N. 54 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 dicembre 2010

Ordinanza del 3 dicembre emessa dal G.I.P. del  Tribunale  di  Torino
nel procedimento penale a carico di V.G.. 
 
Processo penale - Misure cautelari - Criteri di scelta delle misure -
  Applicazione o sostituzione della misura della  custodia  cautelare
  in carcere con quella degli  arresti  domiciliari  o  comunque  con
  altra meno afflittiva in relazione alle  fattispecie  di  cui  all'
  art. 575 cod.  pen.  (Omicidio)  -  Preclusione  -  Violazione  del
  principio di ragionevolezza - Parita' di trattamento con i delitti,
  diversamente strutturati,  di  associazione  di  stampo  mafioso  -
  Lesione del principio di inviolabilita' della liberta' personale  -
  Violazione del principio della presunzione di non colpevolezza sino
  alla condanna definitiva. 
- Codice di procedura penale, art.  275,  comma  3,  come  modificato
  dall'art. 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11,  convertito,
  con modificazioni, nella legge 23 aprile 2009, n. 38. 
- Costituzione, artt. 3, 13 e 27, comma secondo. 
(GU n.14 del 30-3-2011 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Vista  la  richiesta  presentata   dall'avv.   Novella   Ferrini,
difensore di fiducia di V.G. attualmente sottoposto alla misura della
custodia cautelare in carcere per effetto dell'ordinanza  applicativa
del 13 maggio 2010 volta ad ottenere la sostituzione della misura  in
atto con quella degli arresti domiciliari. 
    Visto il parere contrario del p.m.; 
 
                               Osserva 
 
    V.G. risulta sottoposto alla misura della custodia  cautelare  in
carcere a seguito di arresto in flagranza del 10 maggio 2010  per  il
reato di omicidio posto in essere nei confronti della zia convivente.
Il difensore dell'indagato ha chiesto la sostituzione della misura in
atto  sul  presupposto  che  le  esigenze  cautelari,  ove   ritenute
sussistenti, potrebbero essere  adeguatamente  salvaguardate  con  la
misura degli arresti domiciliari presso la struttura sanitaria F.  di
S.M.C. tenuto conto degli esiti della consulenza  di  parte  in  atti
secondo cui V. e'  persona  affetta  da  disturbo  passivo-dipendente
della personalita' e da depressione di tipo mascherata. 
    Al fine di inquadrare la rilevanza della questione  proposta  con
particolare riferimento alle peculiarita' del caso concreto  vale  la
pena di brevemente dare conto dei fatti cosi' come emersi  nel  corso
delle indagini, per i quali e' stata applicata la misura, attualmente
in corso di esecuzione. V. in data  11  maggio  2010  aveva  chiamato
dalla sua abitazione il 112 riferendo di aver soffocato la zia di  83
anni: all'arrivo dei carabinieri l'indagato,  che  si  presentava  in
stato confusionale ed imbrattato di sangue ormai rappreso,  li  aveva
accompagnati in camera, ove disteso sul letto vi era il  cadavere  di
una donna anziana, poi identificata  nella  zia  C.C.  i  coperta  da
lenzuola e da trapunta. Il medico legale intervenuto aveva constatato
il decesso della donna, avvenuto  per  strangolamento  e  conseguente
soffocamento. Lo stesso V. riferiva ai  militari  di  aver  posto  in
essere tale gesto in quanto a seguito  di  procedura  di  sfratto,  a
breve lui e la zia avrebbero dovuto lasciare  l'alloggio:  il  giorno
prima, mentre stavano parlando, egli  aveva  preso  dall'armadio  una
cravatta e l'aveva posta intorno al collo della zia, che, a suo dire,
a quel punto gli aveva chiesto di essere uccisa, sicche'  egli  aveva
stretto la cravatta fino al punto di soffocarla; nel pomeriggio aveva
deciso di togliersi la vita e si era  tagliato  le  vene  dei  polsi,
assumendo anche delle gocce di tranquillante. In sede di  udienza  di
convalida   l'arrestato   ribadiva   la   confessione    gia'    resa
nell'immediatezza: anzi in tale sede precisava che  la  zia  non  gli
aveva chiesto affatto di essere uccisa, ma che egli  aveva  agito  in
tal  modo  in  quanto  non  sapeva  come  affrontare  la   situazione
conseguente allo sfratto, e l'unica  via  di  uscita  gli  era  parsa
quella di  uccidere  la  donna  e  togliersi  la  vita;  dopo  averla
soffocata si era recato al pianerottolo del quinto e del quarto piano
dello stabile, ma non aveva avuto il coraggio di buttarsi,  ed  aveva
cosi' deciso di tagliarsi le vene dei  polsi,  aspettando  di  morire
sdraiato sul suo letto; il giorno successivo, tuttavia, aveva  infine
chiamato  i  carabinieri  raccontando  l'accaduto  e   chiedendo   di
intervenire. Nel corso delle  indagini  il  p.m.  ha  anche  disposto
consulenza tecnica in ordine alla capacita' di intendere e di  volere
dell'imputato in esito alla quale il medico  psichiatra  ha  rilevato
come  la   struttura   di   personalita'   del   prevenuto   presenti
vulnerabilita' ed aree di fragilita', pur in  assenza  di  un  franco
quadro psicopatologico. 
    A fronte di  tali  risultanze  ritiene  questo  giudice  che  non
possano dirsi cessate le esigenze cautelari sottese  all'applicazione
della misura cautelare, ovvero il pericolo di reiterazione  di  reati
della stessa specie di quello per cui si procede, posto che la natura
estrema del gesto posto in essere, del tutto sproporzionato  rispetto
alle ragioni che lo hanno determinato, non consente di escludere  che
in futuro l'indagato V. possa reiterare analoghe condotte. 
    Tuttavia le  circostanze  in  cui  e'  maturato  il  delitto,  il
successivo tentativo suicidiario realizzato dall'indagato subito dopo
i fatti, e il suo stesso profilo di personalita', rendono  ad  avviso
di questo giudice condivisibili le  argomentazioni  della  difesa  in
ordine  alla  opportunita'  di  un  affievolimento  del   trattamento
cautelare e ed alla conseguente applicazione  di  una  misura,  quale
quella degli arresti domiciliari, che renda possibile, a  prescindere
dalle divergenze delle consulenze in atti in merito alla capacita' di
intendere e di volere dell'indagato, un percorso di tipo  terapeutico
o comunque di graduale risocializzazione. 
    La normativa attualmente in vigore  in  materia  di  criteri  di'
scelta  delle  misure  non  consente,   tuttavia,   al   giudice   di
determinarsi in tal senso, posto che ai sensi dell'art. 275, comma  3
c.p.p. (cosi' come novellato dall'art. 2, comma 1, lett. a)  d.l.  23
febbraio 2009, n. 11 convertito nella legge 23 aprile 2009, n. 38) in
ordine al delitto di omicidio per cui si procede opera la presunzione
assoluta di adeguatezza della sola misura della custodia cautelare in
carcere. 
    Ad avviso  di  questo  giudice  tale  norma  pone  dei  dubbi  di
legittimita' costituzionale:  sussistendo  dunque  relazione  tra  la
stessa e l'oggetto della decisione da assumere si  ritiene  di  dover
sollevare la questione  di  illegittimita'  costituzionale  dell'art.
275, comma 3 per violazione degli artt. 3, 13 e 27 della Costituzione
con sospensione del procedimento e rimessione degli atti  alla  Corte
costituzionale . 
    Riepilogando, in estrema sintesi, le vicende relative alla  norma
in esame, si  ricorda  che  con  il  d.l.  13  maggio  1991,  n.  152
convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203 e con il successivo d.l. 9
settembre 1991, n. 292 convertito nella legge 8 novembre 1991 n.  356
era stata introdotta la presunzione  assoluta  di  adeguatezza  della
sola misura cautelare in relazione alla  rilevata  recrudescenza  del
fenomeno  della  criminalita'  mafiosa  e  di  altri   gravi   reati.
Successivamente con la legge 8 agosto  1995,  n.  352  la  disciplina
derogatoria era stata riservata solo ai reati di cui all'art. 416-bis
c.p. ovvero commessi avvalendosi delle condizioni previste  da  detto
articolo o per agevolare le associazioni ivi indicate. Da ultimo  con
il gia' citato d.l. 23 febbraio 2009 convertito nella legge 23 aprile
2009, n. 38 e' stato esteso nuovamente l'ambito di applicazione della
disciplina derogatoria ad una piu' nutrita serie di  reati  ovvero  a
quelli indicati nell'art. 51  comma  3-bis  e  3-quater,  nonche'  in
ordine ai delitti di cui agli artt.575, 600-bis primo  comma  600-ter
escluso il quarto comma e 600-quinquies c.p., oltre che  dai  delitti
previsti dagli artt. 609-bis, 609-quater e 609-octies c.p. 
    Sotto la vigenza del testo introdotto dalla legge n. 332/1995, la
Corte costituzionale con l'ordinanza n. 450 del  1995  aveva  escluso
che la norma in esame fosse illegittima per contrasto con  gli  artt.
3, 13 e 27 rilevando come la scelta della misura da affidare  potesse
essere demandata non gia' al giudice bensi'  al  legislatore  purche'
«nel  rispetto  del  limite  della  ragionevolezza  e  del   corretto
bilanciamento dei valori costituzionali coinvolti»: la  delimitazione
della norma all'area dei delitti di criminalita' organizzata di  tipo
mafioso, tenuto conto  «del  coefficiente  di  pericolosita'  per  le
condizioni di base della convivenza e della sicurezza collettiva  che
agli illeciti di quel genere e' connaturato» rendeva  ragionevole  la
soluzione adotta dal legislatore. Analogamente la Corte di Strasburgo
con la sentenza 6 del 2 novembre 2003 (Pantano  contro  Italia),  pur
rilevando come una presunzione quale quella di cui all'art. 275 comma
3 c.p.p. potesse in impedire al giudice di adottare una  decisone  in
materia di scelta di misura che tenesse conto delle peculiarita'  del
caso  concreto,  aveva  ritenuto  che  la  disciplina  de  quo  fosse
giustificabile alla luce della natura specifica  del  fenomeno  della
criminalita' organizzata e segnatamente di quella di tipo mafioso con
riferimento al quale  la  misura  cautelare  aveva  la  finalita'  di
recidere i legami esistenti tra le  persone  interessate  e  il  loro
ambito criminale di origine. 
    Una volta intervenuta la modifica  normativa  che  ha  nuovamente
esteso l'ambito di applicazione della disciplina derogatoria  ad  una
serie di reati del tutto eterogenei rispetto a quelli di criminalita'
organizzata di tipo mafioso, la Corte  costituzionale  e'  tornata  a
soffermarsi su tale disciplina, per affermarne  l'incostituzionalita'
con riferimento specifico ai delitti c.d. di violenza  sessuale.  Con
sentenza n. 265 del 2010 ha dichiarato «l'illegittimita' costituzione
dell'art. 275,  comma  3  secondo  e  terzo  periodo  del  codice  di
procedura penale,  nella  parte  in  cui  nel  prevedere  che  quando
sussistano gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti  di  cui
agli articoli 600-bis primo comma, 609-bis e  609-quater  del  codice
penale,  e'  applicata  la  custodia  in  carcere,  salvo  che  siano
acquisiti elementi dai quali  risulti  che  non  sussistono  esigenze
cautelari, non fa salva l'ipotesi in  cui  siano  acquisiti  elementi
specifici in relazione al caso concreto  dai  quali  risulti  che  le
esigenze cautelari possano essere soddisfatte con altre misure». 
    Vale  la  pena  di  ripercorrere   sinteticamente   il   percorso
argomentativo della  Corte  in  quanto  perfettamente  sovrapponibile
anche con riferimento  al  delitto  di  cui  all'art.  575  c.p.,  in
relazione al quale si procede nell'ambito del presente procedimento. 
    Muovendo   dal   presupposto   che   i   limiti    costituzionali
dell'impianto normativo relativo alle misure cautelari  personali,  a
fronte del principio di inviolabilita' della liberta' personale (art.
13, primo comma Cost.), sono espressi  oltre  che  nella  riserva  di
legge (art. 13, secondo e quinto comma  Cost.)  anche  e  soprattutto
dalla nella presunzione di non colpevolezza (art. 27,  secondo  comma
Cost.), la Corte osserva come l'applicazione delle misure  non  possa
in nessun caso  essere  legittimata  esclusivamente  da  un  giudizio
anticipato di colpevolezza ne' rispondere a finalita'  proprie  della
sanzione penale. 
    Da tale impianto costituzionale discende il principio per cui  la
compressione della liberta' personale dell'indagato  o  dell'imputato
va contenuta entro i limiti indispensabili a soddisfare  le  esigenze
cautelari sussistenti nel caso concreto: cio' comporta  sul  versante
della qualita' delle misure che il ricorso alla forme di  restrizione
piu' intense ed in particolare a quella massimamente afflittiva della
custodia in carcere, deve ritenersi consentito solo  quando  esigenze
processuali o extraprocessuali non  possano  essere  soddisfatte  con
misure di minore afflittivita'. 
    Dunque la gravita' in astratto dei reati oggetto del procedimento
rileva,  in  linea  di  principio,  solo  come  limite  generale   di
applicazione delle misure cautelari (art. 280, commi 1 e 2 c.p.p.)  o
come quantum del limite temporale massimo di durata (art. 303 c.p.p.)
ma non come criterio di scelta sulla necessita' e sul tipo di  misura
da applicare . Il legislatore ha,  dunque,  tipizzato  una  gamma  di
misure  di  gravita'  crescente  in  relazione  all'incidenza   sulla
liberta' personale ed ha previsto  quali  criteri  di  scelta  quello
della adeguatezza, secondo cui nel  disporre  le  misure  il  giudice
tiene conto della specifica idoneita' di ciascuna in  relazione  alla
natura e al grado  di  esigenze  cautelari  da  soddisfare  nel  caso
concreto (art. 275, comma 1 c.p.), quello per  cui  la  piu'  gravosa
delle misure, quella della custodia in carcere, possa essere disposta
solo quando ogni altra misura risulti inadeguata  e  quello  per  cui
ogni misura deve essere proporzionata all'entita' del  fatto  e  alla
sanzione che sia stata o che possa essere irrogata. 
    Da tali coordinate si discosta la disciplina derogatoria  dettata
dall'art. 275, comma 3 che, come detto, introduce con riferimento  ai
delitti su indicati una duplice presunzione, ovvero  una  presunzione
relativa  attinente  all'esistenza  delle  esigenze   cautelari,   da
ritenere sussistenti, salvo che consti la prova della loro  mancanza,
e un presunzione a  carattere  assoluto  di  adeguatezza  della  sola
custodia  cautelare  in  carcere  a  fronteggiare  le  esigenze   con
esclusione di ogni soluzione intermedia fra  questa  e  lo  stato  di
liberta' dell'indagato. Orbene la stessa Corte  richiamando  una  sua
precedente giurisprudenza rileva come «le presunzioni assolute specie
quando limitano un diritto fondamentale  della  persona,  violano  il
principio di uguaglianza se  sono  arbitrarie  e  irrazionali  e  non
rispondo a dati di esperienza generalizzati»  (sentenza  n.  139  del
2010 con cui e' stata dichiarata l'incostituzionalita' dell'art.  76,
comma 4-bis d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 nella parte  in  cui  aveva
introdotto una presunzione assoluta  di  superamento  dei  limiti  di
reddito, ai fini della ammissione al patrocinio a spese dello  Stato,
nei confronti dei condannati per il delitto di cui all'art. 73  e  80
PR 9 ottobre  1990,  n.  309):  l'estensione  ai  reati  di  violenza
sessuale della disciplina derogatoria di cui all'art.  275,  comma  3
c.p.p, rileva la Corte, appare irrazionale non potendosi ravvisare la
stessa  ratio,  ritenuta  invece  idonea  a  fondare  la  presunzione
assoluta, gia' individuata con riferimento ai delitti  di  mafia:  le
regole di esperienza, infatti, dicono che  i  fatti  riferibili  alle
fattispecie  in  questione  presentano  disvalori  differenziabili  e
possono proporre esigenze cautelari suscettibili di esser soddisfatte
con misure  diverse.  La  ragionevolezza  della  soluzione  normativa
sottostante alla  presunzione  assoluta  di  adeguatezza  della  sola
misura della custodia cautelare  in  carcere  non  puo',  secondo  la
Corte, neppure essere  fondata  sulla  gravita'  astratta  del  reato
considerata in rapporto alla misura della pena e in rapporto al rango
dell'interesse leso, giacche' di tali parametri si deve tenere  conto
in sede  di  determinazione  della  sanzione:  mai  tali  valutazioni
potranno  invece  ragionevolmente  esimere   dalla   verifica   della
sussistenza  delle  esigenze  cautelali,  del  loro  grado  e   dalla
individuazione in concreto del tipo di misura idonea  a  soddisfarle.
Da ultimo la Corte si sofferma anche sulla  esigenza  di  contrastare
situazioni di allarme sociale quale possibile fonte di legittimazione
della presunzione, per concludere che la eliminazione o la  riduzione
dell'allarme sociale puo' essere considerata finalita' propria  della
pena, ma non gia' delle misure preventive alla  luce  del  richiamato
impianto costituzionale. 
    Secondo questo giudice alle  medesime  conclusioni  cui  e'  gia'
pervenuta  la  Corte  costituzionale  con  riferimento   ai   delitti
sessuali, per i quali era stata  chiamata  a  pronunciarsi,  si  deve
giungere anche con riferimento al delitto di omicidio di cui all'art.
575 c.p. 
    Vero e' che in relazione a tale fattispecie criminosa non  appare
ipotizzabile  una  differente  gradazione  della  lesione  del   bene
giuridico  protetto   dalla   norma   incriminatrice.   Tuttavia   e'
indubitabile  che  i  fatti  concreti  oggetto  di  giudizio  possono
presentarsi come profondamente differenti gli  uni  dagli  altri,  in
ragione delle modalita' concrete di attuazione, del contesto  in  cui
sono maturati, della personalita' del soggetto agente,  valutata  sia
dal punto di vista generale, sia dal punto di vista del rapporto  con
il fatto reato  e  della  relazione  con  la  vittima,  dell'elemento
soggettivo, suscettibile di una ampia gradazione a  seconda  che  sia
accertata la premeditazione ovvero il mero  dolo  d'impeto,  o  degli
stessi motivi a  delinquere  che  pure  possono  spaziare  da  quelli
astrattamente abietti e futili a quelli penalmente  «neutri».  A  ben
vedere la  stessa  previsione  legislativa  di  autonome  e  speciali
circostanze aggravanti proprie della fattispecie criminosa  in  esame
risponde all'esigenza di tenere in conto  di  tutte  le  possibili  e
multiformi  sfaccettature  dei  fatti-reato  e  consentire  cosi'  di
modulare la pena al  caso  concreto.  La  ipotizzabilita'  dunque  di
situazioni di gravita' differenziata postula, sul piano cautelare, la
necessita' di dover operare in concreto  la  verifica  del  grado  di
esigenze cautelari da soddisfare e la conseguente scelta della misura
idonea  in  tal  senso.  Le  stesse  regole  di  esperienza  che  con
riferimento ai reati di mafia inducono  a  ritenere  soddisfabili  le
esigenze cautelari  solo  con  la  sanzione  massimamente  afflittive
(proprio  per  le  peculiarita'  intrinseche  di   tali   reati   che
presuppongono una sorta di inscindibilita' del vincolo associativo) e
che  rendono  pertanto  non  irragionevole  la  presunzione  assoluta
dettata dalla disciplina di cui all'art. 275,  comma  3  c.p.p.,  con
riferimento al delitto di omicidio portano invece a concludere che  i
casi concreti assumono una connotazione di volta in volta  differente
e che conseguentemente sia del tutto arbitraria e  irragionevole  una
predeterminazione legislativa di adeguatezza tale  da  precludere  al
giudice di cala i modelli astratti di cautela nella varieta' dei casi
concreti. 
    Ritiene dunque questo giudice che la norma di cui  all'art.  275,
comma 3 c.p.p.: 
        contrasti con il principio di uguaglianza di cui  all'art.  3
della Costituzione quanto  la  presunzione  assoluta  di  adeguatezza
della sola misura della custodia cautelare in carcere a soddisfare le
ritenute  esigenze  cautelari  e'  irragionevole   determina   uguale
trattamento di situazioni differenti; 
        contrasti  con  il  principio  della   inviolabilita'   della
liberta' personale di cui all'art. 13 della  Costituzione  in  quanto
determina il sacrifico del bene della liberta' personale  sulla  base
di  una  valutazione  predeterminata  che   non   tiene   conto   del
peculiarita' dei casi concreti; 
        contrasti con il principio di presunzione di non colpevolezza
di cui all'art. 27, comma 2 della Costituzione, in  quanto  ancorando
la valutazione  della  idonei  della  misura  cautelare  massimamente
affllittiva al mero dato astratto del titolo reato, attribuisce  alla
misura cautelare la connotazione propria della pei  che  deve  invece
essere inflitta solo a seguito di un giudizio di responsabilita'. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli artt. 299 c.p.p. 11  legge  costituzionale  9  febbraio
1948, 323 legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87. 
    Solleva  d'ufficio  questione  di  illegittimita'  costituzionale
dell'art.  275,  comma  terzo  c.p.p.  cosi'  come   modificato   dal
decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 convertito in legge  23  aprile
2009 n. 38 nella parte  in  cui  non  consente  l'applicazione  o  la
sostituzione della misura della custodia  cautelare  in  carcere  con
altre meno afflittive relazione alla fattispecie di cui all'art.  575
c.p. per violazione degli artt. 3, 13 e della Costituzione; 
    Sospende il procedimento in corso; 
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale; 
    Ordina la notificazione della presente ordinanza alle  parti  del
procedimento; 
    Ordina la notificazione della presente  ordinanza  al  Presidente
del Consiglio dei ministri e la sua comunicazione  ai  Presidenti  di
Senato della Repubblica e del Camera dei deputati. 
    Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. 
        Torino, addi' 2 dicembre 2010 
 
                          Il giudice: Ricci