N. 25 SENTENZA 12 - 26 gennaio 2011

Giudizio sull'ammissibilita' dei referendum. 
 
Referendum abrogativo - Controllo sull'ammissibilita' della richiesta
  - Ammissione di scritti difensivi presentati  da  soggetti  diversi
  dai promotori e dal Governo, non  implicante  il  diritto  di  tali
  soggetti di partecipare al procedimento e  di  illustrare  le  loro
  tesi in camera di consiglio - Facolta' della  Corte  di  consentire
  brevi integrazioni orali degli scritti pervenuti. 
- Costituzione, art. 75; legge costituzionale 11 marzo  1953,  n.  1,
  art. 2, primo comma; legge 25 maggio 1970, n. 352, art. 33. 
Referendum abrogativo - Controllo sull'ammissibilita' della richiesta
  - Specificita' ed autonomia del tipo di giudizio -  Valutazione  in
  tale sede di profili di incostituzionalita' della normativa oggetto
  dell'iniziativa referendaria - Esclusione. 
- Costituzione, art. 75; legge costituzionale 11 marzo  1953,  n.  1,
  art. 2, primo comma. 
Referendum abrogativo - Controllo sull'ammissibilita' della richiesta
  - Obbligo per la Corte di valutare  separatamente  la  coerenza  di
  ciascun quesito referendario dichiarato legittimo e  non  nel  loro
  complesso, anche nella ipotesi in cui  l'Ufficio  centrale  per  il
  referendum abbia dichiarato legittima  una  pluralita'  di  quesiti
  "concentrati" per uniformita' o analogia di materia. 
- Costituzione, art. 75; legge costituzionale 11 marzo  1953,  n.  1,
  art. 2, primo comma. 
Referendum abrogativo - Controllo sull'ammissibilita' della richiesta
  - Carattere oggettivo del giudizio - Estraneita' di valutazione del
  merito, salvo i casi delle leggi a contenuto vincolato e di  quelle
  costituzionalmente  necessarie,  in  cui  la  Corte  individua   la
  normativa di risulta e ne valuta la conformita' a Costituzione. 
- Costituzione, art. 75; legge costituzionale 11 marzo  1953,  n.  1,
  art. 2, primo comma. 
Referendum abrogativo - Servizio  idrico  integrato  -  Richiesta  di
  abrogazione referendaria della  disciplina  avente  ad  oggetto  la
  forma di gestione e le  procedure  di  affidamento  in  materia  di
  risorse idriche - Quesito inidoneo e non coerente rispetto al  fine
  perseguito  dai  promotori  -  Inammissibilita'   della   richiesta
  referendaria. 
- D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 150, come  modificato  dall'art.
  2, comma 13, del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, nel testo risultante
  dall'art. 12 del d.P.R. 7 settembre 2010, n. 168. 
- Costituzione, art. 75; legge costituzionale 11 marzo  1953,  n.  1,
  art. 2, primo comma. 
(GU n.5 del 28-1-2011 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Ugo DE SIERVO; 
Giudici: Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco
  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di ammissibilita', ai sensi dell'articolo  2,  primo
comma,  della  legge  costituzionale  11  marzo  1953,  n.  1,  della
richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dell'articolo  150
(Scelta della forma di  gestione  e  procedure  di  affidamento)  del
decreto  legislativo  3  aprile  2006,  n.  152  (Norme  in   materia
ambientale), come  modificato  dall'art.  2,  comma  13  del  decreto
legislativo 16 gennaio 2008, n. 4, nel testo risultante dall'articolo
12 del decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre  2010,  n.
168, giudizio iscritto al n. 150 registro referendum. 
    Vista l'ordinanza del 7 dicembre  2010  con  la  quale  l'Ufficio
centrale  per  il  referendum  presso  la  Corte  di  cassazione   ha
dichiarato conforme a legge la richiesta; 
    Udito nella camera di consiglio del 12 gennaio  2011  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo; 
    Uditi gli  avvocati  Ugo  Mattei  per  il  Comitato  referendario
Siacquapubblica, Pietro Adami per l'Associazione  nazionale  giuristi
democratici, Federico Sorrentino per l'ANFIDA, Associazione nazionale
fra gli industriali  degli  acquedotti,  Tommaso  Edoardo  Frosini  e
Giovanni Pitruzzella per il  Comitato  contro  i  referendum  per  la
statalizzazione dell'acqua - AcquaLiberAtutti - , Tommaso Frosini per
Fare Ambiente Movimento ecologista europeo onlus, Massimo Luciani per
i presentatori D'Antonio Luciano, Lutrario Severo e  Maggi  Andrea  e
l'avvocato dello  Stato  Antonio  Tallarida  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - L'Ufficio centrale per il referendum, costituito  presso  la
Corte di cassazione ai sensi dell'art. 12 della legge 25 maggio 1970,
n. 352 (Norme sui referendum  previsti  dalla  Costituzione  e  sulla
iniziativa legislativa del popolo), e successive  modificazioni,  con
ordinanza pronunciata il 6 dicembre 2010, pervenuta a questa Corte il
successivo 9 dicembre, ha dichiarato conforme  alle  disposizioni  di
legge, tra le altre, la richiesta di referendum popolare  (pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 76  del  1°  aprile  2010),  promossa  da
tredici cittadini italiani, sul seguente quesito: «Volete voi che sia
abrogato l'art. 150 (Scelta della forma di gestione  e  procedure  di
affidamento) del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006  «Norme
in materia ambientale», come modificato dall'art.  2,  comma  13  del
decreto legislativo n. 4 del 16 gennaio 2008». 
    Con riferimento a tale richiesta l'Ufficio ha rilevato che l'art.
150, comma 1, del d.lgs. n.  152  del  2006,  e'  stato  parzialmente
abrogato dall'art. 12, comma 1, lettera b) del decreto del Presidente
della Repubblica 7 settembre 2010, n. 168 (Regolamento in materia  di
servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell'articolo
23-bis,  comma  10,  del  decreto-legge  25  giugno  2008,  n.   112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133). 
    Pertanto, sentito il Comitato promotore, il quale ha chiesto  che
si proceda  alla  modifica  del  quesito  con  l'aggiunta  «per  come
modificato dall'art. 12, comma 1, lett. b)  del  d.P.R.  7  settembre
2010  n.  168»,  ha  ammesso  il  quesito   stesso   nella   seguente
formulazione: «Volete voi che sia abrogato l'art. 150  (Scelta  della
forma di gestione e procedure di affidamento) del Decreto Legislativo
n. 152  del  3  aprile  2006  «Norme  in  materia  ambientale»,  come
modificato dall'art. 2, comma 13 del decreto legislativo n. 4 del  16
gennaio 2008, nel testo risultante  dall'art.  12  del  d.  P.  R.  7
settembre 2010, n. 168». 
    Il referendum, cui e' stato  assegnato  il  numero  2,  e'  stato
denominato: «Servizio idrico integrato. Forma di gestione e procedure
di affidamento in materia di risorse idriche. Abrogazione». 
    2. - Ricevuta la menzionata ordinanza, il Presidente della  Corte
costituzionale ha  fissato  la  data  del  12  gennaio  2011  per  la
deliberazione  in  camera  di   consiglio   sull'ammissibilita'   del
referendum, dandone comunicazione ai presentatori della richiesta  ed
al Presidente del Consiglio  dei  ministri,  a  norma  dell'art.  33,
secondo comma, della legge n. 352 del 1970. 
    3. - In data 23 dicembre 2010  tre  presentatori  della  suddetta
richiesta di referendum hanno depositato memoria  di  costituzione  e
deduzioni,   esponendo   una   serie   di   argomenti   a    sostegno
dell'ammissibilita' della richiesta medesima. 
    In particolare, dopo avere rimarcato che la normativa oggetto del
quesito non rientra, neppure  in  via  indiretta,  nell'ambito  delle
leggi per le quali il referendum popolare non e'  ammesso,  ai  sensi
dell'art. 75, secondo comma, della Costituzione, essi  osservano  che
la normativa de qua non ha rango costituzionale e non si  traduce  in
norme a  contenuto  costituzionalmente  vincolato,  oppure  in  norme
obbligatorie. Al riguardo, e' richiamata la sentenza di questa  Corte
n. 325 del 2010, la quale ha posto in luce che, in materia di servizi
pubblici locali, il legislatore dispone di ampia discrezionalita'. 
    Quanto ai  requisiti  di  omogeneita'  e  chiarezza  del  quesito
referendario, i promotori rilevano che esso e' ammissibile sia per la
sussistenza  di  una  sua  «matrice   razionalmente   unitaria»   (e'
richiamata la sentenza n. 16 del 1978), sia per la «chiarezza del suo
fine intrinseco» (sentenza n. 29 del 1987). 
    Tanto dovrebbe desumersi dalla normativa di risulta, che  sarebbe
applicabile   a   seguito   dell'auspicato   esito   positivo   della
consultazione popolare. 
    A tal fine, richiamato il dettato dell'art. 150 del d.lgs. n. 152
del 2006,  i  presentatori  deducono  che,  dopo  il  deposito  della
richiesta di referendum, e' sopravvenuto il d.P.R. n.  168  del  2010
che, all'art. 12,  comma  1,  lettera  b),  stabilisce  l'abrogazione
dell'«art. 150, comma 1, del decreto legislativo 3  aprile  2006,  n.
152, e successive modificazioni, ad  eccezione  della  parte  in  cui
individua la competenza dell'Autorita' d'ambito per  l'affidamento  e
l'aggiudicazione». 
    Ad avviso dei promotori, l'auspicata abrogazione dell'art. 150 si
risolverebbe  nella  necessaria  applicabilita',  alla  gestione  del
servizio idrico integrato, dell'art. 114 del decreto  legislativo  18
agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi  sull'ordinamento  degli
enti locali), quale normativa di risulta. 
    Infatti, andrebbe considerato  che  il  citato  art.  150  rinvia
ampiamente all'art. 113  del  detto  testo  unico  (TUEL).  Anzi,  il
contenuto precettivo dell'art. 150 sarebbe limitato e la sua funzione
prevalente  (ancorche'  non  esclusiva)  sarebbe  quella   di   fonte
«rinviante» all'art. 113 TUEL (fonte «rinviata»). 
    Stando cosi' le cose, «l'abrogazione dell'art. 150  non  potrebbe
certo determinare l'applicabilita' dell'art.  113  TUEL.  Proprio  il
fatto che si abroghi la norma rinviante, infatti,  ha  per  logico  e
consequenziale effetto che,  almeno  limitatamente  alla  fattispecie
coperta  dalla  norma  rinviante,  risulti  inapplicabile  la   norma
rinviata. Se il contenuto  normativo  dell'art.  150  e'  (anche)  il
rinvio all'art. 113 TUEL, e' chiaro, l'abrogazione della prima  delle
due norme non puo' che avere per effetto l'inapplicabilita' in  parte
qua della seconda». 
    In  questo  quadro,   secondo   i   presentatori,   sembrerebbero
applicabili il d.P.R. n. 168 del 2010 o l'art. 23-bis del d.l. n. 112
del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008.
Ma, in realta', non sarebbe cosi'. 
    Invero, l'art. 150 rinvia, per la determinazione delle  forme  di
gestione del servizio idrico integrato, all'art. 113,  comma  7,  del
TUEL. Ma l'art. 12, comma 2, del d.P.R. n. 168  del  2010  stabilisce
che «Le leggi, i regolamenti, i decreti, o altri  provvedimenti,  che
fanno  riferimento  al  comma  7  dell'articolo   113   del   decreto
legislativo 18 agosto  2000,  n.  267,  e  successive  modificazioni,
abrogato dal comma 1, lettera a), si intendono riferiti  al  comma  1
dell'art. 3 del presente regolamento». Questa sarebbe, oggi, la norma
rinviata. Per conseguenza, varrebbe  il  medesimo  ragionamento  gia'
svolto in riferimento all'art. 113 TUEL:  l'abrogazione  della  norma
rinviante comporterebbe l'inapplicabilita' in parte qua (e  cioe'  in
riferimento alla specifica fattispecie che  ne  costituisce  oggetto)
della norma rinviata. 
    Del pari non applicabile, poi, sarebbe l'art. 23-bis del d.l.  n.
112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  133  del
2008.  Infatti,  il  d.P.R.  n.  168  del  2010   sarebbe   attuativo
dell'autorizzazione a delegificare contenuta nel comma 10  di  quella
norma. Autorizzando il Governo a delegificare, il citato art.  23-bis
si sarebbe «sostanzialmente  svuotato»,  in  particolare  per  quanto
concerne il servizio idrico. Invero, nel comma  10  di  detta  norma,
alla lettera  d),  si  stabiliva  che  il  regolamento  delegificante
(quello che sarebbe poi stato il  d.P.R.  n.  168  del  2010)  doveva
«armonizzare la nuova disciplina e quella di settore  applicabile  ai
diversi servizi pubblici locali, individuando le norme applicabili in
via generale per l'affidamento di tutti i servizi pubblici locali  di
rilevanza  economica  in  materia  di  rifiuti,  trasporti,   energia
elettrica e gas, nonche' in materia di acqua». 
    L'inapplicabilita' del  d.P.R.  n.  168  del  2010,  dunque,  non
potrebbe  determinare  la  reviviscenza  della  disciplina  dell'art.
23-bis,  ormai  sostituita  (proprio  ai   sensi   della   previsione
legislativa ora riportata), da  quella  regolamentare  appunto  nello
specifico settore del servizio idrico, del quale  l'art.  23-bis  non
farebbe  menzione  se   non   per   autorizzare   il   Governo   alla
delegificazione. 
    In questa condizione di sostanziale vuoto normativo, che  sarebbe
generata   dall'auspicata   abrogazione   referendaria,    resterebbe
applicabile, per analogia, soltanto  una  previsione  in  materia  di
servizi locali, cioe' l'art. 114 TUEL. Richiamati alcuni  profili  di
tale norma, i promotori rilevano che,  in  mancanza  di  disposizioni
relative  ai  servizi  pubblici  di  rilevanza  economica,  solo   la
disciplina concernente  la  gestione  dei  servizi  sociali  potrebbe
trovare ragionevolmente applicazione, in  forza  dei  comuni  criteri
propri dell'interpretazione analogica. 
    Cosi'  ricostruita  la  normativa  di   risulta,   la   richiesta
referendaria  in  esame  sarebbe  «caratterizzata  da   una   limpida
chiarezza degli effetti normativi prodotti ed  anche  dall'univocita'
del "fine intrinseco" perseguito». Infatti, l'intento  dei  promotori
sarebbe quello di «assoggettare  lo  specifico  e  affatto  peculiare
settore  del  servizio  idrico   alla   disciplina,   specchiatamente
pubblicistica, dell'art. 114  TUEL,  escludendo  qualunque  forma  di
gestione privata». 
    La richiesta non risulterebbe disomogenea, in quanto  l'art.  150
sarebbe caratterizzato proprio dall'opposta scelta  di  fondo  (cioe'
l'apertura  alla  gestione  privata  del  servizio  idrico),   scelta
rispetto alla quale il complesso delle sue  disposizioni  sarebbe  in
sostanza soltanto strumentale. 
    A tal proposito, si dovrebbe aggiungere  che  non  sarebbe  stato
necessario coinvolgere nella richiesta anche l'art. 15, comma  1-ter,
del d.l. n. 135 del 2009, perche', per un verso, esso non sarebbe  in
contraddizione  con  la  richiesta  stessa  (in  quanto  il  soggetto
gestore, ivi contemplato, ben potrebbe  essere  l'azienda  speciale),
per l'altro farebbe esplicito riferimento al  servizio  idrico,  come
disciplinato dall'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, cioe' da  una
disposizione   destinata   a   divenire   inapplicabile   in    forza
dell'auspicato esito positivo della votazione referendaria. 
    Dalle considerazioni  ora  esposte  emergerebbe  anche  il  pieno
rispetto del  cosiddetto  limite  internazionale  e  comunitario.  Al
riguardo, sarebbe sufficiente richiamare ancora la sentenza di questa
Corte n. 325 del 2010,  nella  quale  sarebbe  stata  messa  in  luce
l'ampiezza  del  margine  di  discrezionalita'  a  disposizione   del
legislatore nazionale nella regolazione di tutto quanto attiene  alla
gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica. Inoltre,  nella
citata sentenza si legge che «La normativa comunitaria  consente,  ma
non impone, agli Stati membri di prevedere, in via di eccezione e per
alcuni casi determinati, la gestione diretta del servizio pubblico da
parte  dell'ente  locale».  Cio'  starebbe  a  significare   che   il
legislatore nazionale ben puo' isolare un singolo settore e per  esso
escludere il ricorso alle procedure concorrenziali  e  alla  gestione
privata. 
    Nella specie, il settore sarebbe quello del servizio idrico,  che
gestisce il bene materiale primario per  eccellenza,  ossia  l'acqua.
Sarebbe dunque ragionevole, e comunque rientrerebbe nell'ambito della
discrezionalita'  riconosciuta  agli  Stati,  riservare  il  servizio
idrico alla gestione pubblica. 
    Infine,  i  rilievi  fin  qui  svolti  avrebbero  trattato  della
richiesta referendaria in epigrafe nella sua distinta individualita',
senza collegarla alle altre richieste di referendum  che,  in  quanto
depositate nella medesima «finestra» temporale, sono oggi  sottoposte
allo  scrutinio  di  questa  Corte.  Cio'  perche',  ad  avviso   dei
promotori,   l'ammissibilita'   delle   richieste   referendarie   va
verificata esclusivamente  con  riguardo  al  distinto  contenuto  di
ciascuna, «poiche' ciascuna ha seguito un distinto iter e ciascuna e'
sorretta da distinte manifestazioni di volonta' dei  sottoscrittori».
Inoltre,  tale  autonomia  permarrebbe  anche  quando  le   richieste
riguardino  la  medesima  materia,  non  essendo   possibile   alcuna
valutazione di ammissibilita' che «possa tenere conto  del  complesso
incastro  delle   abrogazioni   eventualmente   assentite   e   delle
abrogazioni eventualmente negate dal corpo elettorale». 
    Tuttavia, «per supremo  tuziorismo»,  andrebbe  rilevato  che  le
richieste rubricate dall'Ufficio Centrale con i numeri 1, 2 e 3  sono
legate da un medesimo intento  «politico»,  mirando  a  contenere  al
massimo -  nel  rispetto  dei  limiti  internazionali,  comunitari  e
costituzionali - gli eccessi delle cosiddette «privatizzazioni»,  ora
ponendo la gestione diretta dei servizi pubblici locali di  rilevanza
economica sul medesimo piano della  gestione  privata  (cio'  per  la
generalita' dei servizi: richiesta n. 1), ora escludendo la  gestione
privata per il limitato e del tutto peculiare  settore  del  servizio
idrico (richiesta n. 2), ora, sempre in riferimento al solo  servizio
idrico, contenendo i profitti della gestione  privata  (richiesta  n.
3). Anche nella denegata ipotesi che tali richieste fossero vagliate,
per il profilo della  loro  ammissibilita',  come  collegate,  nessun
dubbio sull'ammissibilita' delle stesse potrebbe essere nutrito. 
    4.  -  In  data  29  dicembre  2010  il   Comitato   referendario
«Siacquapubblica», in persona del legale rappresentante pro  tempore,
ha  depositato  memoria  ad  adiuvandum  per   l'ammissibilita'   dei
referendum abrogativi (reg. ref. n. 149, n. 150,  n.  151),  promossi
dal Forum Italiano per i Movimenti dell'Acqua. 
    Il citato Comitato,  nell'esporre  il  quadro  politico-culturale
d'insieme sotteso ai tre quesiti referendari,  sottolinea  come  essi
costituiscano un  essenziale  passo  politico-istituzionale,  diretto
alla difesa di un bene comune fondamentale  come  l'acqua,  contro  i
gravi rischi insiti nella privatizzazione. 
    Ad avviso del suddetto Comitato, il decreto Ronchi (decreto-legge
25  settembre  2009,  n.  135  recante  «Disposizioni   urgenti   per
l'attuazione di obblighi comunitari e per  l'esecuzione  di  sentenze
della Corte di giustizia delle Comunita'  europee»,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166) avrebbe posto le
premesse per una massiccia dismissione del servizio idrico  integrato
italiano attraverso l'obbligo d'immissione di esso sul  mercato  alla
data del 31 dicembre 2001. 
    A seguito del decreto Ronchi  l'acqua  non  avrebbe  potuto  piu'
ricevere un regime di tutela  particolarmente  accentuato  in  virtu'
della sua natura di  bene  comune,  ma  al  contrario  sarebbe  stata
oggetto, con gran parte delle infrastrutture per la sua gestione,  di
un frettoloso processo di  privatizzazione.  Il  detto  provvedimento
legislativo   avrebbe   introdotto   un   elemento   di   sostanziale
irreversibilita' di un assetto sbilanciato a favore del privato nella
gestione e nel controllo dell'acqua, il piu' importante  tra  i  beni
comuni. Lo squilibrio tra pubblico e privato da esso prodotto sarebbe
apparso, dunque, in profondo contrasto con  la  speciale  natura  del
servizio idrico,  non  soltanto  perche'  tale  servizio  avrebbe  ad
oggetto un bene comune, ma anche in  virtu'  della  legge  5  gennaio
1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche),  cosiddetta
legge Galli. 
    Proprio la ricerca, perseguita dalla legge ora citata  (art.  1),
del regime piu' desiderabile per l'acqua, intesa  come  bene  comune,
avrebbe costituito la riduzione ad  unita'  dei  quesiti  referendari
iscritti ai nn. 149, 150 e 151 del registro referendum. 
    Il popolo sovrano sarebbe chiamato ad esprimersi su una questione
chiara ed univoca: se si possa continuare nel presente squilibrio  in
favore del settore privato for profit nella gestione del bene  comune
acqua (votando NO) o se si debba invertire la rotta (votando SI). 
    Dopo aver trattato diffusamente del quesito  n.  149,  avente  ad
oggetto l'art. 23-bis della legge n. 133 del  2008,  come  modificato
dall'art. 15  del  d.l.  n.  135  del  2009,  sostenendone  la  piena
ammissibilita', il Comitato afferma che  i  tre  quesiti  referendari
mirerebbero a superare l'opzione eccessivamente manichea dello stesso
art. 23-bis (quesito  n.  149),  ad  escludere  modelli  di  gestione
fondati su una ratio incompatibile con la speciale natura  dell'acqua
(quesito  n.  150)  e,  infine,  ad  escludere  il  profitto  tra  le
motivazioni accettabili per un soggetto che vuole gestire il servizio
idrico  integrato  (quesito  n.  151).   A   seguito   dell'auspicata
abrogazione delle norme di cui  ai  tre  quesiti,  emergerebbero  con
chiarezza  i  tratti  fondanti  di  un  sistema   coerente   con   il
riconoscimento dell'acqua come bene comune. 
    Avuto  riguardo  alla  particolare  natura   dei   beni   comuni,
compatibile  tanto  con  un  regime  pubblicistico  quanto  con   uno
privatistico a vocazione pubblicistica, il  nostro  diritto  positivo
conoscerebbe un ricco strumentario di istituti fondamentali,  sia  di
diritto pubblico sia di diritto privato a  dimensione  pubblicistica,
idonei   ad   evitare   il   presunto   vuoto   normativo    lasciato
dall'accoglimento dei quesiti. 
    Secondo il Comitato esponente, con l'abrogazione dell'art. 23-bis
della   legge   n.   133   del   2008,   si    realizzerebbe    anche
l'inapplicabilita' del d.P.R. n. 168 del 2010 (regolamento delegato),
in quanto verrebbe meno il suo fondamento giuridico, e si avrebbe  la
riespansione dell'art. 113 TUEL. 
    L'abrogazione dell'art. 150 del d.lgs. n. 152 del  2006  -  norma
ritenuta speciale in quanto riferita al servizio idrico integrato, ma
che nella sostanza rinvia ad una normativa generale  qual  e'  quella
contenuta nell'art. 113 del TUEL  -  comporterebbe  l'abrogazione  di
tale norma. In realta', pero', essendo  stato  parzialmente  abrogato
l'art. 113 del TUEL dal d.P.R. n. 168 del  2010,  e'  a  quest'ultima
norma che, nella sostanza, l'art. 150 del  d.lgs.  n.  152  del  2006
rinvia.  Pertanto,  l'abrogazione  dell'art.  150  comporterebbe   la
perdita  di  efficacia  della  norma  oggetto  del  rinvio,  con   la
conseguenza che, in via analogica, resterebbe applicabile l'art.  114
TUEL, tuttora vigente. 
    L'abrogazione dell'art. 23-bis della legge  n.  133  del  2008  e
dell'art. 150 del d.lgs. n.152 del 2006 non  produrrebbero  un  vuoto
normativo, in quanto sarebbe sempre possibile il ricorso  all'azienda
speciale. 
    Peraltro, ad avviso  del  suddetto  Comitato,  oltre  all'azienda
speciale sarebbero rinvenibili  nel  vigente  ordinamento  molteplici
strumenti sia di diritto  pubblico  (Consorzi  tra  Comuni  ai  sensi
dell'art.  31  del  TUEL),  sia  di  diritto  privato  a   dimensione
pubblicistica in grado di colmare ipotetici  vuoti  normativi.  Quali
istituti  privatistici  privi  di  scopo  di  lucro  e  a   vocazione
pubblicistica, applicabili una volta abrogate  le  norme  oggetto  di
referendum, il Comitato fa  riferimento  alle  cooperative,  a  scopo
mutualistico alternativo al lucro, alle  associazioni,  ai  comitati,
alle fondazioni. 
    Infine, l'esponente rileva che  l'attuale  instabilita'  politica
non consente di escludere l'ipotesi di  un  rinvio  delle  operazioni
referendarie come conseguenza  di  un  eventuale  scioglimento  delle
Camere. La produzione degli effetti, a data certa,  dell'art.  23-bis
della legge n. 133 del 2008, prima della celebrazione del  referendum
rischierebbe di vanificare nei fatti, almeno per quanto  riguarda  il
quesito iscritto al n. 149, l'auspicata sentenza di  accoglimento  ai
sensi  dell'art.  75  Cost.  Un  allineamento   temporale,   in   via
interpretativa, dell'art. 23-bis con slittamento dei suoi  effetti  a
data successiva  alla  consultazione  referendaria,  per  quanto  non
rientrante nei  compiti  attribuiti  dalla  Costituzione  alla  Corte
costituzionale, potrebbe essere auspicabile in  coerenza  con  l'alta
funzione di garanzia costituzionale propria di questa Corte. 
    5 .- L'associazione «Fare Ambiente»  e  l'associazione  «Comitato
contro      i      referendum      per       la       statalizzazione
dell'acqua-AcquaLiberAtutti», con atti depositati in data  5  gennaio
2011, si sono costituite nel  presente  giudizio  di  ammissibilita',
chiedendo a questa Corte, previa declaratoria di ammissibilita' delle
memorie di costituzione e  conseguente  autorizzazione  all'audizione
dei  difensori,  di   dichiarare   l'inammissibilita'   del   quesito
referendario. 
    Con atto depositato in data  7  gennaio  2011  si  e',  altresi',
costituita in giudizio l' associazione nazionale fra gli  industriali
degli acquedotti -  ANFIDA  -  chiedendo,  anch'essa,  di  dichiarare
l'inammissibilita' del quesito referendario. 
    In   via   preliminare,   l'associazione   «Fare   Ambiente»    e
l'associazione «Comitato contro i referendum per  la  statalizzazione
dell'acqua-AcquaLiberAtutti» hanno posto in  evidenza  come  il  loro
intervento  debba  essere  ritenuto  ammissibile  alla   luce   della
giurisprudenza costante  di  questa  Corte  ed,  al  riguardo,  hanno
richiamato le sentenze n. 31 e n. 41 del 2000. 
    Le predette associazioni premettono che due dei  quattro  quesiti
appaiono strettamente legati fra di loro, al punto che ove  la  norma
indicata nel primo quesito (art. 23-bis del decreto-legge  25  giugno
2008, n. 112 e successive  modificazioni)  dovesse  essere  abrogata,
allora si dovrebbe ipotizzare  la  reviviscenza  della  normativa  da
quest'ultimo a sua volta (implicitamente) abrogata, ovvero l'art. 150
del decreto legislativo n. 152 del 2006 (c.d. Codice  dell'Ambiente),
che sarebbe pero' nuovamente soggetta ad abrogazione,  come  previsto
nel  secondo  (e  in  parte   nel   quarto)   quesito   referendario.
L'associazione «Fare Ambiente» pone in evidenza i seguenti motivi  di
inammissibilita' afferenti il quesito in oggetto. 
    In primo  luogo,  poiche'  esso  mira  a  chiedere  l'abrogazione
dell'art. 150 del d.lgs. n. 152 del  2006,  il  quale  sarebbe  stato
implicitamente abrogato dall'art. 23-bis del d.l. n. 112 del  2008  e
potrebbe rivivere giuridicamente  soltanto  in  caso  di  abrogazione
dell'art. 23-bis, si determinerebbe un «inganno  nei  riguardi  degli
elettori  e  l'incoerenza  sul  piano  della  normativa  soggetta  ad
ablazione referendaria». 
    L'inganno consisterebbe nel fatto che con il quesito in esame  si
chiederebbe di abrogare una  norma  che  potrebbe  essere  valida  e,
quindi, oggetto di referendum,  soltanto  nel  caso  in  cui  venisse
esclusa la disposizione di cui si chiede l'abrogazione nel quesito n.
1. L'elettore, inoltre, verrebbe chiamato  a  pronunciarsi  sull'art.
150 del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale essendo  stato  abrogato  e'
privo di rilievo giuridico. 
    Il quesito n. 2, inoltre, incontrerebbe, ad avviso  della  citata
associazione,  il  limite  della  mancanza  di   omogeneita',   della
chiarezza e della matrice razionalmente unitaria; sotto tale  profilo
il principale  ostacolo  all'ammissibilita'  deriverebbe,  come  gia'
sopra posto in evidenza, dall'inefficacia della  disciplina  in  esso
inclusa: l'art. 150 del d.lgs. n.  152  del  2006,  pur  essendo  una
disciplina specifica per la gestione del servizio  idrico  integrato,
e' infatti da considerarsi, al momento, una disciplina implicitamente
abrogata dall'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008. 
    Il  «Comitato  contro  i  referendum   per   la   statalizzazione
dell'acqua-AcquaLiberAtutti», invece, ritiene che il quesito  sarebbe
inammissibile dal momento  che  inciderebbe  su  «legge  a  contenuto
comunitariamente vincolato». 
    In caso di eventuale accoglimento del quesito n. 2, il  difensore
del Comitato osserva che l'affidamento e  la  gestione  del  servizio
idrico integrato risulterebbe del tutto  svincolata  da  qualsivoglia
disciplina  e  cio'  con  evidente  violazione   del   principio   di
concorrenza, in quanto gli enti competenti sarebbero  sostanzialmente
liberi nel procedere a qualsiasi tipo di affidamento. 
    Il quesito n.  2,  infatti,  ad  avviso  del  predetto  Comitato,
intende sottoporre ad abrogazione l'art. 150 del decreto  legislativo
n. 152 del 2006, il quale detta le modalita' di scelta della forma di
gestione e procedure di affidamento del servizio idrico integrato. 
    Dall'eventuale accoglimento dei quesiti  referendari  e,  dunque,
dall'eventuale abrogazione dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008,
e dell'art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, potrebbe determinarsi  un
vulnus nel sistema di affidamento del servizio de quo non  risultando
in linea con la forte connotazione a tutela della concorrenza  voluta
dalle cogenti norme comunitarie. 
    Ne conseguirebbe l'apertura di una sicura procedura  d'infrazione
a  carico  dell'Italia,  come  gia'  avvenuto  con  riferimento  alla
normativa previgente  a  quella  in  oggetto  (il  richiamo  e'  alla
"procedura di infrazione 1999/2184 ex art. 226 Trattato. Legislazione
in materia di servizi pubblici  locali"  trasmessa  con  nota  del  4
luglio 2002, n. 8622). 
    Sussisterebbe, dunque, l'inammissibilita' del quesito in  base  a
quanto previsto dall'art. 75 Cost.,  nella  parte  in  cui  vieta  lo
svolgimento di referendum abrogativo sulle  leggi  di  autorizzazione
alla ratifica  dei  Trattati  internazionali  «e  anche  sulle  altre
disposizioni normative che producano effetti collegati in modo  cosi'
stretto all'ambito di operativita' di tali leggi tanto  da  ritenersi
implicita nel sistema la preclusione» (sentenza n. 31 del 2000). 
    Il quesito sarebbe inammissibile, inoltre, in quanto incidente su
legge a contenuto costituzionalmente vincolato. 
    In  particolare,  le  norme  oggetto  dei   quesiti   referendari
risultano espressione diretta  di  principi  costituzionali  che,  in
materia di concorrenza nei servizi pubblici locali, possono ritenersi
a contenuto sostanzialmente vincolato. 
    Sul punto, il Comitato richiama la ricostruzione operata  proprio
dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 325  del  2010,  in  cui
essa ha chiarito come la disciplina posta dall'art.  23-bis  d.l.  n.
112 del 2008, e dall'art. 150 d.lgs. n.  156  del  2010,  rappresenti
espressione di una  potesta'  normativa,  sostanzialmente  vincolata,
dello Stato. 
    A  sostegno  di  tale  argomentazione,  proprio   con   specifico
riferimento  al  servizio  idrico  integrato,  il  Comitato   rinvia,
inoltre, alla gia' piu' volte menzionata sentenza n. 325 del 2010. 
    Altro profilo di  inammissibilita'  atterrebbe  alla  carenza  di
chiarezza ed omogeneita' del quesito referendario. 
    Le stesse  modalita'  di  formulazione  dei  titoli  dei  quesiti
referendari e  le  tecniche  di  persuasione  gia'  adottate  per  la
raccolta  delle  sottoscrizioni,  le  quali  probabilmente   verranno
riutilizzate ed amplificate ove dovesse ammettersi  la  consultazione
referendaria, testimoniano come l'elettore  non  abbia,  in  realta',
espresso liberamente il proprio convincimento.  Sotto  tale  profilo,
con riferimento all'art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, il  Comitato
pone in rilievo come lo stesso si appalesi  inammissibile  in  quanto
inutile, superfluo ed ultroneo rispetto alle finalita' perseguite. 
    L'art. 150 del d.lgs. n. 152 del  2006,  la  cui  abrogazione  e'
richiesta con il quesito in esame, regola le  modalita'  di  gestione
del servizio idrico  e  le  procedure  per  la  scelta  del  soggetto
gestore. 
    Detta  norma,  al  momento,  dovrebbe  ritenersi  superata  dalla
disciplina dettata dall'art. 23-bis, d.l. n. 112  del  2008,  ma  non
puo' sfuggire come il risultato  sarebbe  del  tutto  ininfluente  in
relazione alle intenzioni perseguite e cio' in quanto l'art.  23-bis,
avendo portata generale, risulterebbe interamente  applicabile  anche
alle modalita' di affidamento dei servizi idrici. 
    La situazione sarebbe diversa, qualora l'elettore,  pur  coartato
nella scelta, dovendo decidere di azzerare interamente la  disciplina
di  affidamento  di  tutti  i  servizi   pubblici,   dovesse   votare
positivamente per entrambi i quesiti in esame. 
    Il citato Comitato ritiene che la disciplina di  affidamento  del
servizio idrico non contemplerebbe  in  ogni  caso  il  ritorno  alla
gestione totalmente pubblica delle acque  ma,  al  piu',  sembrerebbe
applicabile l'art. 113 TUEL. 
    Infine, un ulteriore motivo di inammissibilita' e'  ravvisato  in
ragione del cosiddetto vuoto legislativo nella normativa di risulta. 
    Il quesito, infatti, mirerebbe a chiedere l'abrogazione dell'art.
150 del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale, come detto sopra, e'  stato
implicitamente abrogato dall'art. 23-bis del d.l. n. 112 del  2008  e
potrebbe  rivivere  giuridicamente  solo  e  soltanto  in   caso   di
abrogazione dell'art. 23-bis. 
    L'associazione nazionale fra gli industriali degli  acquedotti  -
ANFIDA  -,  inoltre,  sostiene  che  il  quesito   referendario   sia
inammissibile in quanto incongruo e inidoneo. 
    In particolare, essa osserva  come  la  disposizione  oggetto  di
richiesta referendaria abbia introdotto una  disciplina  speciale  in
materia di affidamento e di gestione del servizio  idrico  integrato,
rinviando alla  disciplina  generale  dettata,  all'epoca  della  sua
entrata in vigore, dall'art. 113 TUEL e prevedendo alcuni elementi di
specialita'. 
    Benche' l'art. 150 del d.lgs.  n.  152  del  2006  contenesse  il
rinvio al quinto comma dell'art. 113 TUEL, abrogato dall'art.  23-bis
del d.l. n. 118 del 2008, l'Ufficio centrale per il referendum presso
la Corte di cassazione ha, pero', ritenuto che l'art. 150 del  d.lgs.
n. 152 del 2006 sia stato abrogato solo in parte. 
    Da cio' si dovrebbe dedurre che dell'art. 150 del d.lgs.  n.  152
del 2006 restino in vigore  le  sole  parti  in  cui  s'individua  la
competenza dell'Autorita' d'ambito e si prevede che, per il  servizio
idrico integrato, l'affidamento in house e  l'affidamento  diretto  a
societa' miste devono rispettare - oltre ai requisiti previsti  dalla
disciplina generale e, quindi, oggi dall'art. 23-bis del d.l. n.  112
del 2008  -  anche  quello  della  titolarita'  delle  partecipazioni
pubbliche in capo agli enti locali compresi nell'ambito  territoriale
ottimale. 
    La  disposizione  oggetto  di  richiesta  referendaria   avrebbe,
quindi,   un   contenuto   servente    alla    disciplina    generale
sull'affidamento dei servizi pubblici di rilevanza economica  di  cui
all'art. 23-bis del  d.l.  n.  112  del  2008:  sarebbe  quest'ultimo
articolo,  infatti,  ad  individuare  le  forme  di  affidamento  del
servizio idrico, mentre l'art. 150,  nella  parte  superstite,  detta
norme speciali di dettaglio, che restano di per se' prive di autonoma
operativita'. 
    Dunque, il quesito volto alla sua abrogazione sarebbe infruttuoso
e, per tale ragione, inammissibile  (al  riguardo  e'  richiamata  la
sentenza n. 43 del 2000). 
    L'abrogazione dell'art. 150, da sola, non consentirebbe,  dunque,
di produrre effetti significativi sulla  disciplina  dell'affidamento
dei servizi idrici e,  soprattutto,  non  consentirebbe  di  produrre
effetti conformi al risultato prefigurato dai promotori. 
    Un   ulteriore   motivo   di    inammissibilita'    consisterebbe
nell'inidoneita'  dello  strumento  referendario  al   raggiungimento
dell'obiettivo di «ripubblicizzazione» dei servizi pubblici locali. 
    L'intento perseguito dai promotori con la  formulazione  dei  tre
quesiti esaminati e' quello di  portare  alla  configurazione  di  un
servizio idrico «strutturalmente e funzionalmente privo di  rilevanza
economica», la cui gestione potesse  essere  affidata  solo  ad  enti
disciplinati dal diritto pubblico (e mai  a  societa',  ancorche'  in
mano pubblica) e fosse assolutamente estranea a  logiche  tariffarie,
ponendosi i relativi  costi  «a  carico  della  fiscalita'  generale»
(cosi' si legge nella Relazione introduttiva ai quesiti referendari). 
    Pur ammettendo che queste  siano  le  conseguenze  dell'eventuale
accoglimento  dei  tre  quesiti  si  tratterebbe  di   una   proposta
referendaria non puramente ablativa, bensi' innovativa. 
    La proposta sarebbe, pertanto, inammissibile, posto che l'art. 75
Cost. consente il referendum abrogativo, totale o  parziale,  di  una
legge o di un atto avente valore di legge e non invece il  referendum
introduttivo  di  discipline  legislative  completamente  nuove   (si
vedano, in particolare, le sentenze n. 50 del 2000 e n. 36 del 1997). 
    Infine si tratterebbe di una proposta  referendaria  mediante  la
quale si vuole produrre l'effetto di una radicale riforma dei servizi
pubblici locali di rilevanza economica,  risultato  non  perseguibile
con lo strumento referendario. 
    Quanto alle effettive conseguenze dell'eventuale accoglimento del
secondo quesito, esso inciderebbe in modo marginale sulla  disciplina
dell'affidamento e della gestione del servizio idrico, facendo  venir
meno  essenzialmente  la  norma  che  impone,  per  la   legittimita'
dell'affidamento in  house  e  dell'affidamento  diretto  a  societa'
miste, il requisito - ulteriore  rispetto  a  quelli  previsti  dalla
disciplina  generale  -  della   titolarita'   delle   partecipazioni
pubbliche in capo agli enti locali compresi nell'ambito  territoriale
ottimale. 
    Al fine di non andare incontro a sanzioni  da  parte  dell'Unione
Europea, la lacuna che si verrebbe a creare  con  l'accoglimento  dei
quesiti  referendari  dovrebbe  essere  colmata  con   l'applicazione
generalizzata del principio della gara ad  evidenza  pubblica  e  con
l'applicazione delle norme contenute nel Codice dei contratti. 
    Se cosi' e', pero', l'eventuale accoglimento dei  tre  referendum
porterebbe  ad  un  esito  opposto  a  quello  desiderato:   anziche'
legittimare l'affidamento diretto dei servizi  a  soggetti  pubblici,
renderebbe obbligatorio - senza eccezione alcuna -  il  ricorso  alla
gara e l'affidamento a privati. 
    6. - Con atto depositato in data 5 gennaio  2011,  l'Associazione
Nazionale Giuristi Democratici e' intervenuta nel giudizio al fine si
sostenere  l'ammissibilita'   del   quesito   referendario   per   le
considerazioni di seguito indicate. 
    L'Associazione ritiene che l'ammissibilita' del referendum derivi
dalla constatazione che il fine perseguito dal Comitato promotore  e'
chiaro ed esplicito, in quanto l'abrogazione  referendaria  dell'art.
150 d.lgs. n. 152 del 2006, mira a  non  permettere  che  l'Autorita'
d'ambito possa affidare l'intera gestione  del  servizio  a  soggetti
terzi. 
    In particolare, con l'abrogazione referendaria si vuole porre una
cesura netta e definitiva tra regime  dell'acqua  pubblica  e  regime
degli altri servizi pubblici  locali;  cioe',  si  vorrebbe  che  sia
l'Autorita' d'ambito a gestire direttamente le risorse idriche. 
    A seguito di referendum  abrogativo  dell'art.  150,  il  modello
gestionale dell'acqua pubblica sarebbe, infatti,  quello  determinato
dall'art. 148 (Autorita' d'ambito territoriale ottimale) del medesimo
d.lgs. n. 152 del 2006, con la conseguenza che l'Autorita'  d'ambito,
«dotata di personalita' giuridica», potra' gestire  il  servizio  «in
proprio». 
    Tale conseguenza sarebbe, peraltro, rispettosa di quanto disposto
dal diritto comunitario dal momento che l'Unione  europea  interviene
unicamente quando l'ente delibera di affidare il servizio ad un altro
soggetto, non interferendo nelle scelte  gestionali.  Tale  principio
risulta  sancito  dalla  Corte  di  Giustizia  UE  con  la  decisione
dell'11gennaio 2005, in causa C - 26/03, Stadt Halle, punto 48. 
    Il  quesito  sarebbe,  inoltre,  idoneo  al  raggiungimento   del
proposito  referendario  anche  nell'ipotesi  in  cui  l'art.  23-bis
permanga nell'ordinamento. 
    Infatti,  venendo   meno   l'art.   150,   l'Autorita'   d'ambito
recupererebbe  tutte  le  possibili  scelte  gestionali  previste  in
generale per la gestione di un  servizio  pubblico  locale  (gestione
diretta, affidamento ad un organismo di diritto pubblico, affidamento
ad una societa' cd. mista o ancora affidando il servizio  all'esterno
con le forme della procedura ad evidenza pubblica). 
    In primo luogo, la detta Autorita' non sarebbe piu' obbligata  ad
affidare la «gestione» del  servizio;  non  le  sarebbe  impedito  di
affidare, con gara, parti o  porzioni  di  attivita',  mantenendo  la
titolarita' del servizio. 
    Impedire, dunque, l'affidamento della «gestione» del servizio non
significherebbe assolutamente che debba essere l'Autorita'  d'ambito,
direttamente, a dover provvedere alle diverse porzioni di  attivita',
ma comporterebbe soltanto  che  la  titolarita'  del  servizio  resti
pubblica. 
    Lo scopo del referendum sarebbe,  quindi,  realizzato  in  quanto
l'obiettivo e' proprio quello di  «ripubblicizzare»  il  servizio  di
distribuzione dell'acqua, bene comune. 
    Anche l'art. 23-bis nella ipotesi di una sua sopravvivenza non si
opporrebbe a tale modalita' di gestione. Cio' per varie ragioni. 
    In  primo  luogo  l'art.  23-bis,  ad  avviso  dell'Associazione,
attiene   e   regola   (modellandosi   sul    diritto    comunitario)
l'affidamento" di servizi pubblici locali e, dunque, non attiene alla
scelta, di pertinenza dell'ente locale, se disporre  un  affidamento,
ovvero gestire direttamente (in senso proprio) il servizio. 
    L'art. 23-bis non vieterebbe la  gestione  diretta  del  servizio
(diretta in senso proprio), quella  che  non  avviene  attraverso  le
aziende speciali, gli affidamenti in economia (che  sono  pur  sempre
appalti), le societa' miste e cosi' via, ma che avviene attraverso il
diretto controllo dell'ente e con suo personale. 
    In caso di vittoria referendaria,  dunque,  anche  la'  dove  non
fosse   abrogato   nel   contempo   l'art.    23-bis,    ad    avviso
dell'Associazione, il modello previsto da quella  norma  non  sarebbe
comunque applicabile al settore idrico, che resterebbe  regolato  dal
Titolo II della Sezione III del d.lgs. n. 152 del 2006. 
    Inoltre,  poiche'  la  rilevanza  economica  di  un  servizio  e'
unicamente un criterio politico-discrezionale, non  certo  oggettivo,
secondo l'Associazione una pronuncia  referendaria  chiara  e  netta,
come quella che si propone, avrebbe l'effetto  di  sancire  l'uscita,
per effetto della volonta' popolare  democraticamente  espressa,  del
servizio di gestione dell'acqua dai servizi a rilevanza economica. 
    A seguito dell'abrogazione referendaria  dell'art.  150,  venendo
meno la possibilita' di affidare in toto il servizio all'esterno  (ed
anche alle societa' di  diritto  privato  a  capitale  pubblico),  la
titolarita' del servizio restera' ancorata alle  Autorita'  d'ambito,
che potrebbero naturalmente ricorrere ad appalti esterni,  mantenendo
pero' il controllo pubblico sulla gestione e distribuzione di un bene
primario qual e' l'acqua. 
    7. - In data 7 gennaio  2011  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, ha depositato una memoria  nella  quale  ha  formulato  alcune
deduzioni volte a sostenere l'inammissibilita' del quesito. 
    Dopo aver riepilogato le modifiche apportate alla disposizione de
qua dal d.P.R. n. 168 del 2010 e dall'art. 1, comma 1-quinquies,  del
d.l. n. 2 del 2010, convertito dalla legge n. 42  del  2010,  che  ha
soppresso le Autorita' d'ambito, ritiene che il quesito non  presenti
i caratteri di semplicita', chiarezza e completezza, in quanto non si
comprenderebbe «a cosa tenda la richiesta referendaria». 
    In  particolare,  la  difesa  dello  Stato   sostiene   che   «la
partecipazione sarebbe fittizia,  solo  nominale,  meramente  rituale
(Corte cost. sentenza n. 27 del 1981)», in quanto,  permanendo  tutte
le altre disposizioni sull'affidamento del servizio idrico integrato,
il risultato del referendum  sarebbe  del  tutto  contraddittorio  ed
incoerente ed  addirittura  contrario  alle  finalita'  degli  stessi
promotori. 
    Conclusivamente  la  volonta'  popolare  non  sarebbe  messa   in
condizione  di  esprimersi  in  maniera  consapevole  (e'  citata  la
sentenza n. 43 del 2000). 
    8.  -  Nella  camera  di  consiglio  del  12  gennaio  2011  sono
intervenuti, per le  rispettive  parti  assistite  come  indicate  in
epigrafe, gli avvocati Ugo Mattei, Pietro Adami, Federico Sorrentino,
Tommaso  Edoardo  Frosini,  Giovanni  Pitruzzella,  Massimo  Luciani,
nonche' l'avvocato dello Stato Antonio Tallarida. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - La richiesta di referendum abrogativo,  dichiarata  conforme
alle disposizioni di legge dall'Ufficio centrale  per  il  referendum
con ordinanza del 6 dicembre 2010,  ha  per  oggetto  l'articolo  150
(Scelta della forma di  gestione  e  procedure  di  affidamento)  del
decreto  legislativo  3  aprile  2006,  n.  152  (Norme  in   materia
ambientale). 
    Al relativo quesito sono stati assegnati il n. 2  e  il  seguente
titolo: «Servizio idrico integrato. Forme di gestione e procedure  di
affidamento   in   materia   di   risorse   idriche.    Abrogazione».
Successivamente, a seguito di rilievo del detto Ufficio e su conforme
richiesta  del  Comitato  promotore,  il  quesito  e'   stato   cosi'
modificato: «Volete voi che sia abrogato  l'art.  150  (Scelta  della
forma di gestione e procedure di affidamento) del Decreto legislativo
n. 152  del  3  aprile  2006  "Norme  in  materia  ambientale",  come
modificato dall'art. 2, comma 13 del decreto legislativo n. 4 del  16
gennaio 2008, nel testo risultante  dall'art.  12  del  d.  P.  R.  7
settembre 2010 n. 168». 
    2. - In via preliminare, si deve rilevare che,  nella  camera  di
consiglio del 12 gennaio 2011, la Corte costituzionale  ha  disposto,
come gia' avvenuto piu' volte in passato (ex multis: sentenze nn.  16
e 15 del 2008; n. 45 del 2005), sia di  dar  corso  all'illustrazione
orale  delle  memorie  depositate  dai  soggetti   presentatori   del
referendum e dal Governo, ai sensi dell'art. 33, terzo  comma,  della
legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme  sui  referendum  previsti  dalla
Costituzione e sulla  iniziativa  legislativa  del  popolo),  sia  di
ammettere gli  scritti  presentati  da  soggetti  diversi  da  quelli
contemplati dalla disposizione citata, e  tuttavia  interessati  alla
decisione  sull'ammissibilita'  della  richiesta  referendaria,  come
contributi contenenti  argomentazioni  ulteriori  rispetto  a  quelle
altrimenti a disposizione della Corte. 
    Tale ammissione, che deve essere qui confermata, non  si  traduce
pero' in un diritto di questi soggetti di partecipare al procedimento
- che, comunque, «deve tenersi e concludersi  secondo  una  scansione
temporale definita» (sentenza n.  35  del  2000)  -  con  conseguente
facolta' ad illustrare le relative tesi in  camera  di  consiglio,  a
differenza di quanto  vale  per  i  soggetti  espressamente  indicati
dall'art. 33 della legge n. 352 del 1970, ossia per i  promotori  del
referendum e per il Governo. 
    In ogni caso, e' fatta salva la facolta' della Corte, qualora  lo
ritenga opportuno,  di  consentire  brevi  integrazioni  orali  degli
scritti pervenuti in camera di consiglio, prima che i soggetti di cui
al citato art. 33 illustrino le rispettive posizioni. 
    3. - Sempre in premessa, si deve ribadire  che,  nell'ambito  del
presente giudizio, la Corte costituzionale e'  chiamata  a  giudicare
della sola ammissibilita' della richiesta  referendaria  e  che  tale
competenza   si   atteggia,   per   giurisprudenza   costante,   «con
caratteristiche specifiche ed  autonome  nei  confronti  degli  altri
giudizi riservati a questa  Corte,  ed  in  particolare  rispetto  ai
giudizi sulle controversie relative alla legittimita'  costituzionale
delle leggi e degli atti con forza di legge» (sentenze nn.  16  e  15
del 2008 e n. 45 del 2005). Non e' quindi in discussione,  in  questa
sede,  la  valutazione  di  eventuali   profili   di   illegittimita'
costituzionale della normativa oggetto dell'iniziativa referendaria. 
    4. - L'art.  150  del  d.lgs.  n.  152  del  2006,  e  successive
modificazioni, si compone di quattro commi. 
    Il primo demanda all'Autorita' d'ambito, nel rispetto del piano e
del principio di unitarieta' della gestione per  ciascun  ambito,  di
deliberare la forma di  gestione.  Nel  testo  originale  tale  forma
andava individuata «fra quelle di cui  all'art.  113,  comma  5,  del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267».  L'art.  12,  comma  1,
lettere a) e b),  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  7
settembre 2010, n. 168 (Regolamento in materia  di  servizi  pubblici
locali di rilevanza economica, a norma  dell'articolo  23-bis,  comma
10, del  decreto-legge  25  giugno  2008,  n.  112,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008,  n.  133)  ha  abrogato,  a
decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento stesso,  il
detto art. 113, commi  5,  5-bis,  6,  7,  8,  9  (escluso  il  primo
periodo),  14,  15-bis,  15-ter  e  15-quater   del   detto   decreto
legislativo  18  agosto  2000,  n.  267  (Testo  unico  delle   leggi
sull'ordinamento degli  enti  locali),  e  successive  modificazioni,
nonche' l'art. 150, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, e successive
modificazioni,  «ad  eccezione  della  parte  in  cui  individua   la
competenza    dell'Autorita'    d'ambito    per    l'affidamento    e
l'aggiudicazione». Inoltre, il comma 2 del citato art. 12 del  d.P.R.
n. 168 del 2010 ha stabilito che «Le leggi, i regolamenti, i decreti,
o altri provvedimenti, che fanno riferimento al comma 7 dell'art. 113
del  decreto  legislativo  18  agosto  2000,  n.  267,  e  successive
modificazioni,  abrogato  dal  comma  1,  lettera  a),  si  intendono
riferiti  al  comma  1  dell'art.  3   del   presente   regolamento».
Quest'ultima norma dispone che «Le procedure competitive ad  evidenza
pubblica, di cui all'articolo  23-bis,  comma  2,  sono  indette  nel
rispetto degli standard  qualitativi,  quantitativi,  ambientali,  di
equa distribuzione sul  territorio  e  di  sicurezza  definiti  dalla
legge, ove esistente, dalla competente autorita'  di  settore  o,  in
mancanza di essa dagli enti affidanti». 
    L'art. 150, comma 2, del d.lgs., n. 152 del 2006  stabilisce  che
l'Autorita'  d'ambito  aggiudica  la  gestione  del  servizio  idrico
integrato  mediante  gara   disciplinata   dai   principi   e   dalle
disposizioni  comunitarie.  Nel  testo  iniziale  si  richiamavano  i
criteri di cui all'art. 113, comma 7, del d.lgs. n. 257 (recte:  267)
del 2000, «secondo modalita' e  termini  stabiliti  con  decreto  del
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del  mare  nel
rispetto delle competenze regionali in materia». Stante l'abrogazione
della norma da ultimo citata, a seguito del menzionato regolamento di
delegificazione, il richiamo deve ora intendersi all'art. 3, comma 1,
del regolamento stesso, che contempla  le  procedure  competitive  ad
evidenza pubblica, di cui all'art. 23-bis, comma 2. 
    L'art. 150, comma 3, dispone che la gestione puo' essere altresi'
affidata a societa'  partecipate  esclusivamente  e  direttamente  da
comuni o  altri  enti  compresi  nell'ambito  territoriale  ottimale,
qualora ricorrano obiettive ragioni tecniche o economiche. 
    Il testo iniziale rinviava alla previsione dell'art.  113,  comma
5, lettere b) e c) del d.lgs. n. 267 del 2000, ma  tale  disposizione
e' stata abrogata a seguito dell'emanazione del citato regolamento di
delegificazione. 
    Infine, il comma 4 stabilisce che «I soggetti di cui al  presente
articolo  gestiscono  il  servizio  idrico  integrato  su  tutto   il
territorio  degli  enti  locali  ricadenti  nell'ambito  territoriale
ottimale, salvo quanto previsto dall'articolo 148, comma 5». 
    5. -  La  richiesta  di  referendum  popolare  per  l'abrogazione
dell'art.150 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, e' inammissibile. 
    5.1.  -  Si  deve  in  primo  luogo   rilevare   che   la   Corte
costituzionale, in sede di giudizio di ammissibilita', deve  valutare
separatamente  ciascun  quesito  referendario  dichiarato   legittimo
dall'Ufficio centrale per il referendum; cio' anche nel caso  in  cui
sia stata dichiarata legittima una pluralita'  di  quesiti  attinenti
alla stessa materia. Il potere  attribuito  dalla  legge  all'Ufficio
centrale (e  non  alla  Corte  costituzionale)  di  "concentrare"  le
richieste referendarie  «che  rivelano  uniformita'  od  analogia  di
materia» e  di  stabilire  la  denominazione  di  ciascuna  richiesta
(eventualmente  gia'  oggetto  di   "concentrazione"),   nonche'   la
possibilita' che le varie richieste presentate  perseguano  obiettivi
diversi, dimostrano  che  la  Corte  deve  valutare  ciascun  quesito
indipendentemente dagli altri e, in particolare,  dagli  effetti  che
l'esito degli altri referendum  potrebbe  avere  sulla  normativa  di
risulta. 
    In altri termini,  la  coerenza  di  tali  quesiti  (la  «matrice
razionalmente    unitaria»     richiesta     dalla     giurisprudenza
costituzionale) va valutata in relazione a ciascuno di  essi,  e  non
nel loro complesso, senza che assuma rilievo l'eventualita' che siano
stati promossi, in tutto o in parte, dai medesimi promotori. 
    In questo  quadro  deve  essere  valutato,  in  via  preliminare,
l'obiettivo perseguito mediante il singolo referendum. 
    La richiesta referendaria e' atto privo di  motivazione,  sicche'
l'obiettivo  dei  sottoscrittori  va  desunto   non   da   una   loro
dichiarazione d'intenti, ma soltanto dalla finalita' incorporata  nel
quesito, cioe' dalla finalita' oggettivamente  ricavabile  dal  nesso
che viene a porsi tra le norme  di  cui  si  chiede  l'abrogazione  e
quelle che residuerebbero dopo tale abrogazione. In altri termini, il
quesito va interpretato esclusivamente in base alla sua  formulazione
ed all'incidenza del referendum sul quadro normativo di riferimento. 
    Si   deve   aggiungere   che,   in   base   alla   giurisprudenza
costituzionale, a partire dalla sentenza n. 16 del 1978, il  giudizio
di  ammissibilita'  del  referendum  e'  diretto  ad  accertare:   a)
l'insussistenza dei limiti (indicati o rilevabili in via  sistematica
dall'art. 75, secondo  comma,  Cost.),  attinenti  alle  disposizioni
oggetto  del  quesito  referendario  (leggi  di  autorizzazione  alla
ratifica di  trattati  internazionali;  leggi  tributarie;  leggi  di
bilancio; leggi di amnistia e di indulto; leggi costituzionali; leggi
a  contenuto  costituzionalmente   vincolato   o   costituzionalmente
necessarie);  b)  la  sussistenza  dei   requisiti   concernenti   la
formulazione  del  quesito  referendario  (omogeneita';  chiarezza  e
semplicita';   univocita';   completezza;   coerenza;   idoneita'   a
conseguire il fine perseguito; rispetto della  natura  essenzialmente
ablativa dell'operazione referendaria). 
    Da quanto sopra esposto deriva che il giudizio di  ammissibilita'
ha carattere oggettivo e ad esso e' estranea qualsiasi valutazione di
merito, in ordine sia alla normativa  oggetto  di  referendum  sia  a
quella  risultante  dall'eventuale   abrogazione   referendaria   (ex
plurimis: sentenza n. 26 del 1981; nello stesso senso,  in  sostanza,
anche le sentenze n. 45 del 2005 e n. 16 del 2008). 
    Tuttavia  cio'  non  significa  che  alla   Corte   sia   inibita
l'individuazione della normativa di risulta. Invero, la stessa  Corte
ha individuato  alcuni  limiti  e  requisiti  di  ammissibilita'  del
referendum, che esigono non soltanto di verificare quale possa essere
tale normativa ma anche (in alcuni casi eccezionali) di valutarne  la
conformita' a Costituzione. Tali sono i casi in cui viene in  rilievo
il  limite  di  ammissibilita'  costituito  da  leggi   a   contenuto
vincolato, per effetto  o  di  trattati  internazionali  o  di  norme
comunitarie o di norme costituzionali, e da leggi  costituzionalmente
necessarie. 
    Tanto premesso per  valutare  l'idoneita',  la  congruita'  e  la
chiarezza  del  quesito  referendario  in  esame  e'  necessario:  a)
individuare  l'intento  con  esso  perseguito;  b)   individuare   la
normativa di risulta; c) porre a confronto i risultati  di  cui  alle
predette indagini. 
    Orbene, stando al tenore del quesito, il  referendum  si  propone
l'obiettivo - da realizzare attraverso  l'abrogazione  dell'art.  150
del codice dell'ambiente  -  di  rendere  inapplicabile  al  servizio
idrico  integrato  la  disciplina   concernente   le   modalita'   di
affidamento della gestione dei servizi pubblici  locali  a  rilevanza
economica (SPL); disciplina dettata in generale, per  quasi  tutti  i
servizi pubblici locali (ivi compreso il servizio  idrico  integrato)
dall'art. 23-bis del d. l. n. 112 del  2008.  Quest'ultima  norma  e'
diretta, nel suo  complesso,  a  favorire  la  gestione  dei  servizi
pubblici locali di rilevanza economica da parte di soggetti scelti  a
seguito di gara ad evidenza pubblica,  ammettendo  soltanto  in  casi
eccezionali la gestione in  house  del  servizio  pubblico  locale  e
limitando, quindi, a tali ipotesi eccezionali la gestione diretta del
servizio (senza gara pubblica) da parte dell'ente pubblico. 
    Cio' posto, si deve osservare che la  normativa  di  risulta  non
puo' mai comportare l'abrogazione delle norme di cui all'art. 23-bis,
limitatamente al settore del servizio idrico integrato. 
    Infatti, il referendum n. 2 ha per oggetto  soltanto  l'art.  150
del codice dell'ambiente, il quale  e'  stato  gia'  in  buona  parte
abrogato, sia in modo espresso, sia per  incompatibilita',  dall'art.
23-bis (direttamente e per mezzo del regolamento  di  delegificazione
autorizzato dallo stesso art. 23-bis). Piu' precisamente, l'art.  150
del codice dell'ambiente rinvia all'art. 113 del d.lgs.  n.  267  del
2000 (TUEL), il quale, come si e' detto, e' stato abrogato (in parte)
dal citato art. 23-bis, anche mediante  il  suddetto  regolamento  di
delegificazione. 
    Quest'ultimo, poi,  ha  disposto  che  il  richiamo  al  comma  7
dell'art. 113  TUEL  (contenuto  nell'art.  150)  e'  sostituito  dal
richiamo all'art. 3, comma 1,  del  medesimo  regolamento,  il  quale
rinvia all'art. 23-bis, comma 2, concernente  il  conferimento  della
gestione dei servizi pubblici locali in via ordinaria. 
    La disposizione da ultimo  citata  stabilisce  in  modo  espresso
(comma 1, secondo periodo) che le sue norme si applicano  a  tutti  i
settori di SPL (tranne alcuni esclusi, tra cui  non  e'  compreso  il
servizio idrico), prevalendo sulle normative di  settore  e,  quindi,
anche su quella relativa al servizio idrico. 
    Ne deriva che l'abrogazione referendaria dell'art. 150 del Codice
dell'ambiente  (attualmente  consistente,  peraltro,  in   una   mera
armonizzazione delle norme sul servizio idrico integrato con  quelle,
gia' autoapplicative, dell'art. 23-bis), in difetto  dell'abrogazione
di quest'ultima norma, non e' idonea a far venire meno l'applicazione
al solo servizio idrico delle forme di gestione  fissate,  anche  per
tale servizio, proprio dal detto art. 23-bis. In altre parole  questo
articolo e' applicabile al  settore  idrico  indipendentemente  dalla
vigenza dell'art. 150 del codice dell'ambiente. 
    Per i limiti strutturali suoi propri, lo  strumento  referendario
applicato a detta norma - in  quanto  di  natura  ablativa  e  privo,
dunque, di efficacia  propositiva  o  additiva  -  non  e'  in  grado
nell'attuale quadro  normativo  di  escludere  l'efficacia  dell'art.
23-bis per il solo settore idrico. 
    Ne' varrebbe addurre che quest'ultima  norma  e',  a  sua  volta,
oggetto  di  altro  (e  distinto)  referendum.  Invero,  un  giudizio
anticipato sulla situazione normativa  risultante  dall'avvenuta  (in
ipotesi)  abrogazione  referendaria  della  norma  da  ultimo  citata
verterebbe su  norme  future  e  incerte,  percio'  inidonee  a  dare
fondamento ad una decisione che, invece, va adottata sulla  base  del
quadro normativo in vigore al momento della decisione medesima. 
    In conclusione, alla luce dei rilievi fin qui esposti il  quesito
in esame si rivela inidoneo e non coerente (con  conseguente  difetto
di chiarezza) rispetto al  fine,  che  l'iniziativa  referendaria  si
propone, di rendere inapplicabile al  servizio  idrico  integrato  la
disciplina delle modalita' di affidamento della gestione  dei  SPL  a
rilevanza economica. 
    Da tanto consegue l'inammissibilita' del referendum. 
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara inammissibile la richiesta di  referendum  popolare  per
l'abrogazione dell'articolo 150 (Scelta della  forma  di  gestione  e
procedure di affidamento) del decreto legislativo 3 aprile  2006,  n.
152 (Norme in materia ambientale), come modificato  dall'articolo  2,
comma 13, del decreto legislativo 16 gennaio 2008,  n.  4  (Ulteriori
disposizioni correttive ed integrative del d.lgs. 3 aprile  2006,  n.
152),  nel  testo  risultante  dall'articolo  12  del   decreto   del
Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 168 (Regolamento  in
materia di servizi pubblici locali di rilevanza  economica,  a  norma
dell'articolo 23-bis, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008,  n.
112, convertito, con modificazioni, dalla legge  6  agosto  2008,  n.
133), richiesta dichiarata legittima con ordinanza emessa in  data  6
dicembre 2010, depositata  in  data  7  dicembre  2010,  dall'Ufficio
centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 2011. 
 
                      Il Presidente: De Siervo 
 
 
                       Il redattore: Criscuolo 
 
 
                      Il cancelliere: Fruscella 
 
    Depositato in cancelleria il 26 gennaio 2011 
 
                      Il cancelliere: Fruscella