N. 83 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 febbraio 2010

Ordinanza del 30 luglio 2010 emessa dalla  Corte  dei  conti  -  Sez.
giurisdizionale  per  la  Regione  Toscana  -  sulla  responsabiltia'
proposta dal Procuratore regionale  presso  la  Sez.  giurisdizionale
della Regione Toscana contro M. F.. 
 
Responsabilita' amministrativa e contabile  -  Esercizio  dell'azione
  per danno all'immagine da parte della Procura della Corte dei conti
  limitato ai casi e modi previsti dall'art. 7 della legge n. 97/2001
  (rilevanza  penale   dell'illecito   amministrativo)   -   Prevista
  sospensione del termine di prescrizione fino alla  conclusione  del
  procedimento  penale  -  Prevista  nullita'   di   qualunque   atto
  istruttorio o processuale posto  in  essere,  in  violazione  delle
  predette disposizioni, subordinata all'azione di chiunque vi  abbia
  interesse - Violazione di  diritto  fondamentale  della  persona  -
  Lesione del principio di uguaglianza, del diritto di azione  e  del
  principio  del  giusto  processo   -   Violazione   del   principio
  d'imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione. 
- Decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78, art. 17, comma 30-ter, inserito
  dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, modificato dall'art. 1, comma 1,
  lett.  c),  n.  1,  del  decreto-legge  3  agosto  2009,  n.   103,
  convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141. 
- Costituzione, artt. 2, commi primo e secondo, 3, primo  comma,  24,
  primo comma, e 97, primo comma. 
(GU n.21 del 18-5-2011 )
 
                         LA CORTE DEI CONTI 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza giudizio di  responsabilita'
iscritto al n. 57935/R  del  registro  di  segreteria,  promosso  dal
Procuratore Regionale nei confronti di M. F., nato a P.  (M.  C.)  il
residente a F., in via V. 
    Udite, nella pubblica udienza del 10 febbraio 2010, la  relazione
del primo referendario dott.ssa Paola Briguori e le  conclusioni  del
pubblico ministero, in persona del vice procuratore generale dott.ssa
Acheropita Mondera 
    Non costituita la parte convenuta; 
    Esaminati gli atti ed i documenti di causa. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    Con citazione  depositata  in  data  24  luglio  2009,  preceduta
dall'invito a dedurre di cui all'art. 5 del decreto-legge 15 novembre
1993, n. 453 convertito, con modificazioni, nella legge n. 19/94,  la
Procura Regionale presso questa Sezione conveniva in giudizio  M.  F.
per  sentirlo  condannare,  a  titolo  di  danno   all'immagine,   al
pagamento, in favore del Ministero dell'istruzione, della complessiva
somma di € 20.000,00 o di quella diversa che risultera' in  corso  di
causa, oltre a rivalutazione monetaria, interessi legali e  spese  di
giudizio. 
    2. Riferiva la Procura che nel dicembre  2008  su  vari  giornali
erano apparsi degli articoli relativi alla vicenda di M.  F.,  p.  in
servizio presso l'I. «P. B.» di F., che, durante le ore  di  lezione,
visionava siti porno insieme con gli studenti. 
    La notizia aveva avuto una risonanza enorme ed era stata  diffusa
da giornali e telegiornali, sia nazionali sia locali. 
    Il dirigente scolastico dell'Istituto, con nota prot.  n.  64/Ris
del 20 dicembre 2008, aveva provveduto a sospendere  cautelativamente
dal servizio il p. M. a decorrere dal 22 dicembre 2008  e  fino  alla
conclusione del procedimento disciplinare, ai sensi dell'art. 2 della
legge n. 176 del 2007. In data 23 dicembre 2008 il direttore generale
dell'Ufficio scolastico regionale per la Toscana, con proprio decreto
prot. n. AOODRTO/1 1506, aveva convalidato il decreto di  sospensione
dal servizio. 
    A seguito di denuncia del dirigente scolastico, era stato  aperto
a carico del convenuto, il procedimento penale con l'imputazione  del
reato  di  cui  all'art.  600-ter  del  codice  penale   (pornografia
minorile), che si era concluso  con  l'archiviazione  del  26  maggio
2009, disposta dal GIP del Tribunale di  M.  C.  su  richiesta  della
Procura della Repubblica di M. C., la quale  aveva  rilevato  che  la
condotta  del  convenuto,  seppur  disdicevole   sotto   il   profilo
disciplinare ed educativo, non integrava gli estremi del reato. 
    Secondo la Procura Regionale, il comportamento del p.  M.  doveva
considerarsi censurabile anche per violazione dei  principi  basilari
dell'attivita' di istruzione, che non si limita alla  pura  didattica
ma comporta anche l'insegnamento del rispetto delle  regole,  che  in
questo caso sono state violate in maniera  assolutamente  deprecabile
ed ingiustificata proprio da un soggetto  che  riveste  il  ruolo  di
guida per i giovani. La vicenda del «professore a luci  rosse»  aveva
destato  scalpore  e  disappunto  nell'opinione  pubblica,  ed  aveva
determinato un danno per l'immagine dell'amministrazione  scolastica,
che secondo il requirente, si quantificava in € 20.000,00. La Procura
evidenziava  che  il  convenuto  aveva  subito   altri   procedimenti
disciplinari per la medesima condotta oggi contestata.  Piu'  di  una
volta l'autorita' scolastica si era attivata  su  segnalazione  degli
alunni e dei loro genitori. 
    3. Il convenuto non si costituiva. 
    4. All'udienza del 10 febbraio 2010 la  Procura,  prendendo  atto
dello ius superveniens di cui all'art.17, comma 30-ter, della legge 3
agosto 2009 n. 102 di conversione del decreto-legge 1° luglio 2009 n.
78, modificata dall'art. 1, comma  1  lett.  c  del  decreto-legge  3
agosto 2009 n. 103, convertito nella legge 3  ottobre  2009  n.  141,
depositava memoria di udienza, nella quale  concludeva  eccependo  la
illegittimita' costituzionale della suddetta norma,  considerato  che
dalla lettura della stessa - cosi' come  formulata -  emerge  che  il
legislatore  avrebbe  inteso  limitare  la  configurabilita'  di  una
imputazione  di  responsabilita'  amministrativa  ed  il  conseguente
esercizio dell'azione di  responsabilita'  per  il  risarcimento  del
danno all'immagine alle sole ipotesi di condotte illecite  penalmente
rilevanti previste dall'art. 7 della legge 27 marzo 2001 n. 97. 
    Secondo  la  Procura,  l'illegittimita'  rilevata  riguardava  il
contrasto con gli articoli 2 (comma 1), 3, 24 (comma 1) e 113  (commi
1 e 2), 97 (comma 1), 103 (comma  2)  e  25  (comma  1)  della  Carta
Costituzionale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. In  via  preliminare  il  Collegio  ritiene  rilevante  e  non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
sollevata dal procuratore regionale  in  ordine  all'art.  17,  comma
30-ter,  della  legge  3  agosto  2009  n.  102  di  conversione  del
decreto-legge 1° luglio 2009 n. 78, modificata dall'art. 1, comma  1,
lett. c del decreto-legge 3 agosto  2009  n.  103,  convertito  nella
legge  3  ottobre  2009  n.  141,  nella  parte  in  cui  limita   la
giurisdizione della Corte dei conti sul danno  all'immagine  ai  soli
casi e nei modi previsti dall'art. 7 della legge 27 marzo 2001 n. 97. 
    1.2.   Sulla   rilevanza   della   questione   di    legittimita'
costituzionale. 
    Come esposto in fatto, la Procura Regionale ha citato in giudizio
l'odierno convenuto per sentirlo condannare al risarcimento del danno
all'immagine  dell'Amministrazione  di  appartenenza,  in  quanto  e'
risultato  che  costui  aveva  tenuto  una  condotta  di  particolare
gravita', consistente nel collegarsi ad internet durante  le  ore  di
lezione per visitare -  insieme  con  gli  alunni  minorenni  -  siti
pornografici. 
    La condotta tenuta dal dipendente pubblico  nel  caso  di  specie
contiene in se' un disvalore assoluto. In primo luogo ha  causato  un
indiscutibile danno ai minori coinvolti, che  -  per  loro  natura  -
possiedono una psiche ancora in crescita e, come  tale,  suscettibile
di subire traumi da cui possono scaturire devianze  in  eta'  adulta,
non essendo giunto il loro ego ad una maturazione che li renda liberi
da   condizionamenti   del   mondo   adulto    con    capacita'    di
autodeterminarsi. 
    All'esterno  tale  comportamento  -   particolarmente   grave   e
disdicevole - e' stato  percepito  come  un'espressione  della  linea
educativa  deviata  proposta   dall'Istituto   scolastico,   la   cui
reputazione per cio' solo ne e' uscita offuscata in modo profondo, in
quanto la condotta in esame e' stata tenuta da chi - in  qualita'  di
insegnante - svolgeva non solo funzioni di docenza ma ricopriva anche
un ruolo educativo per i discenti minorenni, inteso come  modello  di
condotta da imitare. 
    Cio'  premesso,  ad  avviso  del  Collegio,   la   questione   di
legittimita' costituzionale sollevata risulta rilevante nel  giudizio
a quo, poiche' questo  non  puo'  essere  definito  indipendentemente
dalla   risoluzione   della    stessa,    sulla    quale    influisce
inevitabilmente, per la sua formulazione, il citato  art.  17,  comma
30-ter,  secondo  periodo,  che  dispone,  appunto,  in  materia   di
risarcibilita' del danno all'immagine della pubblica amministrazione. 
    Detta norma prevede infatti che: 
        «Le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per  il
risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti
dall'art. 7 dalla legge 27 marzo 2001, n. 97.». 
    La lettera della norma porta a ritenere, senza tema di  smentita,
che il legislatore, nell'attribuire una limitata azione alle  Procure
erariali in tema di danno all'immagine della p. a., abbia inteso, per
un verso, confermare la Corte dei conti  quale  giudice  naturale  di
tale  tipologia  di  danno,  ma,  per  altro   verso,   limitare   la
giurisdizione nei soli casi e nei modi  previsti  dall'art.  7  dalla
legge 27 marzo 2001, n. 97 e, pertanto,  nei  soli  casi  in  cui  il
comportamento  causativo  del  danno   all'immagine   rientri   nelle
fattispecie delittuose di cui al capo  I  del  titolo  II  del  libro
secondo del codice penale (reati contro la pubblica amministrazione),
accertate con sentenza irrevocabile. 
    Ogni altra opzione interpretativa collide  evidentemente  con  il
dato letterale, in quanto il richiamo all'art. 7 della legge 27 marzo
2001, n. 97 appare  inequivocabile,  essendo  ivi  previsto  che  «la
sentenza irrevocabile  di  condanna  pronunciata  nei  confronti  dei
dipendenti indicati nell'art. 3 per  i  delitti  contro  la  pubblica
amministrazione previsti nel capo I del titolo II del  libro  secondo
del codice penale e' comunicata al competente  procuratore  regionale
della  Corte  dei  conti  affinche'  promuova  entro  trenta   giorni
l'eventuale procedimento di responsabilita' per  danno  erariale  nei
confronti del condannato.». 
    E  poiche'  l'ultimo  periodo  dell'art.  17,  comma-ter,  citato
prevede che «Qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere
in violazione delle disposizioni di cui al presente comma, salvo  che
sia stata gia' pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di
entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e'
nullo e la  relativa  nullita'  puo'  essere  fatta  valere  in  ogni
momento, da chiunque vi  abbia  interesse,  innanzi  alla  competente
sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine
perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta», ad  avviso
del Collegio, ne discende che il legislatore ha inteso sanzionare con
la nullita', rilevabile da chiunque vi  abbia  interesse,  anche  gli
atti (processuali) di citazione per danno all'immagine. 
    Il problema e' allora quello di stabilire, nei casi - come quello
di che trattasi -  in  cui  la  citazione  e'  stata  emessa  dal  pm
contabile,  prima  dell'entrata  in  vigore   della   citata   norma,
contestando  un  comportamento  causativo   di   danno   all'immagine
costituente non gia' un reato diverso dai delitti contro la  pubblica
amministrazione previsti nel capo I del titolo II del  libro  secondo
del  codice  penale,  ma  un  illecito  disciplinare  di  particolare
disvalore, quale sia l'esito del processo  contabile  celebrato  dopo
l'entrata in vigore anzidetta. 
    Escludendo l'esito rappresentato dalla declaratoria  di  nullita'
(impedito  dalla  mancanza,  nel  caso  di  specie,  della   relativa
istanza), quanto alla citazione appaiono tecnicamente  possibili,  ad
avviso   del   Collegio,   soltanto   due   opzioni:   quella   della
inammissibilita' per difetto di  giurisdizione,  oppure,  forse  piu'
precisamente, quella di improcedibilita' per  (sopravvenuto)  difetto
di giurisdizione. 
    In sostanza,  nonostante  la  carenza  di  coordinamento  tra  le
diverse   disposizioni    previste,    dovuta    verosimilmente    ai
rimaneggiamenti che  si  sono  succeduti  sul  testo  originario  del
decreto-legge, non v'e' dubbio che il citato art. 17, comma 30-ter e'
una norma sulla giurisdizione. 
    Cio' in quanto non si puo' negare che, alla stregua dei  principi
generali, una volta esercitata l'actio damni,  la  valutazione  sulla
conformita'  a  legge  della  domanda  di  risarcimento   del   danno
all'immagine  dell'amministrazione  pubblica   deve   necessariamente
risolversi nell'accertamento della  sussistenza  della  giurisdizione
contabile, talche'  la  pronuncia  deve  assumere  veste  formale  di
declaratoria di affermazione o  di  difetto  di  giurisdizione  della
Corte dei conti. 
    Orbene, con riferimento al giudizio in corso, la citazione  della
Procura regionale era stata depositata  il  24  luglio  2009,  quando
ancora era possibile, per il giudice contabile,  procedere  all'esame
nel  merito  della   domanda   risarcitoria,   non   essendo   ancora
applicabile, in quanto non ancora vigente, la disposizione in  esame.
L'entrata in vigore dell'art. 17, comma 30-ter ha, di fatto, pendente
iudicio bloccato l'azione  di  danno,  dovendo  -  come  detto  -  il
Collegio dichiarare il proprio difetto di giurisdizione nel  giudizio
a quo. 
    Di qui l'evidente rilevanza e pregiudizialita' della questione di
legittimita' costituzionale nel giudizio a quo. 
    1.3.  Sulla  non  manifesta  infondatezza  della   questione   di
legittimita' sollevata. 
    A  giudizio  del   Collegio,   sussistono   forti   dubbi   della
legittimita'   costituzionale    della    disposizione    richiamata,
concordemente  a  quanto  manifestato  in  udienza  dal   procuratore
regionale. Dal che della relativa questione deve essere investita  la
Corte costituzionale per una pronuncia risolutrice, poiche' la stessa
sembra porsi in contrasto con l'art. 2, comma 1 e 2, l'art.  3  comma
1, l'art. 24, comma 1, e l'art. 97 comma 1. 
    1.3.I. Violazione dell'art. 2, comma 1 e 2, e dell'art. 3,  comma
1, della Costituzione. 
    Come e' noto, l'art. 2 della Costituzione riconosce e  garantisce
i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni
sociali ove si svolge la sua personalita', e quindi, tra di essi,  il
diritto  all'immagine,  sia  delle  persone  fisiche  sia  di  quelle
giuridiche,  private  e  pubbliche.  La  copiosa  giurisprudenza  del
giudice  contabile,  confermata  anche   dalla   Suprema   Corte   di
Cassazione, aveva  gia'  teorizzato  la  configurabilita'  dei  danno
all'immagine della pubblica amministrazione per le ipotesi di gravi e
riprovevoli condotte poste in essere da dipendenti ed  amministratori
pubblici infedeli  ai  danni  dell'amministrazione  di  appartenenza,
attribuendo la relativa giurisdizione alla Corte dei conti. 
    Ed in vero, il citato art. 17, comma 30-ter ha  avuto  l'indubbio
pregio di aver  dato  riconoscimento  normativo  a  tale  consolidato
orientamento  giurisprudenziale,  prescindendo,  tra  l'altro,  anche
dalla natura del danno all'immagine, su cui la  giurisprudenza  tanto
si era soffermata, ma, nel contempo, ha  introdotto  una  limitazione
alla sua risarcibilita', in quanto circoscritta nei soli casi e  modi
previsti dall'art. 7 della legge 27 marzo 2001 n. 97. 
    Se  questa  sembra  essere  la  voluntas  legis  che  emerge  dal
richiamato intervento normativo, ne consegue che il  legislatore  del
2009 ha prodotto un  grave  vulnus  alla  tutela  di  questo  diritto
costituzionalmente protetto, avendo di fatto creato una  zona  franca
nell'ambito della quale non e' piu' ammesso  risarcimento  del  danno
all'immagine dell'Amministrazione, nei casi - peraltro molto  ampi  -
in cui vi rientrano non solo gli altri  reati  non  disciplinati  nel
capo richiamato dall'art. 7 della legge 97/2001, ma  anche  tutte  le
condotte, che, sebbene particolarmente disdicevoli e disonorevoli per
l'Amministrazione, non integrano gli estremi del reato. 
    In buona sostanza, il legislatore ha, da una parte, espressamente
devoluto alla Corte dei conti la giurisdizione  in  materia,  mentre,
dall'altra,   ha   ingiustificatamente    limitato    l'area    della
risarcibilita'  dello  stesso  danno   a   sole   poche   fattispecie
delittuose. 
    In questi termini si ritiene che sussista contrasto con l'art. 2,
commi 1 e 2, della Costituzione. Come ha rilevato la  Procura,  detta
norma  costituisce  la  base  giuridica  della  tutela  del   diritto
all'immagine   di   qualunque   soggetto,   tra   cui   la   pubblica
amministrazione, e la contestata  novella  legislativa  determina  un
limite  alla  piena  protezione  di  tale  valore  costituzionalmente
garantito in riferimento al settore pubblico. 
    Peraltro, l'introduzione della limitazione  si  pone  anche  come
un'irragionevole ed arbitraria restrizione alla  tutela  risarcitoria
del diritto  all'immagine  della  pubblica  amministrazione,  poiche'
questa e' concepita come circoscritta unicamente  alla  realizzazione
di talune condotte illecite, lasciando privo  di  tutela  il  disdoro
provocato alla p.a.  nel  caso  in  cui  un  proprio  dipendente  e/o
amministratore abbia tenuto una condotta, che, pur caratterizzata  da
rilevante disvalore sociale e tale da arrecare  un  serio  discredito
alla rispettabilita' ed onorabilita' della struttura pubblica di  cui
fanno parte, non rientri nell'ambito dei reati propri citati. 
    Ne deriva che la norma in esame si presenta  in  contrasto  anche
con l'art. 3, comma 1, della Costituzione, in quanto  il  legislatore
sembra aver violato la clausola generale di «ragionevolezza» che deve
considerarsi limite negativo del corretto  esercizio  della  potesta'
legislativa. Come e' noto, per costante  giurisprudenza  del  Giudice
delle leggi, la discrezionalita' del legislatore puo' «essere oggetto
di censura, in sede di scrutinio di costituzionalita',  soltanto  nei
casi di ''uso distorto o arbitrario'', cosi' da confliggere  in  modo
manifesto con  il  canone  della  ragionevolezza»  (v.  ex  plurimis:
sentenza n. 144 del 2005; ordinanze n. 401 e n. 262 del 2005, n.  212
e n. 109 del 2004, n. 292 del 2006 e 23 del 2009). 
    L'arbitrarieta'  denunciata  emerge  ictu  oculi  esaminando   la
disposizione de qua con riferimento ai giudizio in corso,  nel  quale
e' ormai preclusa la risarcibilita'  del  danno  dell'amministrazione
dell'Istruzione per la deplorevole condotta di un insegnante  che  ha
indotto i suoi studenti minorenni, in piu' occasioni, a visitare  via
internet siti pornografici durante le sue ore di lezione. 
    Si tratta di una  condotta  che  inequivocabilmente  presenta  un
disvalore di massimo rilievo, tale da provocare, prima ancora  di  un
generico discredito dell'amministrazione pubblica, una forte  perdita
di fiducia dei cittadini (rectius, dei  genitori  e  degli  studenti)
nell'Istituto scolastico coinvolto e, piu' in generale, nelle  stesse
istituzioni pubbliche, poiche' addirittura si presenta di pari  -  se
non  di   superiore   -   riprovevolezza   rispetto   alle   condotte
configurabili come reati contro la p. a., per i quali e'  ammesso  il
ristoro  della  lesione  al  prestigio  dell'amministrazione.  Ed  e'
irragionevole ed ingiustificato che il legislatore non abbia previsto
in tali casi la possibilita' di esercizio dell'actio damni. 
    Dal che appare evidente  il  vulnus  irreparabile  prodotto  alla
tutela degli interessi della p. a. 
    1.3.II. Violazione dell'art. 24, comma 1, della Costituzione. 
    L'art. 24, comma 1, dispone che tutti possono agire in giudizio a
tutela dei propri diritti e interessi legittimi.  Ne  deriva  che  la
legittimazione  ad  agire,  essendo  riconosciuta  a  tutti  in  modo
indistinto, compete anche alla p.a.  che,  infatti,  e'  titolare  di
diritti ed interessi legittimi da far valere di fronte ai  competenti
organi di giurisdizione. 
    Come e' noto, la tutela dell'immagine della p.a. lesa dai  propri
dipendenti asseritamente «infedeli» e' realizzata innanzi alla  Corte
dei conti per il tramite della Procura  erariale  competente.  Appare
evidente che la norma in esame pone un grave ed ingiustificato; freno
alla tutela giurisdizionale dei diritti ed interessi  della  pubblica
amministrazione,  riconosciuta  in  modo   inequivoco   dalla   Carta
Costituzionale. 
    1.3.III. Violazione dell'art. 97, comma 1, della Costituzione. 
    Il citato comma 30-ter, periodo secondo, si pone in contrasto con
l'art. 97 comma 1, della Costituzione, nel quale sono  dettati,  come
e' noto, principi cui  deve  conformarsi  l'esercizio  dell'attivita'
amministrativa: il principio  di  legalita',  di  buon  andamento  ed
imparzialita'. 
    In particolare, l'art. 17, comma 30-ter, periodo secondo, si pone
in contrasto con il criterio  del  buon  andamento  ed  imparzialita'
dell'attivita' amministrativa. 
    In primo luogo, si osserva che prevedere la risarcibilita' (e  la
tutelabilita') dell'immagine della pubblica amministrazione nei  soli
casi in cui i dipendenti  pubblici  commettano  un  reato  contro  la
pubblica   amministrazione   pone   in   serio    pericolo    l'agere
amministrativo in termini di  efficienza  ed  efficacia  con  stretto
riferimento alla perdita di fiducia che i cittadini  possono  nutrire
nei confronti delle Istituzioni, dando  luogo  ad  una  visione  poco
affidabile dell'amministrazione. In secondo luogo, non  si  puo'  non
ritenere che la presenza di condotte di dipendenti  o  amministratori
pubblici che, sebbene lesive  del  decoro  della  p.  a.,  comportino
l'irrisarcibilita' del prestigio compromesso si pone in contrasto con
il principio dell'imparzialita' dell'agere  amministrativo,  per  gli
evidenti effetti distorsivi  che  cio'  comporta  sull'organizzazione
della pubblica amministrazione sotto il duplice profilo della ridotta
potenzialita' operativa  dell'efficienza  nella  cura  dell'interesse
pubblico. 
    Pertanto, tale contestata disposizione, del tutto irrazionale  ed
irragionevole, finisce per minare irrimediabilmente il buon andamento
e l'imparzialita' dell'amministrazione pubblica. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli articoli 134 della Costituzione e 23, terzo comma della
legge 11 marzo 1953 n. 87, preliminarmente giudica  rilevante  e  non
manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale,
in riferimento agli articoli 2, commi primo e secondo, 3 primo comma,
24  primo  comma,  97  primo   comma,   della   Costituzione,   della
disposizione di cui all'art. 17, comma 30-ter della  legge  3  agosto
2009 n. 102 di conversione del decreto-legge 1° luglio  2009  n.  78,
modificata dall'art. 1, comma 1, lett. c) del decreto-legge 3  agosto
2009  n.  103,  convertito  nella  legge  3  ottobre  2009  n.   141,
limitatamente al periodo secondo, in cui  recita  «Le  procure  della
Corte dei conti esercitano l'azione per  il  risarcimento  del  danno
all'immagine nei soli casi e nei  modi  previsti  dall'art.  7  dalla
legge 27 marzo 2001, n. 97». 
    Sospende,  pertanto,  il  giudizio  e,  riservatasi  ogni   altra
pronuncia in rito ed in merito, dispone la  trasmissione  degli  atti
alla Corte costituzionale. 
    Ordina che, a cura della Segreteria, la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti ed al Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
nonche' sia comunicata ai presidenti del Senato  della  Repubblica  e
della Camera dei deputati. 
    Spese riservate al merito. 
    Cosi' disposto in  Firenze  nella  Camera  di  Consiglio  del  10
febbraio 2010. 
 
                    Il presidente f.f.: D'Isanto