N. 248 SENTENZA 20 - 27 luglio 2011

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Sanita'  pubblica  -  Possibilita'  per  le  Regioni  di  individuare
  prestazioni (nella specie: dialisi) o gruppi di prestazioni  per  i
  quali stabilire la preventiva autorizzazione, da parte dell'azienda
  sanitaria locale competente, alla fruizione presso le strutture o i
  professionisti accreditati - Asserito contrasto con il principio di
  legalita' sostanziale - Esclusione - Non fondatezza della questione
  nei sensi di cui in motivazione. 
- D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8-quinquies, comma  2,  lett.
  b), introdotto dall'art. 79, comma 1-quinquies, del d.l. 25  giugno
  2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge  6  agosto
  2008, n. 133. 
- Costituzione, artt. 3, 97 e 113. 
Sanita'  pubblica  -  Possibilita'  per  le  Regioni  di  individuare
  prestazioni (nella specie: dialisi) o gruppi di prestazioni  per  i
  quali stabilire la preventiva autorizzazione, da parte dell'azienda
  sanitaria locale competente, alla fruizione presso le strutture o i
  professionisti  accreditati  -  Asserita   limitazione,   su   base
  regionale,  dell'esercizio  del  diritto  fondamentale  ai  livelli
  essenziali di  assistenza  -  Esclusione  -  Non  fondatezza  della
  questione. 
- D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8-quinquies, comma  2,  lett.
  b), introdotto dall'art. 79, comma 1-quinquies, del d.l. 25  giugno
  2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge  6  agosto
  2008, n. 133. 
- Costituzione, artt. 3 e 117, secondo comma, lett. m). 
Sanita'  pubblica  -  Possibilita'  per  le  Regioni  di  individuare
  prestazioni (nella specie: dialisi) o gruppi di prestazioni  per  i
  quali stabilire la preventiva autorizzazione, da parte dell'azienda
  sanitaria locale competente, alla fruizione presso le strutture o i
  professionisti  accreditati  -  Ritenuta   limitazione,   su   base
  regionale, dell'esercizio del diritto alla salute, con compressione
  della liberta' di scelta degli aventi diritto -  Esclusione  -  Non
  fondatezza della questione. 
- D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8-quinquies, comma  2,  lett.
  b), introdotto dall'art. 79, comma 1-quinquies, del d.l. 25  giugno
  2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge  6  agosto
  2008, n. 133. 
- Costituzione, artt. 3 e 32. 
(GU n.33 del 3-8-2011 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Alfonso QUARANTA. 
Giudici: Alfio FINOCCHIARO, Franco  GALLO,  Luigi  MAZZELLA,  Gaetano
  SILVESTRI,  Sabino   CASSESE,   Giuseppe   TESAURO,   Paolo   Maria
  NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO,  Alessandro  CRISCUOLO,  Paolo  GROSSI,
  Giorgio LATTANZI. 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Sentenza 
 
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'articolo 8-quinquies,
comma 2, lettera b), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502
(Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'art.  1
della legge 23 ottobre 1992, n. 421),  introdotto  dall'articolo  79,
comma  1-quinquies,  del  decreto-legge  25  giugno  2008,   n.   112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la  semplificazione,
la competitivita', la stabilizzazione della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla  legge
6  agosto  2008,  n.  133,  promossi  dal  Tribunale   amministrativo
regionale per la Sicilia  con  tre  ordinanze  del  28  luglio  2010,
rispettivamente iscritte ai  numeri  352,  353  e  396  del  registro
ordinanze 2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 47, 1ª serie speciale, dell'anno 2010 e n. 1, 1ª  serie  speciale,
dell'anno 2011. 
    Visto l'atto  di  costituzione  del  Centro  ambulatoriale  e  di
emodialisi "Aurora" s.r.l. ed altri, nonche' gli atti  di  intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Udito nell'udienza pubblica del 5 luglio 2011 e nella  camera  di
consiglio del 6 luglio 2011 il Giudice relatore Alfonso Quaranta; 
    Uditi  l'avvocato  Salvatore  Pensabene  Lionti  per  il   Centro
ambulatoriale e di emodialisi "Aurora" s.r.l. ed altri  e  l'avvocato
dello Stato Sergio Fiorentino per il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Tribunale amministrativo regionale per  la  Sicilia,  con
tre  ordinanze  di  analogo  contenuto,  ha   sollevato   altrettante
questioni  di  legittimita'  costituzionale  -  in  riferimento  agli
articoli 3, 24, 32, 97, 113 e 117, secondo comma, lettera  m),  della
Costituzione - dell'articolo 8-quinquies, comma 2,  lettera  b),  del
decreto  legislativo  30  dicembre  1992,  n.  502  (Riordino   della
disciplina in materia sanitaria, a norma dell'art. 1 della  legge  23
ottobre 1992, n. 421), introdotto dall'art.  79,  comma  1-quinquies,
del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la   competitivita',   la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. 
    1.1. - Il giudice  remittente  premette  di  dover  decidere,  in
ciascuno  dei  giudizi  principali,  dell'impugnazione  del   decreto
dell'Assessore per la sanita' della Regione Siciliana del  20  agosto
2009,  n.  1676,  secondo  cui  l'ammissione   alla   fruizione   del
trattamento sostitutivo  della  funzione  renale,  presso  centri  di
dialisi privati accreditati,  «deve  essere  previamente  autorizzata
dall'azienda sanitaria provinciale di appartenenza, sulla base di una
certificazione rilasciata da un medico specialista nefrologo da  essa
dipendente  o  convenzionato,  che  accerti  l'insufficienza   renale
cronica terminale e la necessita' del trattamento sostitutivo». 
    Tale decreto - assume il giudice a quo - risulta emanato in forza
di quanto previsto dal censurato art. 8-quinquies, comma  2,  lettera
b), del d.lgs. n. 502 del  1992,  secondo  cui  le  Regioni  «possono
individuare prestazioni o gruppi di prestazioni per i quali stabilire
la preventiva autorizzazione, da parte dell'azienda sanitaria  locale
competente, alla fruizione presso le  strutture  o  i  professionisti
accreditati». 
    Tanto premesso, il TAR remittente esclude che possa  prospettarsi
un'interpretazione della norma che -  in  coerenza  con  il  restante
testo  del  suddetto  art.  8-quinqiues  -  «consenta  di  ricondurre
l'individuazione  dei  gruppi  di  prestazioni   da   sottoporre   ad
autorizzazione ad un'attivita' consensuale» (cio' che,  tra  l'altro,
renderebbe il decreto impugnato nei tre giudizi a quibus  «senz'altro
illegittimo,  per  il  sol  fatto   di   aver   provveduto   in   via
unilaterale»),  giacche'  la  stessa  formulazione  letterale   della
disposizione  rivelerebbe  la  sua   natura   derogatoria   «rispetto
all'analoga previsione contenuta  nella  prima  parte»  del  medesimo
comma 2 dell'art. 8-quinquies che prevede la definizione di accordi e
la stipulazione di contratti. 
    1.2. - Data, dunque, tale  premessa,  il  remittente  reputa  non
manifestamente infondato il  dubbio  di  legittimita'  costituzionale
della norma in esame, innanzitutto «per violazione del  principio  di
legalita' sostanziale», il cui fondamento reputa di individuare negli
artt. 24, 97 e 113 Cost. 
    In particolare, il TAR  siciliano  non  contesta  «la  previsione
dell'attribuzione alle Regioni del potere di introdurre una procedura
autorizzata nel contesto della disciplina dell'accesso alla fruizione
di prestazioni sanitarie presso strutture private accreditate (se non
per il fatto che detta individuazione avvenga per atto unilaterale)».
Per contro, «cio' che appare non conforme al principio  di  legalita'
sostanziale e' la mancata previsione dei  criteri  alla  stregua  dei
quali detto potere dovrebbe essere disciplinato su base regionale,  e
conseguentemente  esercitato   dalle   aziende   sanitarie   locali»,
specialmente  ove  si  consideri  che  si  tratta   di   «un   potere
autorizzatorio che condiziona la fruizione di prestazioni salvavita». 
    A riguardo, il giudice a quo rileva - in primo luogo  -  che  non
sarebbe «dato comprendere quale sia la  funzione  dell'esercizio  del
potere autorizzatorio in esame: se di accertamento della  sussistenza
della patologia, e di necessarieta' della terapia, quali  presupposti
per  l'accesso  alla   fruizione   della   prestazione;   ovvero   di
contenimento del ricorso a strutture private, per ragioni legate alla
finanza  regionale».  In  altri  termini,  il   contenuto   ampio   e
indeterminato  della  norma  renderebbe  impossibile   stabilire   la
legittimita'  del  provvedimento  impugnato,  risultando  impossibile
valutare se l'esercizio del potere  autorizzatorio  sia  avvenuto  in
conformita' o meno con i criteri dettati dalla  norma.  Il  risultato
sarebbe, dunque, costituito - nel caso di  specie  -  dalla  assoluta
indeterminatezza del potere demandato alla pubblica  amministrazione,
in violazione del principio di legalita' sostanziale (sono citate  le
sentenze della Corte costituzionale n. 200 e n. 32 del 2009 e n.  307
del 2003). 
    Ne', d'altra parte, elementi per ricostruire il significato della
norma   potrebbero    trarsi    -    secondo    il    remittente    -
dall'interpretazione sistematica  della  stessa,  «giacche'  essa  e'
stata  calata  ex  abrupto  nel  contesto  della   disciplina   della
definizione  concordata  (e,  dunque,  non  unilaterale,  ex   latere
auctoritatis) delle prestazioni fruibili presso  strutture  private»,
cio' che conferma ulteriormente, sempre  nella  prospettiva  del  TAR
siciliano, l'irragionevolezza della disciplina in esame e, dunque, la
violazione anche dell'art. 3, secondo comma, Cost. 
    Difatti, sarebbe «solo nel  contesto  di  tali  accordi  con  gli
erogatori  privati  del  servizio  o  con  le   loro   organizzazioni
rappresentative» (interventi collocati a monte  dell'accreditamento),
e «non gia' mediante un provvedimento autoritativo unilaterale»,  che
la Regione  -  sempre  ad  avviso  del  giudice  a  quo  -  «potrebbe
individuare prestazioni  o  gruppi  di  prestazioni  suscettibili  di
essere preventivamente autorizzati dalle  unita'  sanitarie  locali».
Per  contro,   «l'inserimento   di   un   ulteriore   condizionamento
autorizzatorio,  la  cui  connotazione  funzionale  non  e'   affatto
chiara», risultando  esso  «privo  di  una  adeguata  disciplina  dei
presupposti e dei criteri di esercizio»,  sarebbe  non  conforme  «al
parametro costituzionale della ragionevolezza». 
    Infine, il TAR rimettente  deduce  l'esistenza  di  un  ulteriore
profilo di illegittimita' costituzionale, per contrasto con gli artt.
3 e 117, secondo comma, lettera m), Cost. 
    Si assume, infatti, che la  norma  censurata  consentirebbe  alle
singole Regioni di «individuare prestazioni o gruppi  di  prestazioni
per  i  quali  stabilire  la  preventiva  autorizzazione,  da   parte
dell'azienda sanitaria locale competente, alla  fruizione  presso  le
strutture o i professionisti accreditati», pure quando si  tratti  di
prestazioni afferenti i livelli essenziali  di  assistenza  stabiliti
con decreto del Presidente del Consiglio  dei  ministri  29  novembre
2001 (Definizione dei livelli essenziali di assistenza), allegato  1,
e dunque anche quelle previste in favore di «nefropatici  cronici  in
trattamento dialitico» e di «pazienti in fase terminale». La norma in
esame, pertanto, avrebbe reso  «maggiormente  difficoltoso,  su  base
regionale,  l'accesso  ad  una  prestazione  inclusa  tra  i  livelli
essenziali delle prestazioni sanitarie che invece non  devono  patire
una differenziazione territoriale». 
    Nondimeno, qualora si dovesse ritenere - osserva  conclusivamente
il giudice a quo - che  le  prestazioni  da  fornire  ai  nefropatici
cronici  in  trattamento  dialitico  non  rientrino  tra  i   livelli
essenziali di assistenza, «la  previsione  del  potere  regionale  in
parola violerebbe gli artt. 3 e 32  Cost.,  ponendo  una  limitazione
ulteriore,  differenziata  territorialmente,  all'esercizio   di   un
diritto fondamentale», qual'e' quello alla salute. 
    1.3. - In forza di tali rilievi - e non senza  osservare  che  la
«rilevanza della questione discende dal fatto che il vizio si appunta
non sulle modalita' con cui il potere e'  stato  esercitato»,  bensi'
direttamente «sulla norma attributiva del potere medesimo» (sulla cui
base dovrebbe essere esaminata la legittimita' del decreto  impugnato
nei giudizi a quibus) - il TAR remittente ha sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale della norma suddetta. 
    2. - E' intervenuto - in ciascuno dei giudizi - il Presidente del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che  le  questioni  siano  dichiarate
inammissibili o in subordine non fondate. 
    2.1. - La difesa statale  illustra,  innanzitutto,  il  contenuto
della norma censurata, rammentando che la stessa - nel contesto degli
«Accordi contrattuali», previsti dall'art. 8-bis del medesimo  d.lgs.
n. 502 del 1992 e finalizzati all'esercizio di attivita' sanitaria  a
carico del Servizio sanitario nazionale - stabilisce che  le  Regioni
definiscano l'ambito degli stipulandi accordi contrattuali  in  campi
specificamente individuati.  In  particolare,  in  base  ad  essa  la
Regione e le unita' sanitarie locali, «anche  attraverso  valutazioni
comparative della qualita' e dei costi, definiscono  accordi  con  le
strutture   pubbliche   ed   equiparate,    comprese    le    aziende
ospedaliero-universitarie, e stipulano contratti con quelle private e
con i professionisti accreditati» indicando, tra l'altro, «il  volume
massimo  di  prestazioni  che  le  strutture   presenti   nell'ambito
territoriale della medesima unita' sanitaria locale, si impegnano  ad
assicurare, distinto per tipologia e per modalita' di assistenza». In
tale  contesto  e'  previsto  che  le  Regioni  possano  «individuare
prestazioni  o  gruppi  di  prestazioni  per  i  quali  stabilire  la
preventiva autorizzazione, da  parte  dell'azienda  sanitaria  locale
competente, alla fruizione presso le  strutture  o  i  professionisti
accreditati». 
    Detta norma - osserva sempre la difesa statale  -  «si  inserisce
nel piu' ampio quadro della competenza delle Regioni  in  materia  di
tutela  della  salute  e   programmazione   sanitaria»,   competenza,
tuttavia,  «da  esercitarsi   nel   rispetto   dei   principi   della
legislazione statale  e  in  particolare  dell'obbligo  di  garantire
l'equilibrio  economico  e  finanziario».  Come   avrebbe,   infatti,
chiarito la giurisprudenza  costituzionale,  il  coordinamento  della
finanza pubblica «passa ormai  pacificamente  per  la  previsioni  di
limiti alle spese regionali anche in materia sanitaria». 
    Sotto questo profilo - rileva l'Avvocatura generale dello Stato -
non sarebbe inutile rammentare che la Regione Siciliana  rientra  tra
quelle che hanno concluso accordi per il rientro  dal  disavanzo  nel
settore sanitario. 
    Tanto premesso, la finalita' cui mira  la  norma  censurata  -  e
cioe' la razionalizzazione e il contenimento della spesa pubblica  in
materia sanitaria, per soddisfare un'esigenza, la salvaguardia  della
finanza pubblica, «anch'essa primaria e costituzionalmente  tutelata»
- renderebbe evidente come siano ipotizzabili, al contrario di quanto
sostenuto dal remittente, «chiari parametri atti a  circoscrivere  la
discrezionalita' dell'azione  amministrativa  nel  determinare  quali
prestazioni  siano  soggette  a  preventiva  autorizzazione».   Cio',
oltretutto, rivelerebbe come l'organo amministrativo che ha  adottato
l'atto oggetto  di  impugnazione  nei  giudizi  a  quibus  non  abbia
correttamente applicato i principi  posti  dal  legislatore  statale,
sicche' la questione al centro degli stessi non sarebbe quella  della
legittimita' costituzionale della  norma  in  esame,  bensi'  «quella
della illegittimita' di un atto amministrativo per cattivo  esercizio
del potere conferito». 
    2.2. - Posto, dunque, che la norma in esame - prosegue la  difesa
statale - avrebbe  affidato  alle  Regioni  la  determinazione  delle
prestazioni   erogabili    dal    Servizio    sanitario    regionale,
«contemperando le esigenze della  finanza  pubblica  e  quelle  della
tutela della salute attraverso la concreta valutazione delle  realta'
locali (quali, ad esempio, la  localizzazione  e  l'efficienza  delle
strutture  esistenti,  la  disponibilita'  finanziaria)»,  la  stessa
dovrebbe ritenersi indenne dai paventati  profili  di  illegittimita'
costituzionale. 
    In particolare,  sarebbe  pienamente  conforme  al  principio  di
legalita' sostanziale la  scelta  di  «rimettere  ad  un  astratto  e
generale provvedimento autorizzatorio - i  cui  limiti,  finalita'  e
criteri sono predeterminati - la possibilita' per  gli  assistiti  di
fruire di determinate prestazioni sanitarie, anche  presso  strutture
accreditate diverse da quelle pubbliche». 
    Del pari, sarebbe da escludere che dalla norma  censurata  «possa
dedursi una "abdicazione" da parte dello  Stato  alla  determinazione
dei livelli essenziali di assistenza», giacche' essa  «ha  unicamente
riguardo  al  controllo  della  spesa  pubblica  sub   specie   della
individuazione,  nelle   singole   realta'   regionali,   di   quelle
prestazioni erogabili  a  carico  del  servizio  sanitario  nazionale
attraverso accordi di carattere generale  (nel  caso  in  esame,  con
strutture private)». 
    E' negata, infine, la violazione dell'art. 32 Cost., giacche'  la
disposizione in esame «non ha in alcun modo limitato la  possibilita'
di accedere ad un trattamento sanitario "salvavita", ma ha  piuttosto
previsto che sia  regolamentata  la  fruizione  dello  stesso  presso
strutture private accreditate», non escludendo che l'assistito «possa
essere utilmente indirizzato verso strutture  pubbliche  eroganti  il
medesimo servizio», senza, pertanto, ne'  che  sia  stata  introdotta
alcuna  differenziazione  territoriale,  ne'  che  sia   stato   reso
maggiormente difficoltoso l'esercizio del diritto alla salute. 
    3.  -  Sono  intervenuti  -  nel  giudizio   che   trae   origine
dall'ordinanza di rimessione r.o. n. 352 del 2010 - i ricorrenti  nel
giudizio principale, chiedendo  che  le  questioni  siano  dichiarate
inammissibili, per erroneita' del presupposto interpretativo, ovvero,
in subordine, fondate. 
    3.1. - Le parti private  rilevano  che  -  secondo  una  costante
giurisprudenza costituzionale - la mancata sperimentazione, da  parte
del  giudice  a  quo,   della   praticabilita'   di   una   soluzione
interpretativa  diversa  da  quella  posta  a  base  dei   dubbi   di
costituzionalita', tale da comportare il loro superamento,  rende  la
questione sollevata  manifestamente  inammissibile  (sono  citate  le
ordinanze n. 110 del 2010, numeri 341, 268 e 205 del 2008 e n. 85 del
2007). 
    Detta evenienza ricorrerebbe nel caso in esame, giacche'  il  TAR
remittente muove dal presupposto che spetti  all'Assessore  regionale
alla  sanita'  l'individuazione  delle  prestazioni   o   gruppi   di
prestazioni per i quali stabilire la  preventiva  autorizzazione,  da
parte dell'azienda sanitaria locale competente, alla fruizione  delle
stesse presso le strutture private o i professionisti accreditati. In
sostanza, la norma  -  in  base  a  tale  interpretazione  -  avrebbe
l'intento di precludere in determinati casi la liberta' del cittadino
di rivolgersi alla struttura privata, cosi' incidendo, pero', su quel
principio di liberta' di scelta che risulta non solo stabilito  dalla
legge, ma che e' stato riconosciuto  come  meritevole  di  tutela  da
parte della Corte costituzionale (e' citata la sentenza  n.  416  del
1995). In base ad esso, infatti, fermi restando  tutti  i  poteri  di
controllo,  indirizzo  e  verifica  delle  Regioni  e  delle  aziende
sanitarie  locali   (cosi'   come   chiarito   dalla   giurisprudenza
costituzionale nelle sentenze n. 126 del 1994 e n. 283 del 1991),  il
cittadino risulta libero  di  scegliere  -  sottolineano  ancora  gli
intervenienti - la struttura sanitaria e il professionista  ai  quali
affidare la cura della sua salute. 
    3.2. - Tanto premesso, le parti private assumono che la norma  di
legge censurata, diversamente da come l'ha interpretata il giudice  a
quo, presuppone l'adozione,  da  parte  delle  Regioni,  di  un  atto
anch'esso di natura legislativa «che fissi quanto meno i  criteri  di
attuazione della norma delegante». Infatti, la scelta di  individuare
prestazioni  o  gruppi  di  prestazioni  per  i  quali  stabilire  la
preventiva autorizzazione, da  parte  dell'azienda  sanitaria  locale
competente, alla fruizione delle  stesse  presso  le  strutture  o  i
professionisti accreditati, implica - secondo le parti private - «una
deroga al principio della liberta' di scelta» e quindi richiede  «una
norma di pari forza» rispetto a quella che lo enuncia. 
    In altri termini, spetterebbe  al  legislatore  regionale  e  non
all'autorita' amministrativa «il potere  di  stabilire  in  concreto,
anche attraverso la previsione di specifici criteri di attuazione che
si pongano come limiti all'esercizio del potere esecutivo in materia,
le prestazioni o i gruppi di prestazioni per le quali sia  necessaria
la preventiva autorizzazione». 
    Accolta,  pertanto,  una  simile  interpretazione   della   norma
censurata  (coerente,  peraltro,  anche  con  l'inquadramento   della
regolamentazione  dell'accreditamento  presso  strutture  private   o
professionisti nella materia della tutela della salute, che in quanto
oggetto di potesta' legislativa concorrente  richiede  l'adozione  di
una legge regionale  di  dettaglio),  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale aventi  ad  oggetto  la  stessa  dovrebbero  ritenersi
manifestamente inammissibili. 
    Difatti, «una volta escluso il  potere  dell'Assessore  regionale
della salute di individuare le prestazioni o  gruppi  di  prestazioni
per i quali stabilire la  preventiva  autorizzazione»,  i  giudizi  a
quibus dovrebbero concludersi nel senso dell'annullamento del decreto
impugnato. 
    3.3. - Le parti private, tuttavia, nell'ipotesi in cui  la  Corte
costituzionale   non   dovesse   accogliere   tale   interpretazione,
prospettano l'illegittimita' costituzionale della norma censurata per
le medesime ragioni individuate nelle ordinanze di rimessione. 
    In particolare,  muovendo  dall'assunto  che  spetti  allo  Stato
«assicurare l'uguaglianza di tutti  i  cittadini  nel  godimento  dei
diritti fondamentali, tra cui indubbiamente va  ascritto  il  diritto
alla  salute»,  si  ribadisce  come  appartenga  «alla  sfera   della
legislazione statale la  determinazione  dei  criteri  necessari  per
l'individuazione delle prestazioni o  gruppi  di  prestazioni  per  i
quali  prevedere  la  necessita'  della   preventiva   autorizzazione
amministrativa». 
    Diversamente opinando, infatti, resterebbe  affidato  a  ciascuna
Regione «un potere assolutamente illimitato  e  non  circoscritto  in
materia, tale  da  pregiudicare  l'uniforme  tutela  nell'ambito  del
territorio nazionale del diritto  alla  salute,  soprattutto  quando,
come nel caso in esame, vengano in rilievo  pratiche  terapeutiche  e
cure salva vita». 
    Di  qui,  pertanto,  l'ipotizzata  violazione  del  principio  di
legalita' sostanziale, e dunque degli  artt.  24,  97  e  113  Cost.,
nonche' il contrasto con gli  artt.  3,  32  e  117,  secondo  comma,
lettera m), Cost. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Tribunale amministrativo regionale per  la  Sicilia,  con
tre  ordinanze  di  analogo  contenuto,  ha   sollevato   altrettante
questioni  di  legittimita'  costituzionale  -  in  riferimento  agli
articoli 3, 32, 97, 113 e  117,  secondo  comma,  lettera  m),  della
Costituzione - dell'articolo 8-quinquies, comma 2,  lettera  b),  del
decreto  legislativo  30  dicembre  1992,  n.  502  (Riordino   della
disciplina in materia sanitaria, a norma dell'art. 1 della  legge  23
ottobre  1992,  n.   421),   introdotto   dall'articolo   79,   comma
1-quinquies, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112  (Disposizioni
urgenti  per  lo   sviluppo   economico,   la   semplificazione,   la
competitivita',  la  stabilizzazione  della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla  legge
6 agosto 2008, n. 133. 
    Si ipotizza, in primo luogo,  che  la  norma  -  secondo  cui  le
Regioni «possono individuare prestazioni o gruppi di prestazioni  per
i quali stabilire la preventiva autorizzazione, da parte dell'azienda
sanitaria locale competente, alla fruizione presso le strutture  o  i
professionisti accreditati» - violerebbe gli artt. 3, 97 e 113 Cost.,
che danno fondamento al  principio  di  «legalita'  sostanziale».  In
particolare, secondo il remittente, sebbene non sia censurabile ex se
«la  previsione  dell'attribuzione  alle  Regioni   del   potere   di
introdurre una procedura autorizzatoria nel contesto della disciplina
dell'accesso alla fruizione di prestazioni sanitarie presso strutture
private accreditate (se non per il  fatto  che  detta  individuazione
avvenga  per  atto  unilaterale)»,  nella   specie   pero',   venendo
oltretutto  in  rilievo  prestazioni  salvavita,  il   principio   di
legalita' sostanziale risulterebbe disatteso a causa  della  «mancata
previsione dei criteri alla stregua dei quali detto  potere  dovrebbe
essere disciplinato su base regionale, e conseguentemente  esercitato
dalle aziende sanitarie locali». 
    In secondo luogo, viene ipotizzata la violazione degli artt. 3  e
117, secondo comma, lettera m), Cost., giacche' la norma censurata  -
ove ritenuta applicabile anche alle prestazioni afferenti  i  livelli
essenziali di assistenza stabiliti con  decreto  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri 29  novembre  2001  (Definizione  dei  livelli
essenziali di  assistenza),  allegato  1,  e  dunque  pure  a  quelle
previste in favore di «nefropatici cronici in trattamento  dialitico»
e di «pazienti  in  fase  terminale»  -  avrebbe  reso  «maggiormente
difficoltoso, su base regionale, l'accesso ad una prestazione inclusa
tra i livelli essenziali delle prestazioni sanitarie che  invece  non
devono patire una differenziazione territoriale». 
    Infine, si ipotizza la violazione degli artt. 3 e 32  Cost.,  sul
presupposto che la norma censurata verrebbe a porre «una  limitazione
ulteriore,  differenziata  territorialmente,  all'esercizio   di   un
diritto fondamentale», qual  e'  quello  alla  salute,  incidendo  in
particolare sul principio della cosiddetta "liberta' di scelta". 
    2. - In via preliminare, deve essere  disposta  la  riunione  dei
giudizi, atteso che la loro identita' di oggetto ne  rende  possibile
la definizione con un'unica pronuncia. 
    3.  -  Sempre  in  limine,  risulta  necessario  ricostruire   il
contenuto  della  disposizione  censurata,  alla  luce  del  contesto
normativo complessivo in cui essa si inserisce. 
    3.1. - In proposito, deve rilevarsi che quella parte (la seconda)
della lettera b) del comma 2 dell'art. 8-quinquies del d.lgs. n.  502
del 1992, contro cui si appuntano le censure del giudice  remittente,
risulta  essere  stata  inserita  dal  gia'  citato  art.  79,  comma
1-quinquies, del d.l. n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 133 del 2008. In base  ad  essa  le  Regioni  «possono
individuare prestazioni o gruppi di prestazioni per i quali stabilire
la preventiva autorizzazione, da parte dell'azienda sanitaria  locale
competente, alla fruizione presso le  strutture  o  i  professionisti
accreditati». 
    Tale disposizione, tuttavia, risulta fare corpo con  il  restante
contenuto del predetto art. 8-quinquies,  che  prevede  -  sempre  al
comma 2 - la definizione di «accordi con le  strutture  pubbliche  ed
equiparate, comprese  le  aziende  ospedaliero-universitarie»,  e  la
conclusione di «contratti con quelle private e con  i  professionisti
accreditati», gli uni come gli altri finalizzati ad indicare: 
        a) gli obiettivi di salute e i programmi di integrazione  dei
servizi; 
        b) il volume massimo di prestazioni che le strutture presenti
nell'ambito territoriale della medesima unita' sanitaria  locale,  si
impegnano ad assicurare, distinto per tipologia e  per  modalita'  di
assistenza. Ed e' con riferimento a tale disposizione che  la  stessa
lettera b) prevede che le Regioni possono individuare  prestazioni  o
gruppi  di  prestazioni  per  i   quali   stabilire   la   preventiva
autorizzazione, da parte dell'azienda  sanitaria  locale  competente,
alla fruizione presso le strutture o i professionisti accreditati; 
        c) i requisiti  del  servizio  da  rendere,  con  particolare
riguardo ad accessibilita', appropriatezza clinica  e  organizzativa,
tempi di attesa e continuita' assistenziale; 
        d) il corrispettivo preventivato  a  fronte  delle  attivita'
concordate, globalmente  risultante  dalla  applicazione  dei  valori
tariffari  e  della  remunerazione  extra-tariffaria  delle  funzioni
incluse nell'accordo, da  verificare  a  consuntivo  sulla  base  dei
risultati raggiunti e delle attivita' effettivamente  svolte  secondo
le indicazioni regionali di cui al comma 1, lettera d); 
        e) il debito informativo delle strutture  erogatrici  per  il
monitoraggio degli accordi  pattuiti  e  le  procedure  che  dovranno
essere seguite per il controllo esterno della appropriatezza e  della
qualita' della assistenza prestata e delle prestazioni rese,  secondo
quanto previsto dall'articolo 8-octies; 
        e-bis) la modalita'  con  cui  viene  comunque  garantito  il
rispetto del limite di remunerazione  delle  strutture  correlato  ai
volumi  di  prestazioni,  concordato  ai  sensi  della  lettera   d),
prevedendo che in caso di  incremento  a  seguito  di  modificazioni,
comunque intervenute nel corso  dell'anno,  dei  valori  unitari  dei
tariffari  regionali  per  la  remunerazione  delle  prestazioni   di
assistenza ospedaliera, delle prestazioni di assistenza specialistica
ambulatoriale, nonche' delle altre prestazioni comunque remunerate  a
tariffa, il volume massimo di prestazioni  remunerate,  di  cui  alla
lettera b), si  intende  rideterminato  nella  misura  necessaria  al
mantenimento dei limiti indicati alla  lettera  d),  fatta  salva  la
possibile   stipula   di   accordi    integrativi,    nel    rispetto
dell'equilibrio economico-finanziario programmato. 
    3.2. - Tanto premesso, deve rilevarsi come sia  possibile,  nella
specie,   pervenire   ad   un'interpretazione    sistematica    della
disposizione censurata, collocando l'attivita'  da  essa  prevista  -
l'individuazione delle «prestazioni o gruppi  di  prestazioni  per  i
quali stabilire la preventiva autorizzazione, da  parte  dell'azienda
sanitaria locale competente, alla fruizione presso le strutture  o  i
professionisti accreditati» - comunque all'interno degli «accordi con
le  strutture  pubbliche   ed   equiparate,   comprese   le   aziende
ospedaliero-universitarie» e dei «contratti con quelle private e  con
i professionisti  accreditati»  (accordi  e  contratti  che  possono,
rispettivamente, essere raggiunti e conclusi  anche  mediante  intese
con le organizzazioni rappresentative  di  quei  soggetti),  entrambi
previsti dalla prima parte della lettera b)  del  comma  2  dell'art.
8-quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992. 
    Diversamente, infatti, da quanto ipotizza il giudice a quo, nulla
osta a tale interpretazione:  non  la  formulazione  letterale  della
disposizione  censurata  (giacche'  proprio  l'uso  della   locuzione
"possono individuare" allude  ad  una  possibilita'  dipendente,  per
l'appunto,  dall'avvenuta  conclusione  degli  accordi  e   contratti
suddetti), ne' la sua collocazione sistematica (ponendosi  la  stessa
all'interno di un articolo la cui rubrica e'  pur  sempre  intitolata
«Accordi contrattuali»). 
    4. - Cosi' ricostruito il contenuto  della  norma  in  esame,  la
censura di violazione degli artt. 3, 97 e  113  Cost.,  per  asserito
contrasto con il principio di legalita' sostanziale, non e' fondata. 
    4.1.  -  Non  e'  esatta,  infatti,  l'affermazione  secondo  cui
difetterebbero,  nel  caso  di  specie,  i  criteri   in   grado   di
predeterminare le modalita' di esercizio, da parte della Regione, del
potere autorizzatorio. 
    Proprio il collegamento  che  unisce  -  nel  testo  della  norma
censurata - l'autorizzazione regionale e gli accordi con  i  soggetti
interessati, nel rendere palese la finalizzazione di tali accordi  al
raggiungimento   di    determinati    scopi    (e    particolarmente,
l'individuazione degli «obiettivi di  salute»  e  dei  «programmi  di
integrazione dei servizi»,  nonche'  la  determinazione  del  «volume
massimo  di  prestazioni  che  le  strutture   presenti   nell'ambito
territoriale della medesima unita' sanitaria locale, si impegnano  ad
assicurare, distinto per tipologia e per modalita'  di  assistenza»),
definisce anche l'ambito entro il quale  deve  essere  esercitato  il
potere autorizzatorio della Regione. 
    Particolare  valore   significativo,   nel   delineato   contesto
normativo, deve essere attribuito a quanto precisato nella lettera c)
del citato comma 2, nella parte  in  cui  indica,  come  necessari  a
giustificare l'intervento  dell'autorita'  regionale  in  materia,  i
«requisiti del servizio  da  rendere,  con  particolare  riguardo  ad
accessibilita', appropriatezza  clinica  e  organizzativa,  tempi  di
attesa e continuita' assistenziale». 
    4.2. - Deve, pertanto, escludersi  -  nel  caso  in  esame  -  la
violazione del principio di legalita' sostanziale, giacche' esso puo'
ritenersi soddisfatto ogni qual  volta  si  rinvenga  l'esistenza  di
criteri,  nel  testo  normativo,  in  grado  di  orientare   l'azione
dell'autorita' amministrativa. 
    In relazione a tale specifico profilo, deve ribadirsi - anche nel
caso ora in esame - quanto affermato  da  questa  Corte  in  sede  di
scrutinio  di  una  norma   di   legge   regionale,   sospettata   di
illegittimita' costituzionale proprio perche'  «avrebbe  reintrodotto
l'obbligo di un'autorizzazione per l'accesso alle  strutture  private
accreditate, subordinando il  suo  rilascio  all'insufficienza  della
struttura pubblica». 
    Infatti, muovendo dalla constatazione che - nel sistema sanitario
nazionale -  «il  principio  di  libera  scelta  non  appare  affatto
assoluto, dovendo invece essere  contemperato  con  altri  interessi,
costituzionalmente  tutelati,  puntualmente  indicati  da  norme   di
principio della  legislazione  statale»,  si  e'  riconosciuto  come,
nell'evoluzione della disciplina in materia di sanita', «subito  dopo
l'enunciazione del principio della parificazione e  concorrenzialita'
tra strutture pubbliche  e  strutture  private,  con  la  conseguente
facolta'  di  libera  scelta  da   parte   dell'assistito,   si   sia
progressivamente imposto nella legislazione  sanitaria  il  principio
della programmazione, allo scopo di realizzare un contenimento  della
spesa  pubblica  ed  una  razionalizzazione  del  sistema  sanitario»
(sentenza n. 200 del 2005). 
    In questo modo, secondo la citata pronuncia, «si e' temperato  il
predetto regime concorrenziale attraverso i poteri di  programmazione
propri delle Regioni e la stipula di appositi "accordi  contrattuali"
tra le USL competenti e le strutture interessate per  la  definizione
di  obiettivi,  volume  massimo  e  corrispettivo  delle  prestazioni
erogabili» (ovvero proprio gli accordi previsti dall'art. 8-quinquies
del d.lgs. n. 502 del 1992). 
    Particolare rilievo, dunque, questa Corte ha attribuito - al fine
di escludere la fondatezza della questione allora  sollevata  -  alla
stipulazione di tali accordi, giacche' proprio l'esistenza di  simili
«forme di contrattazione», intercorrenti «tra Giunta regionale e USL,
da un lato, ed i  vari  soggetti  accreditati,  pubblici  e  privati,
erogatori delle prestazioni, dall'altro», costituisce la  circostanza
idonea ad escludere «il  preteso  carattere  di  arbitrarieta'  delle
scelte poste  in  essere  in  questo  settore  dalle  amministrazioni
competenti». 
    4.3. - Anche nel caso ora  in  esame,  pertanto,  e'  proprio  la
circostanza che l'esercizio  del  potere  di  autorizzazione  avvenga
sulla  base  di  tale  attivita'  di  contrattazione   ad   escludere
l'arbitrarieta' del suo esercizio e,  con  esso,  la  violazione  del
principio di legalita' sostanziale da parte  della  norma  che  detto
potere contempla. 
    5. - Non fondata e' la censura di violazione degli artt. 3 e 117,
secondo comma, lettera m), Cost. 
    5.1. - A parte, infatti, la constatazione che nel caso di  specie
si assume il contrasto di una  norma  statale  con  una  disposizione
costituzionale (la seconda delle due appena  menzionate)  che  radica
una  competenza  esclusiva  dello  Stato,  deve  osservarsi  come  la
giurisprudenza  della  Corte  sia  costante  nel  ritenere  che   «la
fissazione  dei  livelli  essenziali  di  assistenza  si   identifica
esclusivamente nella "determinazione  degli  standard  strutturali  e
qualitativi delle prestazioni, da garantire agli  aventi  diritto  su
tutto il territorio nazionale", non essendo "pertanto inquadrabili in
tale categoria le norme volte ad altri fini"» (ex multis, sentenza n.
371 del 2008). 
    Su tale presupposto, pertanto, si deve ribadire  che  la  «natura
intrinseca dei livelli essenziali delle prestazioni,  previsti  dalla
norma costituzionale prima  citata,  esclude,  per  evidenti  ragioni
logico-giuridiche, che la stessa norma  possa  essere  indicata  come
fondamento di un principio di liberta'  di  scelta»  delle  strutture
presso cui ricevere prestazioni  di  cura,  giacche'  tale  principio
«introduce in capo all'utente un diritto non  incidente  sui  livelli
quantitativi e qualitativi delle prestazioni», sicche' gli interventi
del legislatore destinati ad influire su tale liberta'  non  rilevano
«sul versante delle prestazioni, ma su quello delle modalita' con  le
quali l'utente puo' fruire delle stesse» (cosi' la  sentenza  n.  387
del 2007, la quale, sebbene si riferisca specificamente  alla  scelta
tra  strutture  pubbliche  e  private  operanti   nel   campo   della
prevenzione, cura  e  riabilitazione  delle  tossicodipendenze,  reca
un'affermazione dotata di valenza generale). 
    6. - Neppure e' fondata, infine, la censura di  violazione  degli
artt. 3  e  32  Cost.,  sollevata  sub  specie  di  compressione  che
subirebbe la liberta' di scelta dell'interessato. 
    6.1. - In relazione a tale aspetto,  la  costante  giurisprudenza
costituzionale non solo ha affermato che la «liberta' di scegliere da
parte dell'assistito chi chiamare a fornire le prestazioni  sanitarie
non comporta, affatto, una liberta'  sull'an  e  sull'esigenza  delle
prestazioni»  (cio'  che  giustifica  la  previsione  di  «poteri  di
controllo,  indirizzo  e  verifica  delle  regioni  e  delle   unita'
sanitarie locali» e dunque il persistere del sistema  autorizzatorio;
sentenza n. 416 del 1995), ma ha anche precisato  che  l'esigenza  di
salvaguardare «il diritto alla scelta del medico e del luogo di cura»
deve essere «contemperata con gli altri interessi  costituzionalmente
protetti» (sentenza n. 267 del 1998). 
    Questa Corte, in  particolare,  ha  chiarito  -  come  si  e'  in
precedenza ricordato - come «subito dopo l'enunciazione del principio
della parificazione e concorrenzialita'  tra  strutture  pubbliche  e
strutture private, con la conseguente facolta' di  libera  scelta  da
parte  dell'assistito,  si   sia   progressivamente   imposto   nella
legislazione sanitaria il principio della programmazione, allo  scopo
di  realizzare  un  contenimento  della   spesa   pubblica   ed   una
razionalizzazione del sistema sanitario» (citata sentenza n. 200  del
2005), sicche' deve concludersi che «il principio  di  libera  scelta
non  e'  assoluto  e  va  contemperato  con   gli   altri   interessi
costituzionalmente protetti, in considerazione dei  limiti  oggettivi
che lo  stesso  legislatore  ordinario  incontra  in  relazione  alle
risorse finanziarie disponibili» (sentenza n. 94 del 2009). 
    Questa conclusione e' conforme, del  resto,  alla  configurazione
del  diritto  alle  prestazioni  sanitarie   come   "finanziariamente
condizionato", giacche' «l'esigenza di assicurare la universalita'  e
la completezza del sistema  assistenziale  nel  nostro  Paese  si  e'
scontrata, e si scontra ancora attualmente, con la limitatezza  delle
disponibilita' finanziarie che annualmente  e'  possibile  destinare,
nel  quadro  di  una  programmazione  generale  degli  interventi  di
carattere assistenziale e sociale, al settore sanitario» (ex  multis,
sentenza n. 111 del 2005). 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Riuniti i giudizi, 
    Dichiara non  fondata,  nei  sensi  di  cui  in  motivazione,  la
questione di legittimita' costituzionale  dell'articolo  8-quinquies,
comma 2, lettera b), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502
(Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'art.  1
della legge 23 ottobre 1992, n. 421),  introdotto  dall'articolo  79,
comma  1-quinquies,  del  decreto-legge  25  giugno  2008,   n.   112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la  semplificazione,
la competitivita', la stabilizzazione della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla  legge
6 agosto 2008, n. 133, sollevata - in riferimento agli articoli 3, 97
e 113 della Costituzione - dal Tribunale amministrativo regionale per
la Sicilia con le ordinanze indicate in epigrafe; 
    Dichiara non  fondate  le  ulteriori  questioni  di  legittimita'
costituzionale del medesimo articolo 8-quinquies,  comma  2,  lettera
b), del d.lgs. n. 502 del 1992, introdotto  dall'articolo  79,  comma
1-quinquies, del d.l. n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 133 del 2008, sollevate - in riferimento agli articoli
3, 32 e 117, secondo comma, lettera  m),  della  Costituzione  -  dal
Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia  con  le  ordinanze
indicate in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 luglio 2011. 
 
                       Il Presidente: Quaranta 
 
 
                       Il redattore: Quaranta 
 
 
                       Il cancelliere: Melatti 
 
    Depositata in cancelleria il 27 luglio 2011. 
 
               Il direttore della cancelleria: Melatti