N. 24 SENTENZA 12 - 26 gennaio 2011

Giudizio sull'ammissibilita' dei referendum. 
 
Referendum abrogativo - Controllo sull'ammissibilita' della richiesta
  - Ammissione di scritti difensivi presentati  da  soggetti  diversi
  dai promotori e dal Governo, non  implicante  il  diritto  di  tali
  soggetti di partecipare al procedimento e  di  illustrare  le  loro
  tesi in camera di consiglio - Facolta' della  Corte  di  consentire
  brevi integrazioni orali degli scritti pervenuti. 
- Costituzione, art. 75; legge costituzionale 11 marzo  1953,  n.  1,
  art. 2, primo comma; legge 25 maggio 1970, n. 352, art. 33. 
Referendum abrogativo - Controllo sull'ammissibilita' della richiesta
  - Obbligo per la Corte di valutare  separatamente  la  coerenza  di
  ciascun quesito referendario dichiarato legittimo e  non  nel  loro
  complesso, anche nella ipotesi in cui  l'Ufficio  centrale  per  il
  referendum abbia dichiarato legittima  una  pluralita'  di  quesiti
  "concentrati" per uniformita' o analogia di materia. 
- Costituzione, art. 75; legge costituzionale 11 marzo  1953,  n.  1,
  art. 2, primo comma. 
Referendum abrogativo - Controllo sull'ammissibilita' della richiesta
  - Valutazione in tale sede di profili  di  incostituzionalita'  sia
  della legge oggetto di referendum, sia della normativa di risulta -
  Esclusione - Mera valutazione liminare e limitata  della  normativa
  di risulta finalizzata alla verifica dell'esclusione  di  rilevanti
  inadempimenti di obblighi internazionali, comunitari o direttamente
  imposti dalla Costituzione. 
- Costituzione, art. 75; legge costituzionale 11 marzo  1953,  n.  1,
  art. 2, primo comma. 
Referendum  abrogativo  -  Servizi  pubblici  locali   di   rilevanza
  economica - Richiesta di abrogazione referendaria della  disciplina
  generale  delle  modalita'  di  affidamento   e   di   gestione   -
  Insussistenza di impedimenti di natura comunitaria - Omogeneita'  e
  coerenza  della  richiesta  referendaria  nonche'  congruita'   tra
  intento referendario e formulazione del  quesito  -  Ammissibilita'
  della richiesta referendaria. 
- D.l. 25 giugno 2008, n. 112 (convertito, con  modificazioni,  dalla
  legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato  dall'art.  30,  comma
  26, della legge 23 luglio  2009,  n.  99),  art.  23-bis;  d.l.  25
  settembre 2009, n. 135 (convertito, con modificazioni, dalla  legge
  20 novembre 2009, n. 166, nel  testo  risultante  a  seguito  della
  sentenza n. 325 del 2010 della Corte costituzionale), art. 15. 
- Costituzione, art. 75; legge costituzionale 11 marzo  1953,  n.  1,
  art. 2, primo comma. 
(GU n.5 del 28-1-2011 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Ugo DE SIERVO; 
Giudici: Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco
  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Sentenza 
 
nel giudizio di ammissibilita', ai sensi dell'art.  2,  primo  comma,
della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1,  della  richiesta  di
referendum  popolare  per  l'abrogazione  dell'art.  23-bis  (Servizi
pubblici locali di rilevanza economica) del decreto-legge  25  giugno
2008, n. 112 (Disposizioni urgenti  per  lo  sviluppo  economico,  la
semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della  finanza
pubblica e  finanza  la  perequazione  tributaria),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008,  n.  133,  come  modificato
dall'art.  30,  comma  26,  della  legge  23  luglio  2009,   n.   99
(Disposizioni  per  lo  sviluppo  e  l'internazionalizzazione   delle
imprese,  nonche'  in  materia  di  energia),  e  dall'art.  15   del
decreto-legge 25 settembre 2009, n.  135  (Disposizioni  urgenti  per
l'attuazione di obblighi comunitari e per  l'esecuzione  di  sentenze
della corte di giustizia della Comunita'  europea),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge  20  novembre  2009,  n.  166,  nel  testo
risultante a seguito della sentenza  n.  325  del  2010  della  Corte
costituzionale, giudizio iscritto al n. 149 del registro referendum. 
    Vista l'ordinanza pronunciata il 6 dicembre 2010 e depositata  il
successivo 7  dicembre,  con  la  quale  l'Ufficio  centrale  per  il
referendum, costituito presso la Corte di cassazione,  ha  dichiarato
conforme a legge la richiesta referendaria; 
    Udito nella camera di consiglio del 12 gennaio  2011  il  Giudice
relatore Franco Gallo; 
    Uditi gli  avvocati  Ugo  Mattei  per  il  Comitato  Referendario
Siacquapubblica; Pietro Adami per l'Associazione  Nazionale  Giuristi
Democratici; Federico Sorrentino per l'Associazione Nazionale Fra gli
Industriali Degli Acquedotti -  Anfida;  Tommaso  Edoardo  Frosini  e
Giovanni Pitruzzella per l'Associazione Comitato contro i  referendum
per la statalizzazione dell'acqua - AcquaLiberAtutti; Tommaso Edoardo
Frosini per l'Associazione «Fare Ambiente»;  Massimo  Luciani  per  i
presentatori Vincenzo Miliucci, Rosario Lembo e  Alberto  De  Monaco;
Antonio Tallarida, avvocato dello Stato, per il Governo. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - L'Ufficio centrale per il referendum, costituito  presso  la
Corte di cassazione ai sensi dell'art. 12 della legge 25 maggio 1970,
n. 352, e successive modificazioni, con ordinanza  pronunciata  il  6
dicembre 2010 e depositata il successivo 7  dicembre,  ha  dichiarato
legittima la  richiesta  di  referendum  popolare  (pubblicata  nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  del  1°  aprile  2010,  serie
generale, n. 76), promossa da sedici cittadini italiani, sul seguente
quesito, come modificato dallo stesso Ufficio centrale:  «Volete  Voi
che sia abrogato l'art. 23-bis (Servizi pubblici locali di  rilevanza
economica) del decreto-legge 25 giugno  2008,  n.  112  "Disposizioni
urgenti  per  lo   sviluppo   economico,   la   semplificazione,   la
competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica  e  finanza
la perequazione tributaria", convertito, con modificazioni, in  legge
6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall'art. 30, comma 26,  della
legge 23 luglio 2009, n. 99, recante "Disposizioni per lo sviluppo  e
l'internazionalizzazione  delle  imprese,  nonche'  in   materia   di
energia", e dall'art. 15 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135,
recante "Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari
e per  l'esecuzione  di  sentenze  della  corte  di  giustizia  della
Comunita'  europea",  convertito,  con  modificazioni,  in  legge  20
novembre 2009, n. 166, nel testo risultante a seguito della  sentenza
n. 325 del 2010 della Corte costituzionale?». 
    2. - L'Ufficio centrale ha attribuito al quesito il n.  1  ed  il
seguente titolo: «Modalita' di affidamento  e  gestione  dei  servizi
pubblici locali di rilevanza economica. Abrogazione». 
    3.  -  Il  Presidente  della   Corte   costituzionale,   ricevuta
comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale per il referendum,
ha fissato, per la conseguente deliberazione, la camera di  consiglio
del 12 gennaio 2011, disponendo che ne fosse  data  comunicazione  ai
presentatori della  richiesta  di  referendum  e  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri, ai sensi dell'art. 33, secondo  comma,  della
legge 25 maggio 1970, n. 352. La richiesta  di  referendum  e'  stata
iscritta nel relativo registro al n. 149. 
    4. -  Con  memoria  depositata  il  23  dicembre  2010,  tre  dei
presentatori della richiesta di referendum abrogativo hanno  avanzato
istanza affinche',  previa  audizione  in  camera  di  consiglio  del
proprio difensore, detta richiesta venga  dichiarata  ammissibile.  A
sostegno dell'istanza, deducono che il quesito referendario:  a)  non
trova ostacolo nei limiti espressamente previsti dall'art.  75  della
Costituzione, perche'  non  ha  ad  oggetto  leggi  tributarie  o  di
bilancio o comunque  integranti  un  elemento  imprescindibile  della
manovra finanziaria o della tenuta complessiva del sistema (nel senso
chiarito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 2 del 1994); b)
non trova ostacolo neppure negli ulteriori limiti  individuati  dalla
giurisprudenza costituzionale in via di interpretazione  sistematica,
perche'  non  ha  ad  oggetto  norme  costituzionali  o  a  contenuto
costituzionalmente vincolato (come riconosciuto dalla sentenza  della
Corte  costituzionale  n.  325  del  2010,  secondo  cui  tali  norme
costituiscono   esercizio   di   discrezionalita'   legislativa)   od
indefettibili  per  il  funzionamento  della  macchina  statale;   c)
rispetta i requisiti  di  omogeneita'  e  chiarezza  richiesti  dalla
giurisprudenza costituzionale (in particolare, dalla sentenza  n.  16
del 1978, a proposito della «matrice razionalmente unitaria», e dalla
sentenza n. 29 del  1987,  a  proposito  della  «chiarezza  del  fine
intrinseco»), in quanto persegue l'univoco intento di limitare -  nel
rispetto dei limiti costituzionali, internazionali e comunitari - gli
eccessi delle cosiddette "privatizzazioni" della gestione dei servizi
pubblici locali; intento perseguito, del  resto,  anche  dai  quesiti
rubricati dall'Ufficio centrale per il referendum ai numeri 2 e 3. 
    Con la medesima memoria,  i  suddetti  presentatori  del  quesito
osservano,  quanto  alla  cosiddetta  normativa   di   risulta,   che
l'abrogazione,  tramite  referendum,  del  citato  art.  23-bis   del
decreto-legge n. 112 del 2008 comporterebbe: 1) il  venir  meno,  fin
dall'origine,   del   fondamento    legislativo    del    regolamento
delegificante di cui al d.P.R. 7 settembre 2010, n. 168  (Regolamento
in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma
dell'articolo 23-bis, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008,  n.
112, convertito, con modificazioni, dalla legge  6  agosto  2008,  n.
133), adottato  in  forza  proprio  del  suddetto  art.  23-bis,  con
conseguente perdita di efficacia di  tale  regolamento,  in  analogia
all'ipotesi - esaminata dalla Corte costituzionale nella sentenza  n.
241 del 2003 -  di  abrogazione  di  una  legge  di  delegazione;  2)
l'applicabilita' dell'art. 113 del d.lgs.  18  agosto  2000,  n.  267
(Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), sia con
riferimento alle «disposizioni» di tale articolo (commi 5, 5-bis,  6,
7, 9 - escluso il primo periodo -,  14,  15-bis,  15-ter,  15-quater)
espressamente abrogate dall'art. 12, comma 1, lettera a), del  d.P.R.
n. 168 del  2010,  divenuto  inefficace,  sia  con  riferimento  alle
«norme»  del  medesimo  artico  113  abrogate  per   incompatibilita'
dall'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008; 3) per l'effetto,
l'attribuzione  agli  enti  locali   del   potere   di   optare   per
l'affidamento della gestione in house dei  servizi  pubblici  locali,
anche in assenza delle condizioni straordinarie  oggi  richieste  dal
comma 3 dell'art.  23-bis,  tutte  le  volte  in  cui  tale  gestione
risultera' corrispondente al pubblico  interesse,  pur  nel  rispetto
delle esigenze concorrenziali sottolineate dalla Corte costituzionale
nella sentenza n. 325 del 2010. 
    5. - Con memoria depositata il 7 gennaio 2011, si  e'  costituito
il Governo, in persona del Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  ed  ha
avanzato istanza affinche' - previa audizione in camera di  consiglio
− venga dichiarato inammissibile il referendum n. 149 (quesito n. 1).
A sostegno di tale istanza, il Governo - dopo aver  premesso  che  la
Corte costituzionale, secondo la sua giurisprudenza,  e'  chiamata  a
valutare l'ammissibilita' di ciascuna singola richiesta  referendaria
(sentenza n. 26 del 1981) − deduce che: a) la normativa  oggetto  del
quesito, pur  non  costituendo  una  applicazione  necessitata  della
normativa comunitaria (come precisato nella sentenza n. 325 del  2010
della Corte costituzionale), e' comunque comunitariamente necessaria,
perche' - una volta esclusa la possibilita'  della  gestione  diretta
dei servizi pubblici locali di rilevanza economica da parte dell'ente
locale, per effetto degli artt. 35 della legge 28 dicembre  2001,  n.
448, e 14 del decreto-legge 30 settembre 2003,  n.  269,  convertito,
con modificazioni, dalla legge  n.  326  del  2003,  non  oggetto  di
referendum − e' necessario che sussista (anche  per  il  settore  del
servizio idrico) una disciplina nazionale applicativa degli artt.  14
e  106  del  Trattato  25  marzo  1957  (Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione),  tale  da  integrare  una  delle   diverse   discipline
possibili della  materia,  rispettose  dell'art.  117,  primo  comma,
Cost.; b) il referendum e' inammissibile (come tutti quelli aventi ad
oggetto leggi costituzionalmente  necessarie:  Corte  costituzionale,
sentenza  n.  26  del  1981),  perche'   l'abrogazione   referendaria
dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 non  comporterebbe
(per comune consenso e come riconosciuto dalla  Corte  costituzionale
nella sentenza n.  31  del  2000)  la  reviviscenza  della  normativa
precedentemente abrogata (nella specie, dell'art. 113 del  d.lgs.  n.
267 del 2000, «peraltro di  dubbia  compatibilita'  comunitaria»)  e,
pertanto, provocherebbe  un  grave  vuoto  normativo  in  un  settore
delicatissimo, senza che sia  assicurato  alcun  «livello  minimo  di
tutela  legislativa»  (come  richiesto  dalla  sentenza  della  Corte
costituzionale  n.  45  del  2005),   cosi'   da   rendere   l'Italia
inadempiente agli obblighi  derivanti  dai  Trattati  europei  (Corte
costituzionale,  sentenza  n.  81  del  2000);  c)  il   quesito   e'
disomogeneo  perche'  ha  ad  oggetto  l'affidamento  di  svariati  e
complessi  servizi,  rispetto  a  ciascuno  dei  quali  «ben  diversa
potrebbe essere (ed e') la sensibilita' popolare  (e  quindi  la  sua
risposta al referendum)». 
    6. - Hanno depositato memorie, sollecitando la  dichiarazione  di
ammissibilita'   del    referendum,    il    Comitato    Referendario
Siacquapubblica e l'Associazione Nazionale Giuristi Democratici. 
    7. - Hanno depositato memorie, sollecitando la  dichiarazione  di
inammissibilita' del referendum, i seguenti soggetti:  l'Associazione
«Fare Ambiente», l'Associazione Comitato contro i referendum  per  la
statalizzazione  dell'acqua  -  AcquaLiberAtutti   e   l'Associazione
Nazionale Fra gli Industriali Degli Acquedotti - ANFIDA. 
    8. - Nella camera di consiglio del 12  gennaio  2011  sono  stati
ascoltati i difensori: a) del Comitato Referendario  Siacquapubblica;
b)   dell'Associazione    Nazionale    Giuristi    Democratici;    c)
dell'Associazione Nazionale Fra gli Industriali  Degli  Acquedotti  -
ANFIDA; d) dell'Associazione Comitato  contro  i  referendum  per  la
statalizzazione dell'acqua - AcquaLiberAtutti;  e)  dell'Associazione
«Fare  Ambiente»;  f)  dei  suddetti  tre  presentatori  che  avevano
depositato memoria; g) del Governo. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - La Corte  e'  chiamata  a  pronunciarsi  sull'ammissibilita'
della richiesta di referendum abrogativo  popolare  dell'art.  23-bis
(Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto-legge 25
giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo  economico,
la  semplificazione,  la  competitivita',  la  stabilizzazione  della
finanza pubblica e finanza la perequazione  tributaria),  convertito,
con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato
dall'art.  30,  comma  26,  della  legge  23  luglio  2009,   n.   99
(Disposizioni  per  lo  sviluppo  e  l'internazionalizzazione   delle
imprese,  nonche'  in  materia  di  energia),  e  dall'art.  15   del
decreto-legge 25 settembre 2009, n.  135  (Disposizioni  urgenti  per
l'attuazione di obblighi comunitari e per  l'esecuzione  di  sentenze
della corte di giustizia della Comunita'  europea),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009 (quesito n. 1; referendum
n. 149). 
    2. - In via preliminare, va  dichiarata  la  ricevibilita'  delle
memorie depositate da soggetti diversi - e tuttavia interessati  alla
decisione - rispetto ai presentatori della richiesta  referendaria  e
al Governo.  Secondo  le  piu'  recenti  pronunce  di  questa  Corte,
infatti,  i  suddetti  scritti  difensivi  debbono  intendersi   come
contributi contenenti argomentazioni potenzialmente rilevanti ai fini
della decisione (sentenze n. 15, n. 16 e n. 17 del 2008;  n.  45,  n.
46, n. 47, n. 48 e n. 49 del 2005). Tale ricevibilita', pero', non si
traduce  nel  diritto  dei  medesimi  soggetti  di   partecipare   al
procedimento e di  illustrare  in  camera  di  consiglio  le  proprie
deduzioni, ma comporta solo la facolta' per la Corte (ove  questa  lo
ritenga opportuno)  di  consentire  brevi  integrazioni  orali  degli
scritti - come e' avvenuto nella camera di consiglio del  12  gennaio
2011 - prima che i soggetti di cui all'art. 33 della legge 25  maggio
1970, n. 352 (presentatori  della  richiesta  e  Governo)  illustrino
oralmente le proprie posizioni e, comunque, nel  rispetto  dei  tempi
richiesti dalla speditezza del procedimento. 
    3. - Il quesito referendario n. 1 riguarda la disciplina generale
delle modalita' di affidamento della gestione  dei  servizi  pubblici
locali di rilevanza economica, tra i quali rientra il servizio idrico
integrato.  La  disciplina  delle  modalita'  di  affidamento   della
gestione  del  servizio  idrico  costituisce,  invece,  lo  specifico
oggetto dei quesiti n. 2, n. 3 (proposti dagli stessi  promotori  del
quesito n. 1) e n. 4. 
    In proposito, deve essere tuttavia precisato che questa Corte, in
sede di  giudizio  di  ammissibilita',  deve  valutare  separatamente
ciascun  quesito  referendario  dichiarato   legittimo   dall'Ufficio
centrale per il referendum, anche nel caso in cui (come nella specie)
sia stata dichiarata legittima una pluralita'  di  quesiti  attinenti
alla stessa materia (servizi pubblici locali di rilevanza economica).
Il potere attribuito dalla legge all'Ufficio  centrale  (e  non  alla
Corte costituzionale) di «concentrare» le richieste referendarie «che
rivelano uniformita' od  analogia  di  materia»  e  di  stabilire  la
denominazione di ciascuna richiesta (eventualmente  gia'  oggetto  di
"concentrazione"), nonche' la possibilita'  che  le  varie  richieste
presentate perseguano obiettivi diversi (anche  opposti)  evidenziano
che  la  Corte   costituzionale   deve   valutare   ciascun   quesito
indipendentemente dagli altri e, in particolare,  dagli  effetti  che
l'esito  degli  altri  referendum  potrebbe  avere  sulla  cosiddetta
normativa di risulta. In altri termini, esula dall'esame della  Corte
ogni valutazione circa la complessiva coerenza  dei  diversi  quesiti
incidenti sulla stessa  materia  e,  quindi,  non  ha  alcun  rilievo
neppure l'eventualita' che essi siano stati proposti (in tutto  o  in
parte) dai medesimi promotori. Ne consegue che ciascun  quesito  deve
essere esaminato separatamente dagli altri. 
    Il quesito n. 1 e' ammissibile. 
    4. - In primo luogo, va rilevato che il quesito in esame  non  ha
ad oggetto le leggi che l'art. 75, secondo  comma,  Cost.  sottrae  a
referendum. 
    4.1. - In particolare, esso non ha ad oggetto leggi tributarie  o
di bilancio, di amnistia o  di  indulto,  costituzionali  o  a  forza
passiva rinforzata. 
    Oggetto dell'abrogazione referendaria di cui al suddetto  quesito
n. 1 e', infatti, l'intero art. 23-bis del decreto-legge n.  112  del
2008, il quale, certamente, non  e'  riconducibile  ad  alcuna  delle
suddette tipologie di leggi, perche' risponde soltanto alla ratio  di
favorire  la  gestione  dei  servizi  pubblici  locali  di  rilevanza
economica da parte di soggetti scelti a seguito di gara  ad  evidenza
pubblica e, a tal fine, limita i casi di  affidamento  diretto  della
gestione, consentendo la gestione in house (cioe' una peculiare forma
di  gestione  diretta  del  servizio  da  parte  dell'ente  pubblico,
affidata senza gara pubblica) solo ove ricorrano situazioni del tutto
eccezionali, che «non permettono un  efficace  ed  utile  ricorso  al
mercato». Piu' in dettaglio, esso: a) si applica, in forza del  comma
1, «a tutti i servizi pubblici locali», prevalendo sulle  «discipline
di settore [...] incompatibili», salvo  quelle  relative  ai  quattro
cosiddetti  "settori  esclusi"  (distribuzione   di   gas   naturale;
distribuzione di energia elettrica; gestione delle farmacie comunali;
trasporto ferroviario regionale); b) dispone che l'affidamento  della
gestione del servizio pubblico locale avvenga,  «in  via  ordinaria»,
mediante procedure competitive ad evidenza  pubblica,  a  favore  non
solo  delle  societa'  di  capitali,  ma,  piu'  in  generale,  degli
«imprenditori o [...] societa' in  qualunque  forma  costituite»;  c)
specifica che il gia' previsto (dalla legislazione anteriore, secondo
la consolidata interpretazione giurisprudenziale) affidamento diretto
(cioe' senza gara ad evidenza pubblica) della gestione  del  servizio
pubblico locale a societa' a capitale misto pubblico e  privato  (nel
caso di scelta del socio privato mediante  procedure  competitive  ad
evidenza pubblica) costituisce  anch'esso  un  caso  di  conferimento
della gestione «in via ordinaria»; d) introduce le seguenti ulteriori
condizioni per detto affidamento diretto a societa' miste: 1) che  la
procedura di gara sia a doppio oggetto (cioe' riguardi la qualita' di
socio e l'attribuzione di specifici compiti operativi  connessi  alla
gestione del servizio); 2) che  al  socio  privato  -  da  scegliersi
mediante  procedura  ad  evidenza  pubblica  -  sia  attribuita   una
partecipazione  non  inferiore  al  40%  (comma  2);  e)   disciplina
nuovamente gli altri casi in cui e' possibile  l'affidamento  diretto
(senza gara  ad  evidenza  pubblica),  «in  deroga»  ai  conferimenti
effettuati in via ordinaria, stabilendo  la  necessita'  sia  di  una
previa pubblicita' adeguata, sia di una motivazione dell'ente in base
ad un'analisi di mercato, con trasmissione di una relazione da  parte
dell'ente  all'AGCM  (Autorita'  garante  della  concorrenza  e   del
mercato), per un parere obbligatorio (ma non vincolante), da  rendere
entro 60 giorni dalla ricezione (decorso  il  termine  di  60  giorni
dalla ricezione della relazione, «il parere, se non reso, si  intende
espresso in senso favorevole»); f) precisa che tale ultima  modalita'
di affidamento diretto e' consentita, secondo la gestione «cosiddetta
in house»,  alle  condizioni  che  gia'  la  legittimavano  (capitale
interamente pubblico; controllo analogo; prevalenza dell'attivita' in
favore dell'ente o degli enti pubblici  controllanti),  ma  solo  ove
sussista  l'ulteriore  condizione  della  ricorrenza  di  «situazioni
eccezionali che, a causa  di  peculiari  caratteristiche  economiche,
sociali, ambientali e geomorfologiche del  contesto  territoriale  di
riferimento, non permettono un efficace ed utile ricorso al  mercato»
(commi 3 e 4); g) prevede (al comma 7) che i bacini  di  gara  per  i
diversi  servizi  vengano  definiti  (nel  rispetto  delle  normative
settoriali) dalle Regioni e  dagli  enti  locali  (nell'ambito  delle
rispettive competenze) d'intesa con la Conferenza  unificata  di  cui
all'art. 8  del  d.lgs.  28  agosto  1997,  n.  281  (Definizione  ed
ampliamento delle attribuzioni  della  Conferenza  permanente  per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
Bolzano ed unificazione, per le materie ed  i  compiti  di  interesse
comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la  Conferenza
Stato-citta'  ed  autonomie  locali),  e  successive   modificazioni,
secondo  specifiche  finalita'  (economie  di  scala  e   di   scopo,
efficienza ed efficacia; integrazione dei servizi  a  domanda  debole
nel quadro dei servizi piu' redditizi; dimensione minima efficiente a
livello di  impianto  per  piu'  soggetti  gestori;  copertura  degli
obblighi  di  servizio   universale);   h)   modifica,   nei   limiti
dell'incompatibilita' con la nuova disciplina, l'art. 113 del  d.lgs.
18  agosto  2000,  n.  267,  recante  il  «Testo  unico  delle  leggi
sull'ordinamento degli enti locali» (comma  11);  i)  attribuisce  al
Governo il potere di  emettere  regolamenti  di  delegificazione  sia
nelle materie elencate nel comma 10 dello stesso art. 23-bis, sia per
la determinazione delle soglie minime oltre le quali gli  affidamenti
assumono rilevanza ai fini dell'espressione del parere dell'AGCM, sia
«per individuare  espressamente  le  norme  abrogate  ai  sensi»  del
medesimo art. 23-bis; l) introduce una  nuova  normativa  transitoria
per gli affidamenti gia' in essere al momento dell'entrata in  vigore
della nuova disciplina. 
    4.2. - Il quesito non viola i limiti di  cui  all'art.  75  Cost.
nemmeno con riferimento al diritto comunitario, perche': a) non ha ad
oggetto una legge a contenuto comunitariamente vincolato (e,  quindi,
costituzionalmente vincolato, in applicazione degli artt. 11  e  117,
primo comma,  Cost.);  b)  in  particolare,  l'eventuale  abrogazione
referendaria non comporterebbe  alcun  inadempimento  degli  obblighi
comunitari. 
    4.2.1. - Quanto al profilo sub a), va rilevato che questa  Corte,
con la sentenza n. 325 del 2010, ha espressamente escluso che  l'art.
23-bis costituisca applicazione necessitata del  diritto  dell'Unione
europea ed ha affermato che esso  integra  solo  «una  delle  diverse
discipline possibili della materia che il legislatore avrebbe  potuto
legittimamente adottare senza violare» il «primo comma dell'art.  117
Cost.».  La  stessa  sentenza  ha   precisato   che   l'introduzione,
attraverso il suddetto art. 23-bis, di  regole  concorrenziali  (come
sono quelle in tema di gara ad evidenza  pubblica  per  l'affidamento
della gestione di servizi pubblici) piu' rigorose  di  quelle  minime
richieste  dal   diritto   dell'Unione   europea   non   e'   imposta
dall'ordinamento comunitario «e, dunque,  non  e'  costituzionalmente
obbligata, ai sensi del primo comma dell'art.  117  Cost.  [...],  ma
neppure  si  pone  in  contrasto  [...]  con   la   [...]   normativa
comunitaria,  che,   in   quanto   diretta   a   favorire   l'assetto
concorrenziale del mercato, costituisce solo un  minimo  inderogabile
per gli Stati membri». 
    4.2.2.  -  Quanto  al  profilo   sub   b),   va   osservato   che
dall'abrogazione  referendaria  non  deriva,  in   tema   di   regole
concorrenziali relative  ai  servizi  pubblici  locali  di  rilevanza
economica, ne' una lacuna normativa incompatibile  con  gli  obblighi
comunitari ne' l'applicazione di una normativa  contrastante  con  il
suddetto assetto  concorrenziale  minimo  inderogabilmente  richiesto
dall'ordinamento comunitario. 
    Al riguardo, va premesso che al giudizio  di  ammissibilita'  dei
referendum popolari abrogativi e' estranea qualunque  valutazione  di
merito (in particolare di legittimita' costituzionale) in ordine  sia
alla normativa oggetto di referendum sia  alla  normativa  risultante
dall'eventuale abrogazione referendaria.  In  particolare,  quanto  a
detta abrogazione, «non rileva che [...]  darebbe  luogo  ad  effetti
incostituzionali: sia nel senso di determinare vuoti, suscettibili di
ripercuotersi sull'operativita' di qualche parte della  Costituzione;
sia  nel  senso  di  privare  della  necessaria  garanzia  situazioni
costituzionalmente protette» (ex plurimis, sentenza n. 26  del  1981;
nello stesso senso, sostanzialmente, sentenze n. 16 e n. 15 del 2008;
n. 48, n. 47, n. 46 e n. 45 del 2005). Cio' non significa, pero', che
alla Corte sia inibita l'individuazione della cosiddetta normativa di
risulta  conseguente  all'abrogazione  referendaria.  Al   contrario,
l'individuazione di tale normativa e' necessaria per valutare se essa
comporti un significativo inadempimento di specifici ed  inderogabili
obblighi internazionali, comunitari o, comunque, direttamente imposti
dalla Costituzione (sentenze n. 35, n. 20 e n. 19 del 1997, n.  35  e
n. 17 del 1993, n. 27 del 1987). In tali ipotesi, sempre  nell'ambito
del giudizio  di  ammissibilita'  del  referendum,  la  normativa  di
risulta va sottoposta da  questa  Corte  non  gia'  ad  un  pieno  ed
approfondito scrutinio di legittimita' costituzionale, ma ad una mera
«valutazione liminare ed inevitabilmente limitata  del  rapporto  tra
oggetto del quesito e norme costituzionali, al fine di verificare  se
[...] il venir meno di una determinata disciplina non comporti ex  se
un pregiudizio totale all'applicazione di un precetto costituzionale»
(sentenza n. 45 del 2005, confermata dalla sentenza n. 15 del 2008) o
di una norma comunitaria direttamente applicabile. 
    Nel caso in esame, all'abrogazione dell'art. 23-bis, da un  lato,
non conseguirebbe alcuna reviviscenza delle norme  abrogate  da  tale
articolo (reviviscenza, del resto, costantemente  esclusa  in  simili
ipotesi sia dalla giurisprudenza di questa Corte − sentenze n. 31 del
2000 e n. 40 del 1997 -, sia da quella della Corte  di  cassazione  e
del Consiglio di  Stato);  dall'altro,  conseguirebbe  l'applicazione
immediata nell'ordinamento italiano della normativa comunitaria (come
si  e'  visto,  meno  restrittiva  rispetto  a  quella   oggetto   di
referendum) relativa alle regole concorrenziali  minime  in  tema  di
gara ad evidenza pubblica per l'affidamento della gestione di servizi
pubblici di  rilevanza  economica.  Ne  deriva  l'ammissibilita'  del
quesito per l'insussistenza di impedimenti di natura comunitaria. 
    5. - In secondo luogo, il quesito n. 1 e' ammissibile anche sotto
il profilo della sua formulazione, in quanto esso  rispetta  tutti  i
requisiti   richiesti   dalla   giurisprudenza   di   questa    Corte
(omogeneita';  chiarezza  e  semplicita';  univocita';   completezza;
coerenza;   rispetto    della    natura    essenzialmente    ablativa
dell'operazione referendaria). 
    5.1.  -  In  particolare,  il  quesito  rispetta   il   requisito
dell'omogeneita'. 
    Come si e' gia' osservato, l'abrogazione richiesta  riguarda  una
normativa generale, prevalente su quelle di settore (salvo che per  i
sopra  ricordati   quattro   settori   esclusi),   che   e'   diretta
sostanzialmente a restringere, rispetto  alle  regole  concorrenziali
minime  comunitarie,  le  ipotesi  di  affidamento  diretto   e,   in
particolare, di gestione in house  dei  servizi  pubblici  locali  di
rilevanza economica. L'evidente unitarieta' della disciplina  di  cui
si richiede l'abrogazione comporta l'omogeneita' del  quesito.  Esso,
infatti, proprio perche' diretto ad escludere l'applicazione di  tale
regolamentazione generale, e' sorretto da una  matrice  razionalmente
unitaria. 
    L'astratta riconducibilita' alla previsione dell'art.  23-bis  di
un'indefinita pluralita' di  servizi  pubblici  locali  di  rilevanza
economica non e' di ostacolo a tale conclusione, perche' non  esclude
la sottolineata unitarieta' di disciplina e, quindi,  la  complessiva
coerenza della richiesta referendaria. Del resto, non  sarebbe  stato
possibile formulare un  quesito  diretto  ad  abrogare  la  normativa
dell'art. 23-bis solo per alcuni settori di servizi  pubblici  e  non
per altri. Infatti, avendo l'istituto referendario di cui all'art. 75
Cost. un'efficacia meramente ablativa (e non propositiva o additiva),
il quesito non avrebbe mai potuto avere l'obiettivo  di  abrogare  il
suddetto articolo solo "nella parte in cui" si applica ad  uno  o  ad
alcuni determinati settori di servizi pubblici locali. 
    5.2. - Il quesito rispetta altresi' il requisito della congruita'
tra intento referendario e formulazione. 
    In proposito, occorre preliminarmente ricordare che la  richiesta
referendaria e' atto privo di motivazione  e,  pertanto,  l'obiettivo
dei sottoscrittori del referendum va desunto non dalle  dichiarazioni
eventualmente rese dai promotori (dichiarazioni,  oltretutto,  aventi
spesso un contenuto diverso in sede di campagna per la raccolta delle
sottoscrizioni, rispetto a  quello  delle  difese  scritte  od  orali
espresse in sede di giudizio di  ammissibilita'),  ma  esclusivamente
dalla finalita' «incorporata  nel  quesito»,  cioe'  dalla  finalita'
obiettivamente  ricavabile  in  base   alla   sua   formulazione   ed
all'incidenza del referendum sul  quadro  normativo  di  riferimento.
Sono dunque  irrilevanti,  o  comunque  non  decisive,  le  eventuali
dichiarazioni rese dai promotori (ex plurimis, sentenze n. 16 e n. 15
del 2008, n. 37 del 2000, n. 17 del 1997). 
    Cio' premesso, appare evidente che l'obiettiva ratio del  quesito
n. 1 va ravvisata, come sopra  rilevato,  nell'intento  di  escludere
l'applicazione delle norme, contenute nell'art. 23-bis, che limitano,
rispetto al diritto comunitario, le ipotesi di affidamento diretto e,
in particolare, quelle di gestione in house  di  pressoche'  tutti  i
servizi pubblici locali  di  rilevanza  economica  (ivi  compreso  il
servizio idrico). Non sussiste,  pertanto,  alcuna  contraddizione  o
incongruita' tra tale intento intrinseco  e  la  formulazione  -  del
tutto chiara, semplice ed univoca − della richiesta  referendaria  di
abrogare l'intero art. 23-bis. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara  ammissibile  la  richiesta  di  referendum  popolare  -
dichiarata legittima, con ordinanza pronunciata il 6 dicembre 2010  e
depositata il successivo 7 dicembre,  dall'Ufficio  centrale  per  il
referendum costituito presso la Corte di cassazione e  rubricata  con
il n. 1 - per l'abrogazione dell'art. 23-bis (Servizi pubblici locali
di rilevanza economica) del decreto-legge  25  giugno  2008,  n.  112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la  semplificazione,
la  competitivita',  la  stabilizzazione  della  finanza  pubblica  e
finanza la perequazione tributaria), convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 6 agosto 2008, n.  133,  come  modificato  dall'art.  30,
comma 26, della legge 23 luglio 2009,  n.  99  (Disposizioni  per  lo
sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonche' in materia
di energia), e dall'art. 15 del decreto-legge 25 settembre  2009,  n.
135 (Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi  comunitari  e
per l'esecuzione di sentenze della corte di giustizia della Comunita'
europea), convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  20  novembre
2009, n. 166, nel testo risultante a seguito della  sentenza  n.  325
del 2010 della Corte costituzionale. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 2011. 
 
                      Il Presidente: De Siervo 
 
 
                         Il redattore: Gallo 
 
 
                      Il cancelliere: Fruscella 
 
    Depositata in cancelleria il 26 gennaio 2011. 
 
                      Il Cancelliere: Fruscella