N. 101 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 febbraio 2011
Ordinanza del 21 febbraio 2011 del Tribunale di Bergamo nel procedimento penale a carico di Tayari Marwen. Straniero e apolide - Espulsione amministrativa - Reato di trattenimento, senza giustificato motivo, nel territorio dello Stato, in violazione dell'ordine di allontanamento impartito dal questore - Previsione della sanzione penale della reclusione - Inosservanza dei principi affermati dalla CEDU in tema di privazione della liberta' personale. - Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-ter, come modificato dall'art. 1, comma 22, lett. m), della legge 15 luglio 2009, n. 94. - Costituzione, art. 117, primo comma, in relazione all'art. 5, primo comma, lett. f), della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.(GU n.25 del 8-6-2011 )
IL TRIBUNALE Sentite le parti in sede di conclusioni 442 cpp; Visti gli atti del procedimento penale iscritto al n. 3257/2010 pendente a carico dell'imputato Tayari Marwen, nato a Tunisi (Tunisia) il giorno 21 novembre 1989, elettivamente domiciliato come da verbale di udienza del 21 febbraio 2011 in Ponte San Pietro (Bergamo) via Garibaldi n. 10 e difeso di fiducia dall'avv. Luca Bosisio del foro di Bergamo con nomina agli atti n. 22107 del 13 dicembre 2010; Imputato del reato previsto e punito dall'art. 14 comma 5-ter d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 perche' senza giustificato motivo si tratteneva nel territorio dello Stato violando l'ordine impartitogli dal Questore di Milano in data 1° settembre 2010 di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni; accertato in Mozzo il 17 novembre 2010. Premesso Dal verbale del 17 novembre 2010, e dagli allegati atti delle indagini preliminari, risulta che l'imputato Tayari Marwen nato in Tunisia il 21 novembre 1989 veniva arrestato dai Carabinieri della Stazione di Curno (Bergamo) il giorno 17 novembre 2010 alle ore 19,20 in ottemperanza all'art. 14 comma 5-quinquies d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 e in relazione al reato previsto dall'art. 14 comma 5-quater d.lgs. n. 286/98. Si legge sul verbale di arresto: «per le violazioni di cui agli artt. 14 d.lgs. 286/98 comma 5-quater e successive modifiche ed integrazione, di cui alla legge 12 novembre 2004 n. 271». I Carabinieri della Stazione di Curno (Bergamo) presentavano l'imputato Tayari Marwen davanti al giudice del dibattimento all'udienza del 18 novembre 2010 sulla base dell'imputazione formulata dal pubblico ministero ex art. 558 I comma cpp nei seguenti termini: «imputato del reato previsto e punito dall'art. 14 comma 5-ter d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 perche' senza giustificato motivo si tratteneva nel territorio dello Stato violando l'ordine impartitogli dal Questore di Milano in data 1° settembre 2010 di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni; accertato in Mozzo il 17 novembre 2010». All'udienza del giorno 18 novembre 2010 il Giudice, previo interrogatorio dell'imputato (che ammetteva di aver ricevuto l'ordine di espulsione del 1° settembre 2010), convalidava l'arresto e applicava al predetto, a seguito della richiesta del pubblico ministero, la misura cautelare del divieto di dimora nella Provincia di Bergamo e in Bergamo ex art. 283 cpp. Aperto il giudizio direttissimo ex art. 449 I comma cpp, la difesa e l'imputato formulavano unitamente istanza di ammissione del giudizio abbreviato ex artt. 438, 451 V comma e 452 II comma cpp. Il Giudice ammetteva il rito ex art. 452 II comma cpp e, esercitando i poteri riconosciuti dall'art. 441 V comma cpp, ritenuto di non poter decidere alle stato degli atti, ordinava l'acquisizione di tutti i provvedimenti di espulsione emessi dall'autorita' amministrativa nei confronti dell'imputato Tayari Marwen e disponeva il rinvio della discussione all'udienza del 21 febbraio 2011. A seguito della relazione della Stazione dei Carabinieri di Ponte San Pietro (Bergamo) prot. 84/475 del 19 novembre 2010, che segnalava la presenza dell'imputato Tayari Marwen in Ponte San Pietro (Bergamo) il giorno 19 novembre 2010, il Giudice aggravava la misura cautelare e disponeva, con ordinanza del 27 novembre 2010, la custodia in carcere nei confronti dell'imputato predetto. L'imputato Tayari Marwen veniva arrestato il giorno 28 novembre 2010 alle ore 17,10. Con note protocollo 094557/Cat.2/IMM/MS del 4 dicembre 2010 e protocollo 094557/Cat2/IMM/2010 MS del 6 dicembre 2010, la Questura di Bergamo precisava lo status di immigrato clandestino dell'imputato Tayari Marwen e indicava i provvedimenti di espulsione che lo avevano attinto nel tempo. A seguito della richiesta di revoca della misura custodiale avanzata dal difensore di fiducia dell'imputato Tayari Marwen in data 14 gennaio 2011, il Giudice, con ordinanza del 18 gennaio 2011, ordinava la liberazione dell'imputato, se non detenuto per altra causa. All'udienza odierna del 21 febbraio 2011, il giudice, dopo aver indicato ex art. 511 V comma cpp come utilizzabili ai fini della decisione gli atti presenti nel fascicolo del dibattimento, invitava le parti a formulare ed illustrare le rispettive conclusioni. Il pubblico ministero domandava la condanna dell'imputato alla pena di 8 mesi di reclusione, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche. Il difensore domandava l'assoluzione ex art. 530 cpp perche' il fatto sussiste o perche' il fatto non costituisce reato, in subordine domandava assoluzione perche' la legge non e' piu' prevista come reato a seguito dell'obbligatorieta' per gli stati membri CE della direttiva 2008/115/CE e in estremo subordine il minimo della pena, previa concessione delle attenuanti generiche. Rilevato I fatti risultanti dagli atti che si andranno ad analizzare immediatamente di seguito consentono di qualificare il fatto contestato nella fattispecie penale prevista dall'art. 14 comma 5-ter d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 secondo la seguente ricostruzione, cosi' come contestata dal pubblico ministero: «imputato del reato previsto e punito dall'art. 14 comma 5-ter d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 perche' senza giustificato motivo si tratteneva nel territorio dello Stato violando l'ordine impartitogli dal Questore di Milano in data 1° settembre 2010 di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni; accertato in Mozzo il 17 novembre 2010». Dal decreto del Prefetto di Milano del 1° settembre 2010 risulta che l'imputato Tayari Marwen e' stato attinto dall'espulsione per essere entrato nel territorio dello Stato nel 2007 attraverso la frontiera di Linate sottraendosi ai controlli di frontiera ex art. 13 II comma lettera a) d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286. Dall'ordine del Questore di Milano del 1° settembre 2010 risulta che il citato organo amministrativo non ha potuto procedere ne' all'espulsione immediata mediante accompagnamento alla frontiera ex art. 13 comma 4 d.lgs. n. 286/98 per mancanza di identificazione dell'imputato e per mancanza di' un valido documento per l'espatrio ne' al trattenimento presso un centro di identificazione ed espulsione ex art. 14 comma 1 d.lgs. n. 286/98 per indisponibilita' di posti. Il Questore ha emesso l'ordine di allontanamento nel termine di cinque giorni ex art. 14 comma 5-bis d.lgs. n. 286/98, a seguito della cui inottemperanza l'imputato Tayari Marwen e' stato obbligatoriamente arrestato ex art. 14 comma 5-ter e comma 5-quinquies d.lgs. n. 286/98. Tutto cio' premesso e rilevato, rileva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14 comma 5-ter d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, per contrasto con l'art. 117 I comma della Costituzione, in relazione all'art. 5 I comma lettera f) della Convenzione Europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (ratificata in Italia in forza della legge 4 agosto 1955 n. 848), per le seguenti ragioni. I. L' incompatibilita' in sintesi. La Corte Costituzionale, con la sentenza 2 febbraio 2007 n. 22, ha affermato che il legislatore, con l'art. 14 comma 5-ter primo periodo d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, ha inteso perseguire «il controllo dei flussi migratori e la disciplina dell'ingresso e della permanenza degli stranieri nel territorio nazionale». La Corte Costituzionale ha aggiunto nella medesima sentenza che «il reato di indebito trattenimento nel territorio nazionale dello straniero espulso riguarda la semplice condotta di inosservanza dell'ordine di allontanamento dato dal questore, con una fattispecie che prescinde da una accertata o presunta pericolosita' dei soggetti responsabili». In altre parole, la norma che si vuole assoggettare a scrutinio di legittimita' costituzionale prevede l'applicazione ad uno straniero irregolare di una sanzione penale in relazione ad una condotta di mera inottemperanza ad un ordine di allontanamento adottato nell'ambito di un procedimento amministrativo di espulsione. Come si argomentera' nel paragrafi che seguono, si tratta di una scelta legislativa di politica criminale, che si risolve in una violazione dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali ex art. 117 I comma della Costituzione. Gli obblighi internazionali, infatti, cosi' come dettati dall'art. 5 I comma lettera f) Convezione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo, interpretato alla luce della direttiva 2008/115/CE del 16 dicembre 2008, consentono la privazione della liberta' personale di una persona contro la quale e' in corso un procedimento di espulsione esclusivamente al fine di eseguire l'espulsione e non come sanzione penale. Gli artt. 14 comma 5-ter e comma 5-quater d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 introducono, invece, la privazione della liberta' personale come sanzione penale conseguente all'inottemperanza ad un ordine di allontanamento adottato nel procedimento amministrativo di espulsione ovvero come una sanzione del tutto avulsa dal fine di espulsione, anzi addirittura incompatibile con l'espulsione. II. Sulla diretta applicabilita' nell'ordinamento interno della direttiva 2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio d'Europa del 16 dicembre 2008 «recante norme e procedure comuni applicabili agli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno e' irregolare». Il principio del primato del diritto comunitario su quello interno costituisce ormai un solido approdo della giurisprudenza costituzionale e comunitaria. D'altra parte, il dettato del primo comma dell'art. 117 della Costituzione e' assai chiaro nel disporre una gerarchia tra le fonti di diritto comunitario e di diritto interno, statuendo che «la potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». Per illustrare il rapporto tra gli atti normativi comunitari e la legge interna sara' sufficiente richiamare alcuni passi delle sentenze della Corte Costituzionale, che hanno affrontato la questione de quo. Nel corpo della motivazione della sentenza n. 284 del 2007 si legge: «ora, nel sistema dei rapporti tra ordinamento interno e ordinamento comunitario, quale risulta dalla giurisprudenza di questa Corte, consolidatasi, in forza dell'art. 11 della Costituzione, soprattutto a partire dalla sentenza n. 170 del 1984, le norme comunitarie provviste di efficacia diretta precludono al giudice comune l'applicazione di contrastanti disposizioni del diritto interno, quando egli non abbia dubbi - come si e' verificato nella specie - in ordine all'esistenza del conflitto. La non applicazione deve essere evitata solo quando venga in rilievo il limite, sindacabile unicamente da questa Corte, del rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale e dei diritti inalienabili della persona (da ultimo, ordinanza n. 454 del 2006)». Nel corpo della motivazione della sentenza n. 348 del 2007 si legge: «questa Corte ha chiarito come le norme comunitarie "debbano avere piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione in tutti gli Stati membri, senza la necessita' di leggi di ricezione e adattamento, come atti aventi forza e valore di legge in ogni Paese della Comunita', si' da entrare ovunque contemporaneamente in vigore e conseguire applicazione eguale ed uniforme nei confronti di tutti i destinatari" (sentenze n. 183 del 1973 e n. 170 del 1984). Il fondamento costituzionale di tale efficacia diretta e' stato individuato nell'art. 11 Cost., nella parte in cui consente le limitazioni della sovranita' nazionale necessarie per promuovere e favorire le organizzazioni internazionali rivolte ad assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni. Il riferito indirizzo giurisprudenziale non riguarda le norme CEDU, giacche' questa Corte aveva escluso, gia' prima di sancire la diretta applicabilita' delle norme comunitarie nell'ordinamento interno, che potesse venire in considerazione, a proposito delle prime, l'art. 11 Cost. "non essendo individuabile, con riferimento alle specifiche norme pattizie in esame, alcuna limitazione della sovranita' nazionale" (sentenza n. 188 del 1980). La distinzione tra le norme CEDU e le norme comunitarie deve essere ribadita nel presente procedimento nei termini stabiliti dalla pregressa giurisprudenza di questa Corte, nel senso che le prime, pur rivestendo grande rilevanza, in quanto tutelano e valorizzano i diritti e le liberta' fondamentali delle persone, sono pur sempre norme internazionali pattizie, che vincolano lo Stato, ma non producono effetti diretti nell'ordinamento interno, tali da affermare la competenza dei giudici nazionali a darvi applicazione nelle controversie ad essi sottoposte, non applicando nello stesso tempo le norme interne in eventuale contrasto. L'art. 117, primo comma, Cost., nel testo introdotto nel 2001 con la riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, ha confermato il precitato orientamento giurisprudenziale di questa Corte. La disposizione costituzionale ora richiamata distingue infatti, in modo significativo, i vincoli derivanti dall'"ordinamento comunitario" da quelli riconducibili agli "obblighi internazionali". Si tratta di una differenza non soltanto terminologica, ma anche sostanziale. Con l'adesione ai Trattati comunitari, l'Italia e' entrata a far parte di un "ordinamento" piu' ampio, di natura sopranazionale, cedendo parte della sua sovranita', anche in riferimento al potere legislativo, nelle materie oggetto dei Trattati medesimi, con il solo limite dell'intangibilita' dei principi e dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione». Fatta questa sommaria premessa occorre evidenziare corna la direttiva 2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio d'Europa del 16 dicembre 2008 abbia efficacia immediatamente esecutiva nel diritto interno, nonostante che l'atto normativo abbia assunto la forma della direttiva ex art. 249 del Trattato CE. Il contenuto della direttiva e' infatti dettagliato, recando l'indicazione precisa delle norme interne che gli Stati sono (rectius: erano) tenuti ad adottare entro il 24 dicembre 2010 (cfr. art. 20 della direttiva). Anche in questo caso sara' sufficiente riportare il risultato dell'elaborazione giurisprudenziale della Corte Costituzionale per dare come acquisita la conclusione della diretta efficacia delle direttive particolareggiate nel diritto interno. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 389 del 1989, ha affermato: «come questa Corte ha affermato nella sentenza n. 170 del 1984 e in altre successive, il riconoscimento dell'ordinamento comunitario e di quello nazionale come ordinamenti reciprocamente autonomi, ma tra loro coordinati e comunicanti, porta a considerare l'immissione diretta nell'ordinamento interno delle norme comunitarie immediatamente applicabili come la conseguenza del riconoscimento della loro derivazione da una fonte (esterna) a competenza riservata, la cui giustificazione costituzionale va imputata all'art. 11 della Costituzione e al conseguente particolare valore giuridico attribuito al Trattato istitutivo delle Comunita' europee e agli atti a questo equiparati. Cio' significa che, mentre gli atti idonei a porre quelle norme conservano il trattamento giuridico o il regime ad essi assicurato dall'ordinamento comunitario - nel senso che sono assoggettati alle regole di produzione normativa, di interpretazione, di abrogazione, di caducazione e di invalidazione proprie di quell'ordinamento -, al contrario le norme da essi prodotte operano direttamente nell'ordinamento interno come norme investite di "forza o valore di legge", vale a dire come norme che, nei limiti delle competenze e nell'ambito degli scopi propri degli organi di produzione normativa della Comunita', hanno un rango primario. Da cio' deriva, come ha precisato la gia' ricordata sentenza n. 170 del 1984, che, nel campo riservato alla loro competenza, le norme comunitarie direttamente applicabili prevalgono rispetto alle norme nazionali, anche se di rango legislativo, senza tuttavia produrre, nel caso che queste ultime siano incompatibili con esse, effetti estintivi. Piu' precisamente, l'eventuale conflitto fra il diritto comunitario direttamente applicabile e quello interno, proprio perche' suppone un contrasto di quest'ultimo con una norma prodotta da una fonte esterna avente un suo proprio regime giuridico e abilitata a produrre diritto nell'ordinamento nazionale entro un proprio distinto ambito di competenza, non da luogo a ipotesi di abrogazione o di deroga, ne' a forme di caducazione o di annullamento per invalidita' della norma interna incompatibile, ma produce un effetto di disapplicazione di quest'ultima, seppure nei limiti di tempo e nell'ambito materiale entro cui le competenze comunitarie sono legittimate a svolgersi. Ribaditi questi principi, si deve concludere, con riferimento al caso di specie, che tutti i soggetti competenti nel nostro ordinamento a dare esecuzione alle leggi (e agli atti aventi forza o valore di legge) - tanto se dotati di poteri di dichiarazione del diritto, come gli organi giurisdizionali, quanto se privi di tali poteri, come gli organi amministrativi - sono giuridicamente tenuti a disapplicare le norme interne incompatibili con le norme stabilite dagli artt. 52 e 59 del Trattato C.E.E. nell'interpretazione datane dalla Corte di giustizia europea». Nel corpo della sentenza n. 28 del 2010 della Corte Costituzionale si legge: «piu' in generale, l'efficacia diretta di una direttiva e' ammessa - secondo la giurisprudenza comunitaria e italiana - solo se dalla stessa derivi un diritto riconosciuto al cittadino, azionabile nei confronti della Stato inadempiente». Orbene, la lettura del contenuto della direttiva 2008/115/CE evidenzia il riconoscimento in capo ai cittadini di paesi terzi, il cui soggiorno e' irregolare, di precisi diritti nell'ambito del procedimento di rimpatrio. In particolare, merita nell'economia del presente provvedimento, evidenziare come - tra i considerando preliminari - la direttiva preveda che le legislazioni dei paesi membri contemplino che: a) il rimpatrio volontario sia preferito al rimpatrio forzato, con la concessione di un termine per la partenza volontaria e con la possibilita' di una proroga in presenza di circostanze particolari (considerando 10); b) il ricorso al trattenimento sia giustificato soltanto per preparare il rimpatrio o effettuare l'allontanamento e qualora l'uso di misure meno coercitive risulti insufficiente (considerando 16). Le disposizioni normative introducono dei diritti strutturati in termini assai dettagliati in capo ai cittadini dei paesi terzi nell'ambito della procedura di rimpatrio e disciplinano con precisione il procedimento amministrativo di espulsione. L'art. 7 (partenza volontaria) prevede che la decisione di rimpatrio fissi per la partenza volontaria un termine congruo tra sette e trenta giorni, con possibilita' di' proroga, tenuto conto delle circostanze specifiche del caso individuale. Prevede, altresi', che il termine possa essere negato solo se sussista il pericolo di fuga, se la domanda di soggiorno sia infondata o fraudolenta e se l'interessato costituisca un pericolo per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale. L'art. 8 (allontanamento) prevede che le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio siano adottate qualora non sia stato concesso il termine di partenza volontaria o lo stesso sia scaduto. L'art. 13 (mezzi di ricorso) prevede che il cittadino del paese terzo possa impugnare la decisione di rimpatrio e che l'autorita' decidente possa sospendere temporaneamente l'esecuzione del provvedimento. L'art. 15 (trattenimento) prevede che gli stati membri possano trattenere il cittadino di un paese terzo sottoposto alla procedura di rimpatrio solo per preparare il rimpatrio e/o effettuare l'allontanamento. La norma prevede poi che il cittadino di un paese terzo sia immediatamente liberato qualora risulti che non esista piu' alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi. Art. 16 (condizioni di trattenimento) prevede, infine, che il trattenimento sia effettuato in appositi centri di permanenza temporanea e, se mancanti, nei penitenziari in situazione di separazione rispetto ai detenuti ordinari. Le lettura organica delle norme della direttiva consente di affermare che il cittadino di un paese terzo puo' essere privato della liberta' personale solo al fine di eseguire l'espulsione e deve essere rimesso in liberta' quando l'espulsione risulti impossibile per motivi di ordine giuridico o per altri motivi. III. Sulla astratta incompatibilita' tra il d.lgs. n. 286/98 e gli artt. 7, 8, 13, 15 e 16 della direttiva 2008/115/CE. Il contrasto tra la disciplina interna dettata dal d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 e la direttiva 2008/115/CE e' rilevabile dal semplice confronto della normativa in parola. L'art. 13 d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 prevede le ipotesi in cui il prefetto puo' adottare l'ordine di espulsione nei confronti dello straniero irregolare sul territorio dello Stato. Si tratta sostanzialmente delle medesime ipotesi previste dall'art. 3 I comma n. 2 della direttiva 2008/115/CE, che cosi' statuisce: «"soggiorno irregolare" la presenza nel territorio di uno Stato membro di un cittadino di un paese terzo che non soddisfi o non soddisfi piu' le condizioni d'ingresso di cui all'art. 5 del codice frontiere Schengen o altre condizioni d'ingresso, di soggiorno o di residenza in tale Stato membro». L'art. 13 prevede che l'espulsione sia esecutiva, anche se sottoposta a gravame o impugnativa da parte dell'interessato e che sia eseguita con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. L'art. 14 d.lgs. n. 286/98 prevede che lo straniero irregolare possa essere trattenuto in un centro di identificazione ed espulsione fino a 180 giorni anche se risulti palese l'impossibilita' di procedere ad espulsione. La norma prevede poi la possibilita' per l'autorita' amministrativa di pubblica sicurezza (questore) di adottare un ordine di allontanamento con un termine di cinque giorni nei confronti dello straniero che non sia stato possibile trattenere in un centro di identificazione ed espulsione o che non sia stato possibile espellere nel corso della permanenza nel predetto centro. L'art. 14 comma 5-ter d.lgs. n. 286/98 sanziona con la reclusione da uno a quattro anni lo straniero che rimane inottemperante senza giustificato motivo all'ordine di allontanamento del Questore. L'art. 14 comma 5-quater d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 prevede che lo straniero sia punito con la sanzione penale della reclusione da uno a cinque anni qualora continui a permanere illegalmente sul territorio dello Stato in violazione del decreto prefettizio di espulsione, adottato ai sensi dell'art. 14 comma 5-ter d.lgs. n. 286/98 (ovvero a seguito di una pregressa inottemperanza ad un precedente ordine di allontanamento del questore) e dell'ulteriore provvedimento di allontanamento del questore. Il contrasto tra la normativa comunitaria della direttiva 2008/115/CE e la disciplina interna si risolve nei seguenti aspetti: a) la disciplina interna punisce con sanzione penale (la reclusione) la violazione dell'ordine di allontanamento del questore, mentre la direttiva CE consente unicamente l'adozione di tutte le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio per mancato adempimento spontaneo dello stessa da parte del cittadino del paese terzo (cfr. art. 8 direttiva); b) la disciplina interna punisce con sanzione penale (la reclusione) la violazione dell'ordine di allontanamento del questore, mentre la direttiva CE consente il trattenimento unicamente per preparare il rimpatrio e/o effettuare l'allontanamento sempre che sussiste il rischio di fuga o il cittadino del paese terzo eviti od ostacoli la preparazione del rimpatrio o dell'allontanamento. In sostanza, mentre l'ordinamento penale italiano prevede la sanzione penale come conseguenza dell'inottemperanza all'ordine di allontanamento, la disciplina comunitaria consente unicamente il trattenimento presso un centro per il solo fine dell'espulsione e l'immediata liberazione in caso di sopravvenuta impossibilita' giuridica di espulsione. Nonostante l'evidente incompatibilita' non puo' farsi a meno di notare che la direttiva 2008/115/CE non esclude in modo espresso che gli stati membri possano sanzionare penalmente il soggiorno irregolare di stranieri sul territorio dello Stato. Peraltro, l'art. 2 della direttiva prevede espressamente che gli stati membri possano decidere di non applicare la direttiva agli stranieri che hanno superato irregolarmente le frontiere e non hanno successivamente ottenuto un valido titolo di soggiorno. Articolo 2 - Ambito di applicazione. 1. La presente direttiva si applica ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro e' irregolare. 2. Gli Stati membri possono decidere di non applicare la presente direttiva ai cittadini di paesi terzi: a) sottoposti a respingimento alla frontiera conformemente all'art. 13 del codice frontiere Schengen ovvero fermati o scoperti dalle competenti autorita' in occasione dell'attraversamento irregolare via terra, mare o aria della frontiera esterna di uno Stato membro e che non hanno successivamente ottenuto un'autorizzazione o un diritto di soggiorno in tale Stato membro; b) sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale, in conformita' della legislazione nazionale, o sottoposti a procedure di estradizione. 3. La presente direttiva non si applica ai beneficiari del diritto comunitario alla libera circolazione, quali definiti all'art. 2, paragrafo 5, del codice frontiere Schengen. Si ricorda, infine, che, in materia di immigrazione clandestina, i principali Paesi europei (Francia, Germania, Regno Unito) sanzionano penalmente l'ingresso o la permanenza irregolare degli stranieri sul proprio territorio (cfr. il dossier del Servizio studi del Senato del giugno 2008, dal titolo L'immigrazione in quattro Paesi dell'Unione Europea: ingressi illegali e immigrazione clandestina). IV. L'impossibilita' di disapplicare nel caso di specie l'ordine di allontanamento e conseguentemente la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale. Le ragioni gia' sviluppate al superiore paragrafo III depongono per l'impossibilita' di disapplicare in via diretta l'art. 14 comma 5-ter d.lgs. n. 286/98 per contrasto con la direttiva 2008/115/CE. In altre parole non puo' pronunciarsi sentenza di assoluzione perche' il fatto non e' previsto dalla legge come reato ex art. 530 cpp. Ma, nel caso di specie, vi e' anche di piu'. Il decreto prefettizio di espulsione e' stato adottato nei confronti dell'odierno imputato sul presupposto dell'ingresso nel territorio dello Stato con la sottrazione ai controlli di frontiera ex art. 13 II comma lettera a) d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286. L'imputato rientra pertanto nella definizione di soggiornante irregolare ex art. 3 I comma n. 2 della direttiva 2008/115/CE. Nel caso di specie, il procedimento di espulsione ha avuto inizio in epoca antecedente al 24 dicembre 2010, tenuto conto che il decreto prefettizio di espulsione e' stato adottato in data 1° settembre 2010. L'ordine di allontanamento e' stato adottato in data 1° settembre 2010 e l'imputato e' stato arrestato in data 17 novembre 2010. Formalmente, il procedimento di espulsione non puo' considerarsi affetto da vizi di violazione di legge in quanto risulta conforme alla disciplina dettata dal d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, quando ancora la direttiva 2008/115/CE non era divenuta obbligatoria per gli stati membri. Puo' pero' affermarsi che la disciplina dettata dalla direttiva 2008/115/CE costituisce una norma integratrice del precetto penale, con la connessa astratta applicabilita' dell'art. 2 cp. D'altra parte, gia' si e' osservato come la Corte Costituzionale, con la sentenza 2 febbraio 2007 n. 22, ha affermato che il legislatore, con l'art. 14 comma 5-ter primo periodo decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286, ha inteso perseguire «il controllo dei flussi migratori e la disciplina dell'ingresso e della permanenza degli stranieri nel territorio nazionale». La Corte Costituzionale ha aggiunto nella medesima sentenza che «il reato di indebito trattenimento nel territorio nazionale dello straniero espulso riguarda la semplice condotta di inosservanza dell'ordine di allontanamento dato dal questore, con una fattispecie che prescinde da una accertata o presunta pericolosita' dei soggetti responsabili». Per completezza si ricorda che la Corte di Cassazione, con la sentenza a Sezioni Unite n. 2451 del 16 gennaio 2008, ha sostenuto, in materia di successione di legge extra penale proprio nell'ambito dell'art. 14 comma 5-ter d.lgs. n. 286/98, con motivazione convincente che: «5. Come si e' visto, nell'ambito della fattispecie penale le norme extrapenali non svolgono tutte la stessa funzione e, nel caso delle norme penali in bianco, possono addirittura costituire il precetto, anche se in questo caso, vista la funzione che svolgono, si parla forse impropriamente di norme extrapenali; percio' occorre operare una distinzione tra le norme integratrici della fattispecie penale e quelle che tali non possono essere considerate. E' una distinzione alla quale si ricorre anche nell'applicazione dell'art. 47 c.p., comma 3 per decidere se un errore su una legge diversa da quella penale escluda o meno la punibilita', e non e' questa la sede per stabilire se ai fini dell'art. 2 c.p. e dell'art. 47 c.p. la qualificazione di una norma extrapenale debba essere la stessa; qui e' sufficiente considerare che nell'art. 47 c.p. il legislatore ha riconosciuto l'esistenza di leggi diverse da quelle penali, alle quali ha ricollegato un diverso trattamento dell'errore, e non e' arbitrario pensare che anche agli effetti dell'art. 2 c.p. le leggi diverse da quelle penali possano avere trattamenti diversi. E' da aggiungere che la retroattivita', mentre per le norme penali di favore rappresenta la regola (art. 2 c.p., commi 2, 3 e 4), anche se puo' subire deroghe (Corte cost., 23 novembre 2006, n. 393), per le norme diverse da quelle penali costituisce un'eccezione (art. 11 disp. gen.), sicche' una nuova legge extrapenale puo' avere, di regola, un effetto retroattivo solo se integra la fattispecie penale, venendo a partecipare della sua natura, e cio' avviene, come nel caso delle disposizioni definitorie, se la disposizione extrapenale puo' sostituire idealmente la parte della disposizione penale che la richiama. Ad esempio nel d.lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5-ter, come e' gia' stato rilevato, le parole "lo straniero" ben potrebbero essere sostituite con le parole "il cittadino di Stato non appartenente all'Unione Europea e l'apolide" (secondo l'indicazione del d.lgs. n. 286 del 1998, art. 1), e si verificherebbe certamente una successione di leggi penali se questa definizione cambiasse, escludendo l'apolide o il cittadino di Stati di cui e' previsto l'ingresso nell'Unione. Analogamente le parole "minori" o "minorenni", che figurano in numerose disposizioni del codice penale, potrebbero essere sostituite con le parole "persone che non hanno compiuto il diciottesimo anno di eta'", percio' l'art. 2 c.c., comma 1 sulla maggiore eta' ben puo' essere considerato una disposizione integratrice dei precetti penali che si riferiscono a maggiorenni o a minorenni. E tale infatti la giurisprudenza ha considerato la disposizione civilistica quando e' stata modificata dalla legge 8 marzo 1975, n. 39, art. 1, che ha ridotto il limite della maggiore eta' da ventuno a diciotto anni: la vicenda e' stata ricondotta nell'ambito dell'art. 2 c.p. ed e' stata esclusa la punibilita' dei fatti di sottrazione consensuale di minorenni (art. 573 c.p.) commessi nei confronti di persone di eta' tra i diciotto e i ventuno anni prima che il limite della maggiore eta' venisse ridotto (Sez. 6^, 11 aprile 1975, n. 8940, Centone, rv. 130790; Sez. 6^, 29 dicembre 1977, n. 3791, Amato, rv. 138463). In casi come questi si puo' parlare di modificazioni mediate della norma incriminatrice, da trattare, alla stregua dell'art. 2 c.p., come una successione di norme penali». Puo' allora affermarsi che la direttiva 2008/115/CE, integrando il precetto penale dettato dall'art. 14 comma 5-ter d.lgs. 286/98, ha effetto retroattivo, anche se - nel caso di specie - non puo' portare alla disapplicazione dell'ordine di allontanamento del Questore e per l'effetto all'assoluzione dell'imputato. Infatti, benche' l'ordine di allontanamento del 1° settembre 2010 abbia concesso il termine di 5 giorni ovvero un termine inferiore a quello previsto dall'art. 7 della direttiva 2008/115/CE, l'imputato e' stato arrestato per inottemperanza il giorno 17 novembre 2010 quando erano gia' trascorsi 77 giorni dall'emanazione dell'ordine di allontanamento. Lo straniero ha di fatto potuto usufruire di un termine congruo per lasciare il territorio dello Stato, termine comunque superiore al minimo di 7 giorni previsto dalla direttiva CE. Ricorrendo tali presupposti di fatto, non e' allora possibile disapplicare l'ordine di allontanamento per contrasto con la direttiva 2008/115/CE. Deve osservarsi che la ratio della direttiva 2008/115/CE, cosi' come risultante dall'art. 7, e' quella di assicurare allo straniero un termine congruo per poter lasciare il paese CE ove soggiorna in modo irregolare. La violazione del termine da' luogo - in base alle disposizioni della direttiva 2008/115/CE - alla possibilita' di allontanare lo straniero ex art. 8 o alla possibilita' del trattenimento per effettuare l'allontanamento ex art. 15. Quando la ratio della direttiva e' osservata, perche' allo straniero il termine congruo e' stato di fatto concesso, non e' possibile operare una disapplicazione della norma interna, non ricorrendo una effettiva incompatibilita' con la disciplina comunitaria. D'altra parte, l'art. 249 III comma del Trattato CE lascia allo Stato membro la scelta delle modalita' di raggiungimento del risultato indicato dalla direttiva. Se lo scopo della direttiva e' quella di consentire allo straniero di lasciare il territorio dello Stato in un termine congruo, l'autorita' di pubblica sicurezza, in ottemperanza alla direttiva stessa, puo' lasciare trascorrere un termine superiore a cinque giorni al fine di consentire allo straniero di allontanarsi dallo Stato prima di procedere con il trattenimento o l'arresto. A ben vedere si tratta di una modalita' di adeguamento alla direttiva, che impedisce la disapplicazione della norma interna nel caso di specie. Appare in conclusione rilevante la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14 comma 5-ter d.lgs. 286/98 per contrasto con l'art. 117 I comma della Costituzione in relazione all'art. 5 I comma lettera f) della Convenzione Europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (ratificata in Italia in forza della legge 4 agosto 1955 n. 848). V. Il contrasto tra l'art. 14 comma 5-ter d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 e l'art. 5 I comma lettera f) (diritto alla liberta' e alla sicurezza) della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo (CEDU). L'art. 5 I comma lettera f) della Convenzione Europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (ratificata in Italia in forza della legge 4 agosto 1955 n. 848) statuisce che: «nessuno puo' essere privato della liberta', se non nei casi seguenti e nei modi previsti dalla legge: f) se si tratta dell'arresto o della detenzione regolari di una persona per impedirle di entrare illegalmente nel territorio, oppure di una persona contro la quale e' in corso un procedimento d'espulsione o d'estradizione». La norma della Convenzione Europea prevede la possibilita' di privare della liberta' una persona contro la quale e' in corso un procedimento di espulsione. La Corte Europea dei diritti dell'uomo, con la sentenza del 1° dicembre 2009 Hokic e Hrustic contro Italia, ha affermato che la privazione della liberta' personale nei confronti di una persona contro la quale e' in corso un procedimento di espulsione «deve essere effettuata in buona fede e deve altresi' essere strettamente legata al fine consistente nell'impedire ad una persona di entrare clandestinamente sul territorio». Viene di seguito riportato per esteso l'estratto della sentenza citata dalla quale e' stato estrapolato il precedente passo. «Infine, la Corte ricorda che la conformita' all'art. 5 § 1 presuppone un collegamento "tra, da una parte, il motivo addotto per la privazione di liberta' autorizzata, e, dall'altra, il luogo e il regime detentivo" (Mubilanzila Mayeka e Kaniki Mitunga c. Belgio, n. 13178/03, (§ 102), CEDH 2006 ...). Questa norma non richiede che la detenzione di una persona contro la quale sia in corso un procedimento di espulsione sia considerata ragionevolmente necessaria, per esempio per impedirle di commettere un reato o di scappare; in proposito, l'art. 5 par. 1 f) non prevede la stessa tutela prevista dall'art. 5 par. 1 c) (Chahal succitata, § 112). Per non essere tacciata di arbitraria, l'esecuzione di questa misura detentiva deve essere effettuata in buona fede, e deve altresi' essere strettamente legata al fine consistente nell'impedire ad una persona di entrare clandestinamente sul territorio. Il luogo e le condizioni detentive, inoltre, devono essere adeguate; infine, la durata della carcerazione non deve eccedere il limite ragionevolmente necessario per ottenere lo scopo perseguito (Saadi c. Regno Unito [GC], n. 13229/03, §§ 72-74, CEDH 2008 ....)». Sempre la Corte Europea, con la sentenza Chahal c. Regno Unito 25 ottobre 1996, ha affermato che «solo lo svolgimento del procedimento di espulsione giustifica la privazione della liberta' basata su questa norma (art. 5-1-f). Se la procedura non e' svolta con la dovuta diligenza, la detenzione cessa di essere giustificata rispetto all'art. 5 § 1 f) (art. 5-1-f) (sentenze Quinn c. Francia del 22 marzo 1995, serie A n. 311, p. 19, § 48, e Kolompar c. Belgio del 24 settembre 1992, serie A n. 235-C, p. 55, § 36)». La Corte Europea, nell'interpretare la Convenzione, conclude nel senso di consentire la privazione della liberta' personale al fine di effettuare l'espulsione e non come sanzione penale volta a punire l'inottemperanza ad un ordine di allontanamento. Lo scopo della privazione della liberta' e' quello di impedire l'immigrazione illegale e per l'effetto quello di eseguire l'espulsione dello straniero, che e' entrato illegalmente nel territorio di' uno Stato contraente. Cosi' interpretato, l'art. 5 I comma lettera f) della Convenzione coincide con la ratio ed il contenuto normativo della direttiva 2008/115/CE. Gia' si e' detto come la direttiva preveda il trattenimento dello straniero solo al fine di eseguire l'espulsione e il diritto dello straniero alla liberazione qualora l'espulsione risulti impossibile. Ne deriva l'incostituzionalita' dell'art. 14 comma 5-ter d.lgs. n. 286/98, in quanto la citata norma introduce la reclusione come sanzione penale conseguente all'inottemperanza volontaria all'espulsione del tutto sganciata da qualsiasi logica amministrativa di espulsione. La stessa Corte Costituzionale ha piu' volte affermato che l'incriminazione prevista dall'art. 14 comma 5-ter d.lgs. 286/98 ha lo scopo di controllare i flussi migratori e disciplinare l'ingresso e la permanenza degli stranieri nel territorio nazionale. Afferma la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 22/2007: «In tutti i casi richiamati non e' rinvenibile la finalita' che il legislatore intende perseguire con la norma oggetto delle questioni sollevate nel presente giudizio: il controllo dei flussi migratori e la disciplina dell'ingresso e della permanenza degli stranieri nel territorio nazionale. Si tratta di un grave problema sociale, umanitario ed economico che implica valutazioni di politica legislativa non riconducibili a mere esigenze generali di ordine e sicurezza pubblica ne' sovrapponibili o assimilabili a problematiche diverse, legate alla pericolosita' di alcuni soggetti e di alcuni comportamenti che nulla hanno a che fare con il fenomeno dell'immigrazione. Per quanto detto, la comparazione con le norme penali suindicate non puo' certo essere condotta in chiave di confronto rivolto alla rilevazione di ingiustificate disparita' di trattamento censurabili dal giudice delle leggi, ma puo' servire eventualmente al legislatore per una considerazione sistematica di tutte le norme che prevedono sanzioni penali per violazioni di provvedimenti amministrativi in materia di sicurezza pubblica, senza dimenticare peraltro che il reato di indebito trattenimento nel territorio nazionale dello straniero espulso riguarda la semplice condotta di inosservanza dell'ordine di allontanamento dato dal questore, con una fattispecie che prescinde da una accertata o presunta pericolosita' dei soggetti responsabili». Occorre ricordare, nell'economia della presente ordinanza, che la Corte Costituzionale, con le sentenze 348 e 349 del 2007, ha affermato che il parametro costituzionale dettato dall'art. 117 I comma Cost. comporta l'obbligo del legislatore ordinario di rispettare le norme contenute in accordi internazionali come le norme CEDU, con la conseguenza che la norma nazionale incompatibile con la norma CEDU e dunque con gli obblighi internazionali di cui all'art. 117 primo comma viola per cio' stesso tale parametro costituzionale. Si riporta un estratto della motivazione tratta dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 349 del 2007. «6.1.2. - Dagli orientamenti della giurisprudenza di questa Corte e' dunque possibile desumere un riconoscimento di principio della peculiare rilevanza delle norme della Convenzione, in considerazione del contenuto della medesima, tradottasi nell'intento di garantire, soprattutto mediante lo strumento interpretativo, la tendenziale coincidenza ed integrazione delle garanzie stabilite dalla CEDU e dalla Costituzione, che il legislatore ordinario e' tenuto a rispettare e realizzare. La peculiare rilevanza degli obblighi internazionali assunti con l'adesione alla Convenzione in esame e' stata ben presente al legislatore ordinario. Infatti, dopo il recepimento della nuova disciplina della Corte europea dei diritti dell'uomo, dichiaratamente diretta a "ristrutturare il meccanismo di controllo stabilito dalla Convenzione per mantenere e rafforzare l'efficacia della protezione dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali prevista dalla Convenzione" (Preambolo al Protocollo n. 11, ratificato e reso esecutivo con la legge 28 agosto 1997, n. 296), si e' provveduto a migliorare i meccanismi finalizzati ad assicurare l'adempimento delle pronunce della Corte europea (art. 1 della legge 9 gennaio 2006, n. 12), anche mediante norme volte a garantire che l'intero apparato pubblico cooperi nell'evitare violazioni che possono essere sanzionate (art. 1, comma 1217, della legge 27 dicembre 2006, n. 296). Infine, anche sotto il profilo organizzativo, da ultimo e' stata disciplinata l'attivita' attribuita alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, stabilendo che gli adempimenti conseguenti alle pronunce della Corte di Strasburgo sono curati da un Dipartimento di detta Presidenza (d.P.C.m. 1° febbraio 2007 - Misure per l'esecuzione della legge 9 gennaio 2006, n. 12, recante disposizioni in materia di pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo). 6.2. - E' dunque alla luce della complessiva disciplina stabilita dalla Costituzione, quale risulta anche dagli orientamenti di questa Corte, che deve essere preso in considerazione e sistematicamente interpretato l'art. 117, primo comma, Cost., in quanto parametro rispetto al quale valutare la compatibilita' della norma censurata con l'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, cosi' come interpretato dalla Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo. Il dato subito emergente e' la lacuna esistente prima della sostituzione di detta norma da parte dell'art. 2 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), per il fatto che la conformita' delle leggi ordinarie alle norme di diritto internazionale convenzionale era suscettibile di controllo da parte di questa Corte soltanto entro i limiti e nei casi sopra indicati al punto 6.1. La conseguenza era che la violazione di obblighi internazionali derivanti da norme di natura convenzionale non contemplate dall'art. 10 e dall'art. 11 Cost. da parte di leggi interne comportava l'incostituzionalita' delle medesime solo con riferimento alla violazione diretta di norme costituzionali (sentenza n. 223 del 1996). E cio' si verificava a dispetto di uno degli elementi caratterizzanti dell'ordinamento giuridico fondato sulla Costituzione, costituito dalla forte apertura al rispetto del diritto internazionale e piu' in generale delle fonti esterne, ivi comprese quelle richiamate dalle norme di diritto internazionale privato; e nonostante l'espressa rilevanza della violazione delle norme internazionali oggetto di altri e specifici parametri costituzionali. Inoltre, tale violazione di obblighi internazionali non riusciva ad essere scongiurata adeguatamente dal solo strumento interpretativo, mentre, come sopra precisato, per le norme della CEDU neppure e' ammissibile il ricorso alla "non applicazione" utilizzabile per il diritto comunitario. Non v'e' dubbio, pertanto, alla luce del quadro complessivo delle norme costituzionali e degli orientamenti di questa Corte, che il nuovo testo dell'art. 117, primo comma, Cost., ha colmato una lacuna e che, in armonia con le Costituzioni di altri Paesi europei, si collega, a prescindere dalla sua collocazione sistematica nella Carta costituzionale, al quadro dei principi che espressamente gia' garantivano a livello primario l'osservanza di determinati obblighi internazionali assunti dallo Stato. Cio' non significa, beninteso, che con l'art. 117, primo comma, Cost., si possa attribuire rango costituzionale alle norme contenute in accordi internazionali, oggetto di una legge ordinaria di adattamento, com'e' il caso delle norme della CEDU. Il parametro costituzionale in esame comporta, infatti, l'obbligo del legislatore ordinario di rispettare dette norme, con la conseguenza che la norma nazionale incompatibile con la norma della CEDU e dunque con gli «obblighi internazionali» di cui all'art. 117, primo comma, viola per cio' stesso tale parametro costituzionale. Con l'art. 117, primo comma, si e' realizzato, in definitiva, un rinvio mobile alla norma convenzionale di volta in volta conferente, la quale da' vita e contenuto a quegli obblighi internazionali genericamente evocati e, con essi, al parametro, tanto da essere comunemente qualificata «norma interposta»; e che e' soggetta a sua volta, come si dira' in seguito, ad una verifica di compatibilita' con le norme della Costituzione. Ne consegue che al giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali cio' sia permesso dai testi delle norme. Qualora cio' non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilita' della norma interna con la disposizione convenzionale «interposta», egli deve investire questa Corte della relativa questione di legittimita' costituzionale rispetto al parametro dell'art. 117, primo comma, come correttamente e' stato fatto dai rimettenti in questa occasione. In relazione alla CEDU, inoltre, occorre tenere conto della sua peculiarita' rispetto alla generalita' degli accordi internazionali, peculiarita' che consiste nel superamento del quadro di una semplice somma di diritti ed obblighi reciproci degli Stati contraenti. Questi ultimi hanno istituito un sistema di tutela uniforme dei diritti fondamentali. L'applicazione e l'interpretazione del sistema di norme e' attribuito beninteso in prima battuta ai giudici degli Stati membri, cui compete il ruolo di giudici comuni della Convenzione. La definitiva uniformita' di applicazione e' invece garantita dall'interpretazione centralizzata della CEDU attribuita alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, cui spetta la parola ultima e la cui competenza «si estende a tutte le questioni concernenti l'interpretazione e l'applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli che siano sottoposte ad essa nelle condizioni previste» dalla medesima (art. 32, comma 1, della CEDU). Gli stessi Stati membri, peraltro, hanno significativamente mantenuto la possibilita' di esercitare il diritto di riserva relativamente a questa o quella disposizione in occasione della ratifica, cosi' come il diritto di denuncia successiva, si' che, in difetto dell'una e dell'altra, risulta palese la totale e consapevole accettazione del sistema e delle sue implicazioni. In considerazione di questi caratteri della Convenzione, la rilevanza di quest'ultima, cosi' come interpretata dal «suo» giudice, rispetto al diritto interno e' certamente diversa rispetto a quella della generalita' degli accordi internazionali, la cui interpretazione rimane in capo alle Parti contraenti, salvo, in caso di controversia, la composizione del contrasto mediante negoziato o arbitrato o comunque un meccanismo di conciliazione di tipo negoziale. Questa Corte e la Corte di Strasburgo hanno in definitiva ruoli diversi, sia pure tesi al medesimo obiettivo di tutelare al meglio possibile i diritti fondamentali dell'uomo. L'interpretazione della Convenzione di Roma e dei Protocolli spetta alla Corte di Strasburgo, cio' che solo garantisce l'applicazione del livello uniforme di tutela all'interno dell'insieme dei Paesi membri. A questa Corte, qualora sia sollevata una questione di legittimita' costituzionale di una norma nazionale rispetto all'art. 117, primo comma, Cost. per contrasto - insanabile in via interpretativa - con una o piu' norme della CEDU, spetta invece accertare il contrasto e, in caso affermativo, verificare se le stesse norme CEDU, nell'interpretazione data dalla Corte di Strasburgo, garantiscono una tutela dei diritti fondamentali almeno equivalente al livello garantito dalla Costituzione italiana. Non si tratta, invero, di sindacare l'interpretazione della norma CEDU operata dalla Corte di Strasburgo, come infondatamente preteso dalla difesa erariale nel caso di specie, ma di verificare la compatibilita' della norma CEDU, nell'interpretazione del giudice cui tale compito e' stato espressamente attribuito dagli Stati membri, con le pertinenti norme della Costituzione. In tal modo, risulta realizzato un corretto bilanciamento tra l'esigenza di garantire il rispetto degli obblighi internazionali voluto dalla Costituzione e quella di evitare che cio' possa comportare per altro verso un vulnus alla Costituzione stessa». VI. L'impossibilita' di ricondurre la privazione della liberta' personale operata in applicazione della sanzione penale prevista dall'art. 14 comma 5-ter d.lgs. n. 286/1998 all'art. 5, primo comma, lettera f) (diritto alla liberta' e alla sicurezza) della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo (CEDU). L'art. 5, primo comma, lettera a) CEDU consente la privazione della liberta' personale in seguito ad una sentenza di condanna da parte di un tribunale competente. Sul presupposto di tale disposizione la reclusione dello straniero irregolare potrebbe trovare una legittima causa nella sentenza di condanna in relazione al reato previsto dall'art. 14 comma 5-ter d.lgs. n. 286/1998. Ma tale interpretazione deve essere fermamente respinta. In base all'interpretazione della giurisprudenza istituzionale gia' piu' volte richiamata, la privazione della liberta' personale come sanzione penale conseguente all'inottemperanza all'ordine di allontanamento costituisce uno strumento con il quale viene perseguito «il controllo dei flussi migratori e la disciplina dell'ingresso e della permanenza degli stranieri nel territorio nazionale» (cfr. sentenza Corte costituzionale 2 febbraio 2007, n. 22). Si tratta di una sanzione penale con funzione general-preventiva avente lo scopo di minacciare la pena e quindi dissuadere lo straniero dall'inottemperanza all'ordine di allontanamento. Lo stesso art. 14 comma 5-bis d.lgs. n. 286/1998 prevede che l'ordine di allontanamento debba recare l'indicazione della conseguenze sanzionatorie della permanenza illegale. L'avvertimento delle conseguenze sanzionatorie assume un valore cosi' pregnante nell'ambito della fattispecie penale in commento, che la giurisprudenza di legittimita' ha affermato - nell'interpretare le conseguenze della modifica normativa operata dalla legge n. 271 del 2004 - che lo straniero irregolare risponde della contravvenzione ante modifica del 2004 e non del delitto se l'inottemperanza e' iniziata prima della modifica e l'ordine di allontanamento reca la minaccia dell'arresto e non della reclusione. «In tema di immigrazione clandestina, qualora la condotta relativa al reato di cui all'art. 14, comma quinto-ter, d.lgs. n. 286 del 1998 (violazione dell'ordine di allontanamento emesso dal Questore) sia cominciata prima (e si sia protratta dopo) la modifica di cui alla legge n. 271 del 2004 che ha trasformato il citato reato da contravvenzione in delitto inasprendo la pena, l'imputato risponde della violazione meno grave, allorche' essa sia stata indicata nel provvedimento del Questore, posto che tale indicazione delle conseguenze penali della trasgressione dell'ordine costituisce requisito sostanziale del provvedimento medesimo» (cfr. Corte di Cassazione sentenza 29726 del 15 giugno 2007). Le incriminazioni, di cui all'art. 14 comma 5-ter d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, configurano allora un mero intervento incidentale del diritto penale nell'ambito della procedura di espulsione amministrativa. La fattispecie penale non tutela alcun bene giuridico di rilevanza costituzionale, tanto e' vero che la Corte Costituzionale, con la sentenza 2 febbraio 2007, n. 22, ha affermato che: «il reato di indebito trattenimento nel territorio nazionale dello straniero espulso riguarda la semplice condotta di inosservanza dell'ordine di allontanamento dato dal questore, con una fattispecie che prescinde da una accertata o presunta pericolosita' dei soggetti responsabili». A ben vedere, non e' rilevabile alcuna diversita' oggettiva tra il presupposto di fatto della reclusione come inottemperanza all'ordine di allontanamento ex art. 14 comma 5-ter d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 ed il presupposto di fatto del trattenimento ex art. 15 della direttiva 2008/115/CE. Entrambe le disposizioni normative prevedono la privazione della liberta' personale nei confronti di uno straniero irregolare sul territorio dello stato nei cui confronti e' stato avviato il procedimento di espulsione con l'adozione di un ordine di allontanamento, rimasto in-ottemperato dallo straniero. La differenza sostanziale attiene allo scopo della privazione della liberta' perche', nel caso della direttiva CE, il trattenimento e' finalizzato in via esclusiva all'esecuzione dell'espulsione, mentre, nel caso della reclusione, il fine dell'allontanamento e' assente e residua unicamente una finalita' sanzionatoria del tutto estranea al procedimento di espulsione. Per esigenze di completezza si riporta per esteso il testo dell'art. 15 della direttiva 2008/115/CE. Trattenimento ai fini dell'allontanamento - Articolo 15 - Trattenimento. 1. Salvo se nel caso concreto possono essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive, gli Stati membri possono trattenere il cittadino di un paese terzo sottoposto a procedure di rimpatrio soltanto per preparare il rimpatrio e/o effettuare l'allontanamento, in particolare quando: a) sussiste un rischio di fuga o b) il cittadino del paese terzo evita od ostacola la preparazione del rimpatrio o dell'allontanamento. Il trattenimento ha durata quanto piu' breve possibile ed e' mantenuto solo per il tempo necessario all'espletamento diligente delle modalita' di rimpatrio. 2. Il trattenimento e' disposto dalle autorita' amministrative o giudiziarie. Il trattenimento e' disposto per iscritto ed e' motivato in fatto e in diritto. Quando il trattenimento e' disposto dalle autorita' amministrative, gli Stati membri: a) prevedono un pronto riesame giudiziario della legittimita' del trattenimento su cui decidere entro il piu' breve tempo possibile dall'inizio del trattenimento stesso, b) oppure accordano al cittadino di un paese terzo interessato il diritto di presentare ricorso per sottoporre ad un pronto riesame giudiziario la legittimita' del trattenimento su cui decidere entro il piu' breve tempo possibile dall'avvio del relativo procedimento. In tal caso gli Stati membri informano immediatamente il cittadino del paese terzo in merito alla possibilita' di presentare tale ricorso. Il cittadino di un paese terzo interessato e' liberato immediatamente se il trattenimento non e' legittimo. 3. In ogni caso, il trattenimento e' riesaminato ad intervalli ragionevoli su richiesta del cittadino di un paese terzo interessato o d'ufficio. Nel caso di periodi di trattenimento prolungati il riesame e' sottoposto al controllo di un'autorita' giudiziaria. 4. Quando risulta che non esiste piu' alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi o che non sussistono piu' le condizioni di cui al paragrafo 1, il trattenimento non e' piu' giustificato e la persona interessata e' immediatamente rilasciata. 5. Il trattenimento e' mantenuto finche' perdurano le condizioni di cui al paragrafo i e per il periodo necessario ad assicurare che l'allontanamento sia eseguito. Ciascuno Stato membro stabilisce un periodo limitato di trattenimento, che non puo' superare i sei mesi. 6. Gli Stati membri non possono prolungare il periodo di cui al paragrafo 5, salvo per un periodo limitato non superiore ad altri dodici mesi conformemente alla legislazione nazionale nei casi in cui, nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo, l'operazione di allontanamento rischia di durare piu' a lungo a causa: a) della mancata cooperazione da parte del cittadino di un paese terzo interessato, o b) dei ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi. La sostanziale sovrapponibilita' del presupposto di fatto della privazione della liberta' personale dello straniero, inottemperante all'ordine di allontanamento, determina la riconducibilita' dello strumento giuridico in esame all'alveo di applicazione dell'art. 5, primo comma, lettera f) CEDU.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 e 137 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1984 n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 1) ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14 comma 5-ter decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, come da ultimo modificato dall'art. 1 comma 22 lettera m) legge 15 luglio 2009, n. 94, per contrasto con l'art. 117 primo comma della Costituzione in relazione all'art. 5 primo comma lettera f) della Convenzione Europea, di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (ratificata in Italia in forza della legge 4 agosto 1955, n. 848), ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e sospende il giudizio in corso; 2) sospende il processo penale iscritto al n. 3257/2010 R.G. pendente a carico dell'imputato Tayari Marwen, nato a Tunisi (Tunisia) il giorno 21 novembre 1989; 3) ordina che a cura della Cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; 4) da' atto, come da verbale di udienza, che la presente ordinanza e' stata letta in presenza dell'imputato, del difensore e del pubblico ministero. Bergamo, li' 21 febbraio 2011 Il Giudice: Magliacani