N. 12 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 20 dicembre 2010

Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (merito)
depositato in cancelleria 16 maggio 2011. 
 
Reati ministeriali - Apertura delle  indagini  preliminari  da  parte
  della Procura della  Repubblica  di  Santa  Maria  Capua  Vetere  e
  conclusione della Procura della Repubblica di Napoli nei  confronti
  dell'allora Ministro della giustizia, on. Mario Clemente Mastella -
  Richieste di rinvio a  giudizio  da  parte  del  Procuratore  della
  Repubblica presso il Tribunale di Napoli -  Ordinanza  del  giudice
  dell'udienza  preliminare  del  Tribunale  di  Napoli  di   rigetto
  dell'eccezione di incompetenza funzionale del Tribunale di Napoli a
  giudicare delle richieste di  rinvio  a  giudizio  -  Conflitto  di
  attribuzione tra poteri dello  Stato  sollevato  dal  Senato  della
  Repubblica nei confronti del Procuratore della Repubblica presso il
  Tribunale di  Santa  Maria  Capua  Vetere,  del  Procuratore  della
  Repubblica presso il Tribunale di Napoli, del giudice  dell'udienza
  preliminare  del  Tribunale  di   Napoli   -   Denunciata   mancata
  trasmissione da parte  dell'autorita'  giudiziaria  inquirente,  ai
  sensi dell'art. 6 della legge costituzionale n. 1 del  1989,  degli
  atti al Collegio per  i  reati  ministeriali  -  Denunciata  omessa
  comunicazione del procedimento in corso al Senato della  Repubblica
  - Denunciata rivendicazione da  parte  dell'autorita'  giudiziaria,
  senza  obbligo  di  informazione  a  favore  delle  Camere,   della
  spettanza "esclusiva" della potesta'  qualificatoria  dell'illecito
  penale contestato - Denunciata conseguente menomazione del  diritto
  di partecipazione del ricorrente al procedimento  -  Lesione  della
  sfera di attribuzioni del Senato della Repubblica - Richiesta  alla
  Corte  di  dichiarare  la  non  spettanza  ai   procuratori   sopra
  menzionati di esperire indagini a carico  dell'on.  Mario  Clemente
  Mastella, Ministro all'epoca dei fatti,  omettendo  di  trasmettere
  gli atti al Collegio per i reati ministeriali e la non spettanza al
  giudice per  l'udienza  preliminare  del  Tribunale  di  Napoli  di
  giudicare il suddetto Ministro  e  di  procedere  secondo  il  rito
  ordinario - Conseguentemente richiesta di annullamento  degli  atti
  sopra indicati. 
- Richiesta di rinvio a  giudizio  da  parte  del  Procuratore  della
  Repubblica presso il  Tribunale  di  Napoli  dell'11  maggio  2009,
  R.G.N.R. n. 8213/2009; Richiesta di rinvio a giudizio da parte  del
  Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di  Napoli  del  2
  febbraio 2010, R.G.N.R. n. 5736/2010; Ordinanza  del  Tribunale  di
  Napoli, Sezione G.I.P./G.U.P., del 20 ottobre 2010. 
- Costituzione, art. 96; legge costituzionale 16 gennaio 1989, n.  1,
  artt. 6, 7 e 8. 
(GU n.23 del 1-6-2011 )
    Il Senato della Repubblica in persona del Presidente Avv.  Renato
Giuseppe Schifani autorizzato  con  deliberazione  del  Senato  della
Repubblica del 17 novembre 2010, difeso e rappresentato, in forza  di
delega in calce al  presente  atto,  dall'Avv.  prof.  Piero  Alberto
Capotosti, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma,
via Cesare Ferrero di Cambiano, 82 nei confronti della Procura  della
Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua  Vetere  e  della
Procura della Repubblica presso il Tribunale di  Napoli  nonche'  del
Tribunale  di  Napoli  -  Sezione  del  G.I.P./G.U.P.  in  relazione:
all'apertura delle indagini preliminari da parte della Procura  della
Repubblica presso il  Tribunale  di  Santa  Maria  Capua  Vetere  nei
confronti del Ministro della giustizia on. Mario  Clemente  Mastella,
con omissione degli adempimenti processuali di cui all'art.  6  della
legge Cost. n. 1 del 1989;, all'apertura delle  indagini  preliminari
da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli
nei  confronti  del  Ministro  della  giustizia  on.  Mario  Clemente
Mastella, con omissione degli adempimenti processuali di cui all'art.
6 della legge Cost. n. 1 del 1989; 
        alla richiesta  di  rinvio  a  giudizio  del  Ministro  della
giustizia on. Mario Clemente Mastella da parte del Procuratore  della
Repubblica presso il Tribunale di Napoli  in  data  11  maggio  2009,
depositata il 14 maggio 2009, R.G.N. R. n. 8213/2009; 
        alla richiesta  di  rinvio  a  giudizio  del  Ministro  della
giustizia on. Mario Clemente Mastella da parte del Procuratore  della
Repubblica presso il Tribunale di Napoli in  data  2  febbraio  2010,
depositata il 4 febbraio 2010, R.G.N. R. n. 5736/2010; 
        all'ordinanza  20  ottobre  2010  del  Tribunale  di  Napoli,
Sezione G.I.P./G.U.P.,  di  rigetto  dell'eccezione  di  incompetenza
funzionale del Tribunale dl Napoli a  giudicare  della  richiesta  di
rinvio a giudizio nei confronti dell'allora Ministro della  giustizia
on. Mario Clemente Mastella. 
 
                              F a t t o 
 
    1. - Il presente ricorso per conflitto di attribuzioni tra poteri
dello Stato trae origine da una serie  di  indagini  che  la  Procura
della Repubblica di Santa Maria Capua  Vetere  prima,  e  la  Procura
della  Repubblica  di  Napoli,  poi,  hanno  compiuto  nei  confronti
dell'allora  titolare  del  Ministero  della  giustizia,  on.   Mario
Clemente Mastella. Nonostante le indagini si riferiscano a fatti  che
si  imputano  commessi  in  pendenza  dell'incarico  ministeriale,  i
magistrati inquirenti non hanno ritenuto di dovere applicare l'art. 6
della legge costituzionale n. 1 del 1989, che  impone  l'invio  degli
atti relativi al Procuratore della Repubblica presso il tribunale del
capoluogo, nel cui ambito e' istituto lo speciale  collegio  previsto
dall'art. 7 della stessa legge, e non hanno neppure ritenuto,  quanto
meno, di informare il Senato, Camera competente, nel caso di  specie,
alla concessione  dell'autorizzazione  prevista  dall'art.  96  della
Costituzione. 
    2. - L'indagine viene alla luce, di conseguenza, soltanto  quando
la Procura della  Repubblica  di  Santa  Maria  Capua  Vetere  chiede
l'emissione di misure cautelari nei  confronti  di  diversi  indagati
(tra cui uno stretto congiunto dell'on.  Mastella),  ipotizzando  una
serie di reati, alcuni dei quali si contesta che siano stati commessi
in concorso con il Ministro Mastella. 
    A fronte della predetta richiesta di misure  cautelari  da  parte
del pubblico ministero, il G.I.P. dei Tribunale di Santa Maria  Capua
Vetere dichiara la propria incompetenza territoriale e trasmette  gli
atti  alla  Procura  della  Repubblica  di  Napoli,  territorialmente
competente. 
    Quest'ultima, peraltro, ritenendo, al pari della Procura di Santa
Maria Capua Vetere, di non dovere attivare lo  speciale  procedimento
relativo ai reati «ministeriali», e neppure di  dovere  informare  il
Senato, compie ulteriori indagini anche nei confronti, fra gli altri,
dell'on. Clemente Mastella, per il  quale  anzi  richiede,  basandosi
anche sul contenuto  di  intercettazioni  telefoniche,  il  rinvio  a
giudizio  per  fatti   tutti   risalenti   al   tempo   dell'incarico
ministeriale. A  fronte  di  questa  prima  richiesta  da  parte  del
pubblico ministero di Napoli, il Giudice  per  l'Udienza  Preliminare
dello  stesso  Tribunale,  dopo  aver  disposto  lo  stralcio   della
posizione processuale dell'on. Mastella, ha  sollevato  questione  di
legittimita'   costituzionale   della   disciplina   relativa    alle
intercettazioni  c.d.  indirette  compiute  nei   confronti   di   un
parlamentare della Repubblica (cfr. ordinanza Corte cost. n. 263  del
2010). Successivamente, a seguito di un nuovo avviso  di  conclusione
delle indagini preliminari relative ad altre (ma similari) notizie di
reato sempre concernenti fatti risalenti al  tempo  dell'incarico  di
Ministro, e della richiesta di ulteriori misure  cautelari  a  carico
dell'on Mastella, anche il Giudice delle Indagini  Preliminari  dello
stesso Tribunale ha disposto lo stralcio della posizione  processuale
e sollevato una questione di costituzionalita' analoga a quella  gia'
sollevata in precedenza dal G.U.P. 
    Cio'  nonostante,  il  Procuratore  della  Repubblica  di  Napoli
chiede, nel merito, il  rinvio  a  giudizio  dell'on.  Mastella,  che
eccepisce, a questo punto, r l'incompetenza funzionale del  Tribunale
di Napoli, in ragione  della  spettanza,  ai  sensi  della  normativa
vigente, del c.d. Tribunale dei Ministri di Napoli  di  stabilire  il
carattere ministeriale o meno del reato addebitato,  salva,  in  ogni
caso, apposita comunicazione alla Camera competente.  L'on.  Mastella
eccepiva altresi' il reiterato, mancato assolvimento,  nella  specie,
dell'obbligo gravante sul magistrato requirente di informare comunque
il Senato del procedimento in corso. 
    3. - Con l'ordinanza del 20 ottobre 2010 il G.U.P. del  Tribunale
di Napoli ha pero' rigettato l'eccezione di incompetenza  funzionale,
disattendendo espressamente l'interpretazione «secondo  la  quale  in
ogni  caso  di  indagini  riguardanti  un  Ministro,  il   magistrato
inquirente dovrebbe informare  la  Camera  di  riferimento  circa  la
propria  decisione  di  qualificare  come   "non   ministeriale"   il
fatto-reato addebitato al ministro stesso, poiche' in caso  contrario
ne sarebbero menomate le attribuzioni di garanzia della  Camera,  cui
sarebbe  impedito  di   esprimere   la   propria   valutazione».   In
particolare, secondo il G.U.P., detta  interpretazione  implicherebbe
«la  negazione  per  l'AG  procedente  della  potesta'  esclusiva  di
qualificare la  natura  del  reato»,  e  non  sarebbe  in  ogni  caso
«consentita dalla circoscritta portata della decisione costituzionale
n. 241 del 2009, foriera di alterarne l'equilibrio ed incoerente  con
l'intero quadro normativo di  riferimento».  Ne  deriverebbe  infatti
«un'ulteriore tutela, oltre quella gia' prevista dalla  procedura  di
livello costituzionale, per di piu' in via preventiva, per coloro che
rivestono o hanno rivestito funzioni ministeriali,  che  appare  poco
compatibile oltre che con il principio generale di uguaglianza, anche
con   quello   -   che   del   primo   costituisce   conseguenza    -
dell'obbligatorieta' dell'azione penale». 
    Svolte queste considerazioni, il  G.U.P.,  dunque,  coerentemente
con  la  propria  (del  tutto  erronea)  premessa   che   l'autorita'
giudiziaria procedente gode della «esclusiva» potesta' di qualificare
la natura del  reato  contestato  al  Ministro,  stabilisce  che  non
sussiste a carico del Magistrato inquirente alcun onere specifico  di
comunicazione alle Camere  del  procedimento  contro  il  Ministro  e
stabilisce la propria  competenza  a  giudicare  «l'esclusione  della
qualita' di reato ministeriale», esclusione che ritiene, nel caso  di
specie, risultare «aderente alle evidenze processuali». 
    4. - L'erronea premessa della competenza esclusiva dell'autorita'
giudiziaria in ordine alla qualificazione  del  reato  addebitato  al
Ministro nel periodo in carica, fatta propria tanto dall'ufficio  del
pubblico  ministero  procedente  quanto  dal  Giudice  per  l'Udienza
Preliminare del Tribunale di Napoli, ha determinato  ulteriori  gravi
conseguenze sul piano costituzionale. Infatti ha impedito  in  radice
al  Senato  della  Repubblica  -  Camera   competente   a   concedere
l'autorizzazione a procedere nei confronti del Ministro nel  caso  di
specie  -  di  fruire   dell'applicazione   di   diverse   previsioni
costituzionali e legislative finalizzate, nel quadro della disciplina
dei  reati  ministeriali,  a  consentire  l'esercizio  delle  proprie
attribuzioni in materia, e cio' a partire  dalla  disponibilita'  dei
vari elementi di cognizione dei fatti a tal fine indispensabili. Cio'
ha determinato, quale primo effetto della predetta  menomazione,  che
il  Senato  della  Repubblica  sia  stato  posto   nella   condizione
inammissibile  di  dovere  ricercare   altrimenti   le   informazioni
necessarie all'esercizio dei suoi poteri di prerogativa. 
    In questo senso,  infatti,  su  indicazione  della  Giunta  delle
elezioni e delle immunita' parlamentari, in data 22 dicembre 2009, il
Presidente del Senato ha  comunicato  all'on.  Alfano,  titolare  del
Ministero  della  Giustizia,  l'impossibilita'  per  il  Senato,   in
relazione ai procedimenti penali in corso a carico dell'on. Mastella,
di «procedere ad una valutazione della  questione  sulla  base  degli
atti al momento a disposizione», e ha sollecitato di  conseguenza  il
Ministro affinche' «voglia richiedere ai competenti uffici giudiziari
tutti gli elementi conoscitivi relativi ai  procedimenti  penali  cui
sopra si e' fatto riferimento e che investono l'onorevole Mastella». 
    Nonostante  questo   intervento   del   Presidente   del   Senato
trascorrono diversi mesi senza che  detti  elementi  vengano  portati
alla conoscenza del Senato. L'acquisizione degli atti, allora,  viene
nuovamente sollecitata,  da  parte  del  Senato,  al  Ministro  della
giustizia in data 17 giugno 2010, e poi,  ancora,  il  successivo  30
ottobre,  il  Presidente  del  Senato  si  rivolge  direttamente   al
Presidente del Tribunale di Napoli, affinche' voglia «trasmettere  al
Senato gli atti in oggetto, nei limiti consentiti dalla legge  e  con
la sollecitudine che il tempo ormai  decorso  richiede,  in  modo  da
consentire alla Giunta di esercitare le proprie competenze». Solo  il
16 novembre  2010,  a  quasi  due  anni  di  distanza  dall'esercizio
dell'azione penale da parte della Procura della Repubblica di  Napoli
e a quasi un anno dalla prima richiesta di  acquisizione  degli  atti
rivolta al Ministro della giustizia, il Senato ottiene  risposta  dal
parte dell'Autorita' giudiziaria, limitandosi peraltro il  Presidente
del Tribunale di Napoli ad informare il Presidente del Senato che «la
richiesta di documentazione  datata  4  ottobre  2010  da  parte  del
Ministero era indirizzata al Procuratore della Repubblica di Napoli»,
e che tale ufficio aveva dato «diretto riscontro  al  Capo  Gabinetto
del Ministro» con nota del 2 novembre 2010 e relativi allegati. 
    5. - E' sufficiente questo breve riepilogo dei fatti a  porre  in
assoluta  evidenza   la   menomazione   causata   alle   attribuzioni
costituzionali del Senato della Repubblica dal modo  in  cui  sia  la
Procura della Repubblica di Capua Vetere, sia quella di Napoli  hanno
esercitato l'azione penale nei confronti dell'on. Mastella,  titolare
all'epoca del Ministero della  giustizia,  sia  infine  dalla  citata
ordinanza del Giudice per l'udienza Preliminare, in cui stabilendo la
competenza «esclusiva» dell'autorita' giudiziaria alla qualificazione
dei  reati  addebitati  al  Ministro  ha  escluso  espressamente   la
sussistenza a suo carico  di  obblighi  informativi  a  favore  della
Camera, titolare della potesta' autorizzatoria  di  cui  all'art.  96
Cost. 
 
                            D i r i t t o 
 
    1. - I fatti sommariamente  esposti  dimostrano  che  l'autorita'
giudiziaria inquirente non  ha  ottemperato  al  proprio  obbligo  di
trasmettere, nel termine prescritto, gli atti allo speciale  collegio
previsto le indagini sui reati ministeriali; e neppure ha ritenuto di
informare il Senato del procedimento in corso  nei  confronti  di  un
Ministro per fatti addebitati nel tempo  dell'incarico  ministeriale;
infine, una volta esercitata l'azione  penale  con  la  richiesta  di
rinvio a giudizio, il  giudice  investito  ha  rigettato  l'eccezione
sulla propria competenza ed ha rivendicato all'autorita' giudiziaria,
senza obbligo di informazione qualsivoglia a favore delle Camere,  la
spettanza «esclusiva»  della  potesta'  qualificatoria  dell'illecito
penale addebitato al Ministro. 
    La  condotta  complessiva  seguita  dai  magistrati   inquirenti,
concretatasi nei diversi atti d'indagine ed infine nella richiesta di
rinvio a giudizio dell'on. Mastella, nonche' l'ordinanza  del  G.U.P.
di Napoli di rigetto della eccezione  sulla  propria  incompetenza  a
decidere al riguardo, risultano palesemente lesivi delle attribuzioni
costituzionali  del   Senato   della   Repubblica,   cui   e'   stato
illegittimamente  precluso  l'esercizio  delle   proprie   competenze
costituzionalmente previste dalla normativa vigente. 
    2. - Per stabilire il contenuto della  menomazione  subita  dalle
attribuzioni del Senato della Repubblica in ragione dei fatti che  si
sono  evidenziati,  appare  opportuno  procedere  preliminarmente  ad
un'analisi ricostruttiva della disciplina dei reati ministeriali,  al
fine di individuarne la ratio sottesa. 
    La vigente formulazione dell'art.  96  della  Costituzione  segna
infatti il punto  di  approdo  dell'evoluzione  di  un  istituto  che
affonda le sue  radici  negli  ordinamenti  d'antico  regime,  ma  ha
mostrato di svolgere anche negli ordinamenti  liberali  una  funzione
insostituibile e coerente  con  l'impianto  complessivo  del  sistema
politico. 
    L'avvento del regime parlamentare insieme con l'accoglimento d  I
principio della separazione  dei  poteri  hanno  infatti  determinato
l'insorger della  nuova  esigenza  di  garantire  l'indipendenza  del
potere  politico  contro  ogni  indebita  ingerenza  suscettibile  di
alterare la reciproca parita'  e  la  necessaria  distinzione  tra  i
poteri dello Stato, da cui  l'opportunita'  di  recepire  le  antiche
forme   di   giustizia    politica    per    scongiurare    l'ipotesi
dell'incondizionata  soggezione  dei  titolari  della  attivita'   di
governo   all'esercizio   delle   funzioni   proprie    del    potere
giurisdizionale. 
    Nell'ordinamento  statutario,  questa   mutazione   e'   avvenuta
progressivamente,  in  corrispondenza  del   graduale   avvento   del
principio parlamentare, e ha comportato la conseguente necessita'  di
definire la nozione del reato ministeriale, al fine di  circoscrivere
l'ambito della giurisdizione del Senato costituito in Alta  Corte  di
giustizia.  Nella  realta'  dei  fatti  peraltro,  la   giurisdizione
ordinaria e' sempre stata negata dalla Corte di cassazione, cosicche'
l'ordinamento statutario non ha mai conosciuto l'ipotesi del giudizio
penale comune sulla condotta ministeriale. 
    La  Costituzione  repubblicana,  mantenendo  sostanzialmente   lo
spirito del regime statutario sul riconoscimento di una giurisdizione
speciale per i reati ministeriali, ha  previsto  invece  il  giudizio
della Corte costituzionale sulla base della messa in  stato  d'accusa
del Ministro da parte del Parlamento in seduta comune.  La  legge  di
attuazione 25 gennaio 1962 n. 20 ha dettato agli articoli da 10 a  14
una disciplina analitica dei rapporti  fra  la  giurisdizione  penale
costituzionale  e  la   giurisdizione   penale   comune,   prevedendo
espressamente sia l'ipotesi della rivendicazione della  giurisdizione
da parte del giudice ordinario nei confronti di procedimenti pendenti
presso la commissione parlamentare inquirente, sia l'ipotesi  opposta
della  rivendicazione  da  parte   di   quest'ultimo   organo   della
giurisdizione su procedimenti pendenti di fronte al giudice comune. 
    La   soluzione   del   conflitto   era   affidata   alla    Corte
costituzionale,   sempre   e   solo   su    impulso    dell'autorita'
giurisdizionale, essendo quest'ultima  posta  dal  legislatore  nella
condizione di optare fra il riconoscimento della giurisdizione  della
commissione inquirente  e  la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale. La Corte, secondo la legge, avrebbe dovuto  giudicare
in composizione integrata, quale giudice dei reati  ministeriali,  ma
tale previsione legislativa e'  stata  dichiarata  costituzionalmente
illegittima (sentenza  n.  259  del  1974).  In  tal  modo  e'  stato
definitivamente chiarito che le controversie in  questione  avrebbero
integrato un conflitto di attribuzione  vero  e  proprio,  in  quanto
intercorrenti fra organi appartenenti a poteri diversi. 
    E' importante segnalare, non  solo  a  completamento  del  quadro
normativo relativo alla regolazione dei rapporti fra i due Poteri, ma
anche come criterio generale di interpretazione, che l'art. 12  della
medesima legge stabiliva a carico del pubblico ministero  un  obbligo
di comunicazione nei confronti della Camera dei deputati,  disponendo
che, in caso di inizio dell'azione penale a carico  di  un  Ministro,
dovesse darne notizia al Presidente dell'organo. 
    Questa analitica disciplina dei rapporti fra le due giurisdizioni
- sostanzialmente confermata dall'art. 8 della legge 10 maggio  1978,
n. 170 - non ha pero' potuto impedire l'insorgenza di ulteriori  casi
di conflitto, nei quali  appariva  evidente  il  carattere  specifico
dell'interesse di cui i due organi in causa risultavano  naturalmente
portatori.  In  particolare  la  Corte   costituzionale   e'   dovuta
intervenire per precisare i rapporti fra l'autorita' giudiziaria e il
Parlamento sul punto degli obblighi rispettivi di comunicazione e  di
trasmissione degli atti del procedimento, di modo che ciascuna  delle
parti fosse messa nella  condizione,  non  tanto  di  rivendicare  la
propria competenza, quanto piuttosto, ancora prima,  di  compiere  le
relative valutazioni nella piena conoscenza dei fatti. 
    Da qui la necessita', stabilita nell'occasione da codesta  ecc.ma
Corte, da un lato «di garantire che la commissione  inquirente  e  il
Parlamento siano messi in grado di esplicare i poteri  istruttori  ed
accusatori  ad  essi   riservati   senza   essere   condizionati   da
discrezionali  valutazioni  dell'autorita'  giudiziaria»,  dall'altro
lato di evitare che il normale corso della  giustizia  possa  «essere
paralizzato a mera discrezione degli organi parlamentari,  potendo  e
dovendo arrestarsi unicamente  nel  momento  in  cui  l'esercizio  di
questa verrebbe illegittimamente ad incidere su fatti soggettivamente
ed oggettivamente ad essa sottratti» (sentenza n. 13  del  1975).  La
conclusione significativa di  questa  decisione  era  nel  senso  che
spettasse alla Commissione di «compiere tutti gli accertamenti  utili
a verificare la reale sussistenza dell'ipotesi  che  siano  adombrate
responsabilita' a carico di persone indicate nell'art. 96 Cost.». 
    3. - Con la legge costituzionale n. 1 del  16  gennaio  1989,  la
competenza a giudicare dei reati commessi dai ministri nell'esercizio
delle loro funzioni e' stata restituita all'autorita' giurisdizionale
ordinaria. La configurazione del  reato  ministeriale  non  e'  pero'
venuta meno, e con essa si e' conservata anche la necessita'  di  una
regolazione  adeguata  dei  rapporti  fra  assemblee  parlamentari  e
giudice ordinario, che tanto spazio aveva  trovato  nella  previgente
disciplina dell'istituto. Il legislatore, difatti, pur attribuendo al
giudice la cognizione di  tali  reati,  ha  stabilito  per  essi  una
procedura speciale, in primo luogo per la competenza allo svolgimento
delle indagini dell'apposito collegio per i  reati  ministeriali;  in
secondo luogo per la previsione dell'autorizzazione  a  procedere  da
parte delle Camere. 
    Ne deriva dunque che, anche a seguito  della  riforma,  ferma  e'
rimasta  la  necessita'  di  una  adeguata  disciplina  dei  rapporti
intercorrenti  in  materia  fra  assemblee  parlamentari   e   potere
giudiziario, onde consentire a ciascuno  di  essi  di  esercitare  in
pienezza  le  proprie  attribuzioni   costituzionali   esistenti   al
riguardo.  In  particolare,   in   ragione   della   logica   propria
dell'istituto, si dimostra essenziale la compiuta  partecipazione  di
entrambi i poteri alla fase preordinata alla qualificazione del reato
imputato al Ministro. 
    I  principi  inderogabili  che  reggono  la  disciplina  di  tale
rapporto risultano, come e' noto, fissati dalla recente decisione  di
codesta ecc.ma Corte costituzionale n. 241 del 2009, che  costituisce
dunque  l'indefettibile  riferimento  per  ogni  ulteriore   analisi.
L'interpretazione della Corte prende le mosse  dalla  necessita'  del
contemperamento  fra  «la  garanzia  della  funzione  di  governo»  e
«l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge», da cui deriva,  per
l'autorita' giudiziaria «il  potere  dovere  di  perseguire  i  reati
commessi  da  qualunque  cittadino,  indipendentemente  dalla  carica
ricoperta», per l'autorita' politica «il potere-dovere di attuare  in
concreto la guarentigia prevista dall'art. 96 Cost.». A  questi  fini
va segnalato il necessario «coinvolgimento»,  previsto  dall'art.  8,
comma 1, della legge costituzionale n. 1 del 1989,  nel  procedimento
instaurato contro il Ministro, della Camera  competente  a  concedere
l'autorizzazione sia  nell'ipotesi  che  gli  atti  del  procedimento
vengano   ad   essa   trasmessi    ai    fini    della    concessione
dell'autorizzazione; sia nell'ipotesi  di  archiviazione.  In  detta,
ultima ipotesi rientra anche, secondo la configurazione della  Corte,
la c.d. «archiviazione sistematica», perche'  determinata,  all'esito
delle indagini, dalla  qualificazione  come  «non  ministeriale»  del
reato ascritto al Ministro, da cui deriva l'esito ben  diverso  della
prosecuzione del giudizio nelle forme comuni. 
    «E' evidente - secondo quanto ancora stabilito a questo proposito
dalla Corte costituzionale  -  che  anche  e  soprattutto  in  questa
situazione, la Camera competente ha un  interesse  costituzionalmente
protetto ad essere tempestivamente informata, per  via  istituzionale
ed in forma ufficiale dell'avvenuta  archiviazione,  come  prescrive,
senza  eccezioni,  il  citato-comma  4  dell'art.   8   della   legge
costituzionale n. 1 del 1989». 
    E difatti, conclude la sentenza toccando cosi' il punto  cruciale
del rapporto che al riguardo si instaura i due  poteri  dello  Stato,
tale obbligo  di  informazione  costituisce  «l'unico  strumento  che
consente  alla  Camera  stessa  di  apprezzare  che  si   tratta   di
archiviazione che non implica una  chiusura,  ma,  al  contrario,  un
seguito del procedimento per  diversa  qualificazione  giuridica  del
fatto di reato». E poiche'  tale  diversa  qualificazione  condiziona
l'esercizio   dell'attribuzione   autorizzatoria   delle    assemblee
rappresentative, non  puo'  sottrarsi  all'organo  parlamentare  «una
propria  autonoma  valutazione  sulla  natura  ministeriale   o   non
ministeriale dei reati oggetto di  indagine  giudiziaria»,  anche  al
fine di sollevare il conflitto di attribuzione sul presupposto  della
menomazione della propria competenza  stabilita  dall'art.  96  della
Costituzione. 
    Risulta  quindi   ormai   chiarito   in   modo   definitivo   che
l'affidamento alla giurisdizione ordinaria della cognizione sui reati
ministeriali non  elimina  affatto  la  necessita'  di  una  adeguata
regolazione dei rapporti che si instaurano fra giudice  ordinario  ed
assemblee parlamentari nell'occasione dell'accertamento di  un  reato
ministeriale.  Tale  regolazione  coincide  con   le   diverse   fasi
procedimentali, puntualmente cadenzate dal legislatore, non  soltanto
preordinate alle indagini ed  all'esercizio  dell'azione  penale,  ma
anche preordinate, al contempo, alla tutela delle attribuzioni che la
Costituzione riserva in questa materia al Potere parlamentare. 
    4. - Occorre sottolineare che il  procedimento  prosegue  secondo
una scansione di fasi rigidamente preordinate, per quanto attiene  ai
modi ed ai tempi. In proposito l'art. 6, comma 1, della  legge  Cost.
n. 1 del 1989 stabilisce, come e' noto, che «i rapporti, i referti  e
le  denunzie  concernenti  i  reati  indicati  dall'art.   96   della
Costituzione  sono  presentati  o  inviati   al   Procuratore   della
Repubblica  presso  il  Tribunale  del   capoluogo   competente   per
territorio», il quale «omessa ogni indagine» deve, entro  il  termine
di  15  giorni,  trasmettere  gli  atti  al  collegio  per  i   reati
ministeriali previsto dall'art. 7 della stessa  legge.  Il  collegio,
infatti, dispone di novanta giorni per il compimento  delle  indagini
preliminari, prorogabili di ulteriori sessanta  giorni  su  richiesta
del Procuratore della Repubblica. 
    In questo quadro, come rileva codesta ecc.ma  Corte,  trattandosi
di  indagini  finalizzate  alla  concessione  dell'autorizzazione   a
procedere,  il  collegio  gode  di  «poteri   eccezionalmente   ampi,
giustificati  dalla  specialita'  di  questa  fase  procedimentale...
prodromica ad una doppia valutazione»,  sia  da  parte  dello  stesso
collegio sia da parte della Camera competente  all'autorizzazione  ex
art. 96 Cost. (sentenza n.  403  del  1994).  E  difatti,  una  volta
esperite le indagini, il c.d. Tribunale dei Ministri ha di  fronte  a
se' due possibilita': o  trasmette  gli  atti  al  Procuratore  della
Repubblica per l'immediata loro rimessione al Presidente della Camera
competente,   affinche'   questa   deliberi   sull'autorizzazione   a
procedere; ovvero dispone l'archiviazione del procedimento, anche  in
questo caso dovendo pero' lo stesso Procuratore  dare  «comunicazione
dell'avvenuta archiviazione al Presidente  della  Camera  competente»
(art. 8, commi 1, 2 e 4 della Cost.  n.  1  del  1989).  Nell'ipotesi
dell'archiviazione la legge contempla espressamente anche il caso che
"il fatto integra un reato diverso da quelli  indicati  dall'art.  96
della Costituzione» (art. 2, comma 1, legge n. 219 del 1989); caso di
archiviazione  «sistematica»,  per  il  quale  la   regola   che   il
Procuratore  della  Repubblica  deve  curare  la  comunicazione   del
relativo provvedimento alla Camera competente vale come  e  piu'  che
per ogni altro caso di archiviazione (sentenza n. 241 del 2009). 
    Come  si   e'   detto,   infatti,   poiche'   la   qualificazione
dell'illecito,  da  parte.  Tribunale   dei   Ministri,   come   «non
ministeriale» determina in realta' la  -  prosecuzione  del  giudizio
sotto la forma di giudizio ordinario, tale qualificazione vale,  allo
stesso tempo, anche come  accertamento  relativo  al  fatto  che  non
ricorrono  i  presupposti  per  l'esercizio  da  parte  delle  Camere
dell'attribuzione  loro  riservata  dall'art.  96  cost.  Da  qui  la
conclusione necessaria, stabilita dalla sentenza  in  esame,  che  la
tempestiva comunicazione da parte del  Procuratore  della  Repubblica
alla Camera  competente  del  provvedimento  di  archiviazione  cosi'
motivato  assume  il  valore  di  un  vero  e   proprio   adempimento
costituzionalmente  dovuto  e  rilevante  nei  rapporti  fra   potere
giudiziario e potere legislativo. 
    Tale dichiarazione integra un vero e proprio diritto  dell'organo
parlamentare nei confronti dell'autorita' giudiziaria procedente e la
relativa previsione, contenuta nell'art. 8, quarto comma, della legge
Cost. n. 1 del 1989 finisce dunque per assolvere, a ben vedere,  alla
medesima funzione dell'obbligo di notizia al Presidente della  Camera
dei deputati,gia' gravante sul pubblico ministero ai sensi  dall'art.
12 della legge n. 20 del 1962, in  relazione  all'inizio  dell'azione
penale nei confronti di un Ministro. Si tratta quindi di  un  profilo
costante nella normativa in materia, giacche' l'adempimento di questo
obbligo   di   comunicazione   vale   sostanzialmente   a   mantenere
l'equilibrio del sistema, mirando  ad  assicurare  contemporaneamente
tutela della funzione di governo e  uguale  sottoposizione  di  tutti
alla legge penale. 
    L'attribuzione alfa autorita' giudiziaria ordinaria  del  compito
di conoscere del reato ministeriale  non  puo'  quindi  essere  fatta
valere in modo tale da precludere alle Camere  l'adeguata  conoscenza
dello  stato  delle  indagini,  sia   ai   fini   della   concessione
dell'autorizzazione  a  procedere,  sia  ai  fini  della  consapevole
valutazione della decisione dell'autorita' giudiziaria di qualificare
il reato come «non  ministeriale»,  proseguendo  cosi'  il  giudizio,
nelle forme ordinarie. 
    5. - Risulta a questo punto del tutto evidente  la  natura  della
rilevante violazione procedimentale che si e' consumata nel  caso  di
specie e che ha cosi' determinato la menomazione  delle  attribuzioni
del Senato della Repubblica. 
    Deriva  infatti  dalle  considerazioni  sin  qui  svolte  che  il
collegio  per  i   reati   ministeriali   costituisce   il   raccordo
indefettibile  per  la  regolazione   dei   rapporti   dell'autorita'
giudiziaria con le Camere rappresentative; ed e'  soltanto  all'esito
delle indagini compiute dal collegio, che il legislatore ha  previsto
quella forma di necessario «coinvolgimento» dell'organo parlamentare,
che  risulta  non  eliminabile  se  non  a  costo  di  menomarne   le
attribuzioni costituzionali. Ed anche l'eventuale qualificazione  del
reato come un reato «non ministeriale» - che  vale  ad  escludere  la
necessita' dell'autorizzazione -  potendo  legittimamente  discendere
soltanto dalla valutazione di tale collegio, compiuta all'esito delle
indagini  di  propria  competenza,  deve  essere,  come  gia'  detto,
sottoposta in quanto tale ad una verifica da parte delle  Camere  nei
modi sinora detti e previsti dalla legislazione vigente. 
    Ed  e'  proprio  per  tutte  queste   ragioni   che   una   legge
costituzionale  ha  attribuito  natura  del  tutto   peculiare   alla
composizione e alle competenze del collegio per i reati ministeriali.
La composizione del collegio  rivela  a  prima  vista  l'intento  del
legislatore di sottrarre lo svolgimento  delle  indagini  all'ufficio
del pubblico ministero per conferirlo invece ad un collegio  composto
da tre giudici estratti a sorte periodicamente. Il c.d. Tribunale dei
Ministri pertanto, come ha stabilito la Corte suprema di  Cassazione,
e' «organo giurisdizionale di  indagine  di  natura  giurisdizionale,
proprio a garanzia di  quella  imparzialita'  e  terzieta'  richiesta
dalla delicatezza della materia» (Cass. Pen. , sez.  VI,  21  gennaio
1997, n. 207). In tale sua qualita' inoltre, il collegio  assomma  in
se', nella fase delle indagini preliminari, i poteri sia del pubblico
ministero, sia del giudice per le indagini preliminari,  secondo  una
disciplina speciale, fortemente derogatoria dell'impianto complessivo
del codice di rito. 
    Questa composizione e queste  competenze,  del  tutto  peculiari,
derivano direttamente da una fonte  costituzionale,  cioe'  la  legge
Cost. n. 1 del 1989, e configurano dunque, in capo al  collegio,  una
qualificazione vera  e  propria  di  rango  costituzionale,  tale  da
renderlo, ad un tempo, organo del potere 
    giudiziario e potere-organo dello Stato. La circostanza e'  stata
sottolineata da codesta ecc.ma Corte costituzionale quando,  in  sede
di ammissibilita' di un conflitto di attribuzione, ha riconosciuto la
legittimazione al suddetto collegio non gia' perche' parte del potere
giudiziario quale potere  diffuso,  ma  perche'  «esclusivo  titolare
delle attribuzioni previste dall'art. 8, della  legge  costituzionale
16 gennaio 1989, n. 1» (ordinanza n. 8 del 2008; ordinanza n. 217 del
1994). 
    E' quindi alla luce di questa duplice configurazione del collegio
per i reati  ministeriali  che  va  valutata  nel  suo  complesso  la
disciplina di rango sia costituzionale che legislativo che regola  il
procedimento di accertamento del reato  ministeriale,  e  questo  sia
sotto il profilo del rapporto che si instaura fra il  collegio  e  le
Camere; sia sotto il profilo dell'espressa competenza del collegio  a
qualificare  come  ministeriale  o  meno  l'illecito  addebitato   al
Ministro; sia infine sotto il profilo dell'adempimento da parte della
Procura della Repubblica degli obblighi di comunicazione  previsti  a
favore  delle  Assemblee  parlamentari,  all'esito   delle   indagini
compiute dal collegio. 
    Per quanto attiene ai rapporti dell'attivita' del Collegio con la
potesta' deliberativa delle Camere va ricordato  che  i  compiti  del
collegio risultano strettamente circoscritti proprio alla fase  delle
indagini preordinate alla richiesta  di  autorizzazione  a  procedere
(sent. n. 124 del 2002). Ne deriva secondo l'orientamento di  codesta
ecc.ma  Corte,  un  nesso  strettissimo  fra  potere  valutativo  del
collegio e potere valutativo della Camera, i quali si presentano come
«funzionalmente collegati, di guisa che il mancato pieno  dispiegarsi
del primo comunque incide sull'altro, nel senso che ...  quest'ultimo
viene privato, in tutto o in parte, di elementi  di  valutazione  che
altrimenti avrebbe avuto disponibili come risultanze  delle  indagini
preliminari» (sent. n. 403 del 1994). 
    Questa  decisione  chiarisce  che  l'esercizio  dell'attribuzione
camerale viene a dipendere  pressoche'  integralmente  dall'opera  di
interlocuzione con l'autorita' giudiziaria, direttamente connessa,  a
sua volta, alle peculiari  funzioni  del  collegio  in  questione.  E
difatti, come la medesima decisione ha  espressamente  puntualizzato,
«l'eventuale abdicazione del collegio ad  esercitare  il  suo  potere
priva la Camera di elementi di fatto la cui rilevanza, o  meno  -  ai
fine del riscontro delle finalita' di cui all'art. 9, comma 3,  della
legge Cost. n. 1 del 1989 - essa sola puo' apprezzare». 
    E' in questo stesso quadro interpretativo, dunque, che va inoltre
apprezzata,  quale  elemento  sintomatico  di  grande   rilievo,   la
disciplina combinata sull'archiviazione  della  notizia  di  reato  e
sull'obbligo della relativa comunicazione alla Camera  competente  da
parte del Procuratore della Repubblica (art. 2 della legge n. 219 del
1989;  art.  4  della  legge  Cost.  n.  1  del  1989).  Il   diritto
dell'assemblea rappresentativa all'adozione di proprie valutazioni in
merito alla qualificazione del reato, concorrenti con quelle adottate
dall'autorita' giudiziaria, cosi'  come  la  posizione  di  integrale
dipendenza  delle  Camere  stesse  rispetto  alle  risultanze   delle
indagini compiute dal collegio per i reati  ministeriali  (innovativo
rispetto  al  precedente  sistema   della   commissione   inquirente)
contribuiscono alla particolare configurazione del  ruolo  di  questo
collegio. Infatti  soltanto  esso,  quale  organo  giudiziario,  puo'
compiere una valutazione dirimente sulle  natura  «non  ministeriale»
dell'illecito ascritto ai  Ministro,  con  tutte  le  conseguenze  in
ordine  alla  esclusione  delle  attribuzioni  del   Parlamento.   La
disciplina di cui all'art. 4 della  legge  cost.  n.  1  del  1989  e
all'art. 2 della n. 219  del  1989,  conferma  questa  ricostruzione,
stabilendo un obbligo di comunicazione a favore della Camera, con  la
conseguenza che un'analoga opera di qualificazione,  compiuta  al  di
fuori dalle indagini esperite dal collegio, finisce naturalmente  per
menomare la competenza delle Camere in materia. 
    6. - La necessita' che i rapporti esistenti in questo settore fra
autorita' giudiziaria  e  Camere  si  svolgano  in  forme  idonee  al
rispetto  delle  reciproche   attribuzioni,   determina   quindi   la
conseguenza di una vera e propria riserva istituita  dal  legislatore
costituzionale a favore del collegio per i reati ministeriali,  unico
organo giudiziario legittimato ad indagare  sulla  notizia  di  reato
addebitato al Ministro ed a qualificare, all'esito delle indagini, la
natura del reato. 
    Cio' significa che qualsiasi notizia relativa a reati di  cui  si
addebita al Ministro il compimento in pendenza dell'incarico  rientra
nella previsione dell'art. 6 della legge costituzionale n. 1 del 1989
e determina la necessita' della trasmissione degli atti  al  collegio
previsto  dal  successivo  art.  7,  cui  solo  spetta,  esperite  le
indagini, procedere alla qualificazione della natura del  reato,  con
le conseguenze procedimentali gia' descritte. 
    L'abolizione degli istituti della giustizia politica  per  quanto
attiene ai ministri e la conseguente espansione  della  giurisdizione
ordinaria  risultano  dunque  mediate,  nel  sistema  prescelto   dal
legislatore di riforma costituzionale, dalla previsione di un  organo
di rilevanza costituzionale - e cioe'  il  collegio  -  destinato  ad
operare, nella delicata fase  prodromica  del  procedimento,  in  una
posizione di cerniera ideale  fra  le  attribuzioni  delle  assemblee
parlamentari, quali contitolari della funzione di indirizzo  politico
e le attribuzioni dell'autorita' giudiziaria. 
    Si spiega cosi'  l'omissione  solo  apparente,  nella  disciplina
della legge costituzionale e della relativa legge di  attuazione,  di
una  regolazione  analoga  a  quella  contenuta  nella   legislazione
preesistente  in  ordine  ai  rapporti   fra   giurisdizione   penale
costituzionale e giurisdizione penale comune. Il  venire  meno  della
giurisdizione costituzionale per i reati commessi da ministri non  ha
affatto eliminato la necessita' della regolazione dei rapporti fra  i
due  poteri  in  questa  materia;  regolazione  che  il   legislatore
costituzionale ha invece assorbito nella disciplina dei  compiti  del
collegio per i  reati  ministeriali.  L'omessa  attivazione  di  tale
collegio, di  conseguenza,  vale  di  per  se  sola,  a  menomare  le
attribuzioni delle Camere in materia. 
    7. - Nel caso  di  specie,  tale  menomazione  si  e'  pienamente
verificata nei confronti del Senato. 
    E' infatti accaduto - come  gia'  detto  -  che  gli  uffici  del
pubblico ministero tanto di Santa Maria Capua Vetere quanto di Napoli
hanno lungamente indagato per diverse notizie di reato nei  confronti
del  Ministro  Mastella,  hanno  sollecitato  l'emissione  di  misure
cautelari a suo carico, hanno chiesto il suo rinvio a giudizio  senza
ritenersi minimamente tenuti agli obblighi di  trasmissione  previsti
dall'art. 6 della I. cost. n. 1 del 1989 a favore del collegio per  i
reati ministeriali competente per territorio. 
    La menomazione delle attribuzioni del Senato  e'  dimostrata  per
tabulas dalle gravissime implicazioni della scelta interpretativa  di
riconoscere espressamente al pubblico ministero il potere di svolgere
con il rito comune indagini a carico del Ministro Mastella sulla base
della  mera  formulazione  della  notitia  criminis,  e   quindi   di
esercitare  l'azione  penale  nei  suoi  confronti,  salvo  solo   il
controllo  della  stessa  autorita'  giudiziaria  di  fronte  cui  il
giudizio si svolge. Una tale interpretazione  in  effetti  espone  in
modo 
    inammissibile l'esercizio delle attribuzioni proprie della Camera
competente alla valutazione unilaterale  dell'autorita'  giudiziaria,
adottata al di fuori delle specifiche garanzie procedimentali  volute
dal legislatore costituzionale ed incentrate sullo speciale  collegio
peri reati ministeriali proprio in ordine alle attivita' di indagine.
La predetta interpretazione finisce dunque per attribuire  al  potere
giurisdizionale una sorta di competenza  esclusiva  sulla  competenza
del potere parlamentare; soluzione che risulta del tutto in contrasto
con il disegno costituzionale che riserva alle Camere il  compito  di
autorizzare il giudizio penale per i reati ministeriali  e  non  puo'
quindi tollerare  che  tale  competenza  venga  a  dipendere  da  una
valutazione unilaterale proveniente proprio do quel  medesimo  potere
che deve invece essere autorizzato ad esercitare la propria  funzione
giudicante nei confronti del Ministro. 
    Questo inammissibile risultato  si  palesa  in  contrasto  con  i
principi da sempre stabiliti dalla giurisprudenza costituzionale  per
i procedimenti su reati ministeriali, che  escludono  che  le  Camere
possano   restare   condizionate   «da   discrezionali    valutazioni
dell'autorita' giudiziaria» (sentenza n. 13 dei  1975)  e  si  palesa
ancora piu' in contrasto con il  sistema  voluto  dalla  riforma  del
1989, a volere solo considerare l'ordine dei rapporti che vengono  ad
instaurarsi fra il pubblico ministero ed  il  collegio  per  i  reati
ministeriali di cui all'art. 7 della legge costituzionale. Se  invero
si riflette sul fatto che tale  collegio  e'  stato  investito  delle
funzioni connesse alle indagini preliminari proprio per  i  requisiti
di imparzialita' e di terzieta' che la sua  composizione  garantisce,
si comprende  l'effetto  paradossale  della  erronea  interpretazione
adottata nel caso di specie dalle autorita'  giudiziarie  procedenti,
che finisce appunto per attribuire all'ufficio del pubblico ministero
la capacita' di precludere discrezionalmente l'effettiva operativita'
della speciale garanzia procedimentale costituzionalmente prevista  a
favore delle Camere. 
    Ma c'e' di piu': a fronte della richiesta di rinvio  a  giudizio,
la difesa del Ministro Mastella ha sollevato la relativa eccezione di
incompetenza funzionale, che l'ufficio del G.U.P.  del  Tribunale  di
Napoli  ha  pero'  rigettato,  respingendo  cosi'   l'interpretazione
prospettata, secondo cui in ogni caso di procedimento riguardante  un
Ministro, il Magistrato inquirente dovrebbe quanto meno informare  la
Camera di riferimento circa la propria decisione di qualificare  come
«non ministeriale» il  fatto-reato  addebitato  al  Ministro  stesso,
poiche' in caso contrario ne sarebbero menomate  le  attribuzioni  di
garanzia della Camera, cui sarebbe impedito di esprimere  la  propria
valutazione. Tale interpretazione, secondo  il  G.U.P.,  integrerebbe
«un'ulteriore tutela ... per coloro che rivestono o  hanno  rivestito
funzioni ministeriali, che appare poco compatibile oltre che  con  il
principio generale di eguaglianza anche con quello -  che  del  primo
costituisce conseguenza - dell'obbligatorieta' dell'azione penale». 
    A conferma della evidente ed ulteriore menomazione derivante alle
attribuzioni del Senato da questa decisione, si  deve  osservare  che
restano  completamente  sullo  sfondo  dell'argomentazione,  ed  anzi
scompaiono  del  tutto  dal  ragionamento,   proprio   la   posizione
costituzionale in questa materia della Camera competente e la  tutela
della relativa attribuzione alla  concessione  dell'autorizzazione  a
procedere.  Invero  il  compito  di  interloquire  con  le  assemblee
parlamentari  nel  corso  della  procedura  viene   dal   legislatore
costituzionale  previsto  come  proprio  del  collegio  per  i  reati
ministeriali, cui  lo  stesso  legislatore  impone  espressamente  di
operare - tramite il Procuratore della Repubblica - quale controparte
necessaria delle assemblee nell'ambito dei rapporti intercorrenti con
l'autorita' giudiziaria in questa materia. 
    Cio'  spiega  perche'  gravi  sul  predetto  collegio   l'obbligo
istituzionale di informativa sul fatto-reato alla Camera  competente,
ma e' da sottolineate che la menomazione della competenza autorizzato
ria dell'organo parlamentare si verifica comunque in ogni caso in cui
ad esso non venga fornita alcuna informazione da  parte  dei  diversi
organi giudiziari  procedenti.  Ne  deriva  quindi  che  nell'ipotesi
patologica che il collegio non sia messo in condizione  di  procedere
alle indagini su fatti-reato attribuiti ad un Ministro in  carica  ed
al conseguente obbligo  informativo,  spetta  comunque  all'autorita'
giudiziaria procedente quanto meno di  provvedere  autonomamente  nel
senso predetto. 
    Nel caso di specie, pero', cio' non e'  avvenuto,  anche  perche'
l'interpretazione  fatta  propria  dal  G.U.P.,  essendo  del   tutto
sbilanciata   a   favore   dell'autorita'   giudiziaria    procedente
sull'espresso presupposto del  carattere  «esclusivo»  della  propria
competenza alla qualificazione del reato  ascritto  al  Ministro,  ha
privato il Senato del diritto di  usufruire  -  attraverso  il  ruolo
istituzionale del Tribunale dei ministri  o,  in  mancanza,  mediante
un'informativa diretta - di tale doverosa  opera  di  interiocuzione,
che   e'   invece   prevista   come   necessaria   dal    legislatore
costituzionale. In ogni caso la suddetta interpretazione  del  G.U.P.
ed anche degli altri magistrati ha tagliato il Senato del tutto fuori
dal procedimento penale in corso di  svolgimento  nei  confronti  del
Ministro Mastella. 
    La conseguenza di questa lunga serie di  erronee  interpretazioni
della legislazione vigente, e' consistita nel  fatto  che  il  Senato
della Repubblica, nonostante la  propria  competenza  autorizzatoria,
non  e'   stato   mai   informato   dall'autorita'   procedente   ne'
dell'esistenza stessa del procedimento penale, ne' tanto  meno  dello
stato del suo iter. In particolare, non e' stata  mai  comunicata  al
Senato la  dirimente  determinazione  dell'autorita'  giudiziaria  di
escludere in radice la natura «ministeriale» dei fatti addebitati  al
Ministro, nonostante che in tal  modo  venissero  poste  le  premesse
logiche  e  procedimentali  per  escludere  l'esercizio   delle   sue
attribuzioni costituzionalmente previste. 
    8. - L'illegittima procedura  che  ne  e'  conseguita  ha  dunque
privato  il  Senato  dell'interlocuzione  indefettibile   della   sua
naturale e necessaria  controparte  nel  procedimento  per  il  reato
addebitato al  ministro,  rappresentata  dal  collegio  per  i  reati
ministeriali, nonche' lo ha privato  degli  adempimenti  comunicativi
minimi, necessari per essere posto nella condizione  di  svolgere  in
pienezza le proprie attribuzioni costituzionali. 
    La menomazione delle  attribuzioni  dell'organo  rappresentativo,
infatti, non consiste ancora, in questo stato del procedimento, nella
mancata  attivazione  della  propria  competenza  autorizzatoria   in
presenza di un reato da qualificarsi come «ministeriale»,  ma  deriva
invece  direttamente  ed   immediatamente   dalla   omissione   degli
adempimenti comunicativi previsti a suo favore  in  dipendenza  della
mancata attivazione del collegio per i reati ministeriali,  all'esito
delle cui indagine tali adempimenti  sono  prescritti  a  carico  del
Procuratore delle Repubblica. 
    E' infatti inammissibile quanto nel caso di specie e' avvenuto, e
cioe' che il Senato, privato del suo diritto di comunicazione ex art.
8 della  legge  cost.  n.  1  del  1989,  si  e'  trovato  a  doversi
autonomamente attivare per ottenere altrimenti  le  informazioni  non
pervenute secondo le procedure  previste  dal  legislatore.  Cio'  ha
effettivamente  posto  l'organo   nella   condizione   di   dipendere
integralmente,  per  l'ottenimento  degli  elementi  di  informazione
richiesti,  dalla  valutazione  discrezionale  degli  stessi   organi
giudiziari nei  cui  confronti  far  valere  le  proprie  prerogative
costituzionali. Le numerose ed inutili sollecitazioni, il lungo tempo
trascorso senza veder soddisfatte le proprie legittime richieste,  lo
stato ancora assolutamente insufficiente degli elementi portati  alla
conoscenza dell'organo rappresentativo, sono tutti elementi  da  soli
valevoli  ad  dimostrare  con  assoluta  evidenza  il   grado   della
menomazione subita dal Senato in relazione alle proprie  attribuzioni
in materia. 
    Va infatti ancora una volta ribadito il fatto che la rinuncia del
legislatore di  revisione  costituzionale  al  sistema  di  giustizia
«politica» e alla previgente riserva alle  Camere  per  la  messa  in
stato d'accusa dei Ministri non si e' affatto tradotta,  nel  disegno
di riforma, nella rimessione integrale all'autorita'  giurisdizionale
ordinaria del potere di giudicare dei reati commessi dai ministri. Al
contrario e' invece necessario, ai sensi dell'art. 96 Cost.,  che  il
relativo esercizio dell'azione penale derivi da un  procedimento  nel
quale intervengono, pur se con competenze e modalita' differenti, sia
l'autorita' giurisdizionale,  sia  lo  speciale  Collegio  dei  reati
ministeriali, sia le Camere. Si tratta di un procedimento finalizzato
proprio ad accertare la natura del reato per il quale si  procede,  e
con essa il riparto delle competenze nel caso concreto. 
    La determinazione dell'autorita' giudiziaria  di  procedere,  nel
caso di specie, in completa autonomia ha  finito  con  il  minare  le
fondamenta del relativo equilibrio, esponendo la posizione del potere
legislativo ad una  sorta  di  dipendenza  integrale  dalle  potesta'
qualificatorie di quello giudiziario. 
    La conseguente lesione delle attribuzioni del  Senato  e'  dunque
apprezzabile nelle  forme  puntuali  della  menomazione  del  diritto
dell'organo   a   partecipare   nei   modi   e   con   le    garanzie
costituzionalmente   previsti   al   procedimento   giudiziario   sul
fatto-reato addebitato al Ministro Mastella. 
    Per quanto attiene alla legittimazione del Senato  ad  agire  nel
presente giudizio, e' sufficiente considerare che  il  Senato  e'  la
Camera competente alla concessione  dell'autorizzazione  a  procedere
nei confronti del Ministro Mastella, sia per la posizione di senatore
che lo stesso Mastella rivestiva 
    all'epoca dei fatti, sia per la circostanza che  quando  l'azione
penale e' stata  esercitata  nei  suoi  confronti  aveva  cessato  di
appartenere al Parlamento. 
    Sussiste inoltre l'interesse  ad  agire  del  Senato,  in  quanto
proprio   l'illegittima   procedura   con   la   quale    l'autorita'
giurisdizionale  ordinaria  e'  pervenuta  a  qualificare  come   non
ministeriali gli illeciti  addebitati  al  Ministro  Mastella  lo  ha
radicalmente privato di ogni possibilita' di partecipazione e di ogni
«coinvolgimento» nel procedimento, indispensabili per  il  compimento
delle proprie valutazioni al riguardo, ponendolo nella condizione ben
diversa di ricercare per il tramite di canali informali gli  elementi
di giudizio che la magistratura ha omesso indebitamente di fornirgli. 
    In ordine all'ammissibilita' del ricorso, non possono  sussistere
dubbi, per quanto riguarda  i  profili  soggettivi,  sia  per  quanto
attiene al Senato, sia per  quanto  attiene  agli  organi  giudiziari
interessati nella vicenda. Il  Senato  e'  certamente  legittimato  a
sollevare  conflitto  tra  Poteri  dello  Stato  per   difendere   le
attribuzioni espressamente  stabilite  a  suo  favore,  nel  caso  di
specie,  dall'art.  96  della  Costituzione   nonche'   dalla   legge
costituzionale n. 1 del 1989 (tra le ultime, confronta ordinanza n. 8
del 2008; sentenza n. 241 del 2009). 
    Parimenti indubitabile,  alla  stregua  della  giurisprudenza  di
codesta Corte, e' la legittimazione a resistere sia del Tribunale  di
Napoli - Sezione del G.U.P. - quale organo  competente  a  dichiarare
definitivamente, nel procedimento di cui e'  investito,  la  volonta'
del potere cui appartiene, per le funzioni giurisdizionali esercitate
in posizione di indipendenza, costituzionalmente garantita (ord. n. 8
del  2008;  sent.  n.  241  del  2009);  sia  del  Procuratore  della
Repubblica, rispettivamente presso il Tribunale di Santa Maria  Capua
Vetere ed il Tribunale  di  Napoli,  in  quanto  organo  direttamente
investito delle funzioni di cui all'art.  112  della  Costituzione  e
dunque titolare dell'esercizio dell'azione penale  e  delle  relative
attivita' di indagine (ord. n. 73 del 2006). 
    Per quanto attiene ai profili oggettivi di ammissibilita',  tutto
quanto sopra esposto vale ad evidenziare  che  il  conflitto  ha  per
oggetto la menomazione che il  Senato  della  Repubblica  lamenta  in
ordine alla propria  sfera  di  attribuzioni  direttamente  conferite
dalla Costituzione nonche', nella specie, dalla legge  costituzionale
n. 1 del  1989,  a  causa  della  condotta  degli  organi  giudiziari
predetti, che hanno omesso il compimento di  adempimenti  processuali
appunto previsti a tutela delle prerogative del Senato medesimo. 
 
                          Per questi motivi 
 
    Il Senato  della  Repubblica,  difeso  e  rappresentato  come  in
epigrafe, chiede  che  codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale  voglia
dichiarare: 
        a) che non spettava al Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale  di  Santa  Maria  Capua  Vetere,   in   riferimento   alle
attribuzioni del Senato della  Repubblica,  di  esperire  indagini  a
carico dell'on. Mario Clemente Mastella, Ministro all'epoca dei fatti
contestati, omettendo di trasmettere,  ai  sensi  dell'art.  6  della
legge costituzionale n. 1 del 1989, gli atti al collegio per i  reati
ministeriali di cui al successivo articolo 7; 
        b) che non spettava al Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Napoli, in  riferimento  alle  attribuzioni  del  Senato
della Repubblica, di  esperire  indagini  e  di  esercitare  l'azione
penale a carico dell'on. Mario Clemente Mastella, Ministro  all'epoca
dei fatti contestati, omettendo di trasmettere, ai sensi del medesimo
art. 6, della legge  costituzionale  n.  1  del  1989,  gli  atti  al
collegio per i reati ministeriali di cui al successivo art. 7; 
        c) che non spettava al Giudice per l'Udienza Preliminare  del
Tribunale di Napoli, in  riferimento  alle  attribuzioni  del  Senato
della Repubblica, rigettare  con  l'ordinanza  del  20  ottobre  2010
l'eccezione di incompetenza funzionale  del  Tribunale  di  Napoli  a
giudicare il Ministro della Giustizia on. Mario Clemente Mastella,  e
di procedere secondo il rito ordinario, con conseguente  annullamento
degli atti indicati in epigrafe e di tutti gli altri atti conseguenti
e presupposti. 
      Roma, 20 dicembre 2010 
 
                 Avv. Prof.: Piero Alberto Capotosti 
 
Avvertenza 
    L'ammissibilita' del  presente  conflitto  e'  stata  decisa  con
ordinanza n. 104/2011 e pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  -  1a
serie speciale - n. 14 del 30 marzo 2011.