N. 83 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 febbraio 2010
Ordinanza del 30 luglio 2010 emessa dalla Corte dei conti - Sez. giurisdizionale per la Regione Toscana - sulla responsabiltia' proposta dal Procuratore regionale presso la Sez. giurisdizionale della Regione Toscana contro M. F.. Responsabilita' amministrativa e contabile - Esercizio dell'azione per danno all'immagine da parte della Procura della Corte dei conti limitato ai casi e modi previsti dall'art. 7 della legge n. 97/2001 (rilevanza penale dell'illecito amministrativo) - Prevista sospensione del termine di prescrizione fino alla conclusione del procedimento penale - Prevista nullita' di qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere, in violazione delle predette disposizioni, subordinata all'azione di chiunque vi abbia interesse - Violazione di diritto fondamentale della persona - Lesione del principio di uguaglianza, del diritto di azione e del principio del giusto processo - Violazione del principio d'imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione. - Decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78, art. 17, comma 30-ter, inserito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, modificato dall'art. 1, comma 1, lett. c), n. 1, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141. - Costituzione, artt. 2, commi primo e secondo, 3, primo comma, 24, primo comma, e 97, primo comma.(GU n.21 del 18-5-2011 )
LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza giudizio di responsabilita' iscritto al n. 57935/R del registro di segreteria, promosso dal Procuratore Regionale nei confronti di M. F., nato a P. (M. C.) il residente a F., in via V. Udite, nella pubblica udienza del 10 febbraio 2010, la relazione del primo referendario dott.ssa Paola Briguori e le conclusioni del pubblico ministero, in persona del vice procuratore generale dott.ssa Acheropita Mondera Non costituita la parte convenuta; Esaminati gli atti ed i documenti di causa. Ritenuto in fatto Con citazione depositata in data 24 luglio 2009, preceduta dall'invito a dedurre di cui all'art. 5 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 convertito, con modificazioni, nella legge n. 19/94, la Procura Regionale presso questa Sezione conveniva in giudizio M. F. per sentirlo condannare, a titolo di danno all'immagine, al pagamento, in favore del Ministero dell'istruzione, della complessiva somma di € 20.000,00 o di quella diversa che risultera' in corso di causa, oltre a rivalutazione monetaria, interessi legali e spese di giudizio. 2. Riferiva la Procura che nel dicembre 2008 su vari giornali erano apparsi degli articoli relativi alla vicenda di M. F., p. in servizio presso l'I. «P. B.» di F., che, durante le ore di lezione, visionava siti porno insieme con gli studenti. La notizia aveva avuto una risonanza enorme ed era stata diffusa da giornali e telegiornali, sia nazionali sia locali. Il dirigente scolastico dell'Istituto, con nota prot. n. 64/Ris del 20 dicembre 2008, aveva provveduto a sospendere cautelativamente dal servizio il p. M. a decorrere dal 22 dicembre 2008 e fino alla conclusione del procedimento disciplinare, ai sensi dell'art. 2 della legge n. 176 del 2007. In data 23 dicembre 2008 il direttore generale dell'Ufficio scolastico regionale per la Toscana, con proprio decreto prot. n. AOODRTO/1 1506, aveva convalidato il decreto di sospensione dal servizio. A seguito di denuncia del dirigente scolastico, era stato aperto a carico del convenuto, il procedimento penale con l'imputazione del reato di cui all'art. 600-ter del codice penale (pornografia minorile), che si era concluso con l'archiviazione del 26 maggio 2009, disposta dal GIP del Tribunale di M. C. su richiesta della Procura della Repubblica di M. C., la quale aveva rilevato che la condotta del convenuto, seppur disdicevole sotto il profilo disciplinare ed educativo, non integrava gli estremi del reato. Secondo la Procura Regionale, il comportamento del p. M. doveva considerarsi censurabile anche per violazione dei principi basilari dell'attivita' di istruzione, che non si limita alla pura didattica ma comporta anche l'insegnamento del rispetto delle regole, che in questo caso sono state violate in maniera assolutamente deprecabile ed ingiustificata proprio da un soggetto che riveste il ruolo di guida per i giovani. La vicenda del «professore a luci rosse» aveva destato scalpore e disappunto nell'opinione pubblica, ed aveva determinato un danno per l'immagine dell'amministrazione scolastica, che secondo il requirente, si quantificava in € 20.000,00. La Procura evidenziava che il convenuto aveva subito altri procedimenti disciplinari per la medesima condotta oggi contestata. Piu' di una volta l'autorita' scolastica si era attivata su segnalazione degli alunni e dei loro genitori. 3. Il convenuto non si costituiva. 4. All'udienza del 10 febbraio 2010 la Procura, prendendo atto dello ius superveniens di cui all'art.17, comma 30-ter, della legge 3 agosto 2009 n. 102 di conversione del decreto-legge 1° luglio 2009 n. 78, modificata dall'art. 1, comma 1 lett. c del decreto-legge 3 agosto 2009 n. 103, convertito nella legge 3 ottobre 2009 n. 141, depositava memoria di udienza, nella quale concludeva eccependo la illegittimita' costituzionale della suddetta norma, considerato che dalla lettura della stessa - cosi' come formulata - emerge che il legislatore avrebbe inteso limitare la configurabilita' di una imputazione di responsabilita' amministrativa ed il conseguente esercizio dell'azione di responsabilita' per il risarcimento del danno all'immagine alle sole ipotesi di condotte illecite penalmente rilevanti previste dall'art. 7 della legge 27 marzo 2001 n. 97. Secondo la Procura, l'illegittimita' rilevata riguardava il contrasto con gli articoli 2 (comma 1), 3, 24 (comma 1) e 113 (commi 1 e 2), 97 (comma 1), 103 (comma 2) e 25 (comma 1) della Carta Costituzionale. Considerato in diritto 1. In via preliminare il Collegio ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata dal procuratore regionale in ordine all'art. 17, comma 30-ter, della legge 3 agosto 2009 n. 102 di conversione del decreto-legge 1° luglio 2009 n. 78, modificata dall'art. 1, comma 1, lett. c del decreto-legge 3 agosto 2009 n. 103, convertito nella legge 3 ottobre 2009 n. 141, nella parte in cui limita la giurisdizione della Corte dei conti sul danno all'immagine ai soli casi e nei modi previsti dall'art. 7 della legge 27 marzo 2001 n. 97. 1.2. Sulla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale. Come esposto in fatto, la Procura Regionale ha citato in giudizio l'odierno convenuto per sentirlo condannare al risarcimento del danno all'immagine dell'Amministrazione di appartenenza, in quanto e' risultato che costui aveva tenuto una condotta di particolare gravita', consistente nel collegarsi ad internet durante le ore di lezione per visitare - insieme con gli alunni minorenni - siti pornografici. La condotta tenuta dal dipendente pubblico nel caso di specie contiene in se' un disvalore assoluto. In primo luogo ha causato un indiscutibile danno ai minori coinvolti, che - per loro natura - possiedono una psiche ancora in crescita e, come tale, suscettibile di subire traumi da cui possono scaturire devianze in eta' adulta, non essendo giunto il loro ego ad una maturazione che li renda liberi da condizionamenti del mondo adulto con capacita' di autodeterminarsi. All'esterno tale comportamento - particolarmente grave e disdicevole - e' stato percepito come un'espressione della linea educativa deviata proposta dall'Istituto scolastico, la cui reputazione per cio' solo ne e' uscita offuscata in modo profondo, in quanto la condotta in esame e' stata tenuta da chi - in qualita' di insegnante - svolgeva non solo funzioni di docenza ma ricopriva anche un ruolo educativo per i discenti minorenni, inteso come modello di condotta da imitare. Cio' premesso, ad avviso del Collegio, la questione di legittimita' costituzionale sollevata risulta rilevante nel giudizio a quo, poiche' questo non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della stessa, sulla quale influisce inevitabilmente, per la sua formulazione, il citato art. 17, comma 30-ter, secondo periodo, che dispone, appunto, in materia di risarcibilita' del danno all'immagine della pubblica amministrazione. Detta norma prevede infatti che: «Le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'art. 7 dalla legge 27 marzo 2001, n. 97.». La lettera della norma porta a ritenere, senza tema di smentita, che il legislatore, nell'attribuire una limitata azione alle Procure erariali in tema di danno all'immagine della p. a., abbia inteso, per un verso, confermare la Corte dei conti quale giudice naturale di tale tipologia di danno, ma, per altro verso, limitare la giurisdizione nei soli casi e nei modi previsti dall'art. 7 dalla legge 27 marzo 2001, n. 97 e, pertanto, nei soli casi in cui il comportamento causativo del danno all'immagine rientri nelle fattispecie delittuose di cui al capo I del titolo II del libro secondo del codice penale (reati contro la pubblica amministrazione), accertate con sentenza irrevocabile. Ogni altra opzione interpretativa collide evidentemente con il dato letterale, in quanto il richiamo all'art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97 appare inequivocabile, essendo ivi previsto che «la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nell'art. 3 per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale e' comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinche' promuova entro trenta giorni l'eventuale procedimento di responsabilita' per danno erariale nei confronti del condannato.». E poiche' l'ultimo periodo dell'art. 17, comma-ter, citato prevede che «Qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente comma, salvo che sia stata gia' pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e' nullo e la relativa nullita' puo' essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta», ad avviso del Collegio, ne discende che il legislatore ha inteso sanzionare con la nullita', rilevabile da chiunque vi abbia interesse, anche gli atti (processuali) di citazione per danno all'immagine. Il problema e' allora quello di stabilire, nei casi - come quello di che trattasi - in cui la citazione e' stata emessa dal pm contabile, prima dell'entrata in vigore della citata norma, contestando un comportamento causativo di danno all'immagine costituente non gia' un reato diverso dai delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, ma un illecito disciplinare di particolare disvalore, quale sia l'esito del processo contabile celebrato dopo l'entrata in vigore anzidetta. Escludendo l'esito rappresentato dalla declaratoria di nullita' (impedito dalla mancanza, nel caso di specie, della relativa istanza), quanto alla citazione appaiono tecnicamente possibili, ad avviso del Collegio, soltanto due opzioni: quella della inammissibilita' per difetto di giurisdizione, oppure, forse piu' precisamente, quella di improcedibilita' per (sopravvenuto) difetto di giurisdizione. In sostanza, nonostante la carenza di coordinamento tra le diverse disposizioni previste, dovuta verosimilmente ai rimaneggiamenti che si sono succeduti sul testo originario del decreto-legge, non v'e' dubbio che il citato art. 17, comma 30-ter e' una norma sulla giurisdizione. Cio' in quanto non si puo' negare che, alla stregua dei principi generali, una volta esercitata l'actio damni, la valutazione sulla conformita' a legge della domanda di risarcimento del danno all'immagine dell'amministrazione pubblica deve necessariamente risolversi nell'accertamento della sussistenza della giurisdizione contabile, talche' la pronuncia deve assumere veste formale di declaratoria di affermazione o di difetto di giurisdizione della Corte dei conti. Orbene, con riferimento al giudizio in corso, la citazione della Procura regionale era stata depositata il 24 luglio 2009, quando ancora era possibile, per il giudice contabile, procedere all'esame nel merito della domanda risarcitoria, non essendo ancora applicabile, in quanto non ancora vigente, la disposizione in esame. L'entrata in vigore dell'art. 17, comma 30-ter ha, di fatto, pendente iudicio bloccato l'azione di danno, dovendo - come detto - il Collegio dichiarare il proprio difetto di giurisdizione nel giudizio a quo. Di qui l'evidente rilevanza e pregiudizialita' della questione di legittimita' costituzionale nel giudizio a quo. 1.3. Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' sollevata. A giudizio del Collegio, sussistono forti dubbi della legittimita' costituzionale della disposizione richiamata, concordemente a quanto manifestato in udienza dal procuratore regionale. Dal che della relativa questione deve essere investita la Corte costituzionale per una pronuncia risolutrice, poiche' la stessa sembra porsi in contrasto con l'art. 2, comma 1 e 2, l'art. 3 comma 1, l'art. 24, comma 1, e l'art. 97 comma 1. 1.3.I. Violazione dell'art. 2, comma 1 e 2, e dell'art. 3, comma 1, della Costituzione. Come e' noto, l'art. 2 della Costituzione riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita', e quindi, tra di essi, il diritto all'immagine, sia delle persone fisiche sia di quelle giuridiche, private e pubbliche. La copiosa giurisprudenza del giudice contabile, confermata anche dalla Suprema Corte di Cassazione, aveva gia' teorizzato la configurabilita' dei danno all'immagine della pubblica amministrazione per le ipotesi di gravi e riprovevoli condotte poste in essere da dipendenti ed amministratori pubblici infedeli ai danni dell'amministrazione di appartenenza, attribuendo la relativa giurisdizione alla Corte dei conti. Ed in vero, il citato art. 17, comma 30-ter ha avuto l'indubbio pregio di aver dato riconoscimento normativo a tale consolidato orientamento giurisprudenziale, prescindendo, tra l'altro, anche dalla natura del danno all'immagine, su cui la giurisprudenza tanto si era soffermata, ma, nel contempo, ha introdotto una limitazione alla sua risarcibilita', in quanto circoscritta nei soli casi e modi previsti dall'art. 7 della legge 27 marzo 2001 n. 97. Se questa sembra essere la voluntas legis che emerge dal richiamato intervento normativo, ne consegue che il legislatore del 2009 ha prodotto un grave vulnus alla tutela di questo diritto costituzionalmente protetto, avendo di fatto creato una zona franca nell'ambito della quale non e' piu' ammesso risarcimento del danno all'immagine dell'Amministrazione, nei casi - peraltro molto ampi - in cui vi rientrano non solo gli altri reati non disciplinati nel capo richiamato dall'art. 7 della legge 97/2001, ma anche tutte le condotte, che, sebbene particolarmente disdicevoli e disonorevoli per l'Amministrazione, non integrano gli estremi del reato. In buona sostanza, il legislatore ha, da una parte, espressamente devoluto alla Corte dei conti la giurisdizione in materia, mentre, dall'altra, ha ingiustificatamente limitato l'area della risarcibilita' dello stesso danno a sole poche fattispecie delittuose. In questi termini si ritiene che sussista contrasto con l'art. 2, commi 1 e 2, della Costituzione. Come ha rilevato la Procura, detta norma costituisce la base giuridica della tutela del diritto all'immagine di qualunque soggetto, tra cui la pubblica amministrazione, e la contestata novella legislativa determina un limite alla piena protezione di tale valore costituzionalmente garantito in riferimento al settore pubblico. Peraltro, l'introduzione della limitazione si pone anche come un'irragionevole ed arbitraria restrizione alla tutela risarcitoria del diritto all'immagine della pubblica amministrazione, poiche' questa e' concepita come circoscritta unicamente alla realizzazione di talune condotte illecite, lasciando privo di tutela il disdoro provocato alla p.a. nel caso in cui un proprio dipendente e/o amministratore abbia tenuto una condotta, che, pur caratterizzata da rilevante disvalore sociale e tale da arrecare un serio discredito alla rispettabilita' ed onorabilita' della struttura pubblica di cui fanno parte, non rientri nell'ambito dei reati propri citati. Ne deriva che la norma in esame si presenta in contrasto anche con l'art. 3, comma 1, della Costituzione, in quanto il legislatore sembra aver violato la clausola generale di «ragionevolezza» che deve considerarsi limite negativo del corretto esercizio della potesta' legislativa. Come e' noto, per costante giurisprudenza del Giudice delle leggi, la discrezionalita' del legislatore puo' «essere oggetto di censura, in sede di scrutinio di costituzionalita', soltanto nei casi di ''uso distorto o arbitrario'', cosi' da confliggere in modo manifesto con il canone della ragionevolezza» (v. ex plurimis: sentenza n. 144 del 2005; ordinanze n. 401 e n. 262 del 2005, n. 212 e n. 109 del 2004, n. 292 del 2006 e 23 del 2009). L'arbitrarieta' denunciata emerge ictu oculi esaminando la disposizione de qua con riferimento ai giudizio in corso, nel quale e' ormai preclusa la risarcibilita' del danno dell'amministrazione dell'Istruzione per la deplorevole condotta di un insegnante che ha indotto i suoi studenti minorenni, in piu' occasioni, a visitare via internet siti pornografici durante le sue ore di lezione. Si tratta di una condotta che inequivocabilmente presenta un disvalore di massimo rilievo, tale da provocare, prima ancora di un generico discredito dell'amministrazione pubblica, una forte perdita di fiducia dei cittadini (rectius, dei genitori e degli studenti) nell'Istituto scolastico coinvolto e, piu' in generale, nelle stesse istituzioni pubbliche, poiche' addirittura si presenta di pari - se non di superiore - riprovevolezza rispetto alle condotte configurabili come reati contro la p. a., per i quali e' ammesso il ristoro della lesione al prestigio dell'amministrazione. Ed e' irragionevole ed ingiustificato che il legislatore non abbia previsto in tali casi la possibilita' di esercizio dell'actio damni. Dal che appare evidente il vulnus irreparabile prodotto alla tutela degli interessi della p. a. 1.3.II. Violazione dell'art. 24, comma 1, della Costituzione. L'art. 24, comma 1, dispone che tutti possono agire in giudizio a tutela dei propri diritti e interessi legittimi. Ne deriva che la legittimazione ad agire, essendo riconosciuta a tutti in modo indistinto, compete anche alla p.a. che, infatti, e' titolare di diritti ed interessi legittimi da far valere di fronte ai competenti organi di giurisdizione. Come e' noto, la tutela dell'immagine della p.a. lesa dai propri dipendenti asseritamente «infedeli» e' realizzata innanzi alla Corte dei conti per il tramite della Procura erariale competente. Appare evidente che la norma in esame pone un grave ed ingiustificato; freno alla tutela giurisdizionale dei diritti ed interessi della pubblica amministrazione, riconosciuta in modo inequivoco dalla Carta Costituzionale. 1.3.III. Violazione dell'art. 97, comma 1, della Costituzione. Il citato comma 30-ter, periodo secondo, si pone in contrasto con l'art. 97 comma 1, della Costituzione, nel quale sono dettati, come e' noto, principi cui deve conformarsi l'esercizio dell'attivita' amministrativa: il principio di legalita', di buon andamento ed imparzialita'. In particolare, l'art. 17, comma 30-ter, periodo secondo, si pone in contrasto con il criterio del buon andamento ed imparzialita' dell'attivita' amministrativa. In primo luogo, si osserva che prevedere la risarcibilita' (e la tutelabilita') dell'immagine della pubblica amministrazione nei soli casi in cui i dipendenti pubblici commettano un reato contro la pubblica amministrazione pone in serio pericolo l'agere amministrativo in termini di efficienza ed efficacia con stretto riferimento alla perdita di fiducia che i cittadini possono nutrire nei confronti delle Istituzioni, dando luogo ad una visione poco affidabile dell'amministrazione. In secondo luogo, non si puo' non ritenere che la presenza di condotte di dipendenti o amministratori pubblici che, sebbene lesive del decoro della p. a., comportino l'irrisarcibilita' del prestigio compromesso si pone in contrasto con il principio dell'imparzialita' dell'agere amministrativo, per gli evidenti effetti distorsivi che cio' comporta sull'organizzazione della pubblica amministrazione sotto il duplice profilo della ridotta potenzialita' operativa dell'efficienza nella cura dell'interesse pubblico. Pertanto, tale contestata disposizione, del tutto irrazionale ed irragionevole, finisce per minare irrimediabilmente il buon andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione pubblica.
P. Q. M. Visti gli articoli 134 della Costituzione e 23, terzo comma della legge 11 marzo 1953 n. 87, preliminarmente giudica rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli articoli 2, commi primo e secondo, 3 primo comma, 24 primo comma, 97 primo comma, della Costituzione, della disposizione di cui all'art. 17, comma 30-ter della legge 3 agosto 2009 n. 102 di conversione del decreto-legge 1° luglio 2009 n. 78, modificata dall'art. 1, comma 1, lett. c) del decreto-legge 3 agosto 2009 n. 103, convertito nella legge 3 ottobre 2009 n. 141, limitatamente al periodo secondo, in cui recita «Le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'art. 7 dalla legge 27 marzo 2001, n. 97». Sospende, pertanto, il giudizio e, riservatasi ogni altra pronuncia in rito ed in merito, dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che, a cura della Segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' sia comunicata ai presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Spese riservate al merito. Cosi' disposto in Firenze nella Camera di Consiglio del 10 febbraio 2010. Il presidente f.f.: D'Isanto