N. 98 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 dicembre 2010
Ordinanza del 15 dicembre 2010 emessa dal Tribunale di Alessandria nel procedimento civile promosso da L.G. contro Ministero della salute ed altra. Sanita' pubblica - Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni - Previsione, con norma autoqualificata di interpretazione autentica, che l'indennita' integrativa speciale relativa all'indennizzo stesso non e' soggetta a rivalutazione secondo il tasso di inflazione - Violazione del principio di uguaglianza - Lesione della garanzia previdenziale. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, art. 11, comma 13, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122. - Costituzione, artt. 3 e 38.(GU n.25 del 8-6-2011 )
IL TRIBUNALE Il giudice Marco Viani nella causa iscritta al n. 718/2010 r.g. promossa da L.G., ricorrente con l'avv. Nadia Tecchiati, contro Ministero della salute, convenuto con l'Avvocatura dello Stato, Regione Piemonte, convenuta con l'avv. Alessandra Rava, sciogliendo la riserva che precede ha pronunciato la seguente ordinanza di rimessione; Osservato quanto segue: 1) L.G., titolare di indennizzo ai sensi della legge n. 210/1992, ha convenuto in giudizio il Ministero della salute e la Regione Piemonte, chiedendone la condanna al pagamento delle somme dovute a titolo di rivalutazione monetaria della indennita' integrativa speciale ai sensi dell'art. 2 della legge n. 210/1992. Il L. espone che in data 13 marzo 2006 la ASL di C.M. gli ha comunicato il riconoscimento del diritto all'indennizzo nella misura prevista in relazione alla VIII categoria della tabella A allegata al d.P.R. n. 834/1981 con decorrenza maggio 2001, e che tuttavia tale indennizzo gli e' sempre stato corrisposto con rivalutazione unicamente della prima delle due voci di cui si compone (e cioe' di quella determinata nella misura prevista dalla tabella B allegata alla legge n. 177/1996) e non anche di quella costituita dalla [recte da una somma pari alla] indennita' integrativa di cui alla legge n. 324/1959. Il Ministero e la regione resistono alla domanda: ciascuno dei due enti contesta la propria legittimazione passiva invocando precedenti giurisprudenziali che la attribuiscono all'altro ente; entrambi eccepiscono la infondatezza nel merito della domanda, sostenendo che la rivalutazione e' dovuta soltanto sulla componente dell'indennizzo costituita dall'assegno determinato nella misura di cui alla tabella B; 2) ai sensi dell'art. 2, commi 1 e 2, della legge n. 210/1992, come modificato dalla legge n. 238/1997: «L'indennizzo di cui all'articolo 1, comma 1, consiste in un assegno, reversibile per quindici anni, determinato nella misura di cui alla tabella B allegata alla legge 29 aprile 1976, n. 177, come modificata dall'articolo 8 della legge 2 maggio 1984, n. 111. L'indennizzo e' cumulabile con ogni altro emolumento a qualsiasi titolo percepito ed e' rivalutato annualmente sulla base del tasso di inflazione programmato. L'indennizzo di cui al comma 1 e' integrato da una somma corrispondente all'importo dell'indennita' integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324, e successive modificazioni, prevista per la prima qualifica funzionale degli impiegati civili dello Stato, ed ha decorrenza dal primo giorno del mese successivo a quello della presentazione della domanda. La predetta somma integrativa e' cumulabile con l'indennita' integrativa speciale o altra analoga indennita' collegata alla variazione del costo della vita. Ai soggetti di cui al comma 1 dell'articolo 1 della legge 25 febbraio 1992, n. 210, anche nel caso in cui l'indennizzo sia stato gia' concesso, e' corrisposto, a domanda, per il periodo ricompreso tra il manifestarsi dell'evento dannoso e l'ottenimento dell'indennizzo, un assegno una tantum nella misura pari, per ciascun anno, al 30 per cento dell'indennizzo dovuto ai sensi del comma 1 del presente articolo e del primo periodo del presente comma, con esclusione di interessi legali e rivalutazione monetaria»; 3) in giurisprudenza di legittimita' si e' interpretata la disposizione, a partire da Cass., n. 15894/05, nel senso che anche la somma integrativa di cui alla prima parte del comma 2, dell'art. 2 fosse rivalutabile: «L'indennizzo in questione consta, come risulta dalla richiamata disposizione normativa, di un importo fisso ex lege - assegno reversibile per quindici anni - (art. 1, comma 1 e all'art. 2, comma secondo della legge n. 210/1992) e dell'indennita' integrativa speciale, di cui alla legge n. 324 del 1959 (art. 2, comma 2, della legge n. 210/1992); Cio' precisato, non sarebbe logico ritenere rivalutabile solo la prima componente del complessivo indennizzo e non la seconda componente - indennita' integrativa speciale -, atteso peraltro che quest'ultima, anche se nella sua originaria struttura portava in se il meccanismo di adeguamento richiamato dalla difesa dell'amministrazione ricorrente, non lo ha conservato a seguito del c.d. taglio della scala mobile riguardante l'indennita' di contingenza in generale e la stessa indennita' integrativa speciale (si richiama al riguardo l'art. 3 del d.l. n. 70 del 1984 - convertito dalla legge n. 219 del 1984 - che dal 1° maggio 1984 fisso' in non piu' di due i punti di variazione della misura di tali indennita': si richiama altresi' il protocollo d'intesa del 31 luglio 1992, con cui il Governo e le parti sociali presero atto dell'intervenuta cessazione del sistema di indicizzazione dei salari); Orbene l'indennita' integrativa speciale, entrando a far parte dell'indennizzo inteso nella sua globalita', ne ha acquistato tutte le caratteristiche, ivi compresa quella della rivalutabilita' secondo il tasso annuale di inflazione programmata, previsto all'art. 2, primo comma, della legge n. 210/1992; D'altro canto l'assunto di parte ricorrente non e' in linea con un'interpretazione conforme ai principi costituzionali, giacche la misura dell'indennizzo, se ritenuta non rivalutabile per intero nelle sue componenti, non sarebbe equa rispetto al danno subito, da rapportare al pregiudizio alla salute (in questo senso Corte costituzionale sentenze n. 307 del 1990 e sentenza n. 118 del 1996), tanto piu' che nel caso di specie gli aumenti ISTAT dal 1995 al 2000 dell'indennizzo (al netto della voce indennita' integrativa speciale, come risultanti dalle tabelle ministeriali: doc. 10 del fascicolo per il ricorso per decreto ingiuntivo, trascritto nel controricorso) sono modesti e l'indennita' integrativa speciale e' rimasta ferma a L. 1.991.765 (euro 1.028,66) nel periodo in questione» (Cass., 28 luglio 2005, n. 15894). Tale principio e' stato seguito dalla giurisprudenza di merito assolutamente prevalente. Verso la fine del 2009, la Corte di cassazione si e' discostata da tale orientamento, statuendo che la rivalutazione non e' dovuta sulla integrazione, cosi' argomentando in critica alla motivazione della sentenza n. 15894: «a) il primo canone di interpretazione legale e' quello letterale, imposto dall'art. 12 preleggi, comma 1, e la legge n. 210 del 1992, art. 2 non disciplina l'indennizzo in questione "nella sua globalita'' ma lo divide in due parti, regolate in due distinti commi, prevedendo letteralmente la rivalutazione annuale soltanto per la prima parte; b) l'indennita' integrativa speciale serve ad impedire o attenuare gli effetti della svalutazione monetaria onde e' ragionevole che il legislatore non ne abbia previsto la rivalutazione. Le ragioni che poi hanno indotto lo stesso legislatore a bloccarla valgono anche per l'integrazione di cui qui si tratta; c) l'art. 32 Cost. garantisce la tutela della salute ma non impone scelte quantitative al legislatore, salvo il principio di equita' ossia ragionevolezza degli indennizzi» (Cass., 13 ottobre 2009, n. 21703). Il principio e' stato ribadito dalla successiva Cass., 19 ottobre 2009, n. 22212. A quanto consta, i giudici di merito, in massima parte, non hanno condiviso la nuova giurisprudenza, continuando a fare applicazione del principio affermato da Cass. n. 15894/05. Il successivo art. 11, comma 13 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge 30 luglio 2010, n. 122, recita: «Il comma 2 dell'articolo 2 della legge 25 febbraio 1992, n. 210 e successive modificazioni si interpreta nel senso che la somma corrispondente all'importo dell'indennita' integrativa speciale non e' rivalutata secondo il tasso d'inflazione». Alla luce di tale disposizione, pertanto, che vincola il giudice a interpretare la disposizione dell'art. 2, comma 2 della legge n. 210 nel senso contrario alla rivalutabilita' della somma corrispondente all'importo della indennita' integrativa speciale, la domanda del L. non sarebbe fondata; 4) giova premettere che la disposizione in esame ha effettivamente natura interpretativa e non innovativa. Infatti, la interpretazione che essa da dell'art. 2, comma 2 della legge n. 210 non soltanto e' effettivamente desumibile dalla formulazione della disposizione interpretata (ed e' apparentemente piu' aderente alla sua lettera: l'art. 2, comma 2 della legge n. 210 non menziona la rivalutabilita' della integrazione, diversamente dal comma 1 che afferma la rivalutabilita' dell'indennizzo, il quale, ai sensi del comma 1, «consiste» nell'assegno, ancorche' integrato dalla somma di cui al comma 2), ma anzi e' l'interpretazione fatta propria dal giudice delta nomofilassi nelle sue piu' recenti prese di posizione sul punto. Cio' premesso, sorge dubbio di legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 13 del d.l. n. 78/2010 convertito in legge n. 122/2010 in relazione agli artt. 3 e 38, comma 1 Cost. Deve osservarsi che - diversamente da quanto sostenuto in causa dalla difesa della regione - gli indennizzi ai soggetti affetti da epatite post-trasfusionale hanno natura assistenziale e non di equo ristoro della salute lesa: «La menomazione della salute conseguente a trattamenti sanitari puo' determinare, oltre al risarcimento del danno secondo la previsione dell'art. 2043 del codice civile, il diritto ad un equo indennizzo, in forza dell'art. 32 in collegamento con l'art. 2 della Costituzione, ove il danno, non derivante da fatto illecito, sia conseguenza dell'adempimento di un obbligo legale; nonche' il diritto, qualora ne sussistano i presupposti a norma degli artt. 38 e 2 della Costituzione, a misure di sostegno assistenziale disposte dal legislatore nell'ambito della propria discrezionalita' (sentenze n. 226 del 2000 e n. 118 del 1996). La situazione giuridica di coloro che, a seguito di trasfusione, siano affetti da epatite e' riconducibile, come quella dei soggetti contagiati da HIV, all'ultima delle ipotesi appena enunciate: l'indennizzo consiste in una misura di sostegno economico fondata, non gia', come assume il rimettente, sul dovere dello Stato di evitare gli effetti teratogeni degli interventi terapeutici, ma sulla solidarieta' collettiva garantita ai cittadini, alla stregua degli artt. 2 e 38 della Costituzione, a fronte di eventi generanti una situazione di bisogno» (C. Cost., 27 ottobre 2006, n. 342). E, in ordine a tali misure di sostegno, la giurisprudenza costituzionale ha anche affermato: «Il diritto a misure di sostegno assistenziale in caso di malattia, alla stregua dell'art. 38 della Costituzione, non e' indipendente dal necessario intervento del legislatore nell'esercizio dei suoi poteri di apprezzamento della qualita', della misura e delle modalita' di erogazione delle provvidenze da adottarsi, nonche' della loro gradualita', in relazione a lutti gli elementi di natura costituzionale in gioco, compresi quelli finanziari, la cui ponderazione rientra nell'ambito della sua discrezionalita' (per tutte, da ultimo, sentenza n. 372 del 1998). Non mancano a questa Corte gli strumenti di controllo delle scelte del legislatore nemmeno in questo caso, sotto il profilo specialmente del rispetto della parita' di trattamento e del nucleo minimo della garanzia; ma tali strumenti non le consentono certo di sostituire alle necessarie valutazioni politiche del legislatore una propria decisione che, in mancanza di criteri giuridico-costituzionali predeterminati, si risolverebbe in un'esorbitanza in un campo che non e' il proprio e nel quale trovano comunque applicazione gli strumenti ordinari dell'assistenza sociale, anche in relazione alle menomazioni alla salute di cui e' questione» (C. Cost., 22 giugno 2000, n. 226). Cio' premesso, la Corte costituzionale ha ritenuto: «Ma, una volta estesa ai crediti previdenziali, in base a tale principio, una regola analoga a quella dell'art. 429, terzo comma, interviene, in favore dei crediti assistenziali, il principio di razionalita'. Sotto questo profilo dell'art. 3 della Costituzione il dispositivo della sent. n. 156 del 1991 viene in considerazione per se stesso, indipendentemente dalla ratio decidendi che lo sorregge. In ordine alla questione ora in esame, esso diventa a sua volta ratio decidendi nella forma di un argomento a fortiori: se ai crediti previdenziali di qualsiasi entita', compresi i crediti relativi a pensioni di elevato ammontare, si attribuisce al titolare una tutela speciale contro i danni cagionali da mora debendi, a maggior ragione la medesima tutela deve essere concessa ai crediti per le prestazioni assistenziali previste dal primo comma dell'art. 38 della Costituzione. Esse hanno lo scopo di garantire ai cittadini inabili e bisognosi "il minimo esistenziale, i mezzi necessari per vivere, mentre il secondo comma dello stesso articolo garantisce non soltanto la soddisfazione dei bisogni alimentari di pura sussistenza materiale, bensi' anche il soddisfacimento di ulteriori esigenze relative al tenore di vita dei lavoratori'' (sent. n. 31 del 1986 cit., punto 3 in diritto). Si recupera cosi', coordinandolo col principio di razionalita', anche il secondo parametro costituzionale indicato dal Tribunale di L'Aquila nell'art. 38, primo comma. Ma questo parametro puo' essere appropriatamente invocato non con l'argomento analogico di una pretesa somiglianza di contenuto e di funzione del precetto del primo comma a quello del secondo comma, bensi' con l'argomento di meritevolezza "a maggior ragione'' da parte dei titolari di prestazioni assistenziali della medesima tutela attribuita ai crediti previdenziali contro i danni da ritardo dell'adempimento» (C. Cost., 27 aprile 1993, n. 196). Ora, con riferimento a prestazioni previdenziali, la Corte costituzionale ha recentemente affermato: «L'art. 38, secondo comma, Cost. Impone che al lavoratore siano garantiti "mezzi adeguati'' alle esigenze di vita in presenza di determinate situazioni che richiedono tutela. La mancata perequazione per un solo anno della pensione non tocca il problema della sua adeguatezza. Dal principio enunciato nell'art. 38 Cost., infatti, non puo' farsi discendere, come conseguenza costituzionalmente necessitata, quella dell'adeguamento con cadenza annuale di tutti i trattamenti pensionistici. E cio', soprattutto ove si consideri che le pensioni incise dalla norma impugnata, per il loro importo piuttosto elevato, presentano margini di resistenza all'erosione determinata dal fenomeno inflattivo. L'esigenza di una rivalutazione sistematica del correlativo valore monetario e', dunque, per esse meno pressante di quanto non sia per quelle di piu' basso importo» (C. Cost., 11 novembre 2010, n. 316). Nella stessa pronuncia ha tuttavia anche precisato: «Dev'essere, tuttavia, segnalato che la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalita' (su cui, nella materia dei trattamenti di quiescenza, v. sentenze n. 372 del 1998 e n. 349 del 1985), perche' le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta» (ibidem). In modo analogo, la Corte costituzionale aveva a suo tempo ricordato, a proposito della perequazione dei minimi pensionistici: «Se pertanto i predetti "minimi'' possono essere diversi, anche i sistemi adottati per la loro perequazione automatica non devono necessariamente essere identici, purche' a tutte le categorie di lavoratori sia comunque assicurata - come avviene con la normativa impugnata - la conservazione nel tempo del potere d'acquisto della pensione minima, ritenuta adeguata alle "esigenze di vita'' della singola categoria di lavoratori» (C. Cost., 23 gennaio 1986, n. 31). Se ne desume che, per le prestazioni previdenziali, la esclusione di un meccanismo di difesa dai mutamenti del potere d'acquisto inciderebbe negativamente sulla adeguatezza della prestazione. Per il principio di maggior meritevolezza delle prestazioni assistenziali, enucleato dalla sentenza n. 196 del 1993 sopra richiamata, la conclusione deve valere a maggior ragione per queste ultime. Le disposizioni in esame, nel determinare, al momento della emanazione della legge n. 238/1997, come adeguata alle esigenze di vita del soggetto affetto da malattia post-trasfusionale una determinata somma, composta da un assegno e da una integrazione, e nel prevedere che soltanto l'assegno, e non anche l'integrazione, venga adeguato ai mutamenti del costo della vita, da un lato irragionevolmente non assicura, nei sensi di cui sopra si e' detto, la conservazione del potere di acquisto di quell'importo ritenuto in allora adeguato, dall'altro, anzi, essendo circostanza notoria che il potere di acquisto e' in continua, tendenziale diminuzione, comporta la ragionevole certezza che, col trascorrere degli anni, la adeguatezza verra' meno. Da cio' il dubbio, non manifestamente infondato, di violazione degli artt. 3 e 38, comma 1 Cost. come parametri di ragionevolezza e adeguatezza delle prestazioni assistenziali. Deve precisarsi che, stante la natura di misura di sostegno assistenziale, e non di equo ristoro di una lesione del diritto alla salute, non si puo' ritenere applicabile al caso di specie il principio, enucleato da C. Cost., 23 febbraio 1998, n. 27: «Nel rispetto dell'ampia discrezionalita' che deve essere riconosciuta al legislatore, a questa Corte, nell'esercizio del controllo di costituzionalita' sulle leggi, compete tuttavia di garantire la misura minima essenziale di protezione delle situazioni soggettive che la Costituzione qualifica come diritti, misura minima al di sotto della quale si determinerebbe, con l'elusione dei precetti costituzionali, la violazione di tali diritti. Alla stregua delle proposizioni che precedono, deve ritenersi che, nel caso in esame, la determinazione legislativa di cio' che ha da essere l'indennizzo "equo'', in relazione e nei limiti delle possibilita' della situazione data, potrebbe essere oggetto di censura in sede di giudizio di legittimita' costituzionale solo in quanto esso risultasse tanto esiguo da vanificare, riducendolo a un nome privo di concreto contenuto, il diritto all'indennizzo stesso, diritto che, dal punto di vista costituzionale, e' stabilito nell'an ma non nel quantum»: la stessa pronuncia prosegue infatti argomentando: «Cio' che conta, nel giudizio cui la Corte e' chiamata, non e' la percentuale della riduzione, ma l'entita' in se della somma che ne risulta. La sua valutazione in termini di legittimita' costituzionale deve tener conto che l'assegno una tantum previsto dalla legge assume il significato di misura di solidarieta' sociale, cui non necessariamente si accompagna una funzione assistenziale a norma dell'art. 38, primo comma, della Costituzione. Esso e' infatti dovuto indipendentemente dalle condizioni economiche dell'avente diritto e non mira di per se agli scopi per i quali l'art. 38 stesso e' stato dettato, aggiungendosi agli altri eventuali emolumenti ci qualsiasi titolo percepiti, e quindi anche a quelli di natura propriamente assistenziale, in ipotesi dovuti anche in ragione dell'inabilita' al lavoro derivante dal danno subito in conseguenza del trattamento sanitario (art. 2, comma 1, seconda parte, della legge n. 210 del 1992). Il fondamento della misura indennitaria in questione negli artt. 2 e 32 della Costituzione e non nel diritto previsto dall'art. 38 della Costituzione (sentenza n. 118 del 1996), e quindi non nelle esigenze di vita e di assistenza dei cittadini inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere, vale a ulteriormente sottolineare l'ambito delle scelte discrezionali entro il quale il legislatore e' in questo caso abilitato a operare. In tale ambito, la stessa differenziazione del regime di determinazione dell'indennita' per il passato, rispetto a quello per il futuro, puo' trovare giustificazione alla stregua delle valutazioni, spettanti al legislatore, circa le conseguenze di ordine finanziario derivanti dalle misure predisposte». Sotto altro profilo si pone il dubbio di violazione dell'art. 3 Cost. come parametro di ragionevolezza. La Corte di Cassazione, nella propria sentenza n. 21703/09, ha identificato la ratio della integrazione dell'indennizzo di cui all'art. 2, comma 1 legge n. 210 con una somma corrispondente alla indennita' integrativa speciale: «l'indennita' integrativa speciale serve ad impedire o attenuare gli effetti della svalutazione monetaria». Tale essendo la ratio della disposizione, sembra possibile dubitare della sua ragionevolezza, nel senso che, non prevedendosi la rivalutazione della somma che ha la funzione di impedire o attenuare gli effetti della svalutazione monetaria, tale funzione e' destinata a venire progressivamente meno. La rilevanza della questione e' evidente. L'art. 11, comma 13 del d.l. n. 78/2010, convertito in legge n. 122/2010, vincola il giudice a ritenere non dovuta la rivalutazione monetaria sulla somma corrispondente alla indennita' integrativa speciale, e quindi a rigettare 1a domanda del ricorrente. Ove la disposizione dell'art. 11, comma 13 del d.l. n. 78/2010, convertito in legge n. 122/2010, fosse ritenuta illegittima, il giudice potrebbe invece adottare la interpretazione gia' fatta propria da Cass., n. 15894/05, accogliendo la domanda del ricorrente. Sembra il caso di precisare che non sembra necessario sottoporre al vaglio della Corte costituzionale anche la disposizione dell'art. 2, comma 2 della legge n. 210/1992 nella parte in cui non prevede che anche la somma corrispondente alla indennita' integrativa speciale sia rivalutata secondo quanto previsto dal comma 1, dato che, ove venisse meno la disposizione di interpretazione autentica, sarebbe possibile, in via interpretativa, seguendo il percorso gia' delineato da Cass., n. 15894/05, desumere dal testo della disposizione una norma in tal senso. Infine, occorre rilevare che non pregiudica la rilevanza della questione la decisione sulla legittimazione passiva, reciprocamente attribuita dal Ministero alla regione e dalla regione al Ministero, in quanto uno dei due enti e' sicuramente legittimato e la causa perverra' dunque sicuramente a una decisione sul merito.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. l, comma 13 del d.l. n. 78/2010, convertito in legge n. 122/2010, nella parte in cui prevede che il comma 2, dell'articolo 2 della legge 25 febbraio 1992, n. 210 e successive modificazioni si interpreti nel senso che la somma corrispondente all'importo dell'indennita' integrativa speciale non sia rivalutata secondo il tasso d'inflazione, per contrasto con gli artt. 3 e 38, comma 1 Cost.; Sospende il processo in corso; Dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, insieme con la prova delle notificazioni e delle comunicazioni di cui oltre; Dispone che il Cancelliere notifichi la presente ordinanza alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e la comunichi ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Alessandria, addi' 13 dicembre 2010 Il giudice: Viani