N. 149 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 dicembre 2010
Ordinanza del 30 dicembre 2010 emessa dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio sul ricorso proposto da Fibe s.p.a. contro Presidente del Consiglio dei Ministri ed altri. Ambiente - Disposizioni urgenti per la cessazione dello stato di emergenza in materia di rifiuti nella Regione Campania - Determinazione del valore proprietario del termovalorizzatore di Acerra e trasferimento della proprieta' dello stesso alla Regione Campania previo pagamento al soggetto proprietario dell'impianto di un importo onnicomprensivo di 355 milioni di euro determinato in base ai criteri stabiliti dello studio ENEA 2007, ridotto del canone di affitto corrisposto nei dodici anni antecedenti il trasferimento, della somma comunque anticipata, anche ai sensi dell'art. 12 del d.l. n. 90/2008, nonche' della somma relativa agli interventi effettuati sull'impianto, funzionali al conseguimento degli obiettivi di costante ed ininterrotto esercizio del termovalorizzatore fino al trasferimento della proprieta' - Violazione degli obblighi internazionali derivanti dalla CEDU. - Decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195, convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 2010, n. 26, artt. 6 e 7, commi 1, 2 e 3. - Costituzione, art. 117, primo comma, in relazione all'art. 1 del primo Protocollo della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.(GU n.28 del 29-6-2011 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale n. 612 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da: Fibe S.p.a., rappresentata e difesa dagli avv.ti Ennio Magri' e Benedetto Giovanni Carbone, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via degli Scipioni, 288; Contro: Presidenza del Consiglio dei Ministri, Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento Protezione Civile, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ex art. 1 d.l. 90/2008, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; G.S.E. Gestore dei Servizi Energetici S.p.a., rappresentata e difesa dagli avv.ti Carlo Malinconico ed Angelo Gigliolia, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Liberiana, 17 e con l'intervento di ad opponendum: A2A S.p.a. e Partenope Ambiente S.p.a., rappresentate e difese dagli avv.ti Vito Salvadori di Brescia, Gabriele Pafundi ed Emanuela Romanelli, con domicilio eletto presso lo studio di questi ultimi in Roma, viale Giulio Cesare, 14; Per l'annullamento: delle determinazioni tutte della P.C.M. - Dipartimento Protezione Civile assunte in attuazione del D.L. n. 195 del 2009 anche se di estremi e di contenuti non conosciuti e segnatamente del provvedimento di assunzione della «piena disponibilita'», utilizzazione e godimento del termovalorizzatore di Acerra realizzato da Fibe S.p.A.; del provvedimento di acquisizione ai sensi dell'art. 7 comma 5 del D.L. n. 195, dei ricavi derivanti dalla cessione dell'energia elettrica prodotta dall'impianto di Acerra, ivi compresi quelli corrisposti dal GSE a partire dal 18 giugno 2009; delle risoluzioni del 7 e 11 gennaio 2009 della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento Protezione Civile a norma della medesima disposizione; del decreto della P.C.M. con cui sono state disciplinate, a norma dell'art. 8 del decreto-legge, le modalita' per la presa in carico dell'impianto da parte del soggetto aggiudicatario della procedura esperita dalla struttura del Sottosegretario di Stato all'emergenza rifiuti in Campania, nonche' delle modalita' e termini dell'affrancamento di apposito presidio tecnico da parte del costruttore a sua spese e cura ai fini della verifica della corretta utilizzazione dell'impianto nelle more e durante le operazioni di collaudo; di ogni altro atto comunque presupposto, connesso e consequenziale ivi compresa la nota del 14 gennaio 2010 prot. n. 2929 della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Protezione Civile, nonche' degli atti e delle risoluzioni adottate, di estremi e contenuto sconosciuti ma che risultano, dalla nota del Dipartimento della protezione civile prot. DPC/CG/0011936 del 16 febbraio 2010 alla V Commissione Permanente della Camera dei Deputati ed allegata agli atti della Commissione del 17 febbraio 2010, essere stati assunti per la determinazione del valore del termovalorizzatore di Acerra a norma dell'art. 6 del d.l. 195/2009, anche per quanto attiene alla corretta acquisizione del valore indicato dall'ENEA nella relazione di cui alla nota dell'8 febbraio 2010; nonche' per l'accertamento: dell'illiceita' o illegittimita' della condotta dell'Amministrazione resistente quanto allo spossamento, utilizzazione e godimento del termovalorizzatore di Acerra in applicazione dell'art. 7 d.l. n. 195 del 2009 (convertito con legge n. 26/2010); dell'illiceita' o illegittimita' dell'appropriazione da parte della P.C.M. - Dipartimento della Protezione Civile dei corrispettivi devoluti dal GSE per la cessione dell'energia elettrica prodotta medio tempore dall'impianto di termovalorizzazione di Acerra di proprieta' FIBE S.p.A. siccome stabilito dall'art. 7, comma 5, d.l. n. 195/2009 per contrasto dell'art. 7 nonche' degli artt. 3 e 6 con molteplici disposizioni e principi del Trattato CE e, per il relativo tramite, dell'art. 1 del Protocollo 1 della Convenzione di Roma del 1950; nonche', ove possa occorrere, previa disapplicazione: delle disposizioni di cui al citato decreto-legge, ovvero proposizione di domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di Giustizia della Comunita' Europea ai sensi dell'art. 234 del Trattato CE ovvero, in subordine, per l'accertamento, previa sottoposizione alla Corte costituzionale della questione di illegittimita' costituzionale ai sensi dell'art. 23 l. 87/1953, della illiceita' o illegittimita' della condotta delle amministrazioni resistenti in ordine allo spossamento, all'utilizzazione e al godimento del termovalorizzatore di Acerra, in applicazione dell'art. 7 d.l. 195/2009 per contrasto dello stesso art. 7 con gli artt. 3, 41, 42 e 43 Cost., nonche' anche in relazione all'art. 3 per contrasto con gli artt. 24 e 113 Cost.; nonche' per la declaratoria: del suddetto diritto di proprieta' della ricorrente, con l'emanazione di un provvedimento di condanna delle amministrazioni resistenti alla corresponsione degli importi sinora ricevuti e di quelli ricevendi, a titolo di ricavi derivanti dall'energia elettrica e con richiesta subordinata di indennizzo integrale, rapportato alla valutazione ENEA di 355 milioni di euro, cosi' come dalla stessa indicato riferita «al periodo 2005-2006» e quale pertanto necessariamente ed opportunamente adeguata alla data del trasferimento del bene, e comunque con richiesta del risarcimento del danno. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Avvocatura Generale dello Stato; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Gestore dei Servizi Energetici GSE S.p.a.; Visto l'atto di intervento ad opponendum di A2A S.p.a. e di Partenope Ambiente S.p.a.; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 novembre 2010 il dott. Roberto Caponigro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; 1. La ricorrente ha esposto che la Fibe S.p.a. e la Fibe Campania S.p.a. (recentemente fusa per incorporazione nella Fibe S.p.a.), all'esito di apposite procedure di gara, erano divenute affidatarie, in via esclusiva, del servizio di smaltimento rifiuti nella Regione Campania, rispettivamente, per la Provincia di Napoli e le per Province di Avellino, Benevento, Caserta e Salerno. Ha soggiunto, tra l'altro, che con d.l. 245/2005, convertito in l. 21/2006, e' stata disposta la risoluzione ex lege dei contratti di affidamento, con una fase transitoria protratta sino al 18 giugno 2008, e che l'art. 6-bis, co. 4, 1. 123/2008 ha previsto il solo obbligo per le ex affidatarie (e nella specie la Fibe S.p.a. quale proprietaria) di completare il termovalorizzatore di Acerra, con la definitiva cessazione di ogni ulteriore attivita'. Ha evidenziato ancora che, in data 13 novembre 2008, il Sottosegretario delegato ha affidato alla Societa' A2A (Societa' pubblica degli enti locali lombardi e gestore del termovalorizzatore di Brescia) la futura gestione del termovalorizzatore di proprieta' Fibe, pervenendo alla sottoscrizione di un contratto in forza del quale detta Societa' e' tenuta a corrispondere al Sottosegretario la meta' dei proventi della vendita di energia elettrica trattenendo la restante meta' quale corrispettivo d'impresa. Ha fatto altresi' presente che il Commissariato ha stipulato con il Gestore dei Servizi Elettrici Nazionale un contratto per la fornitura dell'elettricita' prodotta dal termovalorizzatore di Fibe, per cui, senza nulla riconoscere alla Fibe, sta vendendo l'elettricita' prodotta dall'impianto appropriandosi del relativo ricavato. La ricorrente ha quindi sottolineato che il Governo e' intervenuto con un nuovo provvedimento legislativo d'urgenza, decreto legge 30 dicembre 2009, n. 195, per far fronte alla scadenza dell'emergenza fissata al 31 dicembre 2009 e disciplinare il passaggio al regime ordinario della gestione rifiuti in Campania. Gli artt. 6 e 7 del decreto riguardano la previsione del trasferimento coattivo del termovalorizzatore di Acerra e la Fibe S.p.a., nel rilevare che non e' stato individuato ne' il soggetto destinatario del trasferimento ne' il termine entro il quale l'operazione deve avere luogo, ne' soprattutto la quantificazione del corrispettivo di tale cessione, ha proposto il ricorso introduttivo del presente giudizio, articolato nei seguenti motivi: violazione dell'art. 1 del protocollo 1 alla Convenzione di Roma del 1950 (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo); violazione degli artt. 39, 43 e 56 del Trattato CE; violazione dei principi sanciti dal Trattato CE in materia del legittimo affidamento e della certezza del diritto. Per quanto riguarda la tutela del diritto di proprieta', le norme della CEDU dovrebbero essere applicate immediatamente dal giudice interno in ragione della particolare forza precettiva di cui la Convenzione del 1950 e' dotata. La giurisprudenza di legittimita' avrebbe riconosciuto la natura sovraordinata alle norme della Convenzione sancendo l'obbligo per il giudice di disapplicare la norma interna in contrasto con la norma pattizia dotata di immediata precettivita' nel caso concreto. Pertanto, le amministrazioni resistenti non potrebbero legittimamente applicare gli artt. 6 e 7 del decreto-legge 195/2009 in quanto contrastanti con norme inderogabili del trattato CE e, in particolare, non potrebbero assumere la disponibilita' ed il godimento del termovalorizzatore di Acerra con effetto addirittura retroattivo, incassare i ricavi derivanti dalla vendita di energia prodotta dall'impianto ed assumere la spettanza di quelli futuri, richiedere le garanzie propedeutiche all'affitto ovvero trasmettere lo schema del contratto d'affitto. Le violazioni dei diritti fondamentali tutelati dal Trattato CE, determinate dagli artt. 6 e 7 del decreto-legge, sarebbero molteplici, atteso, soprattutto, che e' previsto il trasferimento coattivo del termovalorizzatore, da decretarsi entro il 31 dicembre 2011, senza individuare ne' il soggetto a cui sara' intestato il trasferimento, ne' il termine dell'operazione ne' la quantificazione del corrispettivo della cessione, prevedendo, nelle more del trasferimento, la immediata sottrazione della disponibilita' e gestione dell'impianto senza alcuna forma di corrispettivo. La Corte di Strasburgo avrebbe imposto che, seppure per motivi di pubblica utilita', la privazione autoritativa del diritto di proprieta' deve dar seguito necessariamente ad una riparazione integrale del valore del bene che forma oggetto del diritto. L'esistenza di una norma che priva la Societa' di un bene senza la determinazione di un corrispettivo e senza riconoscere ristori conformi alle normali regole applicabili in casi simili inciderebbe negativamente sulla valutazione che il mercato effettua del rischio dell'eventuale investimento in tale Societa', determinando un'indebita alterazione alla libera circolazione dei capitali. Nelle previsioni di cui agli artt. 6 e 7 d.l. 195/2009 sarebbero riscontrabili violazioni ai principi sanciti dal Trattato CE di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto. La Fibe avrebbe anticipato i costi per la realizzazione dell'impianto nella prospettiva della cessione onerosa dello stesso ad un prezzo determinato, mentre il decreto toglierebbe il possesso del bene al legittimo proprietario con un affitto coattivo assimilabile alla requisizione di azienda di militare memoria, prevederebbe il futuro trasferimento del bene senza la determinazione di alcun valore del medesimo e confermerebbe la gestione ad un'impresa terza senza alcun corrispettivo. La ricorrente ha pertanto chiesto di sottoporre alcune questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia della Comunita' Europea e, in ulteriore subordine, di sollevare questione di legittimita' costituzionale avendo gli artt. 6 e 7 d.l. 195/2009 natura di legge provvedimento. La ricorrente ha anche proposto azione di risarcimento del danno. Il d.l. 195/2009 e' stato convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 26/2010, sicche', con motivi aggiunti, la ricorrente ha esteso l'impugnazione e le relative questioni pregiudiziali gia' avanzate nei confronti del decreto legge 195/2009 anche alla sua versione definitiva quale risultante dalla legge di conversione. Con i motivi aggiunti, la Fibe ha inteso anche censurare i provvedimenti con i quali sarebbe stata recepita, senza il necessario adeguamento, la valutazione dell'ENEA espressamente riferita al 2005-2006, in quanto contrastanti con i principi e le norme costituzionali, e comunitarie del Trattato CE a tutela del diritto di proprieta'. Ha sostenuto che le modifiche apportate in sede di conversione aggraverebbero e pregiudicherebbero ulteriormente la posizione del proprietario e costruttore dell'impianto. In particolare, la nuova formulazione dell'art. 6 definirebbe il valore dell'impianto nella misura di € 355 milioni, valore determinato sulla base dei criteri di uno studio ENEA 2007 ed inteso come costo di investimento tipico di un moderno impianto di termovalorizzazione riferito al periodo 2005-2006, laddove il legislatore, nel determinare il valore dell'impianto «alla data di entrata in vigore della legge», avrebbe dovuto quantomeno adeguare il suddetto valore all'attualita'. Parimenti illegittima sarebbe la previsione secondo cui non e' prevista alcuna copertura di spesa per l'acquisto del termovalorizzatore, rimandandosi ad un successivo ed eventuale trasferimento ad un soggetto pubblico, con la precisazione della previa individuazione, con apposito provvedimento normativo, delle risorse finanziarie necessarie. In sostanza, la Fibe ha evidenziato che, a seguito del decreto-legge 195/2009, come modificato dalla legge di conversione 246/2010, viene a trovarsi nella seguente situazione: e' immediatamente privata della disponibilita' del bene e degli incassi derivanti dalla cessione dell'energia elettrica prodotta dall'impianto; e' solo previsto un futuro acquisto dell'impianto con la determinazione di un valore ancorato dall'ENEA al periodo 2005-2006 e non rivalutato alla data del trasferimento o quantomeno della pubblicazione della legge e senza copertura finanziaria; e' obbligata ad un affitto dell'impianto per quindici anni senza neanche poter maturare una prospettiva certa ed effettiva del pagamento del canone prefissato dalla legge e dei relativi tempi, essendo l'erogazione subordinata alla costituzione di fideiussioni e garanzie ulteriori che rendono impossibile per il costruttore accedere a tale ipotesi. Di qui, secondo la prospettazione della ricorrente, la violazione dei diritti inderogabili sanciti dal Trattato CE e dalla CEDU e, quindi, la fondatezza della richiesta di disapplicazione della norma e del riconoscimento del diritto di proprieta' sull'impianto, con ogni conseguenza anche in ordine alla spettanza dei ricavi derivanti dalla vendita dell'energia elettrica prodotta dall'impianto stesso. La ricorrente ha inoltre reiterato la richiesta di sottoporre questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia della Comunita' Europea ai sensi dell'art. 234 del Trattato, ovvero, in subordine, di sollevare questione di legittimita' costituzionale per contrasto con gli artt. 3, 24, 41, 42, 43, 97 e 113 Cost. L'Avvocatura Generale dello Stato ha contestato la fondatezza delle censure dedotte, evidenziando, in particolare, che non sussisterebbe alcuna violazione del diritto di proprieta' come stabilito dall'art. 1 del protocollo 1 della CEDU, atteso che la ratio dello spossessamento del bene al privato e' individuabile in un interesse superiore della comunita', e che sarebbe stato rispettato il principio di proporzionalita' tra l'interesse generale e l'interesse del privato proprietario. Ha posto poi in rilievo che con O.P.C.M. n. 3745/2009 e' stato previsto l'utilizzo del termovalorizzatore di Acerra ai fini della produzione di energia elettrica e la spettanza all'amministrazione dei proventi conseguenti alla cessione della stessa, per cui, essendo tale ordinanza divenuta inoppugnabile, le relative censure sarebbero inammissibili. La G.S.E. Gestore dei Servizi Energetici S.p.a. ha eccepito l'inammissibilita' delle censure mosse avverso il provvedimento di acquisizione dei ricavi derivanti dalla cessione dell'energia elettrica prodotta dal termovalorizzatore di Acerra corrisposti dal GSE alla Presidenza del Consiglio dei Ministri in quanto tale attribuzione sarebbe stata disposta con l'O.P.C.M. n. 3745 del 5 marzo 2009, divenuta inoppugnabile; ha inoltre evidenziato che la relativa convenzione di cessione dell'energia elettrica prodotta dall'impianto e' stata stipulata in data 3 dicembre 2009, antecedentemente all'entrata in vigore del decreto legge 195/2009 e, in ogni caso, ha sostenuto l'infondatezza delle censure nel merito. Le Societa' A2A e Partenope Ambiente (interamente partecipata da A2A per la gestione degli impianti di Acerra e Caivano) sono intervenute in giudizio ad opponendum, evidenziando di essere gli unici reali controinteressati ai quali, peraltro, il ricorso introduttivo del giudizio non e' mai stato notificato, sicche' hanno eccepito l'inammissibilita' del ricorso; nel merito, hanno comunque concluso per il rigetto del gravame. Le parti hanno prodotto altre memorie e documentazione a sostegno delle rispettive difese. All'udienza pubblica del 24 novembre 2010, la causa e' stata trattenuta per la decisione. 2. L'art. l, co. 1, d.l. 30 novembre 2005, n. 245, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 27 gennaio 2006, n. 21, al fine di assicurare la regolarita' del servizio di smaltimento dei rifiuti nella regione Campania, ha risolto i contratti stipulati dal Commissario delegato per l'emergenza rifiuti nella regione Campania con le affidatarie del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani in regime di esclusiva nella medesima regione. Lo stesso articolo, al secondo ed al settimo comma (quest'ultimo come modificato dall'art. 3, co. 1-bis, del d.l. 263/2006 convertito in 1. 290/2006), nel prevedere che il Commissario delegato procede, in termini di somma urgenza, all'individuazione dei nuovi affidatari del servizio sulla base di procedure accelerate di evidenza comunitaria, ha previsto che, in funzione del necessario passaggio di consegne ai nuovi affidatari del servizio, le attuali affidatarie del servizio, fino al momento di aggiudicazione, del nuovo appalto e comunque entro il 31 dicembre 2007 (la fase transitoria si e' poi protratta sino al 18 giugno 2008), sono tenute ad assicurarne la prosecuzione e provvedono alla gestione delle imprese ed all'utilizzo dei beni nella loro disponibilita', nel puntuale rispetto dell'azione di coordinamento svolta dal Commissario delegato. Con decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90, convertito in legge con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n. 123, sono state dettate misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento rifiuti in Campania e per le ex affidatarie e' residuato il solo obbligo, ai sensi dell'art. 6-bis, co. 4, del completamento del termovalorizzatore di Acerra. Di talche', se non sussiste dubbio che la Fibe sia allo stato proprietaria del termovalorizzatore, deve pero' rilevarsi come - terminata ogni ulteriore attivita' della ricorrente nello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania ed essendo il termovalorizzatore, da un lato, evidentemente funzionale allo smaltimento dei rifiuti, dall'altro, ai sensi dell'art. 2, co. 4, d.l. 90/2008, area di interesse strategico nazionale - la gestione dello stesso debba essere assicurata dall'amministrazione pubblica e l'impianto debba essere utilizzato dal nuovo affidatario. La Fibe ha proposto il presente ricorso per ottenere: in via principale, la disapplicazione delle norme di cui agli artt. 6 e 7 d.l. 195/2009, convertito, in l. 121/2009, e la declaratoria di illegittimita' dei provvedimenti relativi allo spossessamento del bene e dei redditi dallo stesso prodotti, con conseguente condanna dell'amministrazione al pagamento del controvalore del termovalorizzatore e comunque del giusto indennizzo per l'indebito utilizzo dello stesso, nella misura degli importi sinora ricevuti o di quelli ricevendi a titolo di ricavi derivanti dall'energia elettrica prodotti; in via subordinata, la proposizione della domanda di pronuncia pregiudiziale della Corte di Giustizia della Comunita' Europea, ai sensi dell'art. 234 del Trattato CE; in via di ulteriore subordine, la sottoposizione alla Corte costituzionale della questione di legittimita' costituzionale delle norme. Le norme, peraltro, come evidenziato dall'amministrazione nella nota depositata in data 18 marzo 2010, non hanno avuto al momento concreta attuazione. Ne consegue che, non essendo stati adottati atti amministrativi concretamente lesivi, il gravame deve intendersi direttamente rivolto avverso le norme contestate. In altri termini, considerato che nessuna illegittimita' di atti amministrativi puo' essere pronunciata non essendo stati gli stessi sinora adottati, il ricorso deve intendersi proposto direttamente avverso le norme di legge ed il relativo petitum deve ritenersi, nel suo nucleo centrale, limitato alla richiesta di proposizione della questione pregiudiziale comunitaria o della questione di legittimita' costituzionale. In tal senso, considerate che le norme in contestazione, in quanto finalizzate a disciplinare una specifica fattispecie, hanno chiaramente natura provvedimentale, il ricorso si presenta nel suo complesso, e salvo quanto si dira' infra in ordine a taluni profili peculiari, senz'altro ammissibile. La possibilita' che oggetto di impugnazione sia una norma di legge, se, di regola, va esclusa in radice, nella fattispecie in esame assume una caratterizzazione particolare a causa del contenuto e della natura provvedimentale delle norme impugnate, sicche' cio' che si presenta formalmente come un'impugnazione diretta di una legge, e' in realta' finalizzata ad estendere la cognizione del giudice ad una norma sopravvenuta per provocarne l'intervento nei soli termini e limiti in cui l'ordinamento lo consente, vale a dire sollevare, ricorrendone i presupposti di rilevanza e non manifesta infondatezza, la questione di legittimita' costituzionale. La sindacabilita' di una previsione legislativa che, in quanto volta a disciplinare una concreta ed individuabile fattispecie, assume connotazione sostanzialmente provvedimentale, puo' essere quindi soggetta all'ordinario sindacato giurisdizionale al fine dell'eventuale rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimita' costituzionale, che, altrimenti, non potrebbe essere affrontata, con conseguente assenza di tutela giurisdizionale nei confronti di atti normativi concretamente incidenti su posizioni soggettive individuali e differenziate. Infatti, una volta riconosciuta dalla Corte costituzionale (sentenze nn. 62/1993, 63/1995 e 347/1995), in linea di principio, l'ammissibilita' della categoria di atti normativi in discorso a fronte dell'insussistenza di una riserva di amministrazione, poiche' la Costituzione non garantisce ai pubblici poteri l'esclusivita' delle pertinenti attribuzioni gestorie, e dell'inconfigurabilita' per il legislatore di limiti diversi da quelli formali dell'osservanza del procedimento di formazione della legge, atteso che la Costituzione omette di prescrivere il contenuto sostanziale ed i caratteri essenziali dei precetti legislativi, la questione principale attiene alla configurazione del sistema delle garanzie di tutela giurisdizionale a fronte di tale categoria di atti normativi. In particolare, la Corte costituzionale, con sentenza n. 62/1993, ha avuto modo di affermare che i diritti di difesa del cittadino, in caso di approvazione con legge di un atto amministrativo lesivo dei suoi interessi, non vengono sacrificati, ma si trasferiscono, secondo il regime di controllo proprio del provvedimento normativo medio tempore intervenuto, dalla giurisdizione amministrativa alla giustizia costituzionale, con la conseguenza che la legge, sebbene abbia contenuto di provvedimento amministrativo, puo' essere sindacata, previa intermediazione del giudice rimettente, esclusivamente dal suo giudice naturale, ossia la Corte costituzionale. Peraltro, questo Tribunale ha gia' avuto modo di precisare che il giudice adito e' tenuto ad esprimere la valutazione in ordine alla non manifesta infondatezza della questione, mentre assume connotazione decisamente depotenziata la valutazione in ordine alla rilevanza della questione in quanto essa, in presenza di leggi provvedimento altrimenti insindacabili dal giudice di legittimita', e' intrinseca nell'esclusiva attribuzione alla Corte costituzionale dello scrutinio di legittimita' della norma formalmente legislativa ma sostanzialmente amministrativa (T.A.R. Lazio, Roma, I, 20 febbraio 2009, n. 1797; T.A.R. Lazio, Roma, I, 21 aprile 2008, n. 3356). La rilevanza della questione di legittimita' costituzionale, in altri termini, e' normalmente apprezzabile in re ipsa, atteso che, diversamente, sussisterebbe un vuoto di tutela configgente con i principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 113 Cost. 3. Il gravame proposto si rivela inammissibile nella parte in cui la Fibe contesta la mancata attribuzione dei ricavi derivanti dalla cessione dell'energia elettrica prodotta dall'impianto di Acerra, atteso che, in relazione a tale aspetto, il provvedimento concretamente lesivo della sfera giuridica della ricorrente e' costituito dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 marzo 2009, n. 3745, il cui art. 1, co. 6, prevede che, per le fasi di avviamento e di esercizio provvisorio del termovalorizzatore di Acerra, il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri di cui all'art. 1 d.l. 90/2008, convertito, con modificazioni, dalla l. 123/2008, ed il Gestore dei Servizi Elettrici (GSE), sottoscrivono, entro il 30 marzo 2009, apposita convenzione preliminare al fine di regolare la cessione dell'energia elettrica prodotta dal termovalorizzatore, e prevedente, specificamente, l'attribuzione delle risorse conseguenti alla cessione della quota di energia prodotta a favore del Fondo di protezione civile per il successivo impiego per le esigenze connesse all'emergenza rifiuti in Campania. Tale ordinanza non e' stata impugnata ed e', quindi, inoppugnabile, e, anche ove si volesse ritenere che, con il presente ricorso, la ricorrente abbia voluto gravare specificamente tale atto, la relativa impugnazione sarebbe tardiva in quanto l'OPCM e' stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 54 del 6 marzo 2009 - data da cui decorre il termine decadenziale di sessanta giorni, all'epoca stabilito dall'art. 21 l. 1034/1971, atteso che l'art. 5, co. 6, 1. 225/1992 prevede la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle ordinanze emanate ai sensi dello stesso articolo - mentre il ricorso e' stato notificato nel gennaio 2010. Ne' puo' essere rilevata la nullita' dell'ordinanza ex art. 21-septies 1. 241/1990 in quanto, se e' vero che il provvedimento dispone dei frutti di un bene di proprieta' di un terzo, e' altrettanto vero che la gestione di quel bene spetta, come in precedenza evidenziato, all'amministrazione pubblica, sicche' non puo' ritenersi che l'emanazione di quell'atto sfugga in radice alle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri. D'altra parte, l'ordinanza presidenziale n. 3745 del 5 marzo 2009 e' stata adottata ex art. 5, co. 2 e 3, 1. 225/1992 - secondo cui, ai sensi del secondo comma, per l'attuazione degli interventi di emergenza conseguenti alla dichiarazione dello stato di emergenza, si provvede anche a mezzo di ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, e, ai sensi del terzo comma, il Presidente del Consiglio dei Ministri puo' emanare altresi' ordinanze finalizzate ad evitare situazioni di pericolo o maggiori danni a persone o a cose - per cui il provvedimento impugnato sarebbe potuto essere eventualmente illegittimo ma non puo' certo dirsi adottato in carenza assoluta di attribuzione. Inoltre, la convenzione tra GSE e il Sottosegretario di Stato per l'emergenza rifiuti in Campania, in esecuzione della citata OPCM 3745/2009, e' stata stipulata in data 3 dicembre 2009 con decorrenza 1 gennaio 2010 e scadenza al 31 dicembre 2017. In conclusione, con specifico riferimento all'art. 7, co. 5, d.l. 195/2009, convertito in legge, con modificazioni, dalla 1. 26/2010, in ragione del quale «al Dipartimento della protezione civile, oltre alla piena disponibilita', utilizzazione e godimento dell'impianto, spettano altresi' i ricavi derivanti dalla vendita dell'energia elettrica prodotta dall'impianto, ai fini della successiva destinazione sulle contabilita' speciali di cui all'art. 2, comma 2», il ricorso e' inammissibile per carenza di interesse in quanto, anche ove la norma fosse dichiarata costituzionalmente illegittima, i ricavi della vendita dell'energia elettrica prodotti dall'impianto spetterebbero all'amministrazione statale per effetto dei provvedimenti amministrativi antecedenti; in sostanza, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, co. 5, d.l. 195/2009 non assume rilievo ai fini della presente controversia. 4. Le norme di legge provvedimento in relazione alle quali e' ammissibile il ricorso sono di conseguenza individuabili negli artt. 6 e 7, co. 1, 2, 3, 4 e 6, d.l. 30 dicembre 2009, n. 195, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 26. L'art. 6 dispone che «ai fini dell'accertamento del valore dell'impianto di termovalorizzazione di Acerra per il trasferimento in proprieta', all'atto del trasferimento e' riconosciuto al soggetto gia' concessionario del servizio di smaltimento rifiuti - proprietario dell'impianto un importo onnicomprensivo da determinarsi sulla base dei criteri stabiliti dallo studio ENEA 2007 "Aspetti economici del recupero energetico da rifiuti urbani", con riferimento al parametro operativo del carico termico di progetto dell'impianto. Il valore dell'impianto alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto da riconoscere ai sensi del presente articolo al soggetto gia' concessionario del servizio di smaltimento dei rifiuti - proprietario dell'impianto e' determinato in 355 milioni di euro». L'art. 7, co. 1, 2, 3, 4 e 6, prevede che: 1. Entro il 31 dicembre 2011 con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e' trasferita la proprieta' del termovalorizzatore di Acerra alla regione Campania, previa intesa con la Regione stessa, o ad altro ente pubblico anche non territoriale, ovvero alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della protezione civile o a soggetto privato. 2. L'eventuale trasferimento a uno dei soggetti pubblici di cui al comma 1 potra' avvenire solo previa individuazione, con apposito provvedimento normativa, delle risorse finanziarie necessarie all'acquisizione dell'impianto, anche a valere sulle risorse del Fondo aree sottoutilizzate, per la quota nazionale o regionale. 3. Al soggetto proprietario dell'impianto, all'atto del trasferimento definitivo della proprieta' ai sensi del comma i, e' riconosciuto un importo onnicomprensivo pari al valore stabilito ai sensi dell'art. 6, ridotto del canone di affitto corrisposto nei dodici mesi antecedenti all'atto di trasferimento, delle somme comunque anticipate, anche ai sensi dell'art. 12 del decreto-legge n. 90 del 2008, nonche' delle somme relative agli interventi effettuati sull'impianto, funzionali al conseguimento degli obiettivi di costante ed ininterrotto esercizio del termovalorizzatore sino al trasferimento della proprieta'. 4. A decorrere dal 1° gennaio 2010, nelle more del trasferimento della proprieta', la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della protezione civile mantiene la piena disponibilita', utilizzazione e godimento dell'impianto ed e' autorizzata a stipulare un contratto per l'affitto dell'impianto stesso, per una durata fino a quindici anni. La stipulazione del contratto di affitto e' subordinata alla prestazione di espressa fideiussione regolata dagli articoli 1936, e seguenti, del codice civile, da parte della societa' a capo del gruppo cui appartiene il proprietario del termovalorizzatore con la quale si garantisce, fino al trasferimento della proprieta' dell'impianto, il debito che l'affittante ha nei confronti del Dipartimento della protezione civile per le somme erogate allo stesso proprietario di cui al comma 3. La fideiussione deve contenere, espressamente, la rinuncia da parte del fideiussore al beneficio di escussione. In deroga all'art. 1957 del codice civile non si verifica, in alcun caso, decadenza del diritto del creditore. 6. Il canone di affitto e' stabilito in euro 2.500.000 mensili. Il contratto di affitto si risolve automaticamente per effetto del trasferimento della proprieta' di cui al comma l. All'onere derivante dall'attuazione del presente comma, pari a 30 milioni di euro annui per quindici anni a decorrere dall'anno 2010, si fa fronte ai sensi dell'art. 18. Il tenore delle norme non lascia alcun dubbio sulla loro natura provvedimentale in quanto disciplinano compiutamente una singola fattispecie concretamente individuata, vale a dire il trasferimento di proprieta' del termovalorizzatore di Acerra, di proprieta' Fibe, ad un soggetto pubblico o privato nonche' le vicende ad esso relative nelle more del perfezionamento dello stesso. La Corte costituzionale ha piu' volte ribadito che alla legge ordinaria non e' preclusa la possibilita' di attrarre propria sfera di disciplina materie normalmente affidate all'Autorita' amministrativa, non sussistendo un divieto di adozione di leggi a contenuto particolare e concreto. Tuttavia, tali leggi sono ammissibili entro limiti non solo specifici ma anche generali, quale quello del rispetto dei principi di ragionevolezza e di non arbitrarieta' (Corte cost., sentenze 4 maggio 2009, n. 137, 2 aprile 2009, n. 94, 13 luglio 2007, n. 267). Le leggi provvedimento, quindi, devono essere valutate in relazione al loro specifico contenuto e sono soggette ad uno scrutinio rigoroso di costituzionalita' essenzialmente sotto i profili della non arbitrarieta' e della non irragionevolezza della scelta del legislatore. Nel caso di specie vengono in particolare rilievo le norme a tutela del diritto di proprieta' previste dalla CEDU e dalla Costituzione. L'art. 1 del primo protocollo alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, volto alla protezione della proprieta', stabilisce che «ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni» e che «nessuno puo' essere privato della sua proprieta' se non per causa di pubblica utilita' e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale». L'art. 42 Cost., dopo aver previsto che «la proprieta' privata e' riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti», indica al terzo comma che «puo' essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale». La Corte di Strasburgo ha riconosciuto la legittimita' di restrizioni, anche ampie, alla proprieta' finalizzate a scopi di «giustizia sociale» discrezionalmente fissati dagli Stati membri. Le limitazioni al diritto di proprieta', sia in ambito comunitario che costituzionale, sono ritenute legittime in presenza di un interesse generale da perseguire, per cui la questione centrale riposa nel bilanciamento tra valori costituzionali in conflitto, vale a dire che deve sussistere un rapporto di proporzionalita' ed adeguatezza tra il fine, costituito dal perseguimento dell'interesse collettivo, ed il mezzo, costituito dalla restrizione della proprieta' privata. In altri termini, la limitazione del diritto di proprieta' deve ritenersi in linea con i parametri internazionali e nazionali ove il sacrificio imposto non risulti eccessivo per la realizzazione del fine individuato, atteso che altrimenti sussisterebbe una sproporzione destinata a riflettersi come vizio di legittimita' della norma provvedimentale che ha stabilito la privazione o comunque la conformazione della proprieta'. In particolare, la giurisprudenza CEDU non sembra ammettere, per gli ordinari interventi espropriativi, altro criterio di calcolo degli indennizzi che non sia quello del valore di mercato, lasciando intendere che ogni sacrificio economico ulteriore farebbe gravare sul singolo espropriato un onere che invece dovrebbe gravare, verosimilmente attraverso lo strumento fiscale, sull'intera collettivita'. La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, Grande Camera, sentenza 29 marzo 2006 (causa Scordino c. Italia), ha riconosciuto l'ampio margine di discrezionalita' degli Stati parti della Convenzione, conferito dall'art. 1 del protocollo n. 1, nella valutazione dei mezzi per raggiungere il giusto equilibrio tra il diritto del privato al rispetto dei propri beni e l'obiettivo dello Stato di realizzare fini di utilita' sociale, rilevando pero' come spetti alla Corte stessa il potere di controllare la compatibilita' della soluzione data in concreto dagli Stati alle fattispecie ad essa sottoposte. Tale compatibilita', ad avviso della CEDU, deve essere valutata alla luce della possibilita' di distinguere due tipologie di obiettivi di utilita' sociale a cui possono essere preordinate le espropriazioni e cioe', da un lato, obiettivi di riforma economico o sociale o di mutamento del contesto politico istituzionale, dall'altro, obiettivi di utilita' sociale che non si inseriscono in una prospettiva di ampia riforma e che si realizzano attraverso «espropriazioni isolate»; per la prima categoria di espropriazioni e' compatibile con la Convenzione un'indennita' inferiore al valore venale del bene, mentre per la seconda non e' giustificata un'indennita' inferiore a tale valore. In una fattispecie ancora piu' recente, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, Seconda Sezione, sentenza 10 giugno 2008 (causa Bortesi ed altri c. Italia), ha ribadito che in numerosi casi espropriazione legittima solo una compensazione integrale puo' essere considerata ragionevolmente in relazione al valore del bene, specificando tuttavia che tale norma non e' senza eccezioni dato che gli obiettivi legittimi di pubblica utilita', quali quelli che perseguono le misure di riforma economica o di giustizia sociale, possono militare per un rimborso inferiore al pieno valore mercantile. La Corte Europea, in definitiva, ha fatto presente che deve sussistere un giusto equilibrio tra le esigenze riconducibili all'interesse generale e la salvaguardia del diritto al rispetto dei beni (cfr. Seconda Sezione, sentenza 22 luglio 2008, causa Koktepe c. Turchia). La Corte costituzionale, con la sentenza n. 348 del 24 ottobre 2007, ha in primo luogo chiarito che le norme comunitarie devono avere piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione in tutti gli Stati membri, senza la necessita' di leggi di ricezione e adattamento, in modo da entrare ovunque contemporaneamente in vigore e conseguire applicazione eguale ed uniforme nei confronti di tutti i destinatari ed ha evidenziato che il fondamento costituzionale di tale efficacia diretta e' stato individuato nell'art. 11 Cost., nella parte in cui consente le limitazioni alla sovranita' nazionale necessarie per promuovere e favorire le organizzazioni internazionali rivolte ad assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni. Ha altresi' ribadito che la distinzione tra norme CEDU e norme comunitarie consiste nel fatto che le prime, pur rivestendo grande rilevanza, in quanto tutelano e valorizzano i diritti e le liberta' fondamentali delle persone, sono pur sempre norme internazionali pattizie, che vincolano lo Stato, ma non producono effetti diretti nell'ordinamento interno. Il supremo giudice delle leggi ha in proposito evidenziato che l'art. 117, co. 1, Cost., nel testo introdotto nel 2001 con la riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, ha confermato tale orientamento giurisprudenziale, distinguendo i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario da quelli riconducibili agli obblighi internazionali, distinzione non solo terminologica, ma anche sostanziale. Con l'adesione ai Trattati comunitari, infatti, l'Italia e' entrata a far parte di un ordinamento piu' ampio, di natura sovranazionale, cedendo parte della sua sovranita', anche in riferimento al potere legislativo, nelle materie oggetto dei Trattati stessi, con il solo limite dell'intangibilita' dei principi e dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, mentre la Convenzione EDU non crea un ordinamento giuridico sovranazionale e non produce, di conseguenza, norme direttamente applicabili negli Stati contraenti, essendo configurabile come un trattato internazionale multilaterale da cui derivano obblighi per gli Stati contraenti, ma non l'incorporazione dell'ordinamento giuridico nazionale in un sistema piu' vasto. Le norme patrizie, ancorche' generali, contenute in trattati internazionali bilaterali o multilaterali, quindi, esulano dalla portata normativa dell'art. 10 Cost. e di questa categoria fa parte la CEDU, con la conseguente impossibilita' di assumere le relative norme quali parametri di giudizio di legittimita' costituzionale di per se' sole, ovvero come norme interposte ex art. 10 Cost. Con la citata sentenza n. 348/2007, la Corte costituzionale ha ritenuto fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5-bis d.l. 333/1992, convertito con modificazioni dalla 1. 359/1992, sollevata con riferimento all'art. 117, co. 1, Cost. - che condiziona l'esercizio della potesta' legislativa dello Stato e delle Regioni al rispetto degli obblighi internazionali, tra i quali indubbiamente rientrano quelli derivanti dalla Convenzione Europea - ed incentrata sul contrasto tra la norma censurata e l'art. 1 del primo protocollo della CEDU, quale interpretato dalla Corte Europea per i Diritti dell'Uomo, in quanto i criteri di calcolo per determinare l'indennizzo dovuto ai proprietari di aree edificabili espropriate per motivi di pubblico interesse condurrebbero alla corresponsione di somme non congruamente proporzionate al valore dei beni oggetto di ablazione. Il nuovo testo dell'art. 117 Cost., ha sottolineato la Consulta, se da una parte rende inconfutabile la maggiore forza di resistenza delle norme CEDU rispetto a leggi ordinarie successive, dall'altra attrae le stesse nella sfera di competenza della Corte costituzionale poiche' gli eventuali contrasti non generano problemi di successione delle leggi nel tempo o valutazioni sulla rispettiva collocazione gerarchica delle norme in contrasto, ma questioni di legittimita' costituzionale; in altri termini, il giudice comune non ha il potere di disapplicare la norma legislativa ordinaria ritenuta in contrasto con una norma CEDU, atteso che l'asserita incompatibilita' tra le due si presenta come una questione di legittimita' costituzionale, per eventuale violazione dell'art. 117, co. 1, Cost., di esclusiva competenza del giudice delle leggi. La verifica di compatibilita' costituzionale, peraltro, deve riguardare la norma come prodotto dell'interpretazione data dalla Corte Europea e la Consulta ha fatto presente che, in esito ad una lunga evoluzione giurisprudenziale, la Grande Chambre, con la decisione del 29 marzo 2006, nella causa Scordino contro Italia, gia' richiamata nella presente ordinanza, e' pervenuta alla fissazione di alcuni principi generali, sulla cui base - e rilevato che non sussistono profili di incompatibilita' tra l'art. 1 del primo protocollo della CEDU, quale interpretato dalla Corte di Strasburgo, e l'ordinamento costituzionale italiano, con particolare riferimento all'art. 42 Cost. - ha dichiarato l'illegittimita' della Corte costituzionale dell'art. 5-bis, co. 1 e 2, d.l. 333/1992 in riferimento all'art. 117, co. 1, Cost. Di talche', l'art. 2, co. 89, l. 244/2007 (legge finanziaria per il 2008) ha sostituito l'art. 37, co. l, d.P.R. 327/2001 prevedendo che l'indennita' di espropriazione di un'area edificabile e' determinata nella misura pari al valore venale del bene e che, quando l'espropriazione e' finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale, l'indennita' e' ridotta del 25%. Con sentenza n. 349 del 24 ottobre 2007, la Corte costituzionale ha inoltre concluso che l'art. 5-bis, co. 7-bis, d.l. 333/1992, convertito, con modificazioni, dalla l. 359/1992, introdotto dall'art. 3, co. 65, l. 662/1996, non prevedendo un ristoro integrale del danno subito per effetto dell'occupazione acquisitiva da parte della pubblica amministrazione, corrispondente al valore di mercato del bene occupato, e' in contrasto con gli obblighi interruzioni sanciti dall'art. 1 del protocollo addizionale alla CEDU e per cio' stesso viola l'art. 117, co. 1, della Costituzione. Nella fattispecie in esame, la questione di legittimita' costituzionale - ad esclusione della norma di cui all'art. 7, co. 5, d.l. 195/2009 che, anche ove fosse espunta dall'ordinamento non produrrebbe un beneficio per la ricorrente la cui sfera giuridica e' stata incisa da atti amministrativi precedenti ormai inoppugnabili - si presenta ontologicamente rilevante, venendo in rilievo norme provvedimento direttamente incidenti sulla sfera giuridica della ricorrente. Il Collegio ritiene che la questione si presenti manifestamente infondata con riferimento all'art. 7, co. 4 e 6, d.l. 195/2009 in quanto, da un lato, il mantenimento della piena disponibilita', utilizzazione e godimento dell'impianto da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della protezione civile e' intrinsecamente connessa alla qualificazione del sito come area di interesse strategico nazionale ed e' strettamente funzionale alla necessita' che l'impianto sia utilizzato per fini di interesse generale, dall'altro, la stipulazione del contratto d'affitto, sia pure subordinata alla prestazione di espressa fideiussione fino al trasferimento di proprieta' dell'impianto, prevede un canone mensile di euro 2.500.000, il quale, rapportato al valore dell'impianto come determinato sulla base dello studio ENEA, quand'anche tale studio non fosse, attualizzato al 2010, non appare in alcun modo inadeguato. Diversamente, con riferimento agli artt. 6 e 7, co. 1, 2 e 3, d.l. 195/2009, convertito, con modificazioni, dalla 1. 26/2010, la questione, oltre che rilevante, non si presenta manifestamente infondata in riferimento all'art. 117, co. 1, Cost., in quanto le norme non prevedono un indennizzo commisurato al valore venale del bene al momento del trasferimento, e, pur in presenza di uno spossessamento immediato del bene, lasciano margini di incertezza sia sull'an sia sul quando del trasferimento di proprieta', sicche' le norme de quibus potrebbero porsi in contrasto con gli obblighi internazionali sanciti dall'art. 1 del protocollo addizionale CEDU. Per quanto attiene all'importo onnicomprensivo da riconoscere al proprietario dell'impianto, gia' concessionario del servizio di smaltimento dei rifiuti, l'art. 6 del d.l. 195/2009 indica che il valore dell'impianto alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (28 febbraio 2010) e' determinato in 355 milioni di euro sulla base dei criteri stabiliti dallo studio ENEA 2007 «Aspetti economici del recupero energetico da rifiuti urbani». Il Collegio rileva in primo luogo che, sebbene la norma faccia riferimento al valore dell'impianto alla data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. 195/2009, le conclusioni dello studio condotto dall'ENEA per la «valorizzazione del costo di investimento del termovalorizzatore di Acerra» indicano un valore di 355 milioni di euro, «inteso come costo di investimento tipico di un moderno impianto di termovalorizzazione riferito al periodo 2005-2006», sicche' appare verosimile ritenere che detto valore non sia riferito all'inizio del 2010. Non solo, ma, ai sensi dell'art. 7, co. 3, l'importo di 355 milioni di euro deve essere ridotto, tra l'altro, del canone di affitto corrisposto nei dodici mesi antecedenti all'atto di trasferimento. Inoltre, il momento in cui sorge il diritto di credito del proprietario «espropriando» non e' certo compreso nel mese di febbraio 2010, ma e' futuro ed incerto. Infatti, ai sensi dell'art. 7, co. 1 e 2, l'atto di trasferimento della proprieta' e' adottato entro il 31 dicembre 2011 e, in caso di trasferimento ad un soggetto pubblico, solo previa individuazione, con apposito provvedimento normativo, delle risorse finanziarie necessarie all'acquisizione dell'impianto, per cui non solo non risulta individuato ne' il soggetto che dovra' acquisire la proprieta' del bene, che potra' essere un soggetto pubblico (Regione Campania, Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della protezione civile o altro ente pubblico) o un soggetto privato, ne' il momento in cui il trasferimento della proprieta' dovra' avvenire (essendo fissato il solo, dies ad quem al 31 dicembre 2011), ma, in special modo, non vi e' alcuna certezza che il trasferimento della proprieta' abbia effettivamente luogo, atteso che, in assenza di un provvedimento normativo che individui le risorse finanziarie necessarie all'acquisizione dell'impianto e di un acquirente privato, il passaggio della proprieta' del termovalorizzatore, quantomeno entro la data fissata del 31 dicembre 2011, non potra' evidentemente avvenire. Cosi' delineato il quadro normativo, se non sussiste alcun dubbio, potendo anzi costituirne un esempio paradigmatico, che nel caso di specie la deprivazione del diritto di proprieta' si presenta funzionale alla realizzazione di un essenziale fine di utilita' sociale, sicche' la stessa e' senz'altro ammissibile e, sotto tale profilo, le norme di legge devono ritenersi certamente legittime, occorre pero' rilevare che tali obiettivi di utilita' sociale non si inseriscono in una prospettiva di riforma economica o di giustizia sociale rappresentando piuttosto una «espropriazione isolata», per cui, secondo la giurisprudenza della Corte Europea, non sarebbe compatibile con la tutela della proprieta' sancita dall'art. 1 del primo protocollo la previsione di un'indennita' inferiore al valore venale del bene. Nell'ipotesi di «espropriazione isolata», infatti, pur se disposta a fini di evidente utilita' sociale, solo una riparazione integrale puo' essere considerata in rapporto ragionevole con il valore del bene. La compensazione accordata alla ricorrente dalle norme di legge in discorso, pertanto, potrebbe rivelarsi non adeguata, mentre l'onere imposto, anche e soprattutto in considerazione dell'incertezza sull'an e sul quando del passaggio di proprieta', potrebbe rivelarsi sproporzionato ed eccessivo incidendo sul «giusto equilibrio» che deve sussistere tra le esigenze riconducibili all'interesse generale e la salvaguardia del diritto al rispetto dei beni. Sulla base di tali considerazioni, il Collegio ritiene che sia rilevante e non manifestamente infondata, per contrasto con l'art. 117, co. 1, Cost., in relazione all'art. l del primo Protocollo della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 6 e 7, co. 1, 2 e 3, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 26. Di conseguenza, occorre sospendere il giudizio e rimettere gli atti alla Corte costituzionale affinche' si pronunci sulla questione.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per contrasto con l'art. 117, co. 1, Cost., in relazione all'art. 1 del primo Protocollo della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 6 e 7, co. 1, 2 e 3, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 26; Dispone la sospensione del giudizio e ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della Segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Roma nella Camera di Consiglio del giorno 24 novembre 2010. Il Presidente: Giovannini L'estensore: Caponigro