionevolezza, e' la considerazione che l'art.  62-bis  sopra
citato, correlato all'art. 16  d.lgs.  286/98,  prevede  la  sanzione
sostitutiva dell'espulsione per un periodo non  inferiore  ai  cinque
anni (la cui applicabilita' e' estesa anche ai casi di  condanna  per
reati diversi, da quello di  cui  all'art.  10-bis),  che  e'  misura
sostitutiva di gran lunga piu' grave dell'originaria pena  pecuniaria
dell'ammenda,  in   contrasto   con   il   principio   della   minore
afflittivita'  della  sanzione  principale  sostituita.   E   ancora,
l'attribuzione del  reato  di  ingresso  e  soggiorno  illegale  alla
competenza del giudice di pace, comportando l'inapplicabilita'  della
sospensione condizionale  della  pena  e  la  necessaria  conseguenza
dell'espulsione (obbligatoria  stando  al  termine  "applica")  quale
sanzione sostitutiva ai sensi dell'art. 62-bis, introduce una  palese
ed irragionevole disparita' di trattamento  tra  soggetti  ugualmente
destinatari della predetta sanzione sostitutiva ai sensi dell'art. 16
D.lvo  citato.  Infatti,  l'espulsione  (qui  invece  prevista   come
facoltativa stando al termine "puo'  sostituire",  evidentemente  per
mancato coordinamento potra' essere comminata a soggetti  condannati,
anche con sentenza ex art. 444 c.p.p., per un reato non  colposo,  ad
una pena detentiva non superiore  a  due  anni,  ma  sempre  che  non
ricorrano le condizioni  per  ordinare  la  sospensione  condizionate
della pena ex art. 163 c.p., mentre essa colpira' soggetti condannati
alla sola pena pecuniaria, ex art. 10-bis d.lgs.  n.  286/98,  quindi
per un reato certamente meno grave, senza alcuna possibilita' per  il
giudice di renderla inefficace con l'applicazione  della  sospensione
condizionale della pena. 
    L'art. 10-bis d.lgs.  n. 286/98, si pone inoltre in contrasto con
l'art.  3  della  Costituzione  sotto  lo  specifico  profilo   della
irragionevole disparita' di previsione e di diverso  trattamento  tra
fattispecie di reato simili (art. 6 comma 3 e 14 comma  5-ter  d.lgs.
n. 286/98), con l'art. 24 comma 2, sotto il profilo della  violazione
del diritto di difesa e con l'art. 25 comma 2, sotto il  profilo  che
la norma penale punisce soltanto la commissione di un fatto e non  la
condizione della persona. Sia  nel  reato  di  omessa  esibizione  di
documenti di identificazione e altro, sia  nei  reato  di  permanenza
illegale nei territorio dello Stato dopo il termine imposto di cinque
giorni, di cui  alle  fattispecie  sopra  indicate,  e'  prevista  la
clausola "senza giustificato  motivo",  che  esclude  la  punibilita'
dell'imputato in caso appunto di un giustificato motivo,  La  mancata
previsione della clausola nella nuova fattispecie, se  da  una  parte
risulta coerente con  l'impostazione  esclusivamente  repressiva  del
legislatore, dall'altra si risolve in  una  manifesta  disparita'  di
trattamento normativo in situazioni uguali infatti lo  straniero  che
non ottempera all'ordine di esibizione sara' scriminato  se  dimostra
che i  documenti  personali,  realmente  posseduti,  gli  sono  stati
sottratti e parimenti lo straniero che non lascia il territorio entro
il termine di cinque giorni, sara' scriminato se dimostrera'  di  non
avere potuto ottemperare all'ordine di  lasciare  il  territorio  per
l'impossibilita' di procurarsi in tempo utile i documenti  richiesti,
mentre lo straniero che si  trova  illegalmente  nei  territorio  non
potra' invocare  mai  alcuna  scriminante  per  giustificare  la  sua
presenza, al di fuori dell'ipotesi di presentazione della domanda  di
protezione internazionale  prevista  dall'ultimo  comma  della  nuova
fattispecie.  Sara'  sufficiente,   per   integrare   automaticamente
un'ipotesi di  illegale  trattenimento  nei  territorio,  il  mancato
rinnovo del permesso di  soggiorno,  senza  possibilita'  di  addurre
alcuna giustificazione, tanto piu' che, essendo la nuova  fattispecie
una contravvenzione, se ne dovra' rispondere anche a titolo di colpa.
Al riguardo, si deve ricordare la sentenza della C. cost. n.  5/2004,
che ha salvato la costituzionalita' dell'art. 14 comma  5-ter  d.lgs.
n. 286/98, proprio grazie ad una  interpretazione  costituzionalmente
orientata della clausola "senza giustificato motivo", considerata. al
pari di altre simili rinvenibili nell'ordinamento, una  "valvola  di'
sicurezza"  del  meccanismo  repressivo,  atta  ad  evitare  "che  la
sanzione penale scatti allorche' - anche al di' fuori della  presenza
di vere  e  proprie  cause  di  giustificazione  -  l'Osservanza  dei
precetto appaia concretamente inesigibile per i piu' svariati motivi,
ma comunque  riconducibili  "a  situazioni  ostative  di  particolare
pregnanza, che incidano  sulla  stessa  possibilita',  soggettiva  od
oggettiva,  di   adempiere   all'intimazione,   escludendola   ovvero
rendendola difficoltosa o pericolosa",  come  le  situazioni  di  cui
all'art. 14 co.1,  la  "condizione  di  assoluta  impossidenza  dello
straniero", il "mancato rilascio, da parte della competente autorita'
diplomatica o consolare, dei documenti necessari, pure sollecitamente
e diligentemente richiesti". Dunque il nuovo  reato  di  immigrazione
clandestina non appare conforme  alla  Costituzione  proprio  perche'
punisce  indiscriminatamente  ed  automaticamente  tutti  i  soggetti
irregolarmente presenti nel  territorio  dello  Stato,  senza  tenere
conto  dell'eventuale  esistenza  di  situazioni  legittimanti   tale
presenza. 
    La mancata previsione della clausola "senza giustificato  motivo"
sirisolve anche in una violazione del  diritto  di  difesa  garantito
dall'art. 24 comma 2 della Costituzione, sotto un  duplice  motivo  e
del  principio  di  legalita'  di  cui  all'art.  25  comma  2  della
Costituzione. Da una parte, l'imputato, nei tentativo di' evitare  la
condanna, non potra' addurre alcuna giustificazione come si e' visto,
dall'altra la stessa formulazione della nuova  fattispecie  impedisce
di per se' l'esercizio del diritto di difesa. Infatti  viene  colpito
con precetto penale non gia' una condotta, come avviene per tutte  le
fattispecie di reato presenti nel sistema  penale,  ma  una  condotta
legata indissolubilmente alla condizione,  cosi'  che  ci  si  potra'
difendere dalla  contestazione  della  condotta  solo  escludendo  la
condizione di persona che e' entrata o si trattiene illegalmente  nel
territorio. Infatti cio'  che  la  nuova  fattispecie  incriminatrice
sanziona e' solo apparentemente una condotta, in realta' in se' e per
se' essa e' del tutto neutra agil effetti penalistici, mentre il vero
oggetto della incriminazione e' la mera  condizione  personale  dello
straniero, costituita dal mancato possesso di un  titolo  abilitativo
all'ingresso e alla successiva permanenza nel territorio dello Stato,
che e', poi, la condizione tipica dei migrante economico  e,  dunque,
una condizione propria di una categoria di persone. Una situazione in
realta'  priva   di   significativita'   sotto   il   profilo   della
pericolosita' sociale (perche' l'ingresso e la presenza illegali  nel
territorio statale non costituiscono di per se' stessi  fatti  lesivi
di un qualche bene meritevole di tutela penale) e  non  riconducibile
ad una condotta volontaria e consapevole  dello  straniero  migrante,
che,  di  regola,  e'  costretto  a  fuggire  dal  proprio  stato  di
appartenenza per ragioni di sopravvivenza e a subire  la  sottrazione
dei propri documenti (ove esistenti) da parte  dei  gruppi  criminali
che organizzano i viaggi  o  lo  prendono  in  carico  nel  luogo  di
destinazione. La introduzione pertanto della  nuova  fattispecie  di'
reato appare in contrasto sia con il principio di uguaglianza sancito
dall'art. 3  Cost.,  che  vieta  ogni  discriminazione  fondata,  tra
l'altro, su condizioni personali e sociali, sia con  le  fondamentali
garanzie costituzionali, secondo cui si puo' essere puniti  solo  per
fatti materiali (art. 25 comma 2 Cost.) e secondo cui  la  difesa  e'
diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento  (art.  24
comma 2 Cost.). 
    La Corte costituzionale si e' gia' espressa in  modo  inequivoco,
sul punto  dell'assenza  di  pericolosita'  sociale  dello  straniero
clandestino, stabilendo, nella sentenza n. 78 del 2007,  in  tema  di
applicabilita'  delle  misure  alternative   alla   detenzione   agli
stranieri  clandestini,  che  "il  mancato  possesso  di  un   titolo
abilitativo alla permanenza nel territorio dello  Stato"  costituisce
"una condizione soggettiva" "che di  per  se',  non  e'  univocamente
sintomatica...di un particolare pericolosita'  sociale...";  dal  che
consegue "l'impossibilita' di individuare nella esigenza di  rispetto
delle regole in materia di ingresso e soggiorno in  detto  territorio
(nazionale  n.d.r.)  una  ragione   giustificativa   della   radicale
discriminazione dello straniero sul piano  dell'accesso  al  percorso
rieducativo,  cui  la  concessione  delle   misure   alternative   e'
funzionale".   Tra   l'altro   la   nuova   fattispecie,   renderebbe
sostanzialmente inapplicabile la citata sentenza della  C.  cost.  e,
dunque,  inaccessibili  le  misure  alternative  alla  detenzione   a
stranieri  clandestini  condannati   a   pene   detentive,   perche',
sanzionando  penalmente  la  clandestinita'  dello  straniero,   essa
collega a tale  condizione  un  implicito,  quanto  ingiustificato  e
irrazionale, giudizio di pericolosita' sociale, che e'  di'  per  se'
incompatibile  -  come  ammesso  dalla  stessa  C.  Cost  -  "con  il
perseguimento  di  un  percorso  riabilitativo  attraverso  qualsiasi
misura alternativa". 
    Le conclusioni cui e' pervenuta la Corte cost. nella sentenza  da
ultimo citata costituiscono dei resto  la  conferma  di  un  percorso
iniziato  nel  1968  con  la  declaratoria   di   incostituzionalita'
dell'art. 708 c.p. (v. sent. n. 110) limitatamente alla parte in  cui
faceva  riferimento  alle  condizioni  personali  di  condannato  per
mendicita',  di  ammonito,  di  sottoposto  a  misura  di   sicurezza
personale e a cauzione di buona condotta; proseguito nel 1971, con la
sentenza  14,  con  cui  veniva  dichiarata  la   incostituzionalita'
dell'art.  707  c.p.,  limitatamente  alla  parte   in   cui   faceva
riferimento alle stesse condizioni soggettive; ed infine sviluppato e
portato a compimento con la sentenza n. 371 del 1996,  con  la  quale
veniva dichiarata l'incostituzionalita' del residuo  art.  708  c.p.,
sottolineando "l'irragionevolezza della limitazione delle  condizioni
soggettive punibili a una  sola  categoria  di  persone"  individuata
attraverso la riferibilita' di un fatto di per se'  neutro  (come  il
possesso  di  denaro  o  di  oggetti  di'  valore)  ad  un   soggetto
pregiudicato per alcune classi di precedenti penali. 
    La nuova fattispecie appare, infine, in contrasto  con  l'art.  2
Cost, che riconosce e garantisce i diritti  inviolabili  dell'uomo  e
richiede  l'adempimento  del  doveri  inderogabili  di   solidarieta'
politica, economica e sociale. "Gli squilibri e le forti tensioni che
caratterizzano le societa'  piu'  avanzate  producono  condizioni  di
estrema emarginazione, si'  che  .  non  si  puo'  non  cogliere  con
preoccupata inquietudine l'affiorare di tendenze,  o  anche  soltanto
tentazioni, volte a nascondere la miseria e a considerare le  persone
in. condizioni di poverta' come pericolose  e  colpevoli"  .  "Ma  la
coscienza  sociale  ha  compiuto  un   ripensamento   a   fronte   di
comportamenti. un tempo ritenuti pericolo incombente per una ordinata
convivenza e la  societa'  civile  -  consapevole  dell'insufficienza
dell'azione  dello  Stato  -  ha  attivato  autonome  risposte,  come
testimoniano le organizzazioni di volontariato che  hanno  tratto  la
loro ragion d'essere, e la loro  regola,  dal  valore  costituzionale
della solidarieta'". Con queste  parole  lungimiranti,  perfettamente
applicabili anche ai nuovi poveri di oggi, gli stranieri migranti, la
Corte Costituzionale, con la sentenza  n.  519  del  1995,  dichiaro'
l'illegittimita' costituzionale  del  reato  di'  mendicita'  di  cui
all'art, 670 C.p., non potendosi ritenere in alcun  modo  necessitato
il ricorso alla regola penale per sanzionare la mera  mendicita'  non
invasiva che, risolvendosi in una semplice richiesta di'  aiuto,  non
poteva dirsi porre seriamente in  pericolo  i  beni  giuridici  della
tranquillita' pubblica e dell'ordine pubblico. Allo  stesso  modo  lo
spirito solidaristico di cui e' impregnata  la  Carta  costituzionale
dovrebbe impedire  l'adozione  di  misure  puramente  repressive  per
risolvere il problema dell'immigrazione; lo  straniero  migrante  non
puo' essere considerato pericoloso per l'ordine  o  la  tranquillita'
pubblica e colpevole per il solo fatto di  esistete;  e  il  fenomeno
dell'immigrazione di massa nei paesi C.d. industrializzati  non  puo'
essere affrontato invia generale ed indiscriminata con  lo  strumento
penale. 
    La nuova fattispecie criminosa  pregiudica  indirettamente  anche
alcuni dirittilnviolabili dell'uomo quale, in particolare il  diritto
alla propria identita' personale e alla cittadinanza fin dal  momento
della nascita (diritto riconosciuto dall'art. 7 della Convenzione sui
diritti del fanciullo adottata a New York il 20.11.1989 e  ratificata
dall'Italia con legge 27.5.1991 n. 176).  L'art.  6  co.2  d.lgs.  n.
286/98, infatti, e' stato modificato dall'art. 1, comma 22  lett.  g)
della nuova legge nel senso di rendere obbligatoria l'esibizione agil
uffici della  pubblica  amministrazione  dei  documenti  inerenti  al
soggiorno anche peri'  provvedimenti  inerenti  agli  atti  di  stato
civile o all'accesso a pubblici servizi, con  esclusione  delle  sole
prestazioni sanitarie di cui all'art. 35 d.lgs.  n.  286/98  e  delle
prestazioni scolastiche  obbligatorie.  E'evidente  che,  sanzionando
penalmente anche la mera presenza clandestina, si mette io  straniero
nell'impossibilita'   di   regolarizzare,   anche   sussistendone   i
presupposti, la propria posizione,  cosi'  per  es.,  condannando  il
figlio di genitori  stranieri  irregolari  ad  essere  privato  della
propria identita' e della cittadinanza ed esponendolo ad azioni volte
a falsi riconoscimenti da parte di terzi,  per  fini  illeciti  e  in
violazione della legge sull'adozione. Lo stesso dicasi per il diritto
all'istruzione superiore o per altri diritti connessi  all'erogazione
di servizi pubblici, gravando ex art. 331 C.p.p., su tutti i pubblici
ufficiali e incaricati di pubblico servizio, l'obbligo di  denunciare
reati  procedibili  d'ufficio  di  cui  siano  venuti  a   conoscenza
nell'esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio. 
    Conseguente all'introduzione della nuova fattispecie criminosa e'
anche la inapplicabilita', in concreto, dell'art. 31 co.3  d.lgs.  n.
286/98, che prevede  l'autorizzazione  del  Tribunale  dei  Minorenni
all'ingresso o alla permanenza del familiare, anche  in  deroga  alle
altre disposizioni dei d.lgs. 286/98, per gravi motivi  connessi  con
lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell'eta' e  delle  condizioni
di salute del minore. Infatti, Io straniero  presente  irregolarmente
in Italia, inoltrando al Tribunale la richiesta di' autorizzazione di
cui sopra, sara' esposto,  in  caso  di  mancato  accoglimento,  alla
denunzia ex art. 331 c.p. e all'automatica condanna ed espulsione, ai
sensi, come sopra si e' detto, dell'art. 62-bis introdotto  dall'art.
1, comma 17, lett. d) della legge 15 luglio 2009, n. 94". 
    Questo giudice condivide integralmente  i  rilievi  critici  alla
normativa in questione sollevati dalla Procura  della  Repubblica  di
Firenze. Ritiene gli stessi non manifestamente infondati e  rilevanti
nel caso di specie in cui l'imputato e' chiamato appunto a rispondere
dell'ingresso/soggiorno illegale nel territorio dello Stato ai  sensi
dell'art. 10-bis d.lgs. 286/98. Risulta infatti  del  tutto  evidente
che in caso di accoglimento l'imputato non risponderebbe del reato  a
lui contestato. 
    Ritiene inoltre il giudice di sollevare  altri  due  aspetti  di'
illegittimita' costituzionale della norma in questione: 
    1) per contrasto con l'art. 27  comma  3  della  Costituzione  il
quale stabilisce che le pene devono  tendere  alla  rieducazione  del
condannato. Sono gia' stati illustrati i motivi (sub pag. 3) per  cui
bisogna necessariamente ritenere che  la  finalita'  unica  e  ultima
dell'anomala e farraginosa procedura introdotta avanti il giudice  di
pace della legge 15  luglio  2009,  n.  94,  e'  rappresentata  dalla
comminazione  della  sanzione   sostitutiva   dell'espulsione   dello
straniero, non potendosi seriamente dubitare che l'eventuale condanna
ad una pena  pecuniaria  abbia  un  valore  meramente  simbolico  nei
confronti di soggetti, per definizione, totalmente incapienti. Orbene
non si comprende come la pena della espulsione  amministrativa  possa
avere reali e concreti effetti rieducativi. 
    2) per contrasto con  l'art.  3  Cost.  sotto  il  profilo  della
disparita' di  trattamento  e  dell'irragionevolezza.  L'art.  10-bis
comma 5 stabilisce che il giudice "acquisita notizia  dell'espulsione
(espulsione amministrativa n. d.r.) . pronuncia sentenza di non luogo
a procedere". 
    Posto che nella stragrande maggioranza dei casi ogniqualvolta uno
straniero abbia fatto ingresso o si  sia  trattenuto  nel  territorio
dello Stato in  violazione  del  delle  disposizioni  del  d.lgs.  n.
286/98, incorre in una delle  ipotesi  di  espulsione  amministrativa
previste dall'art. 13 del medesimo testo unico, appare  evidente  che
l'emissione di una sentenza di condanna o viceversa di  non  luogo  a
procedere, dipendono  non  dalla  condotta  dell'imputato,  ma  dalla
solerzia o meno dell'apparato amministrativo. Se Prefetto e  Questore
agiscono celermente con l'espulsione amministrativa,  il  giudice  ne
prendera' atto ed emettera' una sentenza di non luogo a procedere. Se
invece, non agiscono, come spesso avviene, o procedono con  lentezza,
il giudice  dovra'  necessariamente  pervenire  ad  una  sentenza  di
condanna. In sostanza immigrati clandestini,  nella  stessa  identica
posizione,  potranno  risultare  incensurati  oppure  condannati,   a
seconda della celerita' o meno dell'apparato amministrativo,  il  che
oltre  che   irragionevole,   provoca   un'evidente   disparita'   di
trattamento.  
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli artt. 137 della Costituzione, 1  della  legge  cost.  9
febbraio 1948, n. 1, 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ritenuta la
rilevanza e la  non  manifesta  infondatezza  delle  questioni  sopra
illustrate,  solleva   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 10-bis d.lgs. n. 286/98, introdotto dall'art. 1,  comma  16
 della legge 15 luglio 2009, n. 94, con riferimento agli artt.  2,  3
comma 1, 24 comma 2, 25 comma 2 e  27  comma  3,  della  Costituzione
nonche' al principio costituzionale della ragionevolezza della  legge
penale. 
    Ordina la trasmissione degli atti  alla  Corte  costituzionale  e
sospende il giudizio in corso. 
    Ordina che a cura della cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e  comunicata  ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
      Firenze, addi' 14 gennaio 2010 
 
                   Il giudice di pace: Grigoletto