N. 38 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 4 maggio 2011

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 4 maggio 2011 (della Regione Liguria). 
 
Bilancio e contabilita' pubblica - Calamita' pubbliche  e  protezione
  civile - Finanza regionale - Sistema di protezione civile -  Regime
  finanziario delle spese relative agli eventi di  maggiore  gravita'
  che debbono essere affrontati "con mezzi e poteri  straordinari"  -
  Previsione che,  a  seguito  della  dichiarazione  dello  stato  di
  emergenza, il Presidente della Regione  possa  deliberare  aumenti,
  sino al limite massimo consentito dalla vigente  legislazione,  dei
  tributi,   delle   addizionali,   delle   aliquote   ovvero   delle
  maggiorazioni di aliquote attribuite alla Regione, nonche'  elevare
  ulteriormente la misura dell'imposta regionale  sulla  benzina  per
  autotrazione, fino a un massimo  di  cinque  centesimi  per  litro,
  ulteriori  rispetto  alla  misura  massima  consentita  -  Prevista
  attivazione  del  Fondo  nazionale  di   protezione   civile   solo
  nell'ipotesi di insufficienza delle risorse  regionali  come  sopra
  incrementate, ovvero per effetto  della  discrezionale  valutazione
  del Governo sulla "rilevanza nazionale" - Ritenuta introduzione  di
  un meccanismo di "federalismo fiscale alla  rovescia"  -  Lamentata
  adozione della disciplina  con  decretazione  d'urgenza,  lamentata
  imposizione alla Regione colpita dall'evento  di  oneri  finanziari
  per attivita' di competenza statale, lamentata discriminazione  dei
  contribuenti   su   base   territoriale,   lamentata   interferenza
  nell'organizzazione  dei  poteri  regionali,  in  subordine  omessa
  partecipazione delle  Regioni  alla  valutazione  della  "rilevanza
  nazionale" dell'evento - Ricorso della Regione Liguria - Denunciato
  abuso della decretazione d'urgenza, violazione  delle  attribuzioni
  legislative e dell'autonomia finanziaria della Regione,  violazione
  dell'autonomia statutaria regionale,  violazione  dei  principi  di
  eguaglianza  e  di  ragionevolezza,  violazione  del  principio  di
  solidarieta', violazione del principio di leale collaborazione. 
- Decreto-legge  29  dicembre   2010,   n.   225,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 26 febbraio 2011, n. 10, art.  2,  comma
  2-quater, che inserisce i commi 5-quater e 5-quinquies nell'art.  5
  della legge 24 febbraio 1992, n. 225. 
- Costituzione, artt. 3, 77, comma  secondo,  117,  commi  secondo  e
  terzo, 118, commi primo e  secondo,  119,  commi  primo,  quarto  e
  quinto, 121, comma secondo, e 123, primo comma; legge  24  febbraio
  1992, n. 225. 
(GU n.23 del 1-6-2011 )
    Ricorso della regione Liguria, in persona  del  presidente  della
regione pro  tempore,  autorizzato  con  deliberazione  della  giunta
regionale 21 aprile 2011, n. 418 (doc. 1),  rappresentata  e  difesa,
come  da  procura  a  margine  del  presente  atto,  dall'avv.  prof.
Giandomenico Falcon di Padova e dall'avv. Luigi Manzi  di  Roma,  con
domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Luigi  Manzi,  in
via Confalonieri n. 5; 
    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   per   la
dichiarazione di illegittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  comma
2-quater del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, recante  proroga
di termini previsti  da  disposizioni  legislative  e  di  interventi
urgenti in materia tributaria e  di  sostegno  alle  imprese  e  alle
famiglie, convertito in legge,  con  modificazioni,  dalla  legge  26
febbraio 2011, n. 10 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 26 febbraio
2011,  n.  47,  supplemento  ordinario),  nella  parte  in  cui  esso
inserisce nell'art. 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225,  i  nuovi
commi 5-quater e 5-quinquies, 
per violazione: 
    dell'art. 3 della Costituzione, in quanto espressivo dei principi
di uguaglianza e di ragionevolezza; 
    dell'art. 77 della Costituzione; 
    dell'art. 117, secondo e terzo comma, della Costituzione; 
    dell'art. 118, primo e secondo comma, della Costituzione; 
    dell'art. 119 della Costituzione; 
    degli artt. 121 e 123 della Costituzione; 
    del principio di leale collaborazione, 
nei modi e per i profili di seguito illustrati. 
 
                                Fatto 
 
    Con la legge 26 febbraio 2011, n.  10,  e'  stato  convertito  il
decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, recante «Proroga  di  termini
previsti da disposizioni  legislative  e  di  interventi  urgenti  in
materia tributaria e  di  sostegno  alle  imprese  e  alle  famiglie»
(cosiddetto «Decreto Milleproroghe»). 
    Inopinatamente, nel corso della procedura di modifica sono  state
inserite in esso disposizioni che nulla hanno a che fare con  il  suo
oggetto originario, ne'  del  resto  con  l'oggetto  dello  specifico
articolo nel quale sono state inserite. 
    Infatti, nell'art.  2  del  decreto-legge,  intitolato  «Proroghe
onerose di termini», e' stato inserito il comma 2-quater,  il  quale,
tra l'altro, introduce nel testo dell'art. 5 della legge 24  febbraio
1992, n. 225, i nuovi commi 5-quater e 5- quinquies. 
    Si tratta di disposizioni che non riguardano affatto le  proroghe
di termini, e che invece  innovano  la  disciplina  della  protezione
civile, ed in particolare il regime finanziario delle spese  relative
agli eventi di cui all'art. 2, comma  1,  lettera  e),  della  stessa
legge, cioe' agli eventi di maggiore  gravita',  che  debbono  essere
affrontati «con mezzi e poteri straordinari». 
    Conviene ricordare sin d'ora che il riconoscimento di tali eventi
avviene  con  atto  del  Governo,  e  che  tale  riconoscimento   (la
dichiarazione dello stato di emergenza) determina la competenza dello
stesso Governo e dei commissari statali nominati sia in relazione  ai
poteri di ordinanza necessari a fronteggiare  la  situazione  che  in
relazione  agli   interventi   materiali   ed   operativi,   affidati
primariamente agli organismi statali di protezione civile. 
    In questo contesto, dispone ora il nuovo comma  5-quater  che  «a
seguito della dichiarazione dello stato di emergenza,  il  presidente
della regione interessata dagli eventi di cui all'art.  2,  comma  1,
lettera  c),  qualora  il  bilancio  della  regione  non   rechi   le
disponibilita'  finanziarie  sufficienti  per  effettuare  le   spese
conseguenti  all'emergenza  ovvero  per  la  copertura  degli   oneri
conseguenti alla stessa, e' autorizzato a deliberare aumenti, sino al
limite massimo consentito dalla vigente  legislazione,  dei  tributi,
delle addizionali,  delle  aliquote  ovvero  delle  maggiorazioni  di
aliquote attribuite alla regione, nonche' ad elevare ulteriormente la
misura dell'imposta regionale  di  cui  all'art.  17,  comma  1,  del
decreto legislativo 21 dicembre 1990, n. 398, fino a  un  massimo  di
cinque centesimi per litro, ulteriori rispetto  alla  misura  massima
consentita». 
    Cosi'  redatta,  la  disposizione  potrebbe  sembrare   meramente
facoltizzante (anche se  cio',  come  si  dira',  non  ne  eviterebbe
l'illegittimita' sotto diversi profili). Ma il suo  vero  significato
viene chiarito dal comma 5-quinquies, pure introdotto  ex  novo,  che
disciplina il  concorso  tra  il  finanziamento  regionale  e  quello
statale. 
    Dispone tale nuovo comma, per la parte che  qui  interessa,  che,
«qualora le misure adottate ai sensi del  comma  5-quater  non  siano
sufficienti, ovvero in tutti gli altri casi di eventi di cui al comma
5-quater di rilevanza  nazionale,  puo'  essere  disposto  l'utilizzo
delle risorse del Fondo nazionale di protezione civile». 
    Risulta dunque evidente che l'intervento finanziario dello  Stato
attraverso  il   Fondo   nazionale   di   protezione   civile   viene
giuridicamente limitato a due sole possibili circostanze, consistenti
da un lato nella insufficienza delle  risorse  regionali,  nonostante
l'attivazione  degli  aumenti  fiscali  di  cui  al  comma  5-quater,
dall'altro,  in  alternativa,  nella  discrezionale  valutazione  del
Governo (se non addirittura del solo  Ministro  dell'economia)  sulla
«rilevanza nazionale» dell'emergenza. 
    Il significato complessivo della disciplina  introdotta  dai  due
nuovi commi consiste dunque nel porre a carico delle regioni  colpite
i costi derivanti dalla calamita' che le ha  colpite,  tranne  quelli
eccedenti il massimo sforzo fiscale che la regione e' «autorizzata» a
compiere o quelli che il Governo discrezionalmente vorra' assumere. 
    Ponendo a carico della regione  colpita  il  finanziamento  degli
interventi  statali  di  protezione  civile,   e   condizionando   il
finanziamento statale delle  relative  azioni  alle  circostanze  ora
esposte, la disciplina posta dai nuovi commi 5-quater  e  5-quinquies
dell'art. 5 della legge  n.  225  del  1992  risulta  lesiva  per  la
ricorrente regione, e risulta altresi' costituzionalmente illegittima
per violazione dei parametri indicati in epigrafe,  per  le  seguenti
ragioni di 
 
                               Diritto 
 
Premessa. Il Servizio nazionale della protezione civile. 
    Il  sistema  di  protezione  civile  e'   stato   originariamente
delineato dalla legge n. 225 del 1992, che ha istituito  il  Servizio
nazionale della protezione civile, ed ha stabilito  una  ripartizione
di competenze tra lo Stato, le regioni e gli enti locali basata sulla
distinzione di tre diversi tipi di eventi avversi. 
    L'art. 2, comma 1, della legge distingue infatti tra: 
    a) eventi naturali  o  connessi  con  l'attivita'  dell'uomo  che
possono essere fronteggiati mediante interventi attuabili dai singoli
enti e amministrazioni competenti in via ordinaria; 
    b) eventi naturali o connessi con l'attivita' dell'uomo  che  per
loro natura ed estensione comportano l'intervento coordinato di  piu'
enti o amministrazioni competenti in via ordinaria; 
    c)  calamita'  naturali,  catastrofi  o  altri  eventi  che,  per
intensita' ed estensione, debbono essere  fronteggiati  con  mezzi  e
poteri straordinari. 
    Sin  dall'inizio  la  legge  prevedeva  (art.  12)  significativi
compiti delle regioni nell'attivita' di  protezione  civile,  e  tali
compiti sono stati  successivamente  ridefiniti  ed  estesi  con  gli
articoli da 107 a 109 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 e
con il decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343  (recante  disposizioni
urgenti per assicurare il  coordinamento  operativo  delle  strutture
preposte alle attivita' di protezione  civile  e  per  migliorare  le
strutture logistiche nel settore della  difesa  civile),  convertito,
con modificazioni, nella legge 9 novembre 2001, n. 401. 
    Tuttavia, per quanto riguarda gli eventi di cui alla sopra citata
lettera c), tutte le funzioni fondamentali sono state sin dall'inizio
assunte dallo Stato, e sono  rimaste  di  sua  competenza  anche  nei
successivi sviluppi. 
    Infatti l'art. 107 del decreto  n.  112  del  1998  riserva  alla
competenza statale,  come  compiti  di  «rilievo  nazionale»,  quelli
relativi, tra l'altro: 
    a) all'indirizzo,  promozione  e  coordinamento  delle  attivita'
delle amministrazioni dello  Stato,  centrali  e  periferiche,  delle
regioni, delle province, dei comuni, delle comunita'  montane,  degli
enti pubblici nazionali e territoriali e di ogni altra istituzione ed
organizzazione pubblica e privata presente sul  territorio  nazionale
in materia di protezione civile; 
    b) alla deliberazione e alla  revoca,  d'intesa  con  le  regioni
interessate, dello stato di emergenza al verificarsi degli eventi  di
cui all'art. 2, comma 1, lettera c), della legge 24 febbraio 1992, n.
225; 
    c) alla emanazione,  d'intesa  con  le  regioni  interessate,  di
ordinanze per l'attuazione di interventi di  emergenza,  per  evitare
situazioni di pericolo, o maggiori danni a  persone  o  a  cose,  per
favorire il ritorno  alle  normali  condizioni  di  vita  nelle  aree
colpite  da  eventi  calamitosi  e  nelle  quali  e'  intervenuta  la
dichiarazione di stato di emergenza di cui alla lettera b); 
    d) alla determinazione dei criteri di massima di cui all'art.  8,
comma 1 della legge 24 febbraio 1992, n. 225; 
    e)  alla  fissazione  di  norme  generali  di  sicurezza  per  le
attivita' industriali, civili e commerciali; 
    f) alle funzione operative riguardanti: 
    1) gli  indirizzi  per  la  predisposizione  e  l'attuazione  dei
programmi di previsione e prevenzione in relazione alle varie ipotesi
di rischio; 
    2) la predisposizione, d'intesa con le regioni e gli enti  locali
interessati, dei piani di emergenza in caso di eventi  calamitosi  di
cui all'art. 2, comma 1, lettera c), della legge 24 febbraio 1992, n.
225 e la loro attuazione; 
    3) il soccorso tecnico urgente, la prevenzione e  lo  spegnimento
degli  incendi  e  lo  spegnimento  con  mezzi  aerei  degli  incendi
boschivi; 
    4) lo svolgimento di periodiche esercitazioni relative  ai  piani
nazionali di emergenza; 
    g) la promozione di studi sulla previsione e la  prevenzione  dei
rischi naturali ed antropici; 
    h) alla dichiarazione dell'esistenza di eccezionale  calamita'  o
avversita' atmosferica, ivi compresa l'individuazione, sulla base  di
quella effettuata dalle regioni, dei territori  danneggiati  e  delle
provvidenze di cui alla legge 14 febbraio 1992, n. 185». 
    Lo Stato esercita, dunque, per gli eventi che richiedono  risorse
e poteri straordinari, le funzioni di riconoscimento,  coordinamento,
disciplina ed intervento, anche attraverso i prefetti  e  le  proprie
strutture facenti parte del Servizio nazionale (crf. artt.  11  e  14
legge n. 225/1992) ed in collaborazione con tutte  le  organizzazioni
non statali facenti parte dello stesso servizio,  nonche'  -  per  la
loro parte - con le regioni e gli enti locali (artt. 12, 13 e 15). 
    Quanto  all'aspetto  finanziario,  prima  dell'intervento   delle
disposizioni  qui  contestate  era  del  tutto  ovvio  che  le  spese
straordinarie, incluse ovviamente quelle relative  ai  costi  diretti
degli interventi statali, facevano  capo  al  Fondo  nazionale  della
protezione civile disciplinato dall'art. 19 della legge base. 
    Si noti che la riforma operata dalla legge  costituzionale  n.  3
del 2001 (art. 117, terzo comma,  della  Costituzione)  ha  posto  la
protezione civile tra le materie di potesta'  legislativa  regionale,
con   concorrente   potere   legislativo   statale   limitato    alla
determinazione dei principi fondamentali. 
    In  questo  modo  la  modifica  costituzionale  ha  dato   sicuro
fondamento  ai  poteri  che  gia'  prima  la   legislazione   statale
attribuiva  alle  regioni,   ed   impone   ora   di   modificare   la
qualificazione giuridica dei poteri legislativi ed amministrativi che
la legislazione  attribuisce  allo  Stato,  ulteriori  rispetto  alla
determinazione dei principi fondamentali. Infatti tali poteri possono
ormai giustificarsi solo in forza della «chiamata in sussidiarieta'»,
con la conseguenza che l'intera loro gestione deve ritenersi soggetta
al principio di leale collaborazione. 
    La modifica della  Costituzione  non  ha  tuttavia  sino  ad  ora
portato a significative modifiche nella  legislazione  ordinaria  che
disciplina il Servizio nazionale di protezione civile:  nella  quale,
come sopra illustrato, l'individuazione e la gestione degli eventi di
cui all'art. 2, comma 1, lettera c) della  legge  n.  225  del  1992,
cioe' delle «calamita' naturali, catastrofi o altri eventi  che,  per
intensita' ed estensione, debbono essere  fronteggiati  con  mezzi  e
poteri straordinari», sono e rimangono di competenza statale. 
    In particolare, la deliberazione del Consiglio dei  ministri  con
la quale tali eventi vengono riconosciuti (d'intesa con  la  regione)
attiva ampli poteri di ordinanza  «in  deroga  ad  ogni  disposizione
vigente» e solo «nel rispetto dei principi generali  dell'ordinamento
giuridico» in capo agli organi statali di governo o dei commissari da
essi delegati (art. 5, commi 2, 3 e 4). 
    Il carattere (esclusivamente) statale di  tali  poteri  e'  stato
confermato da codesta Corte costituzionale anche nel vigore del nuovo
titolo V della parte seconda della Costituzione,  con  decisioni  che
hanno sottolineato  che  la  legislazione  vigente  esclude  «che  il
riconoscimento di poteri straordinari e derogatori della legislazione
vigente possa avvenire da parte di una legge regionale» (sentenza  n.
82 del 2006, punto 3.2 in diritto, e in termini praticamente identici
sentenza n. 284 del 2006). 
    All'interno di questo quadro potranno essere meglio percepite, ad
avviso della ricorrente regione, le diverse ragioni di illegittimita'
costituzionale delle disposizioni qui impugnate. 
1. Illegittimita' costituzionale  delle  disposizioni  impugnate  per
essere state approvate con la procedura della  legge  di  conversione
del decreto-legge n. 225 del 2010, essendo invece totalmente estranee
ad esso, nonche' per radicale assenza di necessita' ed  urgenza,  con
conseguente   violazione   dell'art.   77,   comma   secondo,   della
Costituzione. 
    Come anticipato in narrativa, le disposizioni qui contestate  non
soltanto non erano contenute nel decreto-legge n. 225  del  2010,  ma
sono del tutto estranee al suo oggetto originario. 
    Ne e'  riprova  l'inserimento  delle  disposizioni  nell'art.  2,
dedicato alle «proroghe onerose», tema con cui non  ha  nulla  a  che
fare la disciplina  qui  contestata.  D'altronde,  l'art.  1  era  e'
dedicato alle «proroghe non onerose», mentre  l'art.  3  del  decreto
originario riguardava la copertura finanziaria e l'art. 4 -  l'ultimo
- l'entrata in  vigore.  La  struttura  semplice  del  decreto  e  la
distribuzione della materia rivelano l'assoluta estraneita'  ad  essa
di una nuova disciplina delle fonti di finanziamento delle  attivita'
di protezione civile in caso di emergenza da fronteggiare con risorse
e mezzi straordinari. 
    L'introduzione di tali disposizioni nel testo  del  decreto-legge
non ha dunque alcuna giustificazione e puo' spiegarsi soltanto con il
desiderio di avvalersi della corsia preferenziale rappresentata dalla
legge di conversione del decreto-legge. Cio' tuttavia si  traduce  in
una violazione della Costituzione, ed in  particolare  dell'art.  77,
comma secondo. 
    Infatti, la legge di conversione ha contenuto tipico e vincolato,
consistente   appunto   nella   conversione   di    un    determinato
decreto-legge. Essa non puo' essere utilizzata  come  un  contenitore
idoneo  a  trasportare  qualunque  disposizione  di  cui  si   voglia
agevolare l'iter, sottraendola all'ordinaria procedura legislativa. 
    Inoltre, le disposizioni impugnate  sono  palesemente  sprovviste
dei requisiti di necessita' ed urgenza che - soli -  ne  giustificano
l'emanazione mediante decreto-legge. 
    Infatti,  la  disciplina  non  si  riferisce  ad  alcuna  urgenza
specifica, ne' del resto si  accenna  in  alcun  luogo  a  specifiche
ragioni che rendessero urgenti le nuove disposizioni. 
    Che non vi fosse urgenza alcuna e' confermato anche  dalla  bozza
di indirizzi per lo svolgimento delle  attivita'  propedeutiche  alle
deliberazioni  del  Consiglio  dei  Ministri  da  adottare  ai  sensi
dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 e  per  la
predisposizione ed attuazione delle  ordinanze  di  cui  all'art.  5,
commi 2 e 3 della  legge  24  febbraio  1992,  n.  225,  nonche'  per
l'attuazione del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225,  convertito,
con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, la  quale  ha
invece il tipico andamento della circolare  esplicativa  che  per  il
futuro punto per punto illustra (e, come  si  dira',  interpreta)  il
contenuto della disciplina da applicare. 
    Dunque, si tratta soltanto del  mutamento  del  quadro  normativo
relativo al finanziamento delle attivita' di  protezione  civile  che
richiedono   risorse   e   mezzi   straordinari,   attuato   mediante
l'inappropriata  procedura  della  (legge   di   conversione   della)
decretazione d'urgenza. 
    Anche in questo caso vi e' dunque violazione dell'art. 77,  comma
secondo, della Costituzione. 
    Trattandosi di intervento nella materia di  potesta'  concorrente
«protezione  civile»  di  cui  all'art.  117,  comma   terzo,   della
Costituzione, che prevede oneri a carico delle regioni, l'alterazione
delle regole proprie  della  legislazione  statale  e  l'abuso  della
(legge di conversione del) decreto-legge si traduce  in  una  lesione
delle  prerogative  costituzionali  della  regione,   che   essa   e'
legittimata a denunciare ai sensi dell'art. 127, comma secondo, della
Costituzione: cio' sia perche' cosi'  facendo  lo  Stato  vincola  le
regioni e rende deteriore la loro posizione utilizzando uno strumento
improprio,  che  la  Costituzione  ammette  per  esigenze  del  tutto
diverse, sia  perche'  l'approvazione  di  una  nuova  disciplina  «a
regime» attraverso la corsia accelerata della  legge  di  conversione
pregiudica la possibilita' per le regioni di  far  presenti  le  loro
esigenze nel procedimento legislativo. 
    E' ben nota  la  giurisprudenza  di  codesta  Corte  che  ammette
l'invocazione di parametri esterni al titolo V, qualora la violazione
di essi si traduca in  lesione  delle  competenze  costituzionalmente
garantite (v., ad es., la sent. n.  116/2006,  secondo  la  quale  le
regioni «possono far valere il  contrasto  con  nonne  costituzionali
diverse da quelle attributive di competenza legislativa  soltanto  se
esso  si  risolva  in  una  esclusione  o  limitazione   dei   poteri
regionali»). La giurisprudenza costituzionale conosce  ormai  diversi
casi  in  cui  leggi  statali  sono  state  censurate  in  quanto  la
compressione  di  prerogative  regionali   avveniva   attraverso   la
violazione  di  norme  esterne  al  titolo  V  (casi  di  lesione  di
competenza c.d. indiretta): v, ad es.,  le  sentt.  n.  503/2000,  n.
206/2001 (punti 15, 16 e 34 del diritto), n.  110/2001,  n.  303/2003
(punto 35 del diritto), n. 280/2004 (punto 5), n. 355/1993 (punti 4 e
12), n. 87/1996, n. 338/1994 (punti 5 e 6), n. 412/2001, n. 302/1988,
n. 6/2004 (punto 3), n. 196/2004 (punto 18). 
    Del  resto,  un   cittadino   «toccato»   da   un   provvedimento
amministrativo puo' far valere qualsiasi violazione di legge,  e  non
solo la violazione delle norme che  specificamente  lo  garantiscono,
perche' la p.a. puo' incidere sui suoi interessi solo nel rispetto di
tutte le norme che ne regolano l'azione: non si vede, allora, perche'
gli interessi delle regioni e  le  norme  costituzionali  procedurali
debbano ricevere minore tutela. 
    Si tenga poi presente che e' ormai  pacifica  -  dopo  le  sentt.
171/2007 e 128/2008 - la possibilita' per la Corte costituzionale  di
annullare un decreto-legge per difetto dei presupposti di  necessita'
e  urgenza:  negare  la  possibilita'  di  un'impugnazione   in   via
principale fondata sull'art. 77 Cost. significherebbe  far  permanere
nell'ordinamento una disciplina incostituzionale, censurabile in  via
incidentale, con effetti negativi per la certezza del diritto:  anche
per questo motivo le regioni sono legittimate ad invocare  l'art.  77
Cost., qualora il decreto-legge incida su materie regionali. 
2. Illegittimita'  costituzionale  delle  disposizioni  impugnate  in
quanto esse determinano il finanziamento a carico  delle  regioni  di
attivita' di competenza statale, in violazione dell'art.  119,  commi
primo, quarto e quinto, della Costituzione. 
    Nella parte narrativa del presente ricorso e'  stato  esposto  il
riparto  di  competenze  stabilito  dalla  legislazione  statale  nel
servizio della protezione civile, ed  in  particolare  la  competenza
statale sia nelle decisioni relative agli eventi  che  richiedono  di
essere affrontati con mezzi e poteri straordinari, sia nella concreta
gestione delle emergenze determinate da tali eventi. 
    Le nuove disposizioni, qui contestate, non modificano minimamente
tale quadro: non diminuiscono il ruolo  statale,  non  affidano  alle
regioni maggiori responsabilita' e poteri. Esse mantengono allo Stato
tutte le sue competenze ma, bizzarramente, vorrebbero invece porre il
costo degli  interventi  a  carico  della  regione  o  delle  regioni
colpite, illegittimamente spezzando il nesso tra risorse e funzioni. 
    Infatti, nonostante il tenore letterale del nuovo comma 5-quater,
secondo il quale dopo la dichiarazione dello stato di  emergenza,  il
presidente della regione interessata dagli eventi di cui all'art.  2,
comma 1, lettera c), «e'  autorizzato  a  deliberare  aumenti»  sopra
descritti, la connessione con il successivo comma 5-quinquies -  pure
impugnato - rivela che si tratta invece di un atto dovuto, in assenza
del quale non vi sarebbe alcuna risorsa finanziaria  disponibile  per
affrontare l'emergenza: la  regione  infatti  non  disporrebbe  delle
risorse, e lo Stato non sarebbe neppure abilitato  ad  utilizzare  il
Fondo nazionale per la protezione civile, se  non  per  emergenze  di
«rilievo nazionale». 
    Che cosi' stiano le cose,  del  resto,  lo  dice  apertamente  il
documento di indirizzi elaborato dalla Presidenza del  Consiglio  dei
Ministri (doc. 2), il quale testualmente afferma - come si  e'  fatto
qui - che dalla combinazione delle due disposizioni si «ricava in via
interpretativa» che «per la singola regione interessata  (ovvero  per
le regioni interessate) le iniziative di cui alle precedenti  lettere
a)-c)» dello stesso atto di indirizzo -  cioe'  proprio  gli  aumenti
fiscali in questione - «costituiscano un vero e proprio onere, e  non
piuttosto  una  mera  facolta'  lasciata   alla   libera   iniziativa
discrezionale della regione»  (pag.  7).  Dunque,  puo'  considerarsi
acquisito  che,  secondo  la  nuova  disciplina,   subito   dopo   la
dichiarazione dello stato  di  emergenza  da  parte  del  Governo  il
presidente della regione e' tenuto a deliberare gli aumenti  fiscali,
e  che  ove  non  lo  facesse  non  vi  sarebbe  risorsa  alcuna  per
fronteggiare l'emergenza,  non  potendo  essere  utilizzato  (per  le
emergenze non  di  «rilievo  nazionale»)  il  Fondo  nazionale  della
protezione civile se non ad integrazione  dell'insufficiente  gettito
fiscale dei nuovi tributi. 
    Quanto alla circostanza che le maggiori risorse  fiscali  che  la
regione colpita dovrebbe richiedere alla  propria  popolazione  siano
destinate anche ed in primo luogo a coprire  le  spese  degli  organi
dello  Stato,  essa  risulta  in  primo  luogo  dalla  lettera  delle
disposizioni qui impugnate, in cui si  parla  di  «spese  conseguenti
all'emergenza ovvero per la copertura degli  oneri  conseguenti  alla
stessa» (comma 5-quater), ed e' confermato dalla  bozza  di  atto  di
indirizzo sopra citata, nella quale testualmente si afferma (pag.  8)
che  «le  risorse  complessivamente  individuate   per   far   fronte
all'emergenza»  -  cioe'  quelle  derivanti  dagli  aumenti  fiscali,
integrate in caso di insufficienza  dal  Fondo  protezione  civile  -
«dovranno essere destinate anche al  ristoro  degli  oneri  derivanti
dall'attivazione o dall'impiego delle componenti  e  delle  strutture
operative del Servizio nazionale di protezione civile». 
    La  bizzarria  della  situazione  e'   accentuata   dalla   nuova
disposizione inserita nell'art. 5, comma 2,  legge  n.  225/1992,  ad
opera dell'art. 2, comma 2-quinquies, decreto-legge n. 225/2010:  «Le
ordinanze sono emanate di concerto,  relativamente  agli  aspetti  di
carattere  finanziario,  con  il  Ministro  dell'economia   e   delle
finanze». Gli interventi devono essere pagati  dalla  regione  ma  le
ordinanze vanno assunte di concerto con il Ministro dell'economia! 
    La pretesa di far finanziare dalla  regione  colpita  l'esercizio
dei compiti statali in materia di protezione  civile  viola  in  modo
palese  l'autonomia   finanziaria   regionale,   quale   disciplinata
dall'art. 119 della Costituzione. 
    Questo dispone in primo luogo - come e' ben noto - che «i comuni,
le province, le citta' metropolitane e  le  regioni  hanno  autonomia
finanziaria di entrata e di spesa» (primo comma). Gia' l'autonomia di
entrata e' contraddetta da una normativa che da un  lato  obbliga  la
regione ad introdurre determinati aumenti dei tributi da  riscuotere.
Ancor piu' e' contraddetta l'autonomia di spesa da  una  disposizione
che obbliga la regione a utilizzare le proprie entrate  a  favore  di
organismi statali per l'esercizio  dei  loro  compiti  istituzionali,
corrispondenti ad una specifica competenza statale. 
    Risulta poi violato il comma quarto, secondo il quale le  risorse
proprie delle regioni (quelle tributarie e quelle derivanti dal fondo
perequativo,  di  cui  rispettivamente  ai  commi  secondo  e  terzo)
«consentono ai comuni, alle province,  alle  citta'  metropolitane  e
alle regioni di finanziare integralmente le funzioni  pubbliche  loro
attribuite». E' infatti evidente in questa disposizione il necessario
legame - del resto ovvio -  tra  le  proprie  entrate  e  le  proprie
funzioni, ed il connesso divieto di distogliere le entrate  regionali
per il finanziamento di funzioni statali. 
    In altre parole,  nulla  vieta  allo  Stato  di  attribuire  alle
regioni maggiori compiti e maggiori  responsabilita'  in  materia  di
protezione civile, chiamando esse ad intervenire e a  decidere  anche
nei  casi  che  non  abbiano  «rilievo  nazionale»  ma  che  comunque
richiedano di essere affrontati con mezzi e poteri  straordinari  (si
tratta appunto dei  casi  prefigurati  dai  nuovi  commi  5-quater  e
5-quinquies),  assegnando  alle  regioni   i   relativi   compiti   e
responsabilita', e dotandole dei mezzi finanziari per farvi fronte, o
dei poteri necessari per procurarsi tali mezzi. Ma non puo' invece lo
Stato mantenere a se stesso le relative responsabilita', decisioni  e
funzioni e «mandare il conto» alle regioni. 
    Risulta infine contraddetto anche il comma quinto dell'art.  119,
il quale prevede esattamente il contrario di  quanto  disposto  dalle
disposizioni contestate, disponendo che, affinche' le regioni possano
«provvedere  a  scopi  diversi  dal  normale  esercizio  delle   loro
funzioni» - come  nel  caso  delle  necessita'  derivanti  da  eventi
calamitosi - sia lo Stato a destinare risorse aggiuntive,  mentre  la
normativa qui contestata chiede invece proprio alle  regioni  colpite
di destinare «risorse aggiuntive» in favore di  organi  ed  attivita'
statali. 
    L'art. 119, comma 5,  e'  violato  anche  sotto  il  profilo  del
principio di solidarieta' (ricavabile anche nell'art.  2  Cost.),  in
quanto le spese derivanti dalla calamita' non vengono  ripartite  tra
la comunita' nazionale ma vengono addossate solo alla regione colpita
e proprio ad essa, cioe'  ad  un  ente  e  ad  una  popolazione  gia'
indeboliti dall'evento dannoso. 
3. Violazione dell'art. 118, primo comma,  in  quanto  definanzia  le
funzioni amministrative spettanti allo Stato in forza  del  principio
di sussidiarieta'. Violazione dell'art. 3  in  quanto,  per  funzioni
assunte dallo Stato, impone oneri ai contribuenti di una  sola  o  di
determinate regioni, ad esclusione  di  ogni  altra.  Violazione  del
principio di ragionevolezza. 
    Secondo l'art. 118, comma 1, lo Stato puo' attribuire a se stesso
funzioni che richiedano l'esercizio unitario per l'intero  territorio
nazionale. 
    E' implicito in tale disposizione che i relativi oneri  economici
debbono pure essere assunti dallo Stato. Sarebbe infatti assurdo  che
funzioni che il principio di unita' della Repubblica  richiede  siano
esercitate dallo  Stato  non  trovassero  poi  nel  bilancio  statale
apposita copertura finanziaria. 
    E' violato altresi' il principio di uguaglianza di  cui  all'art.
3, comma primo, della Costituzione, in quanto di fronte all'esercizio
di competenze dello  Stato,  da  questo  assunte  in  attuazione  del
principio unitario, non puo' essere giustificata  la  discriminazione
dei contribuenti su base territoriale. 
    Infatti, mentre puo' essere normale che  i  contribuenti  di  una
regione siano chiamati a coprire mediante il  pagamento  di  apposite
imposte le spese che quella regione incontra  per  l'esercizio  delle
proprie funzioni e per far fronte alle proprie  responsabilita',  una
volta che lo Stato assuma su di se' le funzioni, non si vede su quale
fondamento  i  contribuenti  della  regione  colpita  possano  essere
chiamati ad un  dovere  fiscale  piu'  elevato  rispetto  agli  altri
cittadini. 
    Per la parte di contribuenti  regionali  che  siano  essi  stessi
colpiti dall'evento straordinario la norma che fiscalmente li punisce
risulta doppiamente iniqua, dal momento che  essi  dovrebbero  semmai
beneficiare della solidarieta' dei contribuenti non colpiti. 
    Ma anche in relazione ai cittadini della regione  che  non  siano
stati colpiti dall'evento straordinario, non vi e' alcuna ragione che
possa indurre ragionevolmente a porre  a  loro  carico  uno  speciale
onere fiscale, una volta che il compito del  soccorso  venga  assunto
dallo Stato quale rappresentante della comunita' nazionale. 
    Infine - per questo punto  -  il  nuovo  comma  5-quater  risulta
irragionevole anche in quanto pretende di  far  fronte  a  costi  che
debbono essere coperti mediante  entrate  immediatamente  disponibili
attraverso misure che sono invece incerte nel risultato e comunque in
grado di produrre i propri effetti solo in un periodo medio o lungo. 
    La regione e' legittimata a  denunciare  sia  la  violazione  del
principio di eguaglianza che quella del principio di  ragionevolezza,
in quanto le norme censurate impongono manovre tributare alla regione
e incidono negativamente sui cittadini regionali. 
4.  Violazione  della  Costituzione   e   dell'autonomia   statutaria
regionale per diretta individuazione dell'organo regionale competente
a determinare gli aumenti fiscali. Violazione della Costituzione  per
violazione della competenza legislativa del consiglio regionale. 
    Come sopra esposto, il nuovo comma 5-quater della  legge  n.  225
del 1992, introdotto dalla impugnata legge n. 10  del  2011,  prevede
che a  seguito  della  dichiarazione  dello  stato  di  emergenza  il
presidente della regione sia «autorizzato a  deliberare  aumenti»  di
carattere fiscale. 
    Si e' visto sopra come la  terminologia  dell'autorizzazione  sia
fuorviante, trattandosi  piuttosto  di  un  obbligo.  Ma,  mentre  lo
obbliga, al tempo stesso  la  norma  statale  da'  al  presidente  un
potere, che esso non ha nel quadro del riparto di competenze tra  gli
organi regionali. 
    E' chiaro infatti che, sia in forza del principio di legalita' di
cui all'art. 23 Cost., sia in forza del riparto di competenze tra gli
organi regionali  stabilito  dall'art.  121,  comma  secondo,  Cost.,
spetta al consiglio regionale  di  deliberare  con  legge  i  tributi
regionali e la loro disciplina. 
    Inoltre e' ovvio, anche ove l'allocazione della  competenza  alla
deliberazione delle maggiorazioni fiscali  non  fosse  predeterminata
dalla Costituzione - e dunque nella misura in cui non lo sia - che la
precisazione di tale competenza non spetta dalla  legislazione  dello
Stato, ma all'autonomia statutaria  di  ciascuna  regione  (v.  sent.
407/1989). 
    Dunque, la disposizione di cui al  comma  4-quater,  individuando
nel presidente l'organo  competente,  viola  sia  l'art.  121,  comma
secondo, della Costituzione (nella parte in  cui  questo  assegna  al
consiglio regionale l'esercizio delle potesta' legislative attribuite
alla regione), sia l'autonomia statutaria di cui all'art. 123,  comma
primo, della Costituzione. Si noti che il vero  effetto  della  norma
impugnata e' proprio quello di conferire il potere  in  questione  al
presidente, dato che, dal punto di vista sostanziale, il nuovo  comma
5-quater autorizza «aumenti, sino al limite massimo consentito  dalla
vigente  legislazione»  (tranne  per  quel  che  riguarda   l'imposta
relativa alla benzina), per cui non  c'e'  un  vero  ampliamento  del
potere impositivo. 
5.  In  subordine.  Illegittimita'  costituzionale  del  nuovo  comma
5-quinquies della legge n. 225 del  1992,  nella  parte  in  cui  non
prevede  la  partecipazione  delle  regioni  alla  valutazione  della
«rilevanza nazionale» dell'evento, in  violazione  del  principio  di
leale collaborazione. 
    Come sopra illustrato, le nuove  disposizioni  impongono  che  le
spese degli eventi di cui all'art. 2, comma 1, lettera c) della legge
n. 225 del 1992 siano a carico della regione o delle regioni colpite,
e che la finanza statale intervenga solo in via sussidiaria, ove  non
siano sufficienti le risorse regionali derivanti dalle  maggiorazioni
fiscali oppure in caso di eventi di «rilevanza nazionale». 
    Si sono altresi' sopra illustrate le ragioni per le quali  questo
meccanismo di «federalismo fiscale alla rovescia», per  il  quale  le
regioni pagano per le responsabilita' statali, sia costituzionalmente
illegittimo. 
    Tuttavia,  ove  codesta  ecc.ma  Corte   costituzionale   dovesse
ritenere  legittimo  che  le   operazioni   statali   di   intervento
straordinario di protezione civile debbano essere finanziate  con  la
maggiore  contribuzione  fiscale  della  popolazione  delle   regioni
colpite, ne risulterebbe un sistema nel quale tale contribuzione puo'
essere evitata soltanto mediante la determinazione che si  tratti  di
una emergenza di «rilievo nazionale». 
    Rispetto a tale  determinazione,  esiste  un  evidente  interesse
della regione o delle regioni colpite, ma esiste anche  un  non  meno
evidente  interesse  dell'insieme   delle   regioni,   sia   per   la
determinazione  dei  criteri  relativi  a  tale  decisione,  sia  per
l'assunzione  delle  singole  decisioni:  i  primi  infatti  sono  di
interesse per tutte le regioni, in quanto potenziali destinatarie  di
corrispondenti determinazioni, le  seconde  sono  pure  di  interesse
delle  regioni  in  quanto  va  assicurata  la  condivisione   e   la
correttezza nell'uso del Fondo nazionale. 
    Si ricorda, tra l'altro, che le funzioni  amministrative  statali
nella  materia   sono   assunte   in   forza   della   «chiamata   in
sussidiarieta'». 
    Al  contrario,  la  legge  non  contiene  procedura  alcuna   per
l'assunzione della decisione circa il rilievo nazionale  dell'evento,
implicitamente  attribuendone  la  competenza  al  Governo,  se   non
addirittura ai singoli Ministri responsabili del Fondo. 
    Di qui l'illegittimita' costituzionale della disposizione,  nella
parte in cui non prevede la  partecipazione  al  tale  decisione  sia
della Conferenza Stato-regioni che delle regioni  sulle  quali  -  in
caso di  mancato  riconoscimento  del  rilievo  nazionale  -  incombe
l'onere della maggiorazione fiscale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso,
dichiarando l'illegittimita' costituzionale dei nuovi commi  5-quater
e 5-quinquies, introdotti nell'art. 5 della legge 24  febbraio  1992,
n. 225, dall'art. 2, comma 2-quater, del  decreto-legge  29  dicembre
2010, n. 225, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge  26
febbraio 2011, n. 10, e dunque dello stesso art. 2, comma 2-quater di
tale legge (in quanto introduce i nuovi commi qui contestati),  nelle
parti e sotto i profili esposti nel presente ricorso. 
      Padova-Roma, addi' 6 aprile 2011 
 
          Prof. Avv. Giandomenico Falcon - Avv. Luigi Manzi 
 
    1) Deliberazione della giunta regionale  n.  418  del  21  aprile
2011. 
    2) Bozza di determinazione della  Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri  recante  indirizzi  per  lo  svolgimento  delle   attivita'
propedeutiche  alle  deliberazioni  del  Consiglio  dei  Ministri  da
adottare ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992,
n. 225 e per la predisposizione ed attuazione delle ordinanze di  cui
all'art. 5, commi 2 e 3 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, nonche'
per  l'attuazione  del  decreto-legge  29  dicembre  2010,  n.   225,
convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10.