N. 12 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 20 dicembre 2010
Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (merito) depositato in cancelleria 16 maggio 2011. Reati ministeriali - Apertura delle indagini preliminari da parte della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere e conclusione della Procura della Repubblica di Napoli nei confronti dell'allora Ministro della giustizia, on. Mario Clemente Mastella - Richieste di rinvio a giudizio da parte del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli - Ordinanza del giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli di rigetto dell'eccezione di incompetenza funzionale del Tribunale di Napoli a giudicare delle richieste di rinvio a giudizio - Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Senato della Repubblica nei confronti del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, del giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli - Denunciata mancata trasmissione da parte dell'autorita' giudiziaria inquirente, ai sensi dell'art. 6 della legge costituzionale n. 1 del 1989, degli atti al Collegio per i reati ministeriali - Denunciata omessa comunicazione del procedimento in corso al Senato della Repubblica - Denunciata rivendicazione da parte dell'autorita' giudiziaria, senza obbligo di informazione a favore delle Camere, della spettanza "esclusiva" della potesta' qualificatoria dell'illecito penale contestato - Denunciata conseguente menomazione del diritto di partecipazione del ricorrente al procedimento - Lesione della sfera di attribuzioni del Senato della Repubblica - Richiesta alla Corte di dichiarare la non spettanza ai procuratori sopra menzionati di esperire indagini a carico dell'on. Mario Clemente Mastella, Ministro all'epoca dei fatti, omettendo di trasmettere gli atti al Collegio per i reati ministeriali e la non spettanza al giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Napoli di giudicare il suddetto Ministro e di procedere secondo il rito ordinario - Conseguentemente richiesta di annullamento degli atti sopra indicati. - Richiesta di rinvio a giudizio da parte del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli dell'11 maggio 2009, R.G.N.R. n. 8213/2009; Richiesta di rinvio a giudizio da parte del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli del 2 febbraio 2010, R.G.N.R. n. 5736/2010; Ordinanza del Tribunale di Napoli, Sezione G.I.P./G.U.P., del 20 ottobre 2010. - Costituzione, art. 96; legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1, artt. 6, 7 e 8.(GU n.23 del 1-6-2011 )
Il Senato della Repubblica in persona del Presidente Avv. Renato Giuseppe Schifani autorizzato con deliberazione del Senato della Repubblica del 17 novembre 2010, difeso e rappresentato, in forza di delega in calce al presente atto, dall'Avv. prof. Piero Alberto Capotosti, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via Cesare Ferrero di Cambiano, 82 nei confronti della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli nonche' del Tribunale di Napoli - Sezione del G.I.P./G.U.P. in relazione: all'apertura delle indagini preliminari da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nei confronti del Ministro della giustizia on. Mario Clemente Mastella, con omissione degli adempimenti processuali di cui all'art. 6 della legge Cost. n. 1 del 1989;, all'apertura delle indagini preliminari da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli nei confronti del Ministro della giustizia on. Mario Clemente Mastella, con omissione degli adempimenti processuali di cui all'art. 6 della legge Cost. n. 1 del 1989; alla richiesta di rinvio a giudizio del Ministro della giustizia on. Mario Clemente Mastella da parte del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli in data 11 maggio 2009, depositata il 14 maggio 2009, R.G.N. R. n. 8213/2009; alla richiesta di rinvio a giudizio del Ministro della giustizia on. Mario Clemente Mastella da parte del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli in data 2 febbraio 2010, depositata il 4 febbraio 2010, R.G.N. R. n. 5736/2010; all'ordinanza 20 ottobre 2010 del Tribunale di Napoli, Sezione G.I.P./G.U.P., di rigetto dell'eccezione di incompetenza funzionale del Tribunale dl Napoli a giudicare della richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell'allora Ministro della giustizia on. Mario Clemente Mastella. F a t t o 1. - Il presente ricorso per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato trae origine da una serie di indagini che la Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere prima, e la Procura della Repubblica di Napoli, poi, hanno compiuto nei confronti dell'allora titolare del Ministero della giustizia, on. Mario Clemente Mastella. Nonostante le indagini si riferiscano a fatti che si imputano commessi in pendenza dell'incarico ministeriale, i magistrati inquirenti non hanno ritenuto di dovere applicare l'art. 6 della legge costituzionale n. 1 del 1989, che impone l'invio degli atti relativi al Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo, nel cui ambito e' istituto lo speciale collegio previsto dall'art. 7 della stessa legge, e non hanno neppure ritenuto, quanto meno, di informare il Senato, Camera competente, nel caso di specie, alla concessione dell'autorizzazione prevista dall'art. 96 della Costituzione. 2. - L'indagine viene alla luce, di conseguenza, soltanto quando la Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere chiede l'emissione di misure cautelari nei confronti di diversi indagati (tra cui uno stretto congiunto dell'on. Mastella), ipotizzando una serie di reati, alcuni dei quali si contesta che siano stati commessi in concorso con il Ministro Mastella. A fronte della predetta richiesta di misure cautelari da parte del pubblico ministero, il G.I.P. dei Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dichiara la propria incompetenza territoriale e trasmette gli atti alla Procura della Repubblica di Napoli, territorialmente competente. Quest'ultima, peraltro, ritenendo, al pari della Procura di Santa Maria Capua Vetere, di non dovere attivare lo speciale procedimento relativo ai reati «ministeriali», e neppure di dovere informare il Senato, compie ulteriori indagini anche nei confronti, fra gli altri, dell'on. Clemente Mastella, per il quale anzi richiede, basandosi anche sul contenuto di intercettazioni telefoniche, il rinvio a giudizio per fatti tutti risalenti al tempo dell'incarico ministeriale. A fronte di questa prima richiesta da parte del pubblico ministero di Napoli, il Giudice per l'Udienza Preliminare dello stesso Tribunale, dopo aver disposto lo stralcio della posizione processuale dell'on. Mastella, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale della disciplina relativa alle intercettazioni c.d. indirette compiute nei confronti di un parlamentare della Repubblica (cfr. ordinanza Corte cost. n. 263 del 2010). Successivamente, a seguito di un nuovo avviso di conclusione delle indagini preliminari relative ad altre (ma similari) notizie di reato sempre concernenti fatti risalenti al tempo dell'incarico di Ministro, e della richiesta di ulteriori misure cautelari a carico dell'on Mastella, anche il Giudice delle Indagini Preliminari dello stesso Tribunale ha disposto lo stralcio della posizione processuale e sollevato una questione di costituzionalita' analoga a quella gia' sollevata in precedenza dal G.U.P. Cio' nonostante, il Procuratore della Repubblica di Napoli chiede, nel merito, il rinvio a giudizio dell'on. Mastella, che eccepisce, a questo punto, r l'incompetenza funzionale del Tribunale di Napoli, in ragione della spettanza, ai sensi della normativa vigente, del c.d. Tribunale dei Ministri di Napoli di stabilire il carattere ministeriale o meno del reato addebitato, salva, in ogni caso, apposita comunicazione alla Camera competente. L'on. Mastella eccepiva altresi' il reiterato, mancato assolvimento, nella specie, dell'obbligo gravante sul magistrato requirente di informare comunque il Senato del procedimento in corso. 3. - Con l'ordinanza del 20 ottobre 2010 il G.U.P. del Tribunale di Napoli ha pero' rigettato l'eccezione di incompetenza funzionale, disattendendo espressamente l'interpretazione «secondo la quale in ogni caso di indagini riguardanti un Ministro, il magistrato inquirente dovrebbe informare la Camera di riferimento circa la propria decisione di qualificare come "non ministeriale" il fatto-reato addebitato al ministro stesso, poiche' in caso contrario ne sarebbero menomate le attribuzioni di garanzia della Camera, cui sarebbe impedito di esprimere la propria valutazione». In particolare, secondo il G.U.P., detta interpretazione implicherebbe «la negazione per l'AG procedente della potesta' esclusiva di qualificare la natura del reato», e non sarebbe in ogni caso «consentita dalla circoscritta portata della decisione costituzionale n. 241 del 2009, foriera di alterarne l'equilibrio ed incoerente con l'intero quadro normativo di riferimento». Ne deriverebbe infatti «un'ulteriore tutela, oltre quella gia' prevista dalla procedura di livello costituzionale, per di piu' in via preventiva, per coloro che rivestono o hanno rivestito funzioni ministeriali, che appare poco compatibile oltre che con il principio generale di uguaglianza, anche con quello - che del primo costituisce conseguenza - dell'obbligatorieta' dell'azione penale». Svolte queste considerazioni, il G.U.P., dunque, coerentemente con la propria (del tutto erronea) premessa che l'autorita' giudiziaria procedente gode della «esclusiva» potesta' di qualificare la natura del reato contestato al Ministro, stabilisce che non sussiste a carico del Magistrato inquirente alcun onere specifico di comunicazione alle Camere del procedimento contro il Ministro e stabilisce la propria competenza a giudicare «l'esclusione della qualita' di reato ministeriale», esclusione che ritiene, nel caso di specie, risultare «aderente alle evidenze processuali». 4. - L'erronea premessa della competenza esclusiva dell'autorita' giudiziaria in ordine alla qualificazione del reato addebitato al Ministro nel periodo in carica, fatta propria tanto dall'ufficio del pubblico ministero procedente quanto dal Giudice per l'Udienza Preliminare del Tribunale di Napoli, ha determinato ulteriori gravi conseguenze sul piano costituzionale. Infatti ha impedito in radice al Senato della Repubblica - Camera competente a concedere l'autorizzazione a procedere nei confronti del Ministro nel caso di specie - di fruire dell'applicazione di diverse previsioni costituzionali e legislative finalizzate, nel quadro della disciplina dei reati ministeriali, a consentire l'esercizio delle proprie attribuzioni in materia, e cio' a partire dalla disponibilita' dei vari elementi di cognizione dei fatti a tal fine indispensabili. Cio' ha determinato, quale primo effetto della predetta menomazione, che il Senato della Repubblica sia stato posto nella condizione inammissibile di dovere ricercare altrimenti le informazioni necessarie all'esercizio dei suoi poteri di prerogativa. In questo senso, infatti, su indicazione della Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari, in data 22 dicembre 2009, il Presidente del Senato ha comunicato all'on. Alfano, titolare del Ministero della Giustizia, l'impossibilita' per il Senato, in relazione ai procedimenti penali in corso a carico dell'on. Mastella, di «procedere ad una valutazione della questione sulla base degli atti al momento a disposizione», e ha sollecitato di conseguenza il Ministro affinche' «voglia richiedere ai competenti uffici giudiziari tutti gli elementi conoscitivi relativi ai procedimenti penali cui sopra si e' fatto riferimento e che investono l'onorevole Mastella». Nonostante questo intervento del Presidente del Senato trascorrono diversi mesi senza che detti elementi vengano portati alla conoscenza del Senato. L'acquisizione degli atti, allora, viene nuovamente sollecitata, da parte del Senato, al Ministro della giustizia in data 17 giugno 2010, e poi, ancora, il successivo 30 ottobre, il Presidente del Senato si rivolge direttamente al Presidente del Tribunale di Napoli, affinche' voglia «trasmettere al Senato gli atti in oggetto, nei limiti consentiti dalla legge e con la sollecitudine che il tempo ormai decorso richiede, in modo da consentire alla Giunta di esercitare le proprie competenze». Solo il 16 novembre 2010, a quasi due anni di distanza dall'esercizio dell'azione penale da parte della Procura della Repubblica di Napoli e a quasi un anno dalla prima richiesta di acquisizione degli atti rivolta al Ministro della giustizia, il Senato ottiene risposta dal parte dell'Autorita' giudiziaria, limitandosi peraltro il Presidente del Tribunale di Napoli ad informare il Presidente del Senato che «la richiesta di documentazione datata 4 ottobre 2010 da parte del Ministero era indirizzata al Procuratore della Repubblica di Napoli», e che tale ufficio aveva dato «diretto riscontro al Capo Gabinetto del Ministro» con nota del 2 novembre 2010 e relativi allegati. 5. - E' sufficiente questo breve riepilogo dei fatti a porre in assoluta evidenza la menomazione causata alle attribuzioni costituzionali del Senato della Repubblica dal modo in cui sia la Procura della Repubblica di Capua Vetere, sia quella di Napoli hanno esercitato l'azione penale nei confronti dell'on. Mastella, titolare all'epoca del Ministero della giustizia, sia infine dalla citata ordinanza del Giudice per l'udienza Preliminare, in cui stabilendo la competenza «esclusiva» dell'autorita' giudiziaria alla qualificazione dei reati addebitati al Ministro ha escluso espressamente la sussistenza a suo carico di obblighi informativi a favore della Camera, titolare della potesta' autorizzatoria di cui all'art. 96 Cost. D i r i t t o 1. - I fatti sommariamente esposti dimostrano che l'autorita' giudiziaria inquirente non ha ottemperato al proprio obbligo di trasmettere, nel termine prescritto, gli atti allo speciale collegio previsto le indagini sui reati ministeriali; e neppure ha ritenuto di informare il Senato del procedimento in corso nei confronti di un Ministro per fatti addebitati nel tempo dell'incarico ministeriale; infine, una volta esercitata l'azione penale con la richiesta di rinvio a giudizio, il giudice investito ha rigettato l'eccezione sulla propria competenza ed ha rivendicato all'autorita' giudiziaria, senza obbligo di informazione qualsivoglia a favore delle Camere, la spettanza «esclusiva» della potesta' qualificatoria dell'illecito penale addebitato al Ministro. La condotta complessiva seguita dai magistrati inquirenti, concretatasi nei diversi atti d'indagine ed infine nella richiesta di rinvio a giudizio dell'on. Mastella, nonche' l'ordinanza del G.U.P. di Napoli di rigetto della eccezione sulla propria incompetenza a decidere al riguardo, risultano palesemente lesivi delle attribuzioni costituzionali del Senato della Repubblica, cui e' stato illegittimamente precluso l'esercizio delle proprie competenze costituzionalmente previste dalla normativa vigente. 2. - Per stabilire il contenuto della menomazione subita dalle attribuzioni del Senato della Repubblica in ragione dei fatti che si sono evidenziati, appare opportuno procedere preliminarmente ad un'analisi ricostruttiva della disciplina dei reati ministeriali, al fine di individuarne la ratio sottesa. La vigente formulazione dell'art. 96 della Costituzione segna infatti il punto di approdo dell'evoluzione di un istituto che affonda le sue radici negli ordinamenti d'antico regime, ma ha mostrato di svolgere anche negli ordinamenti liberali una funzione insostituibile e coerente con l'impianto complessivo del sistema politico. L'avvento del regime parlamentare insieme con l'accoglimento d I principio della separazione dei poteri hanno infatti determinato l'insorger della nuova esigenza di garantire l'indipendenza del potere politico contro ogni indebita ingerenza suscettibile di alterare la reciproca parita' e la necessaria distinzione tra i poteri dello Stato, da cui l'opportunita' di recepire le antiche forme di giustizia politica per scongiurare l'ipotesi dell'incondizionata soggezione dei titolari della attivita' di governo all'esercizio delle funzioni proprie del potere giurisdizionale. Nell'ordinamento statutario, questa mutazione e' avvenuta progressivamente, in corrispondenza del graduale avvento del principio parlamentare, e ha comportato la conseguente necessita' di definire la nozione del reato ministeriale, al fine di circoscrivere l'ambito della giurisdizione del Senato costituito in Alta Corte di giustizia. Nella realta' dei fatti peraltro, la giurisdizione ordinaria e' sempre stata negata dalla Corte di cassazione, cosicche' l'ordinamento statutario non ha mai conosciuto l'ipotesi del giudizio penale comune sulla condotta ministeriale. La Costituzione repubblicana, mantenendo sostanzialmente lo spirito del regime statutario sul riconoscimento di una giurisdizione speciale per i reati ministeriali, ha previsto invece il giudizio della Corte costituzionale sulla base della messa in stato d'accusa del Ministro da parte del Parlamento in seduta comune. La legge di attuazione 25 gennaio 1962 n. 20 ha dettato agli articoli da 10 a 14 una disciplina analitica dei rapporti fra la giurisdizione penale costituzionale e la giurisdizione penale comune, prevedendo espressamente sia l'ipotesi della rivendicazione della giurisdizione da parte del giudice ordinario nei confronti di procedimenti pendenti presso la commissione parlamentare inquirente, sia l'ipotesi opposta della rivendicazione da parte di quest'ultimo organo della giurisdizione su procedimenti pendenti di fronte al giudice comune. La soluzione del conflitto era affidata alla Corte costituzionale, sempre e solo su impulso dell'autorita' giurisdizionale, essendo quest'ultima posta dal legislatore nella condizione di optare fra il riconoscimento della giurisdizione della commissione inquirente e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. La Corte, secondo la legge, avrebbe dovuto giudicare in composizione integrata, quale giudice dei reati ministeriali, ma tale previsione legislativa e' stata dichiarata costituzionalmente illegittima (sentenza n. 259 del 1974). In tal modo e' stato definitivamente chiarito che le controversie in questione avrebbero integrato un conflitto di attribuzione vero e proprio, in quanto intercorrenti fra organi appartenenti a poteri diversi. E' importante segnalare, non solo a completamento del quadro normativo relativo alla regolazione dei rapporti fra i due Poteri, ma anche come criterio generale di interpretazione, che l'art. 12 della medesima legge stabiliva a carico del pubblico ministero un obbligo di comunicazione nei confronti della Camera dei deputati, disponendo che, in caso di inizio dell'azione penale a carico di un Ministro, dovesse darne notizia al Presidente dell'organo. Questa analitica disciplina dei rapporti fra le due giurisdizioni - sostanzialmente confermata dall'art. 8 della legge 10 maggio 1978, n. 170 - non ha pero' potuto impedire l'insorgenza di ulteriori casi di conflitto, nei quali appariva evidente il carattere specifico dell'interesse di cui i due organi in causa risultavano naturalmente portatori. In particolare la Corte costituzionale e' dovuta intervenire per precisare i rapporti fra l'autorita' giudiziaria e il Parlamento sul punto degli obblighi rispettivi di comunicazione e di trasmissione degli atti del procedimento, di modo che ciascuna delle parti fosse messa nella condizione, non tanto di rivendicare la propria competenza, quanto piuttosto, ancora prima, di compiere le relative valutazioni nella piena conoscenza dei fatti. Da qui la necessita', stabilita nell'occasione da codesta ecc.ma Corte, da un lato «di garantire che la commissione inquirente e il Parlamento siano messi in grado di esplicare i poteri istruttori ed accusatori ad essi riservati senza essere condizionati da discrezionali valutazioni dell'autorita' giudiziaria», dall'altro lato di evitare che il normale corso della giustizia possa «essere paralizzato a mera discrezione degli organi parlamentari, potendo e dovendo arrestarsi unicamente nel momento in cui l'esercizio di questa verrebbe illegittimamente ad incidere su fatti soggettivamente ed oggettivamente ad essa sottratti» (sentenza n. 13 del 1975). La conclusione significativa di questa decisione era nel senso che spettasse alla Commissione di «compiere tutti gli accertamenti utili a verificare la reale sussistenza dell'ipotesi che siano adombrate responsabilita' a carico di persone indicate nell'art. 96 Cost.». 3. - Con la legge costituzionale n. 1 del 16 gennaio 1989, la competenza a giudicare dei reati commessi dai ministri nell'esercizio delle loro funzioni e' stata restituita all'autorita' giurisdizionale ordinaria. La configurazione del reato ministeriale non e' pero' venuta meno, e con essa si e' conservata anche la necessita' di una regolazione adeguata dei rapporti fra assemblee parlamentari e giudice ordinario, che tanto spazio aveva trovato nella previgente disciplina dell'istituto. Il legislatore, difatti, pur attribuendo al giudice la cognizione di tali reati, ha stabilito per essi una procedura speciale, in primo luogo per la competenza allo svolgimento delle indagini dell'apposito collegio per i reati ministeriali; in secondo luogo per la previsione dell'autorizzazione a procedere da parte delle Camere. Ne deriva dunque che, anche a seguito della riforma, ferma e' rimasta la necessita' di una adeguata disciplina dei rapporti intercorrenti in materia fra assemblee parlamentari e potere giudiziario, onde consentire a ciascuno di essi di esercitare in pienezza le proprie attribuzioni costituzionali esistenti al riguardo. In particolare, in ragione della logica propria dell'istituto, si dimostra essenziale la compiuta partecipazione di entrambi i poteri alla fase preordinata alla qualificazione del reato imputato al Ministro. I principi inderogabili che reggono la disciplina di tale rapporto risultano, come e' noto, fissati dalla recente decisione di codesta ecc.ma Corte costituzionale n. 241 del 2009, che costituisce dunque l'indefettibile riferimento per ogni ulteriore analisi. L'interpretazione della Corte prende le mosse dalla necessita' del contemperamento fra «la garanzia della funzione di governo» e «l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge», da cui deriva, per l'autorita' giudiziaria «il potere dovere di perseguire i reati commessi da qualunque cittadino, indipendentemente dalla carica ricoperta», per l'autorita' politica «il potere-dovere di attuare in concreto la guarentigia prevista dall'art. 96 Cost.». A questi fini va segnalato il necessario «coinvolgimento», previsto dall'art. 8, comma 1, della legge costituzionale n. 1 del 1989, nel procedimento instaurato contro il Ministro, della Camera competente a concedere l'autorizzazione sia nell'ipotesi che gli atti del procedimento vengano ad essa trasmessi ai fini della concessione dell'autorizzazione; sia nell'ipotesi di archiviazione. In detta, ultima ipotesi rientra anche, secondo la configurazione della Corte, la c.d. «archiviazione sistematica», perche' determinata, all'esito delle indagini, dalla qualificazione come «non ministeriale» del reato ascritto al Ministro, da cui deriva l'esito ben diverso della prosecuzione del giudizio nelle forme comuni. «E' evidente - secondo quanto ancora stabilito a questo proposito dalla Corte costituzionale - che anche e soprattutto in questa situazione, la Camera competente ha un interesse costituzionalmente protetto ad essere tempestivamente informata, per via istituzionale ed in forma ufficiale dell'avvenuta archiviazione, come prescrive, senza eccezioni, il citato-comma 4 dell'art. 8 della legge costituzionale n. 1 del 1989». E difatti, conclude la sentenza toccando cosi' il punto cruciale del rapporto che al riguardo si instaura i due poteri dello Stato, tale obbligo di informazione costituisce «l'unico strumento che consente alla Camera stessa di apprezzare che si tratta di archiviazione che non implica una chiusura, ma, al contrario, un seguito del procedimento per diversa qualificazione giuridica del fatto di reato». E poiche' tale diversa qualificazione condiziona l'esercizio dell'attribuzione autorizzatoria delle assemblee rappresentative, non puo' sottrarsi all'organo parlamentare «una propria autonoma valutazione sulla natura ministeriale o non ministeriale dei reati oggetto di indagine giudiziaria», anche al fine di sollevare il conflitto di attribuzione sul presupposto della menomazione della propria competenza stabilita dall'art. 96 della Costituzione. Risulta quindi ormai chiarito in modo definitivo che l'affidamento alla giurisdizione ordinaria della cognizione sui reati ministeriali non elimina affatto la necessita' di una adeguata regolazione dei rapporti che si instaurano fra giudice ordinario ed assemblee parlamentari nell'occasione dell'accertamento di un reato ministeriale. Tale regolazione coincide con le diverse fasi procedimentali, puntualmente cadenzate dal legislatore, non soltanto preordinate alle indagini ed all'esercizio dell'azione penale, ma anche preordinate, al contempo, alla tutela delle attribuzioni che la Costituzione riserva in questa materia al Potere parlamentare. 4. - Occorre sottolineare che il procedimento prosegue secondo una scansione di fasi rigidamente preordinate, per quanto attiene ai modi ed ai tempi. In proposito l'art. 6, comma 1, della legge Cost. n. 1 del 1989 stabilisce, come e' noto, che «i rapporti, i referti e le denunzie concernenti i reati indicati dall'art. 96 della Costituzione sono presentati o inviati al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo competente per territorio», il quale «omessa ogni indagine» deve, entro il termine di 15 giorni, trasmettere gli atti al collegio per i reati ministeriali previsto dall'art. 7 della stessa legge. Il collegio, infatti, dispone di novanta giorni per il compimento delle indagini preliminari, prorogabili di ulteriori sessanta giorni su richiesta del Procuratore della Repubblica. In questo quadro, come rileva codesta ecc.ma Corte, trattandosi di indagini finalizzate alla concessione dell'autorizzazione a procedere, il collegio gode di «poteri eccezionalmente ampi, giustificati dalla specialita' di questa fase procedimentale... prodromica ad una doppia valutazione», sia da parte dello stesso collegio sia da parte della Camera competente all'autorizzazione ex art. 96 Cost. (sentenza n. 403 del 1994). E difatti, una volta esperite le indagini, il c.d. Tribunale dei Ministri ha di fronte a se' due possibilita': o trasmette gli atti al Procuratore della Repubblica per l'immediata loro rimessione al Presidente della Camera competente, affinche' questa deliberi sull'autorizzazione a procedere; ovvero dispone l'archiviazione del procedimento, anche in questo caso dovendo pero' lo stesso Procuratore dare «comunicazione dell'avvenuta archiviazione al Presidente della Camera competente» (art. 8, commi 1, 2 e 4 della Cost. n. 1 del 1989). Nell'ipotesi dell'archiviazione la legge contempla espressamente anche il caso che "il fatto integra un reato diverso da quelli indicati dall'art. 96 della Costituzione» (art. 2, comma 1, legge n. 219 del 1989); caso di archiviazione «sistematica», per il quale la regola che il Procuratore della Repubblica deve curare la comunicazione del relativo provvedimento alla Camera competente vale come e piu' che per ogni altro caso di archiviazione (sentenza n. 241 del 2009). Come si e' detto, infatti, poiche' la qualificazione dell'illecito, da parte. Tribunale dei Ministri, come «non ministeriale» determina in realta' la - prosecuzione del giudizio sotto la forma di giudizio ordinario, tale qualificazione vale, allo stesso tempo, anche come accertamento relativo al fatto che non ricorrono i presupposti per l'esercizio da parte delle Camere dell'attribuzione loro riservata dall'art. 96 cost. Da qui la conclusione necessaria, stabilita dalla sentenza in esame, che la tempestiva comunicazione da parte del Procuratore della Repubblica alla Camera competente del provvedimento di archiviazione cosi' motivato assume il valore di un vero e proprio adempimento costituzionalmente dovuto e rilevante nei rapporti fra potere giudiziario e potere legislativo. Tale dichiarazione integra un vero e proprio diritto dell'organo parlamentare nei confronti dell'autorita' giudiziaria procedente e la relativa previsione, contenuta nell'art. 8, quarto comma, della legge Cost. n. 1 del 1989 finisce dunque per assolvere, a ben vedere, alla medesima funzione dell'obbligo di notizia al Presidente della Camera dei deputati,gia' gravante sul pubblico ministero ai sensi dall'art. 12 della legge n. 20 del 1962, in relazione all'inizio dell'azione penale nei confronti di un Ministro. Si tratta quindi di un profilo costante nella normativa in materia, giacche' l'adempimento di questo obbligo di comunicazione vale sostanzialmente a mantenere l'equilibrio del sistema, mirando ad assicurare contemporaneamente tutela della funzione di governo e uguale sottoposizione di tutti alla legge penale. L'attribuzione alfa autorita' giudiziaria ordinaria del compito di conoscere del reato ministeriale non puo' quindi essere fatta valere in modo tale da precludere alle Camere l'adeguata conoscenza dello stato delle indagini, sia ai fini della concessione dell'autorizzazione a procedere, sia ai fini della consapevole valutazione della decisione dell'autorita' giudiziaria di qualificare il reato come «non ministeriale», proseguendo cosi' il giudizio, nelle forme ordinarie. 5. - Risulta a questo punto del tutto evidente la natura della rilevante violazione procedimentale che si e' consumata nel caso di specie e che ha cosi' determinato la menomazione delle attribuzioni del Senato della Repubblica. Deriva infatti dalle considerazioni sin qui svolte che il collegio per i reati ministeriali costituisce il raccordo indefettibile per la regolazione dei rapporti dell'autorita' giudiziaria con le Camere rappresentative; ed e' soltanto all'esito delle indagini compiute dal collegio, che il legislatore ha previsto quella forma di necessario «coinvolgimento» dell'organo parlamentare, che risulta non eliminabile se non a costo di menomarne le attribuzioni costituzionali. Ed anche l'eventuale qualificazione del reato come un reato «non ministeriale» - che vale ad escludere la necessita' dell'autorizzazione - potendo legittimamente discendere soltanto dalla valutazione di tale collegio, compiuta all'esito delle indagini di propria competenza, deve essere, come gia' detto, sottoposta in quanto tale ad una verifica da parte delle Camere nei modi sinora detti e previsti dalla legislazione vigente. Ed e' proprio per tutte queste ragioni che una legge costituzionale ha attribuito natura del tutto peculiare alla composizione e alle competenze del collegio per i reati ministeriali. La composizione del collegio rivela a prima vista l'intento del legislatore di sottrarre lo svolgimento delle indagini all'ufficio del pubblico ministero per conferirlo invece ad un collegio composto da tre giudici estratti a sorte periodicamente. Il c.d. Tribunale dei Ministri pertanto, come ha stabilito la Corte suprema di Cassazione, e' «organo giurisdizionale di indagine di natura giurisdizionale, proprio a garanzia di quella imparzialita' e terzieta' richiesta dalla delicatezza della materia» (Cass. Pen. , sez. VI, 21 gennaio 1997, n. 207). In tale sua qualita' inoltre, il collegio assomma in se', nella fase delle indagini preliminari, i poteri sia del pubblico ministero, sia del giudice per le indagini preliminari, secondo una disciplina speciale, fortemente derogatoria dell'impianto complessivo del codice di rito. Questa composizione e queste competenze, del tutto peculiari, derivano direttamente da una fonte costituzionale, cioe' la legge Cost. n. 1 del 1989, e configurano dunque, in capo al collegio, una qualificazione vera e propria di rango costituzionale, tale da renderlo, ad un tempo, organo del potere giudiziario e potere-organo dello Stato. La circostanza e' stata sottolineata da codesta ecc.ma Corte costituzionale quando, in sede di ammissibilita' di un conflitto di attribuzione, ha riconosciuto la legittimazione al suddetto collegio non gia' perche' parte del potere giudiziario quale potere diffuso, ma perche' «esclusivo titolare delle attribuzioni previste dall'art. 8, della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1» (ordinanza n. 8 del 2008; ordinanza n. 217 del 1994). E' quindi alla luce di questa duplice configurazione del collegio per i reati ministeriali che va valutata nel suo complesso la disciplina di rango sia costituzionale che legislativo che regola il procedimento di accertamento del reato ministeriale, e questo sia sotto il profilo del rapporto che si instaura fra il collegio e le Camere; sia sotto il profilo dell'espressa competenza del collegio a qualificare come ministeriale o meno l'illecito addebitato al Ministro; sia infine sotto il profilo dell'adempimento da parte della Procura della Repubblica degli obblighi di comunicazione previsti a favore delle Assemblee parlamentari, all'esito delle indagini compiute dal collegio. Per quanto attiene ai rapporti dell'attivita' del Collegio con la potesta' deliberativa delle Camere va ricordato che i compiti del collegio risultano strettamente circoscritti proprio alla fase delle indagini preordinate alla richiesta di autorizzazione a procedere (sent. n. 124 del 2002). Ne deriva secondo l'orientamento di codesta ecc.ma Corte, un nesso strettissimo fra potere valutativo del collegio e potere valutativo della Camera, i quali si presentano come «funzionalmente collegati, di guisa che il mancato pieno dispiegarsi del primo comunque incide sull'altro, nel senso che ... quest'ultimo viene privato, in tutto o in parte, di elementi di valutazione che altrimenti avrebbe avuto disponibili come risultanze delle indagini preliminari» (sent. n. 403 del 1994). Questa decisione chiarisce che l'esercizio dell'attribuzione camerale viene a dipendere pressoche' integralmente dall'opera di interlocuzione con l'autorita' giudiziaria, direttamente connessa, a sua volta, alle peculiari funzioni del collegio in questione. E difatti, come la medesima decisione ha espressamente puntualizzato, «l'eventuale abdicazione del collegio ad esercitare il suo potere priva la Camera di elementi di fatto la cui rilevanza, o meno - ai fine del riscontro delle finalita' di cui all'art. 9, comma 3, della legge Cost. n. 1 del 1989 - essa sola puo' apprezzare». E' in questo stesso quadro interpretativo, dunque, che va inoltre apprezzata, quale elemento sintomatico di grande rilievo, la disciplina combinata sull'archiviazione della notizia di reato e sull'obbligo della relativa comunicazione alla Camera competente da parte del Procuratore della Repubblica (art. 2 della legge n. 219 del 1989; art. 4 della legge Cost. n. 1 del 1989). Il diritto dell'assemblea rappresentativa all'adozione di proprie valutazioni in merito alla qualificazione del reato, concorrenti con quelle adottate dall'autorita' giudiziaria, cosi' come la posizione di integrale dipendenza delle Camere stesse rispetto alle risultanze delle indagini compiute dal collegio per i reati ministeriali (innovativo rispetto al precedente sistema della commissione inquirente) contribuiscono alla particolare configurazione del ruolo di questo collegio. Infatti soltanto esso, quale organo giudiziario, puo' compiere una valutazione dirimente sulle natura «non ministeriale» dell'illecito ascritto ai Ministro, con tutte le conseguenze in ordine alla esclusione delle attribuzioni del Parlamento. La disciplina di cui all'art. 4 della legge cost. n. 1 del 1989 e all'art. 2 della n. 219 del 1989, conferma questa ricostruzione, stabilendo un obbligo di comunicazione a favore della Camera, con la conseguenza che un'analoga opera di qualificazione, compiuta al di fuori dalle indagini esperite dal collegio, finisce naturalmente per menomare la competenza delle Camere in materia. 6. - La necessita' che i rapporti esistenti in questo settore fra autorita' giudiziaria e Camere si svolgano in forme idonee al rispetto delle reciproche attribuzioni, determina quindi la conseguenza di una vera e propria riserva istituita dal legislatore costituzionale a favore del collegio per i reati ministeriali, unico organo giudiziario legittimato ad indagare sulla notizia di reato addebitato al Ministro ed a qualificare, all'esito delle indagini, la natura del reato. Cio' significa che qualsiasi notizia relativa a reati di cui si addebita al Ministro il compimento in pendenza dell'incarico rientra nella previsione dell'art. 6 della legge costituzionale n. 1 del 1989 e determina la necessita' della trasmissione degli atti al collegio previsto dal successivo art. 7, cui solo spetta, esperite le indagini, procedere alla qualificazione della natura del reato, con le conseguenze procedimentali gia' descritte. L'abolizione degli istituti della giustizia politica per quanto attiene ai ministri e la conseguente espansione della giurisdizione ordinaria risultano dunque mediate, nel sistema prescelto dal legislatore di riforma costituzionale, dalla previsione di un organo di rilevanza costituzionale - e cioe' il collegio - destinato ad operare, nella delicata fase prodromica del procedimento, in una posizione di cerniera ideale fra le attribuzioni delle assemblee parlamentari, quali contitolari della funzione di indirizzo politico e le attribuzioni dell'autorita' giudiziaria. Si spiega cosi' l'omissione solo apparente, nella disciplina della legge costituzionale e della relativa legge di attuazione, di una regolazione analoga a quella contenuta nella legislazione preesistente in ordine ai rapporti fra giurisdizione penale costituzionale e giurisdizione penale comune. Il venire meno della giurisdizione costituzionale per i reati commessi da ministri non ha affatto eliminato la necessita' della regolazione dei rapporti fra i due poteri in questa materia; regolazione che il legislatore costituzionale ha invece assorbito nella disciplina dei compiti del collegio per i reati ministeriali. L'omessa attivazione di tale collegio, di conseguenza, vale di per se sola, a menomare le attribuzioni delle Camere in materia. 7. - Nel caso di specie, tale menomazione si e' pienamente verificata nei confronti del Senato. E' infatti accaduto - come gia' detto - che gli uffici del pubblico ministero tanto di Santa Maria Capua Vetere quanto di Napoli hanno lungamente indagato per diverse notizie di reato nei confronti del Ministro Mastella, hanno sollecitato l'emissione di misure cautelari a suo carico, hanno chiesto il suo rinvio a giudizio senza ritenersi minimamente tenuti agli obblighi di trasmissione previsti dall'art. 6 della I. cost. n. 1 del 1989 a favore del collegio per i reati ministeriali competente per territorio. La menomazione delle attribuzioni del Senato e' dimostrata per tabulas dalle gravissime implicazioni della scelta interpretativa di riconoscere espressamente al pubblico ministero il potere di svolgere con il rito comune indagini a carico del Ministro Mastella sulla base della mera formulazione della notitia criminis, e quindi di esercitare l'azione penale nei suoi confronti, salvo solo il controllo della stessa autorita' giudiziaria di fronte cui il giudizio si svolge. Una tale interpretazione in effetti espone in modo inammissibile l'esercizio delle attribuzioni proprie della Camera competente alla valutazione unilaterale dell'autorita' giudiziaria, adottata al di fuori delle specifiche garanzie procedimentali volute dal legislatore costituzionale ed incentrate sullo speciale collegio peri reati ministeriali proprio in ordine alle attivita' di indagine. La predetta interpretazione finisce dunque per attribuire al potere giurisdizionale una sorta di competenza esclusiva sulla competenza del potere parlamentare; soluzione che risulta del tutto in contrasto con il disegno costituzionale che riserva alle Camere il compito di autorizzare il giudizio penale per i reati ministeriali e non puo' quindi tollerare che tale competenza venga a dipendere da una valutazione unilaterale proveniente proprio do quel medesimo potere che deve invece essere autorizzato ad esercitare la propria funzione giudicante nei confronti del Ministro. Questo inammissibile risultato si palesa in contrasto con i principi da sempre stabiliti dalla giurisprudenza costituzionale per i procedimenti su reati ministeriali, che escludono che le Camere possano restare condizionate «da discrezionali valutazioni dell'autorita' giudiziaria» (sentenza n. 13 dei 1975) e si palesa ancora piu' in contrasto con il sistema voluto dalla riforma del 1989, a volere solo considerare l'ordine dei rapporti che vengono ad instaurarsi fra il pubblico ministero ed il collegio per i reati ministeriali di cui all'art. 7 della legge costituzionale. Se invero si riflette sul fatto che tale collegio e' stato investito delle funzioni connesse alle indagini preliminari proprio per i requisiti di imparzialita' e di terzieta' che la sua composizione garantisce, si comprende l'effetto paradossale della erronea interpretazione adottata nel caso di specie dalle autorita' giudiziarie procedenti, che finisce appunto per attribuire all'ufficio del pubblico ministero la capacita' di precludere discrezionalmente l'effettiva operativita' della speciale garanzia procedimentale costituzionalmente prevista a favore delle Camere. Ma c'e' di piu': a fronte della richiesta di rinvio a giudizio, la difesa del Ministro Mastella ha sollevato la relativa eccezione di incompetenza funzionale, che l'ufficio del G.U.P. del Tribunale di Napoli ha pero' rigettato, respingendo cosi' l'interpretazione prospettata, secondo cui in ogni caso di procedimento riguardante un Ministro, il Magistrato inquirente dovrebbe quanto meno informare la Camera di riferimento circa la propria decisione di qualificare come «non ministeriale» il fatto-reato addebitato al Ministro stesso, poiche' in caso contrario ne sarebbero menomate le attribuzioni di garanzia della Camera, cui sarebbe impedito di esprimere la propria valutazione. Tale interpretazione, secondo il G.U.P., integrerebbe «un'ulteriore tutela ... per coloro che rivestono o hanno rivestito funzioni ministeriali, che appare poco compatibile oltre che con il principio generale di eguaglianza anche con quello - che del primo costituisce conseguenza - dell'obbligatorieta' dell'azione penale». A conferma della evidente ed ulteriore menomazione derivante alle attribuzioni del Senato da questa decisione, si deve osservare che restano completamente sullo sfondo dell'argomentazione, ed anzi scompaiono del tutto dal ragionamento, proprio la posizione costituzionale in questa materia della Camera competente e la tutela della relativa attribuzione alla concessione dell'autorizzazione a procedere. Invero il compito di interloquire con le assemblee parlamentari nel corso della procedura viene dal legislatore costituzionale previsto come proprio del collegio per i reati ministeriali, cui lo stesso legislatore impone espressamente di operare - tramite il Procuratore della Repubblica - quale controparte necessaria delle assemblee nell'ambito dei rapporti intercorrenti con l'autorita' giudiziaria in questa materia. Cio' spiega perche' gravi sul predetto collegio l'obbligo istituzionale di informativa sul fatto-reato alla Camera competente, ma e' da sottolineate che la menomazione della competenza autorizzato ria dell'organo parlamentare si verifica comunque in ogni caso in cui ad esso non venga fornita alcuna informazione da parte dei diversi organi giudiziari procedenti. Ne deriva quindi che nell'ipotesi patologica che il collegio non sia messo in condizione di procedere alle indagini su fatti-reato attribuiti ad un Ministro in carica ed al conseguente obbligo informativo, spetta comunque all'autorita' giudiziaria procedente quanto meno di provvedere autonomamente nel senso predetto. Nel caso di specie, pero', cio' non e' avvenuto, anche perche' l'interpretazione fatta propria dal G.U.P., essendo del tutto sbilanciata a favore dell'autorita' giudiziaria procedente sull'espresso presupposto del carattere «esclusivo» della propria competenza alla qualificazione del reato ascritto al Ministro, ha privato il Senato del diritto di usufruire - attraverso il ruolo istituzionale del Tribunale dei ministri o, in mancanza, mediante un'informativa diretta - di tale doverosa opera di interiocuzione, che e' invece prevista come necessaria dal legislatore costituzionale. In ogni caso la suddetta interpretazione del G.U.P. ed anche degli altri magistrati ha tagliato il Senato del tutto fuori dal procedimento penale in corso di svolgimento nei confronti del Ministro Mastella. La conseguenza di questa lunga serie di erronee interpretazioni della legislazione vigente, e' consistita nel fatto che il Senato della Repubblica, nonostante la propria competenza autorizzatoria, non e' stato mai informato dall'autorita' procedente ne' dell'esistenza stessa del procedimento penale, ne' tanto meno dello stato del suo iter. In particolare, non e' stata mai comunicata al Senato la dirimente determinazione dell'autorita' giudiziaria di escludere in radice la natura «ministeriale» dei fatti addebitati al Ministro, nonostante che in tal modo venissero poste le premesse logiche e procedimentali per escludere l'esercizio delle sue attribuzioni costituzionalmente previste. 8. - L'illegittima procedura che ne e' conseguita ha dunque privato il Senato dell'interlocuzione indefettibile della sua naturale e necessaria controparte nel procedimento per il reato addebitato al ministro, rappresentata dal collegio per i reati ministeriali, nonche' lo ha privato degli adempimenti comunicativi minimi, necessari per essere posto nella condizione di svolgere in pienezza le proprie attribuzioni costituzionali. La menomazione delle attribuzioni dell'organo rappresentativo, infatti, non consiste ancora, in questo stato del procedimento, nella mancata attivazione della propria competenza autorizzatoria in presenza di un reato da qualificarsi come «ministeriale», ma deriva invece direttamente ed immediatamente dalla omissione degli adempimenti comunicativi previsti a suo favore in dipendenza della mancata attivazione del collegio per i reati ministeriali, all'esito delle cui indagine tali adempimenti sono prescritti a carico del Procuratore delle Repubblica. E' infatti inammissibile quanto nel caso di specie e' avvenuto, e cioe' che il Senato, privato del suo diritto di comunicazione ex art. 8 della legge cost. n. 1 del 1989, si e' trovato a doversi autonomamente attivare per ottenere altrimenti le informazioni non pervenute secondo le procedure previste dal legislatore. Cio' ha effettivamente posto l'organo nella condizione di dipendere integralmente, per l'ottenimento degli elementi di informazione richiesti, dalla valutazione discrezionale degli stessi organi giudiziari nei cui confronti far valere le proprie prerogative costituzionali. Le numerose ed inutili sollecitazioni, il lungo tempo trascorso senza veder soddisfatte le proprie legittime richieste, lo stato ancora assolutamente insufficiente degli elementi portati alla conoscenza dell'organo rappresentativo, sono tutti elementi da soli valevoli ad dimostrare con assoluta evidenza il grado della menomazione subita dal Senato in relazione alle proprie attribuzioni in materia. Va infatti ancora una volta ribadito il fatto che la rinuncia del legislatore di revisione costituzionale al sistema di giustizia «politica» e alla previgente riserva alle Camere per la messa in stato d'accusa dei Ministri non si e' affatto tradotta, nel disegno di riforma, nella rimessione integrale all'autorita' giurisdizionale ordinaria del potere di giudicare dei reati commessi dai ministri. Al contrario e' invece necessario, ai sensi dell'art. 96 Cost., che il relativo esercizio dell'azione penale derivi da un procedimento nel quale intervengono, pur se con competenze e modalita' differenti, sia l'autorita' giurisdizionale, sia lo speciale Collegio dei reati ministeriali, sia le Camere. Si tratta di un procedimento finalizzato proprio ad accertare la natura del reato per il quale si procede, e con essa il riparto delle competenze nel caso concreto. La determinazione dell'autorita' giudiziaria di procedere, nel caso di specie, in completa autonomia ha finito con il minare le fondamenta del relativo equilibrio, esponendo la posizione del potere legislativo ad una sorta di dipendenza integrale dalle potesta' qualificatorie di quello giudiziario. La conseguente lesione delle attribuzioni del Senato e' dunque apprezzabile nelle forme puntuali della menomazione del diritto dell'organo a partecipare nei modi e con le garanzie costituzionalmente previsti al procedimento giudiziario sul fatto-reato addebitato al Ministro Mastella. Per quanto attiene alla legittimazione del Senato ad agire nel presente giudizio, e' sufficiente considerare che il Senato e' la Camera competente alla concessione dell'autorizzazione a procedere nei confronti del Ministro Mastella, sia per la posizione di senatore che lo stesso Mastella rivestiva all'epoca dei fatti, sia per la circostanza che quando l'azione penale e' stata esercitata nei suoi confronti aveva cessato di appartenere al Parlamento. Sussiste inoltre l'interesse ad agire del Senato, in quanto proprio l'illegittima procedura con la quale l'autorita' giurisdizionale ordinaria e' pervenuta a qualificare come non ministeriali gli illeciti addebitati al Ministro Mastella lo ha radicalmente privato di ogni possibilita' di partecipazione e di ogni «coinvolgimento» nel procedimento, indispensabili per il compimento delle proprie valutazioni al riguardo, ponendolo nella condizione ben diversa di ricercare per il tramite di canali informali gli elementi di giudizio che la magistratura ha omesso indebitamente di fornirgli. In ordine all'ammissibilita' del ricorso, non possono sussistere dubbi, per quanto riguarda i profili soggettivi, sia per quanto attiene al Senato, sia per quanto attiene agli organi giudiziari interessati nella vicenda. Il Senato e' certamente legittimato a sollevare conflitto tra Poteri dello Stato per difendere le attribuzioni espressamente stabilite a suo favore, nel caso di specie, dall'art. 96 della Costituzione nonche' dalla legge costituzionale n. 1 del 1989 (tra le ultime, confronta ordinanza n. 8 del 2008; sentenza n. 241 del 2009). Parimenti indubitabile, alla stregua della giurisprudenza di codesta Corte, e' la legittimazione a resistere sia del Tribunale di Napoli - Sezione del G.U.P. - quale organo competente a dichiarare definitivamente, nel procedimento di cui e' investito, la volonta' del potere cui appartiene, per le funzioni giurisdizionali esercitate in posizione di indipendenza, costituzionalmente garantita (ord. n. 8 del 2008; sent. n. 241 del 2009); sia del Procuratore della Repubblica, rispettivamente presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ed il Tribunale di Napoli, in quanto organo direttamente investito delle funzioni di cui all'art. 112 della Costituzione e dunque titolare dell'esercizio dell'azione penale e delle relative attivita' di indagine (ord. n. 73 del 2006). Per quanto attiene ai profili oggettivi di ammissibilita', tutto quanto sopra esposto vale ad evidenziare che il conflitto ha per oggetto la menomazione che il Senato della Repubblica lamenta in ordine alla propria sfera di attribuzioni direttamente conferite dalla Costituzione nonche', nella specie, dalla legge costituzionale n. 1 del 1989, a causa della condotta degli organi giudiziari predetti, che hanno omesso il compimento di adempimenti processuali appunto previsti a tutela delle prerogative del Senato medesimo.
Per questi motivi Il Senato della Repubblica, difeso e rappresentato come in epigrafe, chiede che codesta ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare: a) che non spettava al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in riferimento alle attribuzioni del Senato della Repubblica, di esperire indagini a carico dell'on. Mario Clemente Mastella, Ministro all'epoca dei fatti contestati, omettendo di trasmettere, ai sensi dell'art. 6 della legge costituzionale n. 1 del 1989, gli atti al collegio per i reati ministeriali di cui al successivo articolo 7; b) che non spettava al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, in riferimento alle attribuzioni del Senato della Repubblica, di esperire indagini e di esercitare l'azione penale a carico dell'on. Mario Clemente Mastella, Ministro all'epoca dei fatti contestati, omettendo di trasmettere, ai sensi del medesimo art. 6, della legge costituzionale n. 1 del 1989, gli atti al collegio per i reati ministeriali di cui al successivo art. 7; c) che non spettava al Giudice per l'Udienza Preliminare del Tribunale di Napoli, in riferimento alle attribuzioni del Senato della Repubblica, rigettare con l'ordinanza del 20 ottobre 2010 l'eccezione di incompetenza funzionale del Tribunale di Napoli a giudicare il Ministro della Giustizia on. Mario Clemente Mastella, e di procedere secondo il rito ordinario, con conseguente annullamento degli atti indicati in epigrafe e di tutti gli altri atti conseguenti e presupposti. Roma, 20 dicembre 2010 Avv. Prof.: Piero Alberto Capotosti Avvertenza L'ammissibilita' del presente conflitto e' stata decisa con ordinanza n. 104/2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - 1a serie speciale - n. 14 del 30 marzo 2011.